Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. I, Laterza, 1912.djvu/246

238 i tre tiranni

          che sei cagion di questo. O Satenasso,
          perché mi legghi si le mani e i piedi?
          Lasciami, priego, ritornare a casa,
          che non sono ancor morto. E ti prometto
          di mutar vita ed andare in un bosco
          a mangiar l’erba e farmi un uomo santo.
          Oimè ! che la corata mi si schianta
          di doglia; che giá sento, in fin di qui,
          rompere i miei cascioni che i vicini
          denno rubbarmi. Che sia maladetto
          mio padre e la mia madre e la mia balia
          che non mi soffocorno quando nacqui,
          per venire a tal punto! Ah, vita mia!
          Dove debbe essere or quel boccolino?
          Se tu ’l sapessi, di tanta disgrazia,
          a l’avresti pur per male. Oimei! O Lucia!
          Oimei! M’han rotto un braccio. Oimè! la testa.
          Mi strozzan tuttavia. Sono a l’inferno,
          in mezzo al fuoco.
          Pilastrino  È pure andata netta.
          Listagiro  Fa’ in modo, Pilastrin, che non vegnamo
          a le mani in fra noi.
          Pilastrino  Partirem tutto.
          Nettiam pur presto.

SCENA II

Fronesia, parlando con Lucia, dimostra averle giá contato quel che pensò cercando Filocrate; e di nuovo gne le narra; e, messole in disgrazia Filocrate, le mostra che fece male a dir villania a la romana e le persuade che, per l’avenire, la tenga amica.

Fronesia, Lucia.

          Fronesia  Non l’avresti mai
          pensato che ti avesse in questo modo
          lasciata. O parti che questo sia amore,