che tien (come faremmo noi i capponi
sotto la cesta) perché venghin belle.
E, quando poi son grasse e da qualcosa,
le vende, le trabalza e con danari
ne fa ogni derrata. Ivi tutte hanno
il lor proprio esercizio: una pesta ossa
e piú cose bizzarre; una crivella
le polveri e sementi; un’altra l’erbe
mette ne le strettoie e cava il sugo;
questa fa medicine; un’altra unguenti,
penso, da gambaracci e simil cose;
una è in lavar la trementina; e l’altra
falserá sollimato e, con salnitro
e solforo, fará puzzar la casa.
E vedi poi, d’intorno, mille fatte
di lambicchi e campane da stillare,
bocce di vetro le piú contrafatte
del mondo. Ivi fornaci, scaffe e stufe,
orci, fiaschi, arbarelli e tarabaccole.
Per le fenestre fiori, erbe e sementi,
radici, zucche, zucchelle e pignatte,
laveggi, pignattini e speziane
e cose strane. E ci vedrai d’augelli
piú membra; e piú animali scorticati;
e pelle e grassi e sangui come inchiostro;
unghie e capei morti. Crisaulo Io son giá sazio.
Non mi dir piú, ti prego. Fileno Odi ancor questa.
Oggi vidi stillare a una campana,
che è fatta appunto coni ’un uom che s’abbia
le man miso in su’ fianchi; che credetti
morir di rise. V’era cinque o sei
di quei visi affummati intorno al fuoco,
che parean le donzelle di Vulcano
giú nel regno di Dite. Ancor piú oltra