Pilastrino È meglio, adunque, che cangiam gli stati
e le fortune. E tu sarai contento
sempre nel mio: e si lieto e felice
e senza alcun pensier che non vorresti,
quando lo provi poi, per tutto il mondo
non l’aver fatto. Ed io, in cambio tuo,
torrò questi tuoi affanni. Crisaulo E che potresti
cangiar se non que’ panni e quella pelle?
o ’l vizio orrendo che non potrá mai
I mancare in te? poi sai che non possiamo,
per noi stessi, cangiar stato e fortuna:
che s’appartiene al ciel. Pilastrino Ti vo’ insegnare.
Avremmo prima a tramutar la robba:
verbi gratía, la tua fa’ che sia mia.
Tu voglio che ti chiami Pilastrino;
ed io sarei Crisaulo. E, in questo modo,
non sol muterai nome, ma costumi,
stato e natura; e forse ancor la mente.
Proviam, se tu noi credi. Crisaulo Io ti ringrazio;
che è buono il tuo consiglio: ma non voglio
ch’oggi ne venda a me. Pilastrino Ah! ca! ca! ca!
Non ti si può appicare oggi niente
di questa mia dottrina. Io me ne vado.
Qui non si busca. Crisaulo Sta’, non ti partire;
fermati un poco. Pilastrino Non posso indugiare. Crisaulo E che buona facenda? Pilastrino Un’altra volta,
se riesce, tei dirò; che penso, un tratto,
uscir d’esti pedocchi. Non dir nulla,
che vo’ ch’abbiam da rider per cent’anni,
se mi vien fatta.