casa e dette campo franco alla moglie, piú aveduta e piú savia di lui. Parvemi d’entrar poi in una altra casa e trovare la padrona che si faceva affibbiar dalla fante e le diceva: — Uh, sciocca, dappocuza! ancor non sai tu affibbiare una vesta? Cominciati di sotto, in malora! — A cui la fante rispondeva: — E che noia dá, che importa cominciarsi di sotto o di sopra? Quando io affibbiava quell’altra mia padrona, io cominciava pur sempre di sopra. — Sai tu perché? — rispondeva la padrona: — perché ella ha troppe le puppe grosse, e cominciavasi di sopra per tirarsele in giú a poco a poco acciò non apparissino sí ritte. Ma io, perché son magra ed ho il petto piccolo, bisogna, se io non voglio parer fatta colla pialla, che mi cominci affibbiar di sotto, acciò che io abbia un poco di apparienzia e non paia una spigolista; ben sai! — Oh quanto mi risi di questa astuzia da donne! Trova’ne, doppo questa, un’altra, piú vana che una zucca secca, la quale si stava in una sua anticameretta dintorno allo specchio, con un paio di mollettine in mano, e davasi una riveduta solenne alle ciglia; e, poi che si fu pelata e spelata a suo modo, messe mano a un fiaschetto pieno d’una certa aqua sbiancata, che pareva latte marcio, e con essa si lavò molto bene il viso e la gola per infino al petto. Doppo, presa la pezzetta di levante, si dipinse un viso che pareva una mascara modanese: e, poi che si fu lisciata a suo modo, cominciò a mettersi tanti fiori in seno e agli urecchi che la pareva un maggio; e, guardandosi nello specchio e parendole che non campeggiassino a suo modo, forse dieci volte li levò e ripose, tanto che mi venne a noia e me ne partii senza voler vederne la fine. Entrai in piú di diece altre case: e sempre sempre trovai donne che si lisciavano; e alcuna ne viddi che era aiutata dal marito, molto piú vano di lei. — Diacin ne vadia, con tanto lisciarsi! — diceva io fra me medesimo: — può egli essere che queste meschine non si accorghino che per voler parer piú belle, si fanno maschere e si guastan la vita ed invechiano dieci anni inanzi al tempo e diventano grinze e isdentate o vero co’ denti sí sudici e lordi che sarebbe manco schifo a baciar loro... presso che io non dissi qualche mala parola... che baciar loro la bocca? Quante ne è qui che, cariche di panni e del mal che Dio die loro, stanno intirizzate come statue e non si possan muovere, scoppiano di caldo e di affanno, per parer belle! E pensan forse, queste tali, esser tenute piú belle che l’altre? Le s’ingannano, perché belle son tenute quelle che né poco né molto le lor persone procurano. —