Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. I, Laterza, 1912.djvu/144

136 il pedante


Ceca. Malan che Dio te dia, a te e a lui!

Malfatto. Ascolta un poco. Oh madonna quella! Chiama un po’, de grazia, quel cotale.

Ceca. Che cotale? Perché non parli?

Malfatto. Vorria che tu me chiamassi quello che mena.

Ceca. Tu devi esser imbriacco.

Malfatto. Per questa croce, che non ho ancora beuto. Odi, odi; non te spartire. Oh cancaro! S’io torno al mastro e dico che non me hanno voluto aprire, me dará delle staffilate. Io so che voglio bussare. Tic, toc, tac.

Ceca. Tu non lo credi, nch vero?

Malfatto. Che vói ch’io creda?

Ceca. Che te farò andare a pichiare altrove.

Malfatto. Oh! non sono stato io.

Ceca. E chi è stato?

Malfatto. Uno ch’è andato lá giú adesso. Ma, de grazia, chiamarne un poco quello che mena, che lo vole lo mastro.

Ceca. Tu vói forsi Minio.

Malfatto. Si, cancaro li venga!

Ceca. Venga pur a te. Aspetta, ch’ora lo chiamo.

Malfatto. Vedi che pur me ssi è ricordato lo nome. Oh che poco cervello! Gran cosa ch’io non tengo troppo bene a mente! e sono cosí grande!

Ceca. Dove sei? non odi? Oh poco-in-testa!

Malfatto. Che volete?

Ceca. Adesso viene abasso.

Malfatto. Si, si, venga pur, che lo mastro l’aspetta ed è un pezzo che sta in ordine.

Iulia. Chi è quello che vole Minio?

Malfatto. Simo noi, che lo vole lo mastro.

Iulia. Dilli, al tuo maestro, che l’è un gran sciagurato.

Malfatto. È ben vero, si.

Iulia. E è un tristo e un gaglioffo; e che, se non è savio, gli farò romper el capo.

Malfatto. Si, che non possa sedere. Oh! che l’è gran poltrone, alla fé.