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132 il pedante

larga natura educata di continuo nei laboriosi studi, posser ridurla in uxoria fede, quia est viro potens. E cosi, refrigerando e sanando le vulnere ch’ho nel corculo e nello èpate, in rubeo si divertirá el colore busseo.

Mastro Antonio. Non bisogna battere, che sé averta la porta.

Prudenzio. Non posso stare ad exemplificarvi, al presente. Andate, ch’io ne verrò statini.

Mastro Antonio. Stasi pur quanto che ve piase.

Prudenzio. Costui se cogita d’essere un vafro uomo et è un ideota che non degerisce le parole nostre. Io temo che quello insolente iactabundo del servo, poco obsequente ai nostri precepti, non incumba a qualch’altro spurcissimo negozio e il nostro, per ingiusta oblivione, non interlassi.

SCENA V

Curzio, Rufino, Trappolino.


Curzio. Se io avessi guadagnati oggi mille scudi non mi sarebbono stati si cari, ancor ch’io ne abbia di bisogno, come mi è stato caro lo aver provato costui: ch’ogni volta che m’incontrava, e tu lo sai, sempre voleva ch’io lo affannassi; e ora, che de picol summa di dinari l’ho richiesto, tu l’hai sentito quello che m’ha risposto e con quanti preambuli e paroline si è scusato.

Rufino. Patrone, io ve ricordo che, se piú ne avessivo rechiesti, piú ne aresti vo trovati ch’el medesmo vi arebbono detto.

Curzio. Vedi che ’l nostro banchieri ne ha aiutato inel bisogno con una sola polizza delle nostre senza altri contratti o cavillazoni.

Rufino. Io me ne sono maravigliato, che sogliano questi mercanti essere sufistichi, schizzinosi, ch ’a pena si fidono di loro stessi nel conto del danaio.

Curzio. Acceleramo i passi; andiamone in casa, acciò ch’io me possa mettere in ordine per ritrovarmi stanotte con la mia Livia.