Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. I, Laterza, 1912.djvu/130

122 il pedante


Malfatto. O quello! Addio. Fit! Prudenzio. Che noi non siamo per comportarci alcun dedeco, idest mancamento.

Malfatto. Mastro, volete far alle pugna con lui, che ve terrò la cappa? Voi me guardate? Dico da vero, alla fé.

Curzio. De grazia, mastro, avertite ai casi vostri.

Prudenzio. Non bisogna minarci per essere catrafatto con l’ense ferreo e col pugione e col famulo satellito. Ma voi non sapete ancora quanto conato abino le umane lettere appresso i buoni discipuli concivi e munifici che sono copiosi di famuli e di gladiatori.

Curzio. Questa pecora gridare tutt’oggi.

Malfatto. O quello delli quatrini! che fai?

Prudenzio. Testor Deum ch’io voglio andare nunc nunc al tribunale della Reverenzia dil Monsignor Governatore e dechiarargli pedetentim tutte le superfluitá che se fanno in questa terra alli omini del Gimnasio romano.

Rufino. Leviamocelli dinanzi, patrone.

Malfatto. Olá! Ve ne andate? non volete che venga, ch?

Curzio. Si: che non camini?

Prudenzio. Per corpum meum...

Malfatto. Che non dite a misser che me lassi venire?

Prudenzio. Ah lingue viperee, defloratore de l’onor nostro!

Curzio. Non li respondere. Lassalo gridare.

Prudenzio. Vien qua tu, sciagurato, insolentissimo. Vattene un poco dereto a coloro e vedi ove entrano e viennimelo subito a referire e guarda che tu non gli sperda.

Malfatto. Non me sperderò, no. Ma dove dite che vanno?

Prudenzio. Lá giú per quel trivio.

Malfatto. Non erano se non doi, recordatevene bene, e non tre.

Prudenzio. L’è vero. O camina, adunque; e torna tosto.

Malfatto. Quanto tosto volete ch’io venga? com’un sasso?

Prudenzio. E camina, poltronee! ch’in questo mezzo voglio andare ad informandum curiam.

Malfatto. Oh mastro! oh mastro! Io non li veggio.