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120 il pedante


Prudenzio. Vieni con noi sino all’emporio, che mercaremo doi o tre oboli idest baiocchi de fercule per prandio.

Curzio. Addio, maestro.

Prudenzio. Oh! Bona dies, magnifici mei patronissimi. Quomodo se habent, come stanno le Signorie Vostre?

Malfatto. Oh mastro! Questo è quello che me dette li quatrini:

nch vero, quell’uomo?

Prudenzio. Taci, se non che tu me farai convertire la ultrapelia in ira.

Malfatto. E me disse ancora che voi séte un poltrone.

Prudenzio. Vade ad furcas, prosuntuoso.

Curzio. Oh che piacer è questo!

Prudenzio. Io multum miror che la Eccellenzia Vostra abbi machinato contro di noi alcune parole ingiuriose come un seminario di mali.

Curzio. Io non so che cosa ve abbiate.

Prudenzio. Dico che non convenit ad uno experto viro laniare el prossimo.

Curzio. Voi mi parete un pazzo. Che dite?

Prudenzio. Benché, noi non le stimiamo; perché «esto forti animo cum sis damnatus inique».

Curzio. Voi fate un gran sgranellare di latini, oggi!

Malfatto. O quello! Dame un altro quatrino: vói?

Prudenzio. Basta. Non è questo el rigore de l’onestá.

Malfatto. Vo’ melo dare, che te raccusarò lo mastro?

Prudenzio. Metue magistrum tu et fac ut sis sermone raodestus.

Malfatto. Parlate, parlate con lui che ve responde rá.

Prudenzio. Non se fa cosi, bone vir.

Curzio. Io credo che ve sognate. Con chi l’avete?

Prudenzio. Questo nostro famulo ne ha referto che voi avete detto contro a l’onor nostro molta ingiuria. Ma ambula cum bonis et cetera.

Curzio. Che ambula? che ambula? Non ve vergognate, voi, che fate el savio, el grave, e andate tutta notte cantando, facendo le mattinate, come se fossi vo un giovane de venti anni?