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atto primo 117


Rita. Ragionamo de altro, adunque.

Ceca. Voltiamo questo canto qui, che scortaremo un pezzo di strada.

Rita. Si, de grazia, ch’io non vo’ che me veda colui ch’esce di quella casa.

Ceca. E perché? chi è?

Rita. Non vedete ch ’eli’ è Curzio, el mio patrone?

Ceca. Dite el vero. Leviamoci presto de qui.

SCENA IV

Curzio, Rufino, Trappolino, Prudenzio, Malfatto.

Curzio. Quanta gioia, quanto piacere io sento, pietoso Amore, noi posso dire: che, di me non obliandoti, nel mezzo di cotante miserie, di me sei stato ricordevole; di sorte che la mia donna, mossa a pietá, con darmi speranza di futuro bene, adolcisce l’amare mie angosce. E, per questo, i’ sono sforzato d’impegnarmi e gli amici e quanti cognosco per compir alla promessa della dote ch’io gli ho fatto; insino a tanto che l’infelice mia consorte mi mandi qualche danaio da casa. Cosí mi i levarò pur di sospetto di quel pedantaccio ignorante: che non mi maraviglio se non di chi gli crede a tali uomini che sono piú tosto l’infamia del mondo che no. E forsi che questi che fanno el gentiluomo non se gli cacciano in casa? Ma non curare, che gli trattono bene! che, non che li figliuoli e le figliuole, ma le mogli ancora li vituperano; e, ancor che non sia el vero, se ne vantono, ch’è il peggio. Ma, se questo sciagurato me ssi rintoppa innanzi, gli vo’ dir quattro parole a mio modo e avvertirlo che si rimanga di andargli, ogni notte, a cantar all’uscio, se non vole ch’io li armi le schiene di bosco. O Rufino! Non odi?

Rufino. Signore, che volete?

Curzio. Chiama qui fuori Trappolino/Spedisciti, ch’eli’ è tardo. Idio, aiutami in tanta necessitá in quanta ora me trovo.

Rufino. Ecco Trappolino, patrone.