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114 il pedante

com’è possibile, uomo nefario, ch’in tanti cotidiani lustri non abbi imparato a latinare un cosí dotto et elegante epilogo ch’un bubalo se ne sarebbe giá fatto ampiamente capace?

Malfatto. Mastro, date un po’ la frusta a esso e io alzarò voi e lui ve dará un cavallo e poi tutti doi me cacciarete lo naso.

Prudenzio. Poltrone ribaldo!

Malfatto. Non me agiognerete, no.

Prudenzio. In nomine Domini, et tu fac istud tema. E avvertisci ch’io non ritorni nella pristina còlerá, che non sunt in potestate nostra primi motus.

Malfatto. Le prime mete, si, sono in potestate vostra.

Prudenzio. Alla fé, che te farò trepidare innanzi a noi.

Malfatto. Cancaro! Guarda li piedi!

Prudenzio. E tu, Luzio, fa’ che te ricordi ch’è verecundia alli optimi discipuli ignorare le cose del preceptore che disce e doce le buone educazioni. Fa’ questo latino: «Mentre che lo mastro me dá li cavalli io tiro le corregge».

Luzio. «Inter... inter mastrum...».

Prudenzio. Di ’un’altra volta.

Luzio. Hem! hem!

Malfatto. Quelli con che si magna lo pane.

Prudenzio. Lassalo dire. Attendi a te.

Luzio. «Inter magistrum me dai caballos cum nerbo...».

Malfatto. Quando andarasti al monte e quando.

Prudenzio. Non vói tacere, arcula de ignoranzia, latibulo di sporcizie, cloaca di fecce? Ma non curare, che tu non ascenderai mai alla catedra di Minerva.

Malfatto. Merda pur a te.

Prudenzio. S’io vengo li...

Malfatto. Che non ci venite? Fateve conto ch’io non saperò andar in un altro luoco!

Prudenzio. Vade ad furcas.

Malfatto. Te venga pur a voi. Ha’ visto che bella cosa, che non voi ch’i’ canti?

Luzio. Come se declinano le coregge, mastro?

Prudenzio. Hoc: crepidum, crepidi.