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atto primo | 107 |
Malfatto. Per Dio! Patrone, missere, odite, per questa croce.
Prudenzio. Che vói ch’io oda? Vederai ch’io farò che, quando tu verrai meco, non te panerai dal latere nostro. Dimmi un po’: chi te ha dato quelli quadranti?
Malfatto. Che quadranti?
Prudenzio. Questi; questi nummi.
Malfatto. Son quatrini, son quatrini. Voi non ci vedete lume. Che me Ili ha dati esso quello.
Prudenzio. Quale?
Malfatto. Quello che dice che voi site un poltrone.
Prudenzio. E cognoscelo tu?
Malfatto. Misser si, che ve cognosce.
Prudenzio. Io dico se tu lo cognosci; intendi bene.
Malfatto. Vedete se me cognosce, che m’ha dati li quatrini.
Prudenzio. È questo possibile, che tu non mi respondi a quello ch’io te interrogo? Io te ho detto se tu lo saperai ricognoscere, si o no. Che dici tu?
Malfatto. Si e no.
Prudenzio. Iuro per deum Herculem che...
Malfatto. Non se chiamava Ercole, messer no.
Prudenzio. Se io fosse cerciorato vendundarme la toga, voglio cognoscerlo e fargli dar molte vulnere da questi sicari famuli di questi magnifici eccellentissimi signori principi mei patroni sempre observantissimi e fargli cavar el cuor del corpore.
Malfatto. Oh! Mastro, ha ditto ancora che voi site un somaro.
Prudenzio. Un asino, ch?
Malfatto. Misser no: un somaro.
Prudenzio. E quo casu lui?
Malfatto. Non ho comparato caso, messer no. Avete fame, nch vero?
Prudenzio. Io arei per manco de darte un equo, se tu non taci, che disputare. Gran cosa che questa inclita cittá magnanima sia cosí sterile del consorzio de’ viri probi e sia fertile delli invidiosi inimici delle sacrosante, buone e megliori e optime