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atto primo | 103 |
con una qua a basso. Cancaro! Ecco, alla fé, quella che dice che me vole per marito. Alla fé, la voglio aspettare.
Ceca. Io ho trovato a punto el servo di Curzio e hogli fatto l’imbasciata. M’ha ditto ch’in casa di Filippa mi renderá la risposta.
Malfatto. Io voglio andare a trovarla, a fé. Bona sera.
Ceca. Oh! addio. Bona sera e ’l buon anno. Dove vai?
Malfatto. Venivo a ti. Come sto io?
Ceca. E che vói tu ch’i’ ne sappia come stai? Guarda ch’adimande da sciocco!
Malfatto. Io volevo dire come stai tu.
Ceca. Tieni le mani a te. Che farai?
Malfatto. Volevo toccare un po’ qua dentro.
Ceca. Non se tocca qua dentro, se non se piange.
Malfatto. O aspetta un poco. Non te so’ moglie io a te?
Ceca. Sta’ da lunga, quando tu parli. Non ti accostar tanto, che tu m’amorbi. Che non te lavi, che puti com’una carogna?
Malfatto. Non ho la rogna, no. Vedi? Son bianco. Guarda un po’. Te voglio bene io a te, vch!
Ceca. Ed io a te. Siamo d’accordo.
Malfatto. O lássamete, adunque, montare adosso.
Ceca. Come adosso, bestia?
Malfatto. Si, a cavallo; a questo modo.
Ceca. Fatt’in lá, poltrone!
Malfatto. Oh! Ceca mia, quando me vói far far un figliolo?
Ceca. Taci, balordo! E dove trovi tu che gli omini faccino figlioli?
Malfatto. O fallo tu, adunque; e io te cci voglio aiutare.
Ceca. Ne arei ben voglia.
Malfatto. Che dici? Non sei contenta, Ceca mia bella?
Ceca. Si, si. Dimme un po’ : el tuo patrone compone piú versi?
Malfatto. Si. È andato verso qua giú. Poco stará a tornare.
Eh! non ti partire cosí presto, che io ti darò questi quatrini.
Ceca. Damile, su!