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102 il pedante


Fulvia. Tu dici el vero. Ma che te ne pare di Curzio?

Rita. Circa a che cosa?

Fulvia. Circa l’essersi innamorato.

Rita. Io ve dirò el vero. Me par ch’abbi fatto bene.

Fulvia. Bene, ch? Non ti cuoce a te: però parli a questo modo.

Rita. Eh! madonna, vorrei che voi mi potessevo vedere el cuore; che forsi mi terrestivo piú cara che non mi tenete.

Fulvia. El veggio, pur troppo, quando tu dici ch’egli ha fatto bene.

Rita. Io vi ho risposto a quel modo per ciò ch’ella è una galante giovane e degna d’essere amata (perdonateme voi) da maggior uomo che lui. Ed io, per me, se, come son donna, fossi un uomo e potesse, faria le pazzie.

Fulvia. Tu sei molto furiosa da poco tempo in qua.

Rita. Madonna, pregamo pur Iddio che la Ceca...

Fulvia. Chi Ceca?

Rita. ...la serva sua, facci qualche cosa di buono.

Fulvia. Oh! Ben fará, si: ch’ella è savia e lui ne ha voglia. Ma cominciamo, ch’eli’ è tardo. E leviamoci di questa strada presto, acciò non c’intopassimo in lui: ch’io non vo’ che sappia ch’io sia in Roma insino a tanto ch’io non l’ho in luogo ove che non mi possa fuggire.

Rita. Voltate di qua, se vi piace, che l’è piú corta.

SCENA III

Malfatto servo, Ceca serva.

Malfatto. Per santo Niente-benedetto, per la croce de Dio, che voglio andar adesso adesso, mò mò, a trovar l’oste che fa la taverna e darli questi quatrini e fare che me dia un quinto de vino e un pezzo de trippa prima che torni lo mastro: che so che gridará, ma ch’adesso che me ne ricordo, non ce voglio piú stare con lui; che me voglio conciare con questo bono uomo che me ha dati li quatrini, che dice che vole ch’io li sia compagno. Ed holli raccusato lo patrone che fa l’innamorato