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92 | il pedante |
passivi e poi me vole leggere la Boccolica. Ma, alla fé, poi ch’io sono qua, voglio chiamare Minio e vedere se vole venire con esso meco alla scola: ben che lui non impara se non la santa croce. Tic, toc.
Ceca. Chi è lá?
Luzio. Ècci Minio, in casa?
Ceca. Sí, è. Che ne vòi fare?
Luzio. Ditegli se voi venir alla scola.
Ceca. Sí, sí. Aspetta.
Luzio. Cosí farò. Oh! cagna! come l’è fresco, stamattina! Alla fé, ch’io mi sono levato troppo a buon’ora. E me sono scordato de fare collazione, ch’è peggio: benché madonna me ha dato un quatrino ché me ne cómpari una ciambella.
Minio. Oh! bon dí, Luzio.
Luzio. Buon dí e buon anno. Vòi venire?
Minio. Sí, voglio. Andiamo.
Luzio. E dove è lo legno che tu porti?
Minio. Eccolo, e è piú grosso che non è lo tuo.
Luzio. Non è vero. Attenta un po’ come pesa lo mio.
Minio. Gran mercé, ché lo tuo è piú bagnato! Per ciò...
Luzio. E lo mio è piú meglio. Ma dimme un po’: chi era quella ch’era alla finestra?
Minio. Era la fantesca.
Luzio. Me credevo che fussi tua madre.
Minio. No. È piú bella madonna mia. Ma non sai, Luzio, ch’io ho una sorella che lo mastro li vole bene? E per ciò non me dá delli cavalli come fa a te.
Luzio. Ed essa vuole bene a lui?
Minio. Credo de sí, io. E lo mastro me ha promesso delli quatrini, veh!
Luzio. Io non lo sapevo, questo.
Minio. Manco lo sa madonna.
Luzio. Alla fé, ch’io gli voglio dire se se vole innamorare de sòrema ancora ma che non voglio mi dia delli cavalli.
Minio. Caminamo, che non ci veda fermati: ché non dicessi che facemo le tristizie.