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Ora vive uomo Genovese, che a nome chiamasi Gian-Jacopo Cavalli; ed egli ha composto in volgare di Genova Sonetti e Canzoni, rappresentando Amori di Pescatori e di personaggi plebei; ma per salda verità altro deono stimarsi che plebee Poesie. Egli ha tra le Muse potuto porre una lingua in pregio, la quale fra’ popoli era quasi in vilipendio; e per ischerzo ha rappresentate passioni di gente vile in favella disprezzata, per modo che meglio non si è fatto da Poeti chiari da buon senno in idiomi nobili; ed io non mi vergogno punto d’affermarlo. Veramente alcuna volta Omero poetò quasi andando a diporto per lo Parnaso, e prese a dire le mortali battaglie che si diedero una volta i topi con esso i ranocchi; e quivi fu Omero senza fallo: ma egli non diede gloria al volgare Greco, già celebrato per ogni parte; solamente inalzò materia bassa con sua gran maestria. Gian-Jacopo Cavalli, imitando gravi passioni di minuta gente, ha rischiarata favella non conosciuta, e si forza a gli stranieri di apprenderla, per godere di cosa riputata non possibile ad avvenire; ed altri rimane con meraviglia, recandosi in mano componimenti presi a leggere con intendimenno di ridere solamente. Dunque se la favella è opera propria dell’uomo, il Cavalli, con onorare l’idioma Genovese, ha fatto onore alla sua nazione in cosa, onde gli abitatori delle nostre Riviere non rimanevano senza vergogna, adoperandola malamente. Per certo in ciò fare è stata nuova e strana vaghezza: ma la Liguria produce uomini Trovatori, e Trovatori di cose non immaginate e appena credute.