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li, e tutte assai meschine e scorrette; nelle quali, oltre gli errori propri del Libbrajo, regna una incertissima, e conseguentemente oscurissima ortografia. Io mi prendo la libertà di fissarla, premettendo alcune regole per leggere con sicurezza. Se io avessi a render conto delle ragioni, le quali mi hanno determinato a fissare le tali o tali altre pronunzie, farei cosa ai più piena d’inutilità, a molti di noja: contentandosi il mondo, in materia di lingua, vale a dire spinosissima, di saper le pronunzie, senza rintracciarne il perchè. Ho aggiunte quà e là alcune poche noterelle, per illustrare alcuni o vocaboli o luoghi, de’ quali o l’uso è antiquato, od oscura la sintassi, o men conosciuta l’allusione. Avrei bramato di poter raccogliere le molte letterarie curiosità, le quai si porrebbono produrre comentando il nostro Poeta: ma poichè queste presupporrebbono la spiegazione di alcuni modi proverbiali Genovesi, de’ quali l’origine in altissime tenebre è sepolta, mi è convenuto affogar questa brama; non senza speranza mai, che i molti Signori Letterati della nostra Patria, bene informati degli antichi usi di Genova, non debbano prestarmi favorevole la lor opra, o per meglio dire il lor ozio in quelle ricerche, le quali non sono così leggiere o inutili, come alcuno si stima. Forse col tempo, e con questo ajuto ch’io dimando, porrassi in altra stagione ristampare in forma più nobile, arricchito e di note e di Toscane Versioni, per mezzo delle quali veggano le altre Regioni d’Italia un saggio almeno del gran Poeta, che è il CAVALLI.