Paesaggio I
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Paesaggio I (al Pollo)
Non è piú coltivata quassú la collina. Ci sono le felci
e la roccia scoperta e la sterilità.
Qui il lavoro non serve piú a niente. La vetta è bruciata
e la sola freschezza è il respiro. La grande fatica
è salire quassú: l’eremita ci venne una volta
e da allora è restato a rifarsi le forze.
L’eremita si veste di pelle di capra
e ha un sentore muschioso di bestia e di pipa,
che ha impregnato la terra, i cespugli e la grotta.
Quando fuma la pipa in disparte nel sole,
se lo perdo non so rintracciarlo, perché è del colore
delle felci bruciate. Ci salgono visitatori
che si accasciano sopra una pietra, sudati e affannati,
e lo trovano steso, con gli occhi nel cielo,
che respira profondo. Un lavoro l’ha fatto:
sopra il volto annerito ha lasciato infoltirsi la barba,
pochi peli rossicci. E depone gli sterchi
su uno spiazzo scoperto, a seccarsi nel sole.
Coste e valli di questa collina son verdi e profonde.
Tra le vigne i sentieri conducono su folli gruppi
di ragazze, vestite a colori violenti,
a far feste alla capra e gridare di là alla pianura.
Qualche volta compaiono file di ceste di frutta,
ma non salgono in cima: i villani le portano a casa
sulla schiena, contorti, e riaffondano in mezzo alle foglie.
Hanno troppo da fare e non vanno a veder l’eremita
i villani, ma scendono, salgono e zappano forte.
Quando han sete, tracannano vino: piantandosi in bocca
la bottiglia, sollevano gli occhi alla vetta bruciata.
La mattina sul fresco sono già di ritorno spossati
dal lavoro dell’alba e, se passa un pezzente,
tutta l’acqua che i pozzi riversano in mezzo ai raccolti
è per lui che la beva. Sogghignano ai gruppi di donne
e domandano quando, vestite di pelle di capra,
siederanno su tante colline a annerirsi al sole.