Orgoglio e pregiudizio (1945)/Capitolo undicesimo

Capitolo undicesimo

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Jane Austen - Orgoglio e pregiudizio (1813)
Traduzione dall'inglese di Itala Castellini, Natalia Rosi (1945)
Capitolo undicesimo
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Quando, dopo pranzo, le signore si alzarono, Elizabeth corse da sua sorella, e vedendola ben coperta e riparata dal freddo, la accompagnò in sala dove fu accolta dalle sue amiche con grandi proteste di gioia: Elizabeth non le aveva mai viste così amabili come in quell’ora che precedette l’apparizione degli uomini. Avevano una conversazione piacevole, sapevano descrivere a meraviglia un ricevimento, riportare un aneddoto con brio e prendere in giro le loro conoscenze con molto spirito.

Ma, non appena entrarono in sala i signori, Jane cessò di essere il personaggio principale; gli occhi di Miss Bingley si volsero immediatamente a Mr. Darcy, e questi era appena entrato, che lei aveva già qualche cosa da dirgli. Darcy si rivolse cortesemente a Miss Bennet per rallegrarsi con lei; perfino Mr. Hurst accennò un lieve inchino dicendo che «era ben lieto», ma tutto il calore e l’eloquenza si espressero nell’accoglienza di Mr. Bingley che, mostrando tutta la sua felicità, colmò Jane di premure. La prima mezz’ ora si dedicò a riattizzare il fuoco nel timore che la ragazza potesse risentire del cambiamento di ambiente e la fece spostare all’altro lato del camino perché fosse più lontana dalla porta. Poi sedette accanto a lei, non parlando quasi con nessun altro. Elizabeth, che lavorava nell’angolo opposto, osservava ogni cosa con vivo compiacimento.

Preso il tè, Mr. Hurst ricordò a sua cognata il tavolo da gioco, ma inutilmente. Miss Bingley infatti aveva saputo, in via privata, che Darcy non amava le carte e così, anche quando formulò più apertamente la sua domanda, Mr. Hurst ebbe un netto rifiuto. Lo assicurò che nessuno aveva voglia di giocare, e il silenzio generale sembrò darle ragione. A Mr. Hurst non rimase che stendersi su di un sofà e addormentarsi. Darcy prese un libro, Miss Bingley fece lo stesso, e Mrs. Hurst, occupata a gingillarsi con i suoi braccialetti e i suoi anelli, prendeva parte di quando in quando alla conversazione di suo fratello con Miss Bennet.

Miss Bingley badava assai più a seguire la lettura di Mr. Darcy che non al proprio libro: ogni momento gli rivolgeva una domanda o guardava a che pagina era arrivato, ma non riuscì a trascinarlo nella conversazione; egli rispondeva, poi continuava a leggere. Stanca finalmente del tentativo di interessarsi da sola al libro che aveva preso unicamente perché era il secondo volume di quello scelto da Darcy, con un grande sbadiglio disse: «Che delizia passare la sera così! Nessun piacere è paragonabile alla lettura. Ci si stanca di tutto, ma non di leggere! Quando avrò una casa, non sarò contenta senza una magnifica biblioteca».

Nessuno rispose. Sbadigliò un’altra volta, e, messo il libro da parte, girò intorno lo sguardo in cerca di distrazione, e, sentendo che suo fratello parlava di un ballo con Miss Bennet, si volse improvvisamente verso di lui dicendo:

«A proposito, Charles, pensi davvero di dare un ballo a Netherfield? Prima di deciderti, ti consiglierei di informarti dei desideri delle persone presenti; non credo di sbagliarmi nel pensare che c’è tra noi chi considera un ballo più un castigo che un piacere».

«Se alludi a Darcy», rispose il fratello, «è libero di andare a letto primache incominci; quanto al ballo è già cosa combinata, e appena san Nicola avrà fatto la sua apparizione, manderò gli inviti».

«Come mi piacerebbero di più i balli», replicò la sorella, «se si svolgessero in altro modo! Ma sono invece così insopportabilmente noiosi nella loro monotonia! Sarebbe certo più ragionevole se, invece delle danze, fosse all’ordine del giorno la conversazione».

«Senza dubbio più ragionevole, Caroline cara, ma non si tratterebbe più di un ballo».

Miss Bingley non rispose, e poco dopo si alzò, mettendosi a passeggiare per la stanza. Aveva una figura elegante e si muoveva con grazia, ma, sebbene tutto questo suo darsi da fare fosse dedicato a Darcy, lui si ostinò nel prestare un’impassibile attenzione al suo libro.

La ragazza non si dette per vinta e fece un ultimo tentativo dicendo a Elizabeth:

«Miss Eliza, non vorreste seguire il mio esempio e muovervi un po’? Vi assicuro che fa proprio bene dopo essere stata tanto tempo ferma».

Elizabeth, benché sorpresa, acconsentì subito. Miss Bingley aveva finalmente raggiunto il suo scopo perché Mr. Darcy, non meno stupito di Elizabeth nel constatare questa impreveduta cortesia proprio dove non se l’aspettava, alzò gli occhi e inconsciamente chiuse il libro. Fu subito invitato a raggiungerle, ma egli rifiutò, osservando che, visto che potevano avere solo due motivi per passeggiare insieme, egli, unendosi a loro, avrebbe mandato a vuoto sia l’uno che l’altro.

«Che cosa vorrà dire?», Miss Bingley moriva dalla curiosità di capire ache cosa avesse voluto alludere, e chiese a Elizabeth se le riusciva di indovinarlo.

«Niente affatto», rispose Elizabeth, «ma ha voluto certo criticarci, e il miglior modo per deluderlo è di non chiedergli spiegazioni».

Miss Bingley però, incapace com’era di dare una delusione a Mr. Darcy, si ostinò nel chiedergli quali fossero quei due motivi.

«Non ho nessuna difficoltà a spiegarmi», disse Darcy appena lei lo lasciò parlare. «O avete scelto quel modo di passare la sera perché, essendo in grande confidenza, vi volete scambiare dei segreti, oppure perché sapete che, passeggiando, il vostro personale risalta in tutta la sua eleganza; nel primo caso farei da terzo incomodo, nel secondo posso ammirarvi molto meglio dal mio posto accanto al fuoco».

«Orrore!», esclamò Miss Bingley. «Non ho mai sentito discorso più odioso! Come lo castigheremo per le sue parole?»

«Niente di più facile, se ne avete proprio l’intenzione», disse Elizabeth. «C’è sempre modo di tormentare qualcuno. Stuzzicatelo, prendetevi gioco di lui. Data la confidenza che c’è tra voi, non vi dovrebbe essere difficile».

«No, parola d’onore, vi assicuro che non saprei da che parte incominciare. La nostra intimità non mi ha ancora insegnato tanto. Stuzzicare un carattere così fermo, una tale presenza di spirito! In questo ci vincerebbe sempre. Quanto a burlarci di lui, ci renderemmo ridicole a farlo senza un motivo. Non si può che ammirare Mr. Darcy».

«Non si può ridere di Mr. Darcy? E un raro privilegio; e spero sia veramente raro, perché sarei desolata di aver parecchie conoscenze di questo genere. Mi piace tanto poter ridere un po’ degli amici!».

«Miss Bingley esagera», disse Darcy. «Anche il più savio e il migliore degli uomini, perfino la più saggia e la migliore delle sue azioni, può esser messa in ridicolo da chi non abbia altro scopo al mondo che di fare dello spirito».

«Esistono veramente simili persone», rispose Elizabeth, «ma spero di non essere tra quelle. Credo di non farmi mai gioco delle cose serie e buone. Le stramberie e le sciocchezze, le stravaganze e le incoerenze mi divertono, lo riconosco, e, quando mi capita, ne rido volentieri. Ma penso che questi difetti non si possano proprio attribuire a voi».

«Non tutti forse. Ad ogni modo ho sempre cercato di evitare quelle debolezze che espongono spesso al ridicolo anche le persone più serie».

«Come la vanità e l’orgoglio?»

«Sì, la vanità è una debolezza vera e propria e come tale da evitarsi. E l’orgoglio... uno spirito che sia veramente superiore saprà controllare il proprio orgoglio».

Elizabeth si voltò per nascondere un sorriso.

«E ora che avete terminato l’esame di Mr. Darcy», chiese Miss Bingley, «potrei saperne l’esito?»

«Sono assolutamente convinta che Mr. Darcy è privo di difetti. Lo riconosce apertamente lui stesso».

«No», disse Darcy, «non ho mai preteso tanto. Ho la mia parte di difetti, ma spero di non mancare di discernimento. Non garantisco del mio carattere. Credo per esempio di essere poco arrendevole, e comunque troppo poco per piacere alla gente. Non so dimenticare presto, come dovrei, gli errori e i vizi degli altri, né tanto meno le offese che mi vengono fatte. I miei sentimenti non mutano a ogni più lieve sollecitazione. Forse si potrebbe dire di me che serbo rancore. Una volta persa la mia stima, è persa per sempre».

«Questo è davvero un difetto!», esclamò Elizabeth. «Un risentimento implacabile getta una vera ombra anche sopra il carattere più bello. Ma avete scelto bene il vostro difetto. Non è tale da poterne ridere. Siete al riparo dai miei strali».

«Credo che in ogni carattere ci sia una tendenza o un difetto particolare, una disposizione naturale che neppure l’educazione riesce a reprimere».

«E il vostro difetto è una tendenza a vedere tutti in cattiva luce».

«Il vostro», rispose Darcy con un sorriso, «quello di fraintendere tutti volontariamente».

«Facciamo un po’ di musica», esclamò Miss Bingley, stanca di una conversazione cui non prendeva parte. «Louisa, ti dispiace se sveglio Mr. Hurst?».

Sua sorella non fece obiezioni; il pianoforte fu aperto, e Darcy, dopo qualche momento di riflessione, non ne fu scontento. Incominciava a capire che occuparsi troppo di Elizabeth poteva essere veramente un pericolo.