Orgoglio e pregiudizio (1945)/Capitolo tredicesimo
Questo testo è completo. |
Traduzione dall'inglese di Itala Castellini, Natalia Rosi (1945)
◄ | Capitolo dodicesimo | Capitolo quattordicesimo | ► |
«Spero, mia cara», disse Mr. Bennet a sua moglie il mattino seguente durante la prima colazione, «che avrai ordinato un buon pranzo per oggi, perché ho ragione di aspettarmi che un nuovo ospite venga ad accrescere la nostra compagine familiare».
«Chi intendi dire, caro? Che io sappia non aspettiamo nessuno, a meno che Charlotte Lucas non ci venga a trovare; ma penso, in questo caso, che i miei pranzi siano sempre abbastanza buoni per lei. Non credo che a casa sua ne abbia spesso di migliori».
«La persona alla quale alludo è un gentiluomo forestiero».
Gli occhi di Mrs. Bennet sfavillarono. «Un gentiluomo forestiero? Non può essere che Mr. Bingley. Come mai, Jane, non hai detto nulla? Furbacchiona! Bene, mi farà gran piacere vedere Mr. Bingley. Ma... buon Dio! Che disgrazia! Oggi è impossibile avere del pesce. Lydia, amor mio, suona il campanello: devo parlare subito con Hill».
«Non è Mr. Bingley», disse suo marito, «è qualcuno che non ho mai visto in vita mia».
Questa affermazione sollevò lo stupore generale; Mr. Bennet ebbe così il piacere di essere interrogato con ansia dalla moglie e dalle cinque figlie contemporaneamente.
Dopo aver stuzzicato per qualche tempo la loro curiosità, si spiegò:
«Un mese fa, ricevetti questa lettera, e risposi quindici giorni dopo, perché mi sembrava cosa piuttosto delicata e che richiedesse la mia attenzione. Viene da mio cugino, il reverendo Collins, il quale, alla mia morte, potrà mettervi alla porta di questa casa quando vorrà».
«Oh, caro!», esclamò la moglie. «Non ne posso neppure sentir parlare. Non nominarmi quell’essere odioso. Niente è più ingiusto che la tua proprietà sia trasmessa ad altri, piuttosto che alle tue figliole, e, se io fossi in te, da un pezzo avrei tentato di fare qualcosa in proposito».
Jane ed Elizabeth cercarono di spiegarle la natura del vincolo. Avevano già tentato di farlo altre volte, ma era un argomento sul quale Mrs. Bennet non voleva intender ragioni, e continuò a divagare amaramente contro la crudeltà di una legge che poteva disporre di una proprietà a discapito di una famiglia di cinque figlie, in favore di un uomo che non interessava a nessuno.
«È certamente un’iniquità», disse Mr. Bennet, «ma nulla può redimere Mr. Collins dalla colpa di essere l’erede di Longbourn. Però, se avrai la pazienza di ascoltare la sua lettera, il suo modo di esprimersi servirà forse a placarti».
«No, sono sicura che non mi placherò affatto e mi sembra che lo scriverti sia stato da parte sua un’impertinenza di più, una vera ipocrisia. Odio i falsi amici. Perché non mantenere il disaccordo, come fece suo padre prima di lui?»
«Non lo so davvero; sembra anzi che lui stesso abbia avuto qualche scrupolo filiale a questo proposito, come sentirete.
Hunsford, presso Westerham, Kent, 15 ottobre
Caro Signore,
lo screzio che esisteva tra voi e il mio defunto, onorato Genitore, mi ha sempre turbato e, da quando ebbi la sventura di perderlo, ho spesso desiderato di colmare l’abisso aperto tra di noi; per qualche tempo fui trattenuto dai miei scrupoli, temendo potesse sembrare poco rispettoso verso la sua memoria riappacificarmi con qualcuno verso il quale egli aveva creduto bene di essere in disaccordo.
Sentito, Mrs. Bennet?
Tuttavia, ora mi sono deciso a questo passo, perché, avendo preso gli ordini sacri a Pasqua, ebbi la fortuna di venir favorito dal patrocinio della nobilissima Lady Catherine de Bourgh, vedova di Sir Lewis de Bourgh, la cui generosità e benevolenza mi ha prescelto per l’importante direzione di questa parrocchia, dove sarà mia precipua cura condurmi col maggior rispetto verso Sua Signoria, e adempiere a tutti i riti istituiti dalla Chiesa Anglicana. Inoltre, come ecclesiastico, considero mio precipuo dovere promuovere e portare la benedizione della pace in tutte le famiglie che si trovano nel cerchio della mia influenza; mi lusingo che la mia presente iniziativa sia altamente apprezzabile; e che la circostanza di essere io il futuro erede della tenuta di Longbourn, sarà gentilmente trascurata da parte vostra e non vi indurrà a respingere il ramo d’ulivo che vi tendo.
Non posso fare a meno di angustiarmi all’idea di essere causa di danno per le vostre amabili figliole, e chiedo di volermene scusare, accettando le ferme proteste del desiderio che nutro di risarcirle, per quanto stia in me. Ma di ciò parleremo in seguito. Se non avete nulla in contrario a ricevermi in casa vostra, mi propongo di avere il piacere di venire a ossequiare voi e la vostra famiglia, lunedì 18 novembre alle quattro, e di abusare della vostra ospitalità fino al sabato della settimana seguente, cosa che posso fare senza inconvenienti, poiché Lady Catherine non ha nulla in contrario a una mia eventuale assenza per una domenica, previa assicurazione che un altro ministro si assuma i doveri della giornata. Resto, caro signore, con i più rispettosi omaggi alla vostra signora e figliole, il vostro amico
William Collins
Alle quattro, dunque, possiamo aspettarci questo signore desideroso di fare la pace», disse Mr. Bennet, ripiegando la lettera. «Si direbbe, in fede mia, un giovane assai coscienzioso e garbato, e sono sicuro che potrà divenire una preziosa conoscenza per noi, soprattutto se Lady Catherine sarà tanto indulgente da lasciarlo tornare».
«Dimostra della buona volontà in quello che dice a proposito delle ragazze, e se è disposto a riparare in qualche modo non sarò certo io a scoraggiarlo».
«Anche se è difficile immaginare», disse Jane, «in che modo possa compensarci, come crede di dover fare, tale desiderio gli fa veramente onore».
Elizabeth fu soprattutto colpita dalla sua straordinaria deferenza verso Lady Catherine e dalla sua benevola intenzione di battezzare, maritare e seppellire i suoi parrocchiani, quando ne fosse richiesto.
«Deve essere un bell’originale, mi pare», disse. «Non so proprio figurarmelo. Ha uno stile molto pomposo. E perché scusarsi di essere il futuro erede? Non possiamo supporre che vi rinuncerebbe, anche se potesse. Vi sembra una persona ragionevole?»
«No, cara, non credo. Spero anzi di scoprire proprio il contrario. Vi è nella sua lettera un misto di servilità e di presunzione che promette bene. Sono impaziente di vederlo».
«Nella forma», disse Mary, «la sua lettera non manca di pregio. Forse l’immagine del ramo d’ulivo non è molto nuova, ma la trovo espressa bene».
A Catherine e a Lydia non interessavano né la lettera né lo scrivente. Era quasi impossibile che il cugino potesse apparire in una fiammante uniforme, e da qualche settimana la compagnia di qualsiasi uomo che non si fregiasse dei colori del reggimento aveva perso per loro ogni attrattiva. Quanto alla loro madre, la lettera di Mr. Collins aveva notevolmente diminuito la sua antipatia per lui, ed era pronta a riceverlo con un’equanimità che sorprendeva il marito e le figlie.
Mr. Collins arrivò puntualmente e fu accolto con grande cortesia da tutta la famiglia. Veramente Mr. Bennet non aprì quasi bocca, ma in compenso parlarono le signore, e Mr. Collins non sembrava aver bisogno di incoraggiamento, né essere silenzioso per natura. Era alto, un po’ pesante per i suoi venticinque anni; aveva un aspetto grave e imponente e maniere cerimoniose. Non appena seduto si rallegrò con Mrs. Bennet per le sue graziose figlie; disse che aveva sentito parlare molto della loro bellezza, ma che, in questo caso, la fama era inferiore alla realtà, e aggiunse che non dubitava di vederle concludere tutte, col tempo, degli splendidi matrimoni. Questa galanteria non parve del gusto di qualcuna delle sue ascoltatrici, ma Mrs. Bennet, per la quale ogni complimento era ben accetto, rispose prontamente:
«Siete davvero molto gentile, e mi auguro di cuore che abbiate ragione, altrimenti si troverebbero a mal partito. Le cose sono disposte in modo così strano...».
«Alludete forse alla successione della proprietà?»
«Ah, Sir, proprio a quella. È una cosa ben triste per le mie povere ragazze, dovete convenirne. Non che io intenda farne colpa a voi, perché so che in questo mondo tutto dipende dalla fortuna. Non si sa mai dove vanno a finire le proprietà quando sono ereditate soltanto dal ramo maschile».
«Sono sensibile, Madam, al danno che ne deriva alle mie graziose cugine, e avrei molto da dire in proposito, se non temessi di apparire ardito e precipitoso. Ma posso assicurare le signorine che sono venuto qui preparato ad ammirarle. Per ora non voglio dire di più, ma forse, quando ci conosceremo meglio...».
Fu interrotto dal segnale del pranzo e le ragazze si scambiarono occhiatine e sorrisetti di complicità. Né esse erano l’unico oggetto della sincera ammirazione di Mr. Collins. La sala, la camera da pranzo con tutto il suo arredamento, vennero esaminate e lodate, e i suoi elogi avrebbero toccato il cuore di Mrs. Bennet, se costei non avesse pensato che egli considerasse ogni oggetto come sua futura proprietà. Anche il pranzo fu vivacemente apprezzato: a quale delle graziose cugine era da attribuirsi una così eccellente cucina? Ma qui fu rimesso a posto da Mrs. Bennet, che gli assicurò con fare piuttosto seccato che potevano concedersi il lusso di tenere un’abile cuoca e che le sue figliole non avevano nulla a che vedere con la cucina. Mr. Collins si scusò per il suo sbaglio. Con tono più dolce Mrs. Bennet dichiarò allora di non essersi offesa, ma l’altro continuò a scusarsi per un buon quarto d’ora.