Orgoglio e pregiudizio (1945)/Capitolo diciassetticesimo
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Traduzione dall'inglese di Itala Castellini, Natalia Rosi (1945)
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Il giorno dopo Elizabeth riferì a Jane quello che Mr. Wickham le aveva narrato. Jane la ascoltò stupita e turbata; non poteva credere che Mr. Darcy fosse così indegno della stima di Mr. Bingley, e d’altra parte non era nel suo carattere dubitare della veridicità di un giovane dall’apparenza così simpatica come Wickham. La possibilità che egli fosse stato realmente vittima di tanta perfidia bastava a destare tutta la sua compassione; non le restava quindi altra via che pensare bene di tutti e due i giovani, difendere la condotta di ciascuno, e attribuire a un caso o a un errore quello che non si poteva spiegare altrimenti.
«Tutti e due», ella disse, «sono stati ingannati in un modo o nell’altro; come, non ci è dato sapere. Forse persone che avevano interesse a farlo li hanno calunniati l’uno con l’altro. Insomma, è impossibile per noi immaginare le cause o le circostanze che possono averli separati senza che nessuno dei due sia nel torto».
«Verissimo, mia cara Jane, ma dimmi: cosa troverai da dire in difesa di quelle persone interessate alle quali forse risale la colpa di tutto? Prova a scusare anche loro, altrimenti saremo costrette a pensar male di qualcuno».
«Ridi pure di me quanto vuoi, non potrai scuotere la mia opinione. Cara Lizzy, provati a pensare in che orrenda luce metterebbe Mr. Darcy il fatto di aver trattato in quel modo l’amico di suo padre, la persona alla quale il defunto aveva promesso di provvedere. Nessun uomo dotato di un po’ di umanità, nessun uomo che abbia stima di se stesso, ne sarebbe capace. Possono dunque i suoi più intimi amici ingannarsi su di lui a quel modo? Oh, no!».
«Mi è più facile credere che Mr. Bingley si illuda, anziché pensare Mr. Wickham capace di inventare la storia dell’altra sera citando nomi, fatti così, apertamente. Se non è vero, Mr. Darcy non ha che da contraddirlo. E poi tutto nel suo volto esprimeva la verità».
«È un caso molto complicato e... doloroso. Non si sa proprio che cosa pensare».
«Scusami, io so esattamente che cosa pensare».
Ma Jane era certa di una cosa sola: se Mr. Bingley si era davvero ingannato sul conto del suo amico, avrebbe sofferto molto una volta che il fatto fosse venuto in luce.
Jane ed Elizabeth furono richiamate dal boschetto dove si svolgeva questo colloquio proprio dall’arrivo di alcune delle persone di cui stavano parlando. Mr. Bingley e le sue sorelle venivano a invitarle personalmente per il tanto atteso ballo di Netherfield, che era stato fissato per il martedì successivo. Le due signore si mostrarono lietissime di riabbracciare la loro cara amica, dissero che pareva fosse trascorso un secolo da quando si erano viste l’ultima volta, e le chiesero ripetutamente che cosa avesse fatto dopo la loro separazione. Non si occuparono quasi del rimanente della famiglia, evitando per quanto fu loro possibile Mrs. Bennet, parlarono appena a Elizabeth, e per niente a tutte le altre sorelle. Se ne andarono quasi subito alzandosi improvvisamente dalle loro sedie, e tanto frettolosamente da cogliere il fratello quasi di sorpresa; parevano ansiose di evitare i convenevoli di Mrs. Bennet.
La prospettiva del ballo a Netherfield riuscì assai gradita a tutti i membri femminili della famiglia. Mrs. Bennet era oltremodo lusingata e considerava il ballo né più né meno che un omaggio alla sua figlia maggiore, ed era rimasta molto colpita dal fatto che Mr. Bingley fosse venuto a invitarle personalmente, invece di rimettersi al cerimoniale di un formale biglietto. Jane sognava già la felicità di passare una sera in compagnia delle sue amiche e accanto al loro fratello; Elizabeth pensava con gioia che avrebbe spesso ballato con Mr. Wickham, e sperava di veder confermato tutto quello che aveva saputo dal contegno e dagli occhi di Mr. Darcy. La felicità che si prospettavano Lydia e Catherine non dipendeva invece né da una singola persona, né da un solo evento, perché, anche se tutte e due, come Elizabeth, avevano l’intenzione di ballare, per metà della sera almeno, con Mr. Wickham, questi non era il solo cavaliere al quale aspiràssero, e, dopo tutto, un ballo era sempre un ballo. Perfino Mary assicurò la sua famiglia che non era affatto restia a prendervi parte.
«Quando posso avere a mia disposizione le mattinate», disse, «mi basta. Non considero un sacrificio accettare qualche volta un invito per la sera. La società ha i suoi diritti, e anche io, come tutti, desidero una parentesi di riposo e di divertimento».
Elizabeth era talmente di buon umore che, sebbene non le accadesse spesso di rivolgere la parola a Mr. Collins quando non era strettamente necessario, non poté trattenersi dal chiedergli se intendeva accettare l’invito di Mr. Bingley, e se riteneva opportuno prender parte a quello svago serale. Rimase abbastanza sorpresa nello scoprire che egli non nutriva alcuno scrupolo al riguardo, e che era ben lontano dal temere un rimprovero, sia dall’Arcivescovo come da Lady Catherine de Bourgh, se si fosse azzardato a ballare.
«Vi assicuro», disse, «che non credo possa esservi alcunché di male in un ballo di questo genere, offerto da un gentiluomo a gente rispettabile; sono anzi così alieno dal rifiutarmi di ballare io stesso, che spero di essere onorato da un giro con tutte le mie cugine nel corso della serata, e colgo appunto quest’occasione per sollecitare da voi, Miss Elizabeth, le due prime danze, preferenza che spero mia cugina Jane attribuirà alla sua particolare posizione e non a una mancanza di rispetto verso di lei».
Elizabeth si trovò così presa in trappola! Aveva sperato di essere invitata da Mr. Wickham proprio per quelle prime due danze; e doverle invece promettere a Mr. Collins! La sua gentilezza verso di lei non avrebbe potuto essere più inopportuna! Tuttavia non c’era modo di esimersi. Del resto, la sua felicità e quella di Mr. Wickham non avrebbero subito che un lieve ritardo; accettò quindi la proposta di Mr. Collins con la miglior buona grazia possibile, sebbene tanta galante premura le fosse doppiamente sgradita perché sembrava nascondere qualche secondo fine. A un tratto fu colpita dal pensiero di essere lei la prescelta tra le sorelle come degna di diventare la padrona del Rettorato di Hunsford, e di fare il quarto a un tavolo di Rosings, quando fossero mancate visite più importanti. Quest’idea divenne presto convinzione: le premurose attenzioni di Mr. Collins verso di lei avevano un crescendo impressionante e i tentativi di complimentarla per il suo spirito o la sua vivacità erano sempre più frequenti. Più sorpresa che compiaciuta di questo inaspettato effetto della propria grazia, non passò molto tempo prima che sua madre le desse a capire che l’eventualità di un simile matrimonio l’avrebbe trovata assai favorevole.
Elizabeth finse di non raccogliere l’allusione, sicura che una risposta da parte sua non avrebbe fatto altro che provocare una grave discussione. C’era ancora speranza che Mr. Collins non si dichiarasse, e fintanto che non lo faceva, era inutile litigare in proposito.
Se non ci fosse stato da prepararsi e da discutere per il ballo di Netherfield, le due più giovani Bennet si sarebbero trovate in uno stato pietoso, perché tra il giorno dell’invito e quello del ballo ci fu un tale susseguirsi di piogge dirotte da impedire anche una sola passeggiata a Meryton. Niente zia, niente ufficiali, nessuna notizia. Perfino le scarpine da ballo furono mandate per procura!
Anche la pazienza di Elizabeth fu messa a dura prova dal tempo che interruppe ogni progresso nella sua amicizia con Mr. Wickham; e soltanto la prospettiva di ballo del martedì poté rendere sopportabili a Catherine e a Lydia un venerdì, un sabato, una domenica e un lunedì simili.