Orgoglio e pregiudizio (1945)/Capitolo cinquantunesimo
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Traduzione dall'inglese di Itala Castellini, Natalia Rosi (1945)
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Giunse il giorno del matrimonio di Lydia; Jane ed Elizabeth erano certo più commosse di quanto non lo fosse lei stessa. Mandarono la carrozza a incontrarli a ***, perché giungessero per l’ora del pranzo. Le sorelle aspettavano con ansia e titubanza il loro arrivo, specialmente Jane, che, attribuendo a Lydia i sentimenti che lei avrebbe provato se fosse stata colpevole, si sentiva profondamente infelice, pensando a quello che sua sorella doveva soffrire.
Arrivarono. La famiglia era radunata in sala per riceverli. Il volto di Mrs. Bennet, vedendo avvicinarsi la carrozza, si illuminò tutto di sorrisi; suo marito era gravemente impenetrabile, le figlie inquiete, ansiose, allarmate.
Si udì la voce di Lydia nel vestibolo, la porta fu spalancata, ed eccola entrare correndo. Sua madre si slanciò per abbracciarla e l’accolse con entusiasmo; con un sorriso affettuoso porse la mano a Wickham, che seguiva sua moglie, congratulandosi con loro con un entusiasmo che mostrava come non mettesse neppure in dubbio la loro felicità.
L’accoglienza di Mr. Bennet non fu altrettanto cordiale. Il suo aspetto si fece anzi quasi più severo, e aprì appena bocca. La disinvolta sicurezza della giovane coppia lo esasperava. Anche Elizabeth ne era disgustata, e perfino Jane scandalizzata. Lydia era sempre Lydia, indomabile, imperturbabile, sfacciata, rumorosa e impudente. Girava da una sorella all’altra sollecitando i loro rallegramenti, e quando finalmente furono tutti seduti, si guardò intorno, osservò qualche cambiamento nella sala e, dando in una risata, disse che era un bel po’ che non ci veniva.
Wickham non pareva più turbato di lei; i suoi modi erano sempre i medesimi: avvincenti, insinuanti e se il suo matrimonio e il suo carattere fossero stati quelli che avrebbero dovuto essere, i suoi sorrisi e le sue parole, mentre si compiaceva di essere diventato loro parente, avrebbero potuto affascinare tutti quanti. Elizabeth non lo avrebbe creduto capace di tanta sfrontatezza, e, dentro di sé, risolvette che in futuro non avrebbe mai creduto che ci possa essere un limite all’improntitudine di un uomo sfacciato. Le guance di Jane ed Elizabeth erano coperte di rossore, ma quelle di coloro che erano la causa di tanto imbarazzo non mutarono di colore.
La conversazione non mancava certo di argomenti. La sposa e sua madre facevano a chi parlava di più; e Wickham, che era seduto accanto a Elizabeth, si informò dei suoi amici dei dintorni con una disinvoltura piena di buon umore, che la sua interlocutrice non seppe imitare nelle risposte. Sembrava non avessero in comune che i più lieti ricordi. Non una sola cosa del passato fu rammentata con pena, e Lydia proprio volontariamente toccava quegli argomenti a cui le sue sorelle non avrebbero mai alluso per alcuna ragione al mondo.
«Pensare che sono già passati tre mesi da quando sono partita! Mi sembrano solo quindici giorni, vi assicuro, eppure ne sono successe delle cose in questo periodo! Buon Dio! Quando sono partita non avevo la più vaga idea che mi sarei sposata prima del mio ritorno, anche se a pensarci mi sembrava un gran bello scherzo!».
Suo padre le alzò gli occhi in faccia; Jane era allibita, Elizabeth le gettò un’occhiata espressiva, ma Lydia, che non vedeva e non sentiva se non quello che le faceva piacere, continuò allegramente: «Mamma, la gente qui intorno sa ormai che sono sposata? Temevo che non lo sapessero; per questo quando abbiamo sorpassato William Goulding nel suo calessino, per farglielo notare, ho abbassato il vetro dalla sua parte, mi sono tolta il guanto e ho appoggiato la mano allo sportello perché potesse vedere l’anello, poi ho sorriso inchinandomi con perfetta indifferenza».
Elizabeth non seppe sopportare oltre; si alzò e scappò dalla stanza per tornare solo quando li sentì andare in sala da pranzo dove li raggiunse in tempo per vedere Lydia che, con affettazione, si sedeva alla destra della madre dicendo alla sorella maggiore: «Ah, Jane, ormai il tuo posto a tavola spetta a me, e tu devi andare più in giù, perché io sono maritata».
Non ci sarebbe stato davvero da aspettarsi che col tempo Lydia acquistasse quel pudore del quale era così priva fin da principio. La sua disinvoltura e allegria andarono anzi crescendo. Non vedeva l’ora di incontrarsi con Mrs. Philips, i Lucas e tutti i vicini, per sentirsi chiamare “Mrs. Wickham” da loro; e per non perder tempo, subito dopo pranzo, andò da Hill e dalle due cameriere a mostrare l’anello e a pavoneggiarsi nel suo nuovo ruolo di signora.
«Ebbene, mamma», disse quando tornò in salotto, «che ne pensate di mio marito? Non è affascinante? Sono sicura che tutte le mie sorelle me lo invidiano. Auguro loro di avere anche solo la metà della mia fortuna. Dovrebbero andare a Brighton. Quello è il posto per trovar marito! Che peccato, mamma, che non ci siamo andate tutte!».
«Davvero, ma sta certa che se avessi potuto disporre a modo mio, ci saremmo andate certamente. Mia cara Lydia, l’idea che tu debba allontanarti tanto mi sgomenta e mi addolora. Ma, dimmi, è proprio necessario?»
«Oh Dio! Sì! Ma non fa nulla. A me invece piacerà moltissimo. Voi, il babbo e le sorelle dovrete venire a trovarci. Passeremo l’inverno a Newcastle, dove certo ci sarà una brillante stagione di balli e sarà pensiero mio trovare dei cavalieri per tutte».
«Mi piacerebbe davvero», disse la madre.
«E poi, quando partirete, potrete lasciarmi una o due delle mie sorelle, e sono sicura che troverò loro marito prima che finisca l’inverno».
«Per parte mia ti ringrazio», disse Elizabeth; «ma la tua maniera di trovar marito non è davvero di mio gradimento».
Gli ospiti non potevano fermarsi più di dieci giorni. Mr. Wickham, prima di lasciare Londra, aveva ricevuto il suo brevetto di ufficiale e doveva raggiungere il reggimento entro due settimane. Nessuno, tranne Mrs. Bennet, rimpianse la brevità della loro permanenza; ed ella approfittò del tempo che avevano a disposizione per fare un giro di visite con la figlia e dare continui ricevimenti; ricevimenti graditi a tutti perché servivano a evitare l’intimità familiare ugualmente penosa sia a chi pensava sia a chi non rifletteva a nulla. L’amore di Wickham per Lydia era proprio come Elizabeth se l’era immaginato; inferiore a quello di Lydia per lui. Non c’era stato bisogno di osservarli molto per Elizabeth; si era convinta subito che la loro fuga era stata voluta più dalla passione di lei che non da quella di lui. Si sarebbe meravigliata che Wickham, senza amare violentemente Lydia, si fosse deciso a scappare con lei, se non avesse avuto la certezza che la sua fuga era stata resa necessaria dalle circostanze, e, in questo caso, egli non era uomo da lasciarsi sfuggire l’occasione di avere una compagna.
Lydia era folle di lui. Non si sentiva che «il mio caro Wickham» ogni momento; nessuno poteva essergli paragonato. Tutto quello che faceva era perfetto; era perfino sicura che, all’apertura della caccia, avrebbe ammazzato più uccelli di qualsiasi altro in tutta l’Inghilterra.
Una mattina, poco dopo il loro arrivo, mentre stava con le due sorelle maggiori, disse a Elizabeth: «Lizzy, non credo di averti mai descritto il mio matrimonio. Quando lo raccontai alla mamma e alle altre sorelle tu non c’eri. Non sei curiosa di sapere com’è andata?»
«No, davvero», rispose Elizabeth: «meno se ne parla, meglio è».
«Già, ma quanto sei strana! Però ti voglio raccontare tutto lo stesso. Ci sposammo a St. Clement, perché Wickham era domiciliato in quella parrocchia. Era fissato che ci dovessimo trovare lì per le undici, lo zio, la zia e io, mentre gli altri dovevano aspettarci in chiesa. Bene, arrivò finalmente il lunedì e io ero agitatissima! Avevo paura, capirai, che accadesse qualcosa per rimandare ancora il matrimonio, cosa che mi avrebbe fatto addirittura impazzire.
E intanto la zia, per tutto il tempo che mi vestivo, non faceva altro che borbottare e predicare, come se leggesse un sermone. Io, come puoi bene immaginare, non ne sentii una sola parola perché tutti i miei pensieri erano rivolti al mio caro Wickham. Morivo dalla voglia di sapere se per la cerimonia del matrimonio avrebbe indossato la sua bella uniforme azzurra.
Bene, si fece colazione alle dieci, come al solito. Credevo non finisse mai, anche perché – fra le altre cose – devi sapere che gli zii si erano mostrati terribilmente severi per tutto il tempo che sono stata loro ospite. Vuoi crederlo? Non potei uscire una volta sola in due settimane. Non un ricevimento, o uno spettacolo, niente! È vero che Londra era abbastanza deserta, però il Little Theatre era aperto. Quando finalmente arrivò la carrozza, lo zio fu chiamato per affari da quell’odioso Mr. Stone. E sai che quando quei due sono insieme, non la finiscono più. Ero talmente inquieta da non sapere cosa fare, perché era lo zio che doveva condurmi all’altare, e, se avessimo tardato ancora, per quel giorno non avremmo più potuto sposarci. Ma per fortuna tornò dopo dieci minuti e partimmo. Più tardi poi mi ricordai che, se lo zio non fosse potuto venire, il matrimonio non sarebbe stato rimandato lo stesso, perché Mr. Darcy avrebbe potuto prendere il suo posto».
«Mr. Darcy?», ripeté Elizabeth più che sorpresa.
«Certo! Doveva venire con Wickham, lo sai. Ma, povera me! Che sventata! Ho dimenticato che non avrei mai dovuto parlare di questo. Lo avevo promesso così solennemente. Che dirà ora Wickham? Era un segreto così importante».
«Se doveva essere un segreto, non parlarne più», disse Jane. «Puoi essere sicura che non ti chiederemo nulla in proposito».
«Oh, certo!», disse Elizabeth, benché divorata dalla curiosità; «non ti faremo domande».
«Vi ringrazio», disse Lydia, «perché altrimenti vi racconterei tutto e Wickham andrebbe in collera per davvero».
Elizabeth si sottrasse alla tentazione scappando via.
Ma era impossibile rimanere all’oscuro su questo argomento, o almeno era impossibile non cercare di informarsi. Mr. Darcy aveva assistito al matrimonio di sua sorella! Una cerimonia e delle persone che erano le ultime che potesse essere tentato di frequentare! Folli, rapide congetture su quello che ciò poteva significare le attraversarono la mente, ma nessuna la convinse. Quelle che più le piacevano, perché mettevano la condotta di lui nella luce migliore, le sembravano addirittura inaccettabili. Non potendo più sopportare tanta incertezza, prese un foglio di carta e scrisse una breve lettera alla zia chiedendole di spiegare quello che Lydia aveva appena accennato, pur che fosse compatibile con il segreto che si voleva serbare.
Puoi capire facilmente – aggiunse – quale sia la mia curiosità di sapere come mai una persona che non ha con noi nessun grado di parentela, e che è quasi un estraneo per la nostra famiglia, sia stato con voi in quell’occasione. Ti prego, scrivimi subito spiegandomi tutto, se non è necessario conservare il segreto, come sembra pensare Lydia, altrimenti dovrò cercare di accontentarmi di quello che so.
“Ma non me ne accontenterò ugualmente”, disse a se stessa, e terminò la lettera così:
e se, cara zia, non mi dici tutto in via regolare, dovrò tentare ogni stratagemma pur di scoprirlo.
Jane, con il suo delicato senso dell’onore, non osò parlare neppure in privato a Elizabeth di quanto aveva detto Lydia, ed Elizabeth ne fu contenta. Finché non avesse avuto risposta alle sue domande, preferiva non aver confidenti.