Nuova Cronica/Libro undecimo
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I Qui comincia lo XI libro, il quale conta de la venuta in Firenze di Carlo duca di Calavra figliuolo del re Ruberto, per la cui venuta fu cagione che lo re eletto de’ Romani venne de la Magna in Italia.
Carlo duca di Calavra e primogenito del re Ruberto re di Gerusalem e di Cicilia entrò nella città di Firenze mercolidì all’ora di mezzodì, dì XXX di luglio MCCCXXVI, co la duchessa sua moglie e figliuola di messere Carlo di Valos di Francia, cogl’infrascritti signori e baroni, cioè messer Gianni fratello del re Ruberto e prenze de la Morea colla donna sua, messer Filippo dispoto di Romania e figliuolo del prenze di Taranto nipote del re, il conte di Squillaci, messer Tommaso di Marzano, il conte di Sansoverino, il conte di Chiermonte, il conte di Catanzano e quello di Sangineto in Calavra, il conte d’Arriano, il conte Romano di Nola, il conte di Fondi nipote di papa Bonifazio, il conte di Minerbino, messer Guiglielmo lo Stendardo, messer Amelio dal Balzo, il signore di Berra e quello di Merlo, messer Giuffredi di Gianvilla, e messer Iacomo di Cantelmo, e Carlo d’Artugio di Proenza, e ’l signore del Sanguino, e messer Berardo di siri Grori d’Aquino, e messer Guiglielmo signore d’Ebole, e più altri signori e cavalieri francesci e provenzali e catalani e del Regno e napoletani, i quali furono in quantità, co’ Provenzali che vennono per mare, da MD cavalieri, sanza quegli del duca d’Atene, ch’erano IIIIc; intra’ quali tutti avea bene CC cavalieri a sproni d’oro, molto bella gente e nobile, e bene a cavallo, e in arme, e in arnesi, che bene MD some a muli a campanelle aveano. Da’ Fiorentini fu ricevuto con grande onore e processione; albergò nel palagio del Comune di costa a la Badia, ove solea stare la podestà, e sì tenea ragione; e la signoria e le corti de la ragione andò a stare in Orto Sammichele ne le case che furono de’ Macci. E nota la grande impresa de’ Fiorentini, che avendo avute tante afflizzioni e dammaggi di persone e d’avere, e così rotti insieme, in meno d’uno anno col loro studio e danari feciono venire in Firenze uno sì fatto signore, e con tanta baronia e cavalleria, e il legato del papa, che fu tenuta grande cosa da tutti gl’Italiani, e dove si seppe per l’universo mondo. E dimorato il duca in Firenze alquanti dì, sì mandò per l’amistà. I Sanesi gli mandarono CCCL cavalieri, i Perugini CCC cavalieri, i Bolognesi CC cavalieri, gli Orbitani C cavalieri, i signori Manfredi da Faenza con C cavalieri, il conte Ruggieri mandò CCC fanti, e ’l conte Ugo in persona con CCC fanti, e la cerna de’ pedoni del nostro contado; e per tutti si credette che facesse oste; e l’apparecchiamento fu grande, e fece imporre a’ cittadini ricchi LXm fiorini d’oro. Poi, quale si fosse la cagione, non procedette l’oste: chi disse perché il re suo padre non volle, sentendo che tutti i tiranni di Lombardia e di Toscana s’apparecchiavano di venire in aiuto a Castruccio per combattere col duca; e chi disse che l’ordine fatto per lo duca sì dell’armata e sì d’altri trattati, e ancora i Fiorentini molto stanchi delle spese, non era bene disposta la materia; e per alcuno si disse che Castruccio era stato in trattato di pace col legato e col duca, e sotto il trattato trasse suoi vantaggi da la lega de’ Ghibellini di Lombardia, e si fornì; e così ingannò il duca, e tornò in vano la ’mpresa; e a questa diamo più fede, che fummo presenti; con tutto che molti dissono che se ’l duca fosse stato franco signore, avendo tanta baronia e cavalleria, sanza porsi a soggiornare nella sua venuta né a Siena né a Firenze, e del mese di luglio e d’agosto che Castruccio fu forte malato, avendo cavalcato verso Lucca, avea vinta la guerra a·ccerto.
II Di quistioni che ’l duca mosse a’ Fiorentini per istendere sua signoria.
Poi a dì XXVIIII d’agosto sequente il duca volle dichiarare co’ Fiorentini la sua signoria, e allargare i patti, spezialmente di potere liberamente fare priori a sua volontà, e simile ogni signoria e ufici e guardia di castella e in città e in contado, e a potere a sua volontà fare guerra e pace, e rimettere in Firenze isbanditi e ribelli, nonistante altri capitoli; e fecesi riconfermare la signoria per X anni, cominciandosi in calen di settembre, MCCCXXVI. E in questa mutazione ebbe grande gelosia in Firenze, però che’ grandi e’ potenti per rompere gli ordini della giustizia del popolo si raunarono insieme, e voleano dare la signoria libera al duca e sanza termine, e niuno salvo; e ciò non faceano né per amore né fede ch’al duca avessono, né che a·lloro piacesse sua signoria per sì fatto modo, ma solamente per disfare il popolo e gli ordini della giustizia. Il duca sopra·cciò ebbe savio consiglio, e tenne col popolo, il quale gli avea data la signoria, e così s’aquetò la città, e’ grandi rimasono di ciò molto ispagati.
III Come il cardinale piuvicò processo contra Castruccio e ’l vescovo d’Arezzo.
Nel detto tempo, a dì XXX d’agosto, il legato cardinale, veggendo che Castruccio e ’l vescovo d’Arezzo l’aveano tenuto in parole dell’accordo e fare i suoi comandamenti, sì piuvicò nella piazza di Santa Croce, ove fu il duca e tutta sua gente e’ Fiorentini e’ forestieri contra’ detti, aspri processi contra Castruccio, sì come scomunicato per più casi, e sismatico e fautore degli eretici, e persecutore de la Chiesa, privandolo d’ogni sua dignità, e che ogni uomo lui e sua gente potesse offendere in avere e persone sanza peccato, iscomunicando chi gli desse aiuto o favore; e il vescovo d’Arezzo de’ Tarlati scomunicò per simile modo, e ’l privò del vescovado, dello spirituale e temporale.
IV Del fallimento della compagnia degli Scali di Firenze.
Nel detto tempo, a dì IIII d’agosto, fallì la compagnia degli Scali e Amieri e figliuoli Petri di Firenze, la quale era durata più di CXX anni, e trovarsi a dare tra cittadini e forestieri più di IIIIc migliaia di fiorini d’oro; e fue a’ Fiorentini maggiore sconfitta, sanza danno di persone, che quella d’Altopascio, però che chi aveva danari in Firenze perdé co·lloro; sì che da ogni parte il detto anno i Fiorentini sì di sconfitte, sì di mortalità, sì di perdita di possessioni arse e guaste, e sì di pecunia, ebbono grande persecuzione; e molte d’altre buone compagnie di Firenze per lo fallimento di quella furono sospette con grande danno di loro.
V Come si murò il castello di Signa per gli Fiorentini.
Nel detto anno MCCCXXVI, dì XIIII del mese di settembre, i Fiorentini veggendo che ’l duca loro signore non era acconcio di fare oste né cavalcata contra Castruccio signore di Lucca in quello anno, sì ordinarono di riporre ed afforzare Signa e Gangalandi, acciò che ’l piano e contado da quella parte si potesse lavorare; e così fu fatto, e Signa fu murata di belle mura e alte, e con belle torri e forti, de’ danari del Comune di Firenze, e fu fatta certa immunità e grazia a quale terrazzano vi rifacesse le case; e Gangalandi s’ordinò di riporre per me’ la pieve scendendo verso l’Arno sopra capo al ponte: fecionsi i fossi, ma non si compié allora.
VI Conta della prima impresa di guerra che ’l duca di Calavra fece con tra Castruccio.
Nel detto anno, a l’entrante d’ottobre, il duca di Calavra signore di Firenze ordinò con Ispinetta marchese Malispina ch’egli entrasse nelle sue terre di Lunigiana a guerreggiare da quella parte Castruccio, e soldogli in Lombardia CCC cavalieri, e il legato di Lombardia gline diè CC di quegli della Chiesa, e C ne menò da Verona di quegli di messer Cane suo signore, e valicò da Parma l’alpi e venne nelle sue terre, e puosesi ad assedio del castello di Verruca Buosi, che Castruccio gli avea tolto. Da l’altra parte in quello medesimo tempo usciti di Pistoia a petizione del duca, sanza saputa o consiglio di niuno Fiorentino, rubellarono a Castruccio nell’alpe e montagne di Pistoia due castella, Cavignano e Mammiano. Castruccio veggendosi assalire per sì fatto modo, con tutto che l’agosto dinanzi fosse stato malato a moRte d’una sua gamba, come valente signore, vigorosamente e con grande sollecitudine s’argomentò a riparo, che incontanente fece porre campo e battifolli, overo bastite, molto forti a le dette due castella, ed egli cogli più della sua cavalleria venne a Pistoia per fornire la sua oste, e per istare a·ppetto al duca e a’ Fiorentini, acciò che non potessono soccorrere le dette castella. Al duca e al suo consiglio parve avere fatta non savia impresa, ma perché avea promesso a quelle castella il suo soccorso, sì vi mandò la masnada de’ Tedeschi, ch’erano CC cavalieri, i quali teneano i Fiorentini, e C altri soldati con Vc pedoni, e capitano di loro messer Biagio de’ Tornaquinci di Firenze, i quali salirono a la montagna; ma per forti passi e per grandi nevi che vennono in quegli giorni non s’ardirono di scendere a fornire le castella; e sentendo l’assedio de la gente di Castruccio, ch’era grosso, il duca fece cavalcare a Prato quasi tutta sua gente e l’amistadi, che furono intorno di IIm cavalieri e pedoni assai. E da Prato si partì di questa gente messer Tommaso conte di Squillaci con CCC cavalieri scelti, e co·llui messer Amerigo Donati, e messere Giannozzo Cavalcanti con M pedoni, e salirono a la montagna per pugnare di fornire per forza le dette castella; e l’altra cavalleria e popolo ch’era in Prato cavalcarono infino a le porte di Pistoia, e poi si puosono a campo in sul castellare del Montale, e stettonvi III dì attendati; e in questa stanza fu il più forte tempo di vento e d’acqua, e a la montagna di nevi, che si ricordi di gran tempo; che per necessitade quelli ch’erano al Montale, non possendo tenere le tende tese, convenne che·ssi levassono e tornassono in Prato; e levati, tornaro sanza niuna buona ordine di guerra per tal modo che se Castruccio fosse stato in Pistoia, avrebbono avuto assai a·ffare. E la gente nostra ch’era a le montagne, per lo grande freddo e nevi appena poteano vivere, e falliva loro la vittuaglia sì che per necessità, e ancora perché Castruccio con tutta sua gente vi cavalcò da Pistoia e rafforzò l’oste e prese i passi che venieno a le dette castella, sì che la gente del duca in nulla guisa poterono fornire le dette castella, e furono in aventura d’essere sorpresi; e se poco avessono atteso che la gente di Castruccio si fossono ingrossati e stesi sopra i passi delle montagne, non ne scampava mai uno. E pur così ebbono assai a·ffare, e lasciarono per le montagne assai cavagli e somieri istraccati, e convenne loro per forza tornare per lo contado di Bologna. E partita la gente del duca, i detti due castelli, quegli che v’erano dentro, di notte si fuggirono; ma gli più di loro furono morti e presi, e la nostra gente tornarono in Firenze a dì XX d’ottobre con onta e con vergogna. Avute Castruccio le dette castella, sanza tornare in Pistoia o andarne a Lucca, come sollecito e valoroso signore sì traversò colla sua oste per le montagne di Carfagnana e di Lunigiana, per torre il passo e la vittuaglia a Spinetta e alla sua oste. Il detto Spinetta sentendo la venuta di Castruccio, e udendo com’egli avea prese le dette castella, e più, che·lle spie non vere rapportarono come la gente del duca era stata sconfitta a la montagna, si ritrasse con sua gente e lasciò la ’mpresa, e ripassò l’alpe, e ritornò in Parma. E di vero, se poco più vi fosse dimorato, sì v’era preso con tutta sua gente. E così la prima impresa del duca per non proveduto consiglio tornò in vano, e con vergogna. E ciò fatto, Castruccio fece disfare in Lunigiana le più delle fortezze che v’erano, perché non gli si rubellassono, e tornò in Lucca con gran trionfo, e fece ardere e guastare il suo castello di Montefalcone in su la Guisciana, e quello del Montale di Pistoia per avere meno a guardare, e perché la gente del duca non gli potessono prendere. Avemo sì lungamente detto sopra la materia, imperciò che furono nuovi e diversi avenimenti di guerra in pochi giorni. Lasceremo alquanto de’ fatti della nostra guerra, e diremo di grandi e nuove cose ch’avennono in Inghilterra in quegli medesimi tempi.
VII Come la reina d’Inghilterra fece oste sopra il re suo marito, e preselo.
Egli avenne, come adietro si fece in alcuna parte menzione, che la reina Isabella d’Inghilterra, serocchia del re di Francia, passò col suo maggiore figliuolo in Francia per compiere la pace dal marito al re di Francia della guerra di Guascogna, e per suo studio vi si diede compimento; e ciò fatto, si dolfe al re suo fratello e agli altri suoi parenti del portamento disonesto e cattivo che tenea il re Adoardo secondo d’Inghilterra suo marito, il quale co·llei non volea stare; ma tegnendo vita in avolterio e in lussuria in più disonesti modi, a la sodotta d’uno messer Ugo il Dispensiere suo barone, e guidatore del reame, e lasciandogli usare sua mogliera, la quale era nipote del re, e altre donne, acciò che la reina non degnasse vedere; e sì era delle più belle donne del mondo la reina. Il quale messer Ugo Dispensiere il nutricava in questa misera vita, e del tutto avea rovesciato in lui il governo di sé e di tutto il reame, mettendo adietro quegli di suo lignaggio e tutti gli altri gran baroni, e la reina e ’l figliuolo recati a niente. Questo messer Ugo era di piccolo lignaggio d’Inghilterra, e Dispensieri avea nome, però che l’avolo fu dispensiere del re Arrigo d’Inghilterra, e poi messer Ugo il padre fu dispensiere del re Adoardo primo, padre di questo re; ma per lo grande uficio e cattività del re era questo messer Ugo montato in grande signoria, e avea l’anno più di XXXm marchi di sterlini di rendita, e tutto il governo del reame in mano, e per moglie una nipote del re nata di sua suora; e per la sua disordinata trascotanza era montato in tanta superbia che si credea essere re, e la reina e’ figliuoli del re non volea ch’avessono nulla signoria né stato. Per la qual cosa la donna non volendo tornare in Inghilterra, se ’l re non cessasse da sé il governo del detto messere Ugo il Dispensiere e de’ suoi seguaci, e di ciò fece scrivere e mandare ambasciatori al re di Francia; ma però niente valse, e de la moglie e figliuolo si mise a non calere, sì era amaliato del consiglio del detto messere Ugo. Per la qual cosa la valente reina, data per moglie al figliuolo la figliuola del conte d’Analdo, e con aiuto di moneta del re di Francia suo fratello e d’altri suoi amici, ordinò in Olanda ne le terre del detto conte d’Analdo una armata di LXXX tra navi e cocche picciole e grandi, e soldò tra d’Analdo e di Brabante e di Fiandra VIIIc cavalieri, e ricolti in su la detta armata ella e ’l figliuolo co la detta gente, onde fece capitano messer Gianni fratello del conte d’Analdo, e partìsi d’Olanda del mese di settembre, gli anni di Cristo MCCCXXVI, faccendo disfidare il marito e chi ’l seguisse; e fece intendere e dare boce in Inghilterra ch’ella fosse allegata cogli Scotti e nimici del re, e là a le confini d’Inghilterra e di Scozia farebbe porto co la sua armata per accozzarsi cogli Scotti.
VIII Di quello medesimo.
Lo re Adoardo sentendo l’aparecchiamento del navilio e de’ cavalieri che gli venia adosso co la moglie e col figliuolo, col consiglio del detto messer Ugo si ritrasse con sua gente d’arme verso le marce e’ confini di Scozia per non lasciare la detta armata porre in terra. Ma il capitano de la detta armata maestrevolemente procedendo, non andarono al luogo ove aveano data la boce, ma puosono a Giepsivi presso di Londra a LXX miglia, a dì XV d’ottobre MCCCXXVI. Incontanente ch’ebbono posto in terra, il popolo di Londra si levò a romore, e corsono la terra, gridando: «Viva la reina e il giovane re, e muoiano i dispensieri e i loro seguaci»; e presono il vescovo di Silcestri, ch’era aguzzetta del detto messer Ugo, e tagliargli la testa; e tutti i famigliari e’ seguaci de’ dispensieri che trovarono uccisono; e le case della compagnia de’ Bardi loro mercatanti rubarono e arsono, e più giorni durò la città ad arme e disciolta infino a la venuta della reina; e simile quasi tutti i baroni d’Inghilterra si ridussono co la reina, e abandonarono lo re. E giunta la reina in Londra fu ricevuta a grande onore, e riformata la terra, non s’intese ad altro che perseguitare i dispensieri e lo re. E in questo mese fu preso messer Ugo il vecchio, padre di messer Ugo il giovane il Dispensiere che guidava il re, e fu tranato co le sue armi indosso, e poi impiccato. E ciò fatto, la reina e ’l figliuolo con sua oste seguirono il re e messer Ugo infino in Guales, ch’erano nel castello chiamato Carfagli, gli assediarono più tempo, il quale era molto forte di selve e di marosi. A la fine s’accordò il re col detto messer Ugo, e comunicarsi insieme di mai non abbandonarsi, e armarono uno battello, e di notte uscirono del castello per andarsene in Irlanda con uno loro seguace ch’avea nome il Baldotto, prete e roffiano, e più altri famigliari. Ma come piacque a Dio, non erano sì tosto infra mare XX miglia, che ’l vento e tempesta di fortuna e la corrente gli recava a terra, e questo fu per più volte; e veggendo che non poteano passare, sì scesono in terra nel profondo e salvatico di Gales per venire al castello di Carsigli ov’era il figliuolo del detto messer Ugo, quasi con poca compagnia e sconosciuti. Il conte di Lancastro cugino del re, e fratello di colui a cui fece tagliare la testa con gli altri baroni, come inn-altra parte facemmo menzione, sì gli faceva a sua gente perseguitare il re e messere Ugo tanto, che gli trovarono presso di Meti in Guales: gli sorpresono; e ’l re domandando s’erano amici, dissono di sì, e che l’aveano per loro signore, e inginocchiarsi a·llui, ma che voleano messer Ugo; allora disse il re: «Non siete con meco, se voi siete contra costui»; e lo re tenendo messer Ugo accostato a·llui, e ’l braccio in collo per guarentillo, nullo gli ardia a porre mano adosso per prenderlo; ma il capitano di quella gente sagacemente richiese il re di parlarli in segreto per suo grande bene. Il re iscostandosi da messer Ugo per parlare a colui, un altro della compagnia... disse al detto messere Ugo, se volea scampare il seguisse; e così fece.
Incontanente dal Guales il traviarono per boschi di lungi bene XXX miglia; e lo re veggendosi così ingannato si dolfe molto, ma poco gli valse; che cortesemente fu menato egli e ’l Baldotto e gli altri ch’erano co·lloro presi. Come il conte sentì come lo re e sua compagnia erano presi, sì cavalcò in quella parte, e trovando traviato messer Ugo, andò in verso la casa di colui che l’avea preso; trovando, lo menò; e partito da’ compagni, e’ prese la moglie e’ figliuoli, e minacciogli d’uccidere, o gl’insegnassono quegli ch’aveano messer Ugo. Quivi patteggiò e vollene il Gualese libbre M di sterlini. Incontanente il conte lo fece pagare per averlo. E ciò fatto, furono menati messer Ugo, e ’l Baldotto suo prete, e Sime di Radinghe presi con grandi grida e molti corni dinanzi a la reina, ch’era ad Eriforte; e poco appresso messer Ugo coll’armi sue a ritroso fue tranato, e poi impiccato, e poi tagliata la testa e squartato, e mandato ciascuno quartiere in diverse parti del reame, e ivi penduti, e le ’nteriora arse. E ciò fu del mese di novembre MCCCXXVI, a dì XXIIII. E per questo modo la valente reina si vendicò del suo nimico ch’avea guasto il re suo marito e tutto il reame. Lo re fu menato per lo conte di Lancastro a Gudistocco, e in quello castello fu tenuto cortesemente pregione; poi i baroni raunati a parlamento richiesono lo re ch’egli perdonasse a la reina e al figliuolo e a chiunque l’avea perseguito, e giurasse e promettesse di guidare il reame per consiglio de’ suoi baroni; e se ciò non volesse fare, e’ farebbono re Adoardo suo figliuolo. Lo re aontato de la vergogna a·llui fatta, in nulla guisa volle vedere la moglie né ’l figliuolo, né dimettere, né perdonare; innanzi volle essere disposto re ed essere pregione. Per la qual cosa i baroni feciono coronare re Adoardo il terzo suo figliuolo, e ciò fu il dì della Candellora, anno MCCCXXVI. E la reina veggendo che ’l re no·lle volle perdonare, né tornare a esser re, mai poi non fue allegra; ma come vedova si contenne in dolore, e volentieri avrebbe ritratto ciò ch’ella avea fatto. E poi il detto re Adoardo stando in pregione, per dolore infermò, e morìo del mese di settembre, gli anni di Cristo MCCCXXVII, e per molti si disse che fu fatto morire; e dianvi fede. E così i laidi peccati, chi gli segue contra Idio, hanno mali cominciamenti, e mali mezzi, e dolorosa fine. Lasceremo de’ fatti d’Inghilterra, che assai n’avemo detto, e torneremo alquanto a’ nostri di Firenze e d’Italia.
IX Come i Parmigiani e poi i Bolognesi diedono la signoria al legato del papa.
Nel detto anno MCCCXXVI, in calen di ottobre, il Comune di Parma diede la signoria al legato del papa messer Ramondo dal Poggetto cardinale, il qual era in Lombardia per la Chiesa di Roma, e in Parma dimorò alquanto con sua corte, e avea a suo comandamento le masnade de’ cavalieri della Chiesa, ch’erano bene IIIm cavalieri, la maggiore parte oltramontani, buona gente d’arme; ma poco d’onore o di stato feciono a santa Chiesa o a sua parte in aquisto di terre, o danno di nimici ribelli della Chiesa; e di ciò tutta la colpa si dava al detto legato, che ’l papa vi mandava moneta infinita, e male erano pagate le masnade, e nullo bene poteano fare. Poi per iscandalo che’ Bolognesi aveano tra·lloro, per simile modo diedono la signoria a la Chiesa e al detto legato, il quale venne in Bologna a dì...
X Come il re Ruberto e ’l duca mosse i primi patti a’ Fiorentini.
Nel detto anno, del mese di dicembre, lo re Ruberto mandò al Comune di Firenze che oltre al primo patto che’ Fiorentini aveano fatto al duca, come addietro è fatta menzione, volea che’ Fiorentini stessono a pagare la taglia di VIIIc cavalieri oltramontani; per gli quali avea mandati in Proenza e in Valentinese e in Francia, e l’altre città amici di Toscana, come sono Perugini e’ Sanesi e l’altre terre d’intorno, acciò che ’l duca in su la guerra fosse meglio acompagnato; e se ciò non si facesse per gli Fiorentini, mandò al duca che si partisse di Firenze e tornassene a Napoli. Per la quale richesta i Fiorentini si turbarono molto, imperciò che assai parea loro essere caricati di spese, e parea loro, ed era vero, che ’l re rompéo loro i patti; e mal partito aveano di lasciare partire il duca di Firenze, e le terre vicine male voleano concorrere alla spesa, onde il più del carico tornava sopra il Comune di Firenze. Per la qual cosa per lo meno reo partito i Fiorentini feciono composizione col duca di dargli XXXm fiorini d’oro per gli detti cavalieri, e’ Sanesi ne diedono anche parte, e l’altre piccole terre d’intorno, ma i Perugini non vollono stare alla spesa. Ma come s’andasse la spesa, infra uno anno che ’l duca era venuto in Firenze, tra per lo suo salario e l’altre spese opportune che fece portare a’ Fiorentini, più di IIIIcL migliaia di fiorini d’oro si trovò speso il Comune di Firenze, usciti di gabelle e d’imposte e libbre e altre entrate di Comune; che fu tenuta grande cosa e maravigliosa, e molto se ne doleano i Fiorentini. E oltre a questo, per lo consiglio de’ suoi aguzzetti savi del regno di Puglia, si recò al tutto la signoria da la piccola cosa a la grande di Firenze, e avilì sì l’uficio de’ priori, che nonn-osavano fare niuna cosa quanto si fosse piccola, eziandio chiamare uno messo; e sempre stava con loro uno de’ savi del duca, onde a’ cittadini, ch’erano usati di signoreggiare la città, ne parea molto male: ma grande sentenzia di Dio fu che per le loro sette passate fosse avilita la loro giuridizione e signoria per più vile gente e men savi di loro.
XI Come a le donne di Firenze fue renduto certo ornamento.
Nel detto anno MCCCXXVI, e del detto mese di dicembre, il duca a priego che le donne di Firenze fatto a la duchessa sua moglie, sì rendé a le dette donne uno loro spiacevole e disonesto ornamento di trecce grosse di seta gialla e bianca, le quali portavano in luogo di trecce di capegli dinanzi al viso, lo quale ornamento perché spiacea a’ Fiorentini, perch’era disonesto e trasnaturato, aveano tolto a le dette donne, e fatti capitoli contro a·cciò e altri disordinati ornamenti, come adietro è fatta menzione: e così il disordinato appetito de le donne vince la ragione e ’l senno degli uomini.
XII Come il papa fece nuovo vescovo d’Arezzo.
Nel detto anno e mese di dicembre papa Giovanni fece vescovo d’Arezzo uno degli Ubertini, possenti e gentili uomini del contado d’Arezzo, acciò che co’ suoi fosse contro a Guido Tarlati disposto per lui del vescovado d’Arezzo; ma però poco aprodò, ché ’l nuovo eletto, con tutto l’aiuto del papa e del legato cardinale ch’era in Firenze, non avea uno danaio di rendita, che tutto il temporale e spirituale d’Arezzo tenea per forza il detto Guido Tarlati, ed erane tiranno e signore.
XIII Come Castruccio volle torre a’ Pisani Vico loro castello.
Nel detto anno MCCCXXVI, a dì V di gennaio, Castruccio signore di Lucca essendo nimico di quelli che reggeano Pisa, sì ordinò di torre a’ Pisani il castello di Vicopisano, e mandòvi messer Benedetto Maccaioni de’ Lanfranchi rubello di Pisa con CL cavalieri di sue masnade, e Castruccio con gran gente venne ad Altopascio per soccorrere, se bisognasse. Il quale messer Benedetto entrato la mattina per tempo per tradimento in Vico, corse la terra; ma i terrazzani levati, presono l’arme, e cominciarsi a difendere, e per forza ne cacciarono il detto messer Benedetto e la gente di Castruccio, e più di L ve ne rimasono tra presi e morti, onde i Pisani maggiormente s’inanimarono contra Castruccio.
XIV Come più terre di Toscana si diedono al duca.
Nel detto anno MCCCXXVI, del mese di gennaio e di febbraio, i Pratesi e’ Samminiatesi e quegli di San Gimignano e di Colle diedono la signoria al duca di Calavra figliuolo del re Ruberto in certo tempo e sotto certi patti, salvo che’ Pratesi per loro discordia si diedono a perpetuo al duca e a sue rede.
XV Di cavalcata fatta sopra Pistoia.
Nel detto anno, a dì XXI di gennaio, il conte Novello colla gente del duca, in quantità di VIIIc cavalieri de la migliore gente, cavalcarono infino a le porte di Pistoia e ruppono l’antiporto, e poi guastarono e arsono tutta Valle di Bura, e guastarono le mulina con grande danno di preda de’ Pistolesi.
XVI De’ fatti degli usciti di Genova.
Nel detto anno, a l’entrante di febbraio, gli usciti di Genova con gente di Castruccio presono il castello di Siestri; e poi a dì III d’agosto vegnente, anni MCCCXXVII, i detti usciti per inganno presono il forte castello di Monaco, e tolsollo al Comune di Genova.
XVII Dell’estimo fatto in Firenze.
Nell’anno MCCCXXVII, del mese d’aprile, si trasse in Firenze uno nuovo estimo ordinato per lo duca, e fatto con ordine per uno giudice forestiere per sesto, a la isaminazione di VII testimoni segreti e vicini, stimando ciò che ciascuno avea di stabile e di mobile e di guadagno, pagando certa cosa per centinaio del mobile, e certa cosa per centinaio lo stabile, e così del procaccio e guadagno. L’ordine si cominciò bene; ma gli detti giudici corrotti, cui puosono a ragione, e a cui fuori di ragione, onde grande ramarichio ebbe in Firenze; e così mal fatto, se ne ricolse LXXXm fiorini d’oro.
XVIII Come la parte ghibellina feciono venire in Italia Lodovico duca di Baviera eletto re de’ Romani.
Negli anni di Cristo MCCCXXVI, del mese di gennaio, per cagione della venuta del duca di Calavra in Firenze i Ghibellini e’ tiranni di Toscana e di Lombardia di parte d’imperio mandarono loro ambasciadori in Alamagna a sommuovere Lodovico duca di Baviera eletto re de’ Romani, acciò che potessono resistere e contastare a la forza del detto duca e de la gente della Chiesa, ch’era in Lombardia; e con grandi impromesse il detto Lodovico con poca gente condussono col duca di Chiarentana insieme a uno parlamento a Trento a’ confini de la Magna di là da Verona; e al detto parlamento fu messer Cane signore di Verona con VIIIc cavalieri, e andovvi così guernito di gente d’arme per tema del detto duca di Chiarentana, con cui avea avuta briga per la signoria di Padova; e fuvi messer Passerino signore di Mantova, e uno de’ marchesi d’Esti, e messer Marco, e messer Azzo Visconti di Milano, e fuvi Guido de’ Tarlati che si chiamava vescovo d’Arezzo, e ambasciadori di Castruccio e de’ Pisani e degli usciti di Genova e di don Federigo di Cicilia, e d’ogni caporale di parte d’imperio e Ghibellini d’Italia. Nel quale parlamento prima si fece l’accordo di triegua dal detto duca di Chiarentana a messer Cane di Verona. Apresso, a dì XVI di febbraio, il detto eletto re de’ Romani, il quale volgarmente Bavero era chiamato da coloro che non voleano essere scomunicati, sì promise e giurò nel detto parlamento di passare in Italia, e venire a Roma sanza tornare in suo paese; e’ detti tiranni e ambasciadori de’ Comuni ghibellini gli promisono di dare CLm fiorini d’oro come fosse a Milano, salvo ch’a la detta lega non si legarono i Pisani, ma cercavano da parte di dargli danari assai, acciò che promettesse di non entrare in Pisa. E nel detto parlamento piuvicò non dovutamente papa Giovanni XXII essere eretico e non degno papa, apponendogli sedici articoli incontro; e ciò fece con consiglio di più vescovi e altri prelati e frati minori e predicatori e agostini, i quali erano sismatici e ribelli di santa Chiesa per più diversi casi, e co·lloro era il maestro della magione degli Alamanni, e tutta la sentina degli apostici e sismatici di Cristianità. E intra gli altri più forte e maggiore capitolo che opponesse contro al detto papa sì rinovò la quistione mossa in corte che Cristo nonn-ebbe propio, dicendo come il papa e la chericia amavano propio, ed erano nimici de la santa povertà di Cristo, e intorno a·cciò più articoli di scandalo in fede; e piuvicamente egli scomunicato, e simile i suoi prelati, continuo facea celebrare l’uficio sacro, e scomunicare papa Giovanni; e per diligione il chiamavano il papa prete Giovanni, onde grande errore se ne commosse in Cristianità. E ciò fatto, a dì XIII di marzo, si partì da Trento con poca di sua gente, e poveramente e bisognoso di danari, che in tutto non avea VIc cavalieri: e per le montagne ne venne a la città di Commo, e poi di là venne e entrò in Milano, a dì... d’aprile MCCCXXVII.
XIX Come l’eletto di Baviera detto Bavero si fece coronare in Milano.
E poi, a dì XXXI di maggio, anni di Cristo MCCCXXVII, il dì della Pentecosta, quasi all’ora di nona, si fece coronare in Milano il detto Bavero della corona del ferro nella chiesa di Santo Ambruogio per mano di Guido de’ Tarlati disposto vescovo d’Arezzo, e per mano di... di quegli di casa Maggio disposto vescovo di Brescia, e scomunicati; e già l’arcivescovo di Milano, a cui pertenea la coronazione, non vi volle essere in Milano. E a la detta coronazione fu messer Cane signore di Verona con VIIc cavalieri, e’ marchesi da Esti ribelli della Chiesa con IIlc cavalieri, e ’l figliuolo di messere Passerino signore di Mantova con IIlc cavalieri, e più altri caporali di parte d’imperio e Ghibellini di Italia vi furono; ma però piccola festa v’ebbe. E rimase in Milano infino a dì XII d’agosto per avere moneta e gente. Lasceremo alquanto di lui, incidendo lo suo avento, per dire de le sequele e novitadi che s’apparecchiarono in Italia per la detta sua venuta.
XX Di novitadi che fece il popolo di Roma per l’avento del Bavero che si chiamava loro re.
Per la venuta del detto Bavero eletto re de’ Romani, incontanente, e in quello medesimo tempo, si commosse quasi tutta Italia a novitade; e’ Romani si levarono a romore e feciono popolo, perché nonn-aveano la corte del papa né dello ’mperadore, e tolsono la signoria a tutti i nobili e grandi di Roma e le loro fortezze; e tali mandarono a’ confini: ciò fu messer Nepoleone Orsini e messer Stefano de la Colonna, i quali di poco per lo re Ruberto erano fatti cavalieri a Napoli, per tema che non dessono la signoria di Roma al re Ruberto re di Puglia; e chiamaro capitano del popolo di Roma Sciarra della Colonna che reggesse la cittade col consiglio di LII popolani, IIII per rione; e mandarono loro ambasciadori a Vignone in Proenza a papa Giovanni, pregandolo che venisse colla corte a Roma, come dee stare per ragione; e se ciò non facesse, riceverebbono a signore il loro re de’ Romani, detto Lodovico di Baviera; e simile mandarono loro ambasciadori a sommuovere il detto Lodovico chiamato Bavero; e la mossa loro fue simulata sotto quella cagione di rivolere la corte del papa per trarne grascia, come per antico erano usati; ma poi riuscì con maggiori sequele come innanzi si farà menzione. Il papa rispuose a’ Romani per suoi ambasciadori, ammonendoli e confortandogli che non ricevessono il Bavero per loro re, però ch’egli era eretico e scomunicato e perseguitatore di santa Chiesa, e ch’egli a tempo convenevole, e tosto, verrebbe a Roma. Ma però non lasciarono i Romani il loro errore, trattando col papa e col Bavero e col re Ruberto, dando a ciascuno intendimento di tenere la città di Roma per loro, reggendosi a signoria di popolo, e dissimulando quasi a parte ghibellina e d’imperio.
XXI Come il re Ruberto mandò il prenze della Morea suo fratello con M cavalieri ne le terre di Roma.
Lo re Ruberto, sentendo la venuta del detto Bavero in Lombardia, mandò messer Gianni prenze de la Morea suo fratello con M cavalieri a l’Aquila per avere a sua signoria le terre ch’erano in su i passi, e dell’entrate del Regno; e ebbe Norcia del Ducato a sua guardia, e poi la città di Rieti, ne la quale lasciò il duca d’Atene con gente d’arme; e poi fornì tutte le terre di Campagna con rettore che v’era per lo papa, a sua guardia e de la Chiesa. E poi credette potere entrare in Roma co la forza de’ nobili; ma da’ Romani non volle essere ricevuto. Per la qual cosa venne a oste a Viterbo, e guastogli intorno e prese assai del loro contado, perché non gli vollono dare la terra. E infra ’l detto tempo che ’l prenze de la Morea guerreggiava le terre di Roma lo re Ruberto mandò in Cicilia contra don Federigo LXX galee con Vc cavalieri, la quale armata partì di Napoli a dì VIII di luglio anni MCCCXXVII, e all’isola di Cicilia in più parti feciono danno assai, e presono più legni de’ nimici. In questa stanza V galee di Genovesi de la detta armata per mandato del re Ruberto vennono a la guardia de la foce del fiume del Tevero, acciò che grascia e vittuaglia non entrasse per la via di mare ne la città di Roma; le quali galee presono la cittadella d’Ostia a dì V d’agosto nel detto anno, e rubarla tutta. Per la qual cosa il popolo di Roma furiosamente e non ordinati vi corsono parte di loro a Ostia, e assalendo la terra molti ne furono fediti e morti di moschetti di balestri di Genovesi, e ritornarsi in Roma. E ciò fatto, i Genovesi misono fuoco ne la terra e partirsi, e tornarono a loro galee; de la qual cosa il popolo di Roma molto si turbò contra il re Ruberto, e certi trattati ch’aveano co·llui d’accordo ruppono; onde il legato cardinale ch’era in Firenze n’andò verso Roma a dì XXX d’agosto nel detto anno per riconciliare i Romani col re Ruberto, e per entrare in Roma con messer Gianni prenze della Morea e co’ nobili di Roma, che n’erano fuori a’ confini; ma il popolo di Roma nulla ne volle udire. Onde veggendo che per accordo non poteano entrare in Roma, sì ordinarono d’entrarvi per inganno e forza; onde lunidì notte, a dì XXVIII di settembre nel detto anno, il detto prenze [...]
XXII Come il prenze della Morea fratello del re Ruberto e il legato cardinale entrarono in Roma, e furonne cacciati con onta e danno.
[...] il legato cardinale degli Orsini e messer Nepoleone Orsini feciono rompere le mura del giardino di San Piero de la città detta Leonina, e entrarono in Roma con Vc cavalieri e altrettanti pedoni; ma messer Stefano della Colonna non vi volle entrare; e la detta gente presono la chiesa di San Piero, e la piazza e ’l borgo de’ rigattieri, e uccisono tutti i Romani che la notte v’erano a la guardia, e feciono barre al detto borgo verso Castello Santo Angiolo. Ma faccendosi giorno, la parte de’ Romani ch’aveano promesso di cominciare battaglia ne la terra a·ppetizione degli Orsini non ne feciono niente, né la gente del prenze e del legato non si trovarono nullo séguito da’ Romani, ma il contradio. Il popolo di Roma, sonando la campana di Campidoglio a stormo, la notte furono a l’arme, e vennero assalire il detto prenze e·legato e loro gente, e a le sbarre fatte ebbe gran battaglia e fuvi morto uno degli Anibaldeschi, e altri assai Romani; ma a la fine soprastando il popolo, e crescendo in forza da tutte parti, la gente del prenze, ch’erano da C cavalieri e pedoni assai a difendere le sbarre, furono sconfitti e rotti, e morìvi messer Giuffrè di Gianville, e altri cavalieri intorno di XX, e a piè assai. E ciò veggendo il prenze e·legato, ch’erano schierati coll’altra cavalleria nella piazza di San Piero, feciono mettere fuoco nel detto borgo, acciò che ’l popolo non premesse loro adosso, ch’altrimenti tutti erano morti e presi, e si ricolsono salvamente, e partirsi di Roma con danno e disinore, e si ritornaro ad Orti; e ciò fu a dì XXVIII di settembre. Lasceremo de’ fatti del re Ruberto e del prenze e de’ Romani, e torneremo adietro a raccontare de’ nostri fatti di Firenze e di Toscana e di Lombardia, che furono nell’avento del detto Bavero.
XXIII Come al duca di Calavra nacque uno figliuolo in Firenze.
Nel detto anno MCCCXXVII, a dì XIII d’aprile, nacque in Firenze uno figliuolo al duca di Calavra de la sua donna figliuola di messer Carlo di Valos di Francia, il quale fu fatto Cristiano per messer Simone della Tosa e per Salvestro Manetti de’ Baroncelli sindachi fatti per lo Comune e popolo di Firenze, e fu chiamato Martino; e grande festa e armeggiare se ne fece per gli Fiorentini; ma all’ottavo dì di sua natività si morì e soppellì a Santa Croce, onde grande cordoglio n’ebbe in Firenze.
XXIV Come la città di Modana si rubellò dalla signoria di messere Passerino di Mantova.
Nel detto anno, a dì IIII di giugno, il popolo della città di Modana per trattato del legato di Lombardia si levò a romore gridando pace, e cacciarne fuori la signoria e’ soldati che v’erano per messer Passerino signore di Mantova, e acconciarsi col detto legato, rimagnendo la terra a·lloro parte ghibellina, prendendo signoria dal legato, e rendendo i loro beni agli usciti loro guelfi, istandone certi caporali a’ confini, e avendo gli amici de la Chiesa per amici, e’ nimici per nimici. E di questo accordo si disse che vi spese la Chiesa a certi cittadini XVm fiorini d’oro; sì che con senno e con danari si recarono in pacefico stato i Modanesi, ch’erano molto aflitti d’assedio e di guerra e di tirannica signoria.
XXV Di novità fatte in Pisa per la coronazione del Bavero.
Nel detto tempo, a l’entrare di giugno, venuta in Pisa la novella e l’olivo della coronazione del Bavero in Milano, se ne fece falò e festa per certi usciti di Firenze e d’altre città, e alcuno popolano minuto pisano gridando: «Muoia il papa e ’l re Ruberto e’ Fiorentini, e viva lo ’mperadore!». Per la qual cosa coloro che allora reggeano Pisa, ch’erano i migliori e’ più possenti e ricchi popolani della città, e per setta nimici di Castruccio, e non voleano la venuta del Bavero, ma al continuo trattavano col papa e col re Ruberto, sì cacciarono di Pisa quasi tutti i forestieri usciti di loro cittadi, e mandarono a’ confini de’ maggiori cittadini sospetti al loro stato, e ch’amavano la venuta del Bavero e la signoria di Castruccio; e tutti i soldati tedeschi mandarono via e tolsono loro i cavagli per sospetto; e quasi si teneano più a·reggimento di parte di Chiesa che ghibellina, onde grande novità ne seguì in Pisa a la venuta del Bavero, sì come innanzi faremo menzione.
XXVI D’uno trattato che ’l duca ordinò per torre la città di Lucca a Castruccio, e fu discoperto. Nel detto anno MCCCXXVII il duca di Calavra signore di Firenze avendo menato segretamente uno trattato con certi della casa de’ Quartigiani di Lucca ch’eglino co·lloro seguaci rubellerebbono la città di Lucca a Castruccio, per soperchi ricevuti da la sua tirannesca signoria, e per molta moneta che vi spendea il duca e ’l Comune di Firenze; e ciò fu ordinato in questo modo: che la gente del duca doveano cavalcare in sul terreno e a l’assedio di Pistoia, e come Castruccio uscisse de la città colla sua cavalleria per soccorrere Pistoia, doveano trarre bandiere e pennoni dell’arme della Chiesa e del duca da più parti della terra, le quali insegne erano mandate di Firenze segretamente; e levato il romore in Lucca e presa alcuna porta, la gente del duca e de’ Fiorentini, che in buona quantità n’avea a Fucecchio e nelle terre di Valdarno, incontanente per cenno doveano cavalcare a Lucca, e prendere la terra. E veniva fatto, se non che lo ’ndugio de la cavalcata de la gente del duca si tardò, e in questo mezzo alcuno de la casa medesima de’ Quartigiani per viltà e paura lo scoperse a Castruccio. Per la qual cosa Castruccio subitamente fece serrare le porte di Lucca, e corse la terra con sue genti, e fece pigliare XXII di casa i Quartigiani e più altri, e trovare le dette insegne. Messer Guerruccio Quartigiani con III suoi figliuoli fece impiccare co le dette insegne a ritroso, e altri di loro fece propagginare, e tutti gli altri de la casa de’ Quartigiani, ch’erano più di C, gli cacciò de la città di Lucca e del contado. E questo fu a dì XII di giugno nel sopradetto anno. E ciò fu grande sentenzia e giudicio di Dio che gli detti della casa de’ Quartigiani anticamente guelfi furono caporali a dare la città e signoria di Lucca a Castruccio, e tradendo i Guelfi, per lui furono morti e disertati per lo simile peccato di tradimento. E trovato Castruccio il detto tradimento, il quale era con tanti seguaci buoni cittadini di Lucca e del contado, non s’ardì a scoprirlo più innanzi, ma vivendo in tanta paura e gelosia, che non s’ardia a uscire della città. E di certo per lo male volere de’ suoi cittadini, e per la forza del duca e de’ Fiorentini, tosto avrebbe perduta la terra, se non fosse il soccorso brieve e venuta del Bavero, come innanzi farà menzione.
XXVII Come il legato cardinale piuvicò in Firenze i processi fatti per lo papa sopra il Bavero.
Nel detto anno MCCCXXVII, il dì de la festa di santo Giovanni di giugno, messer Gianni Guatano degli Orsini cardinale, legato in Toscana, a la detta festa ne la piazza di San Giovanni piuvicò nuovi processi venuti dal papa contra Lodovico duca di Baviera eletto re de’ Romani, sì come contra eretico e persecutore di santa Chiesa: e poco appresso dimorò in Firenze, che n’andò verso Roma per rimuovere i Romani per lo modo che dicemmo addietro.
XXVIII Della rubellazione di Faenza in Romagna, il figliuolo al padre.
Nel detto anno, a dì VIII di luglio, Alberghettino figliuolo di Francesco de’ Manfredi signore di Faenza rubellò e tolse la signoria de la detta città di Faenza al padre e a’ frategli, e cacciogline fuori, e egli se ne fece signore; e così mostra che non volesse tralignare e del nome e del fatto di frate Alberigo suo zio, che diede le male frutta a’ suoi consorti, faccendogli uccidere e tagliare al suo convito, sì che Francesco Manfredi, che fu a·cciò fare, ricevette in parte del detto peccato guidardone dal figliuolo.
XXIX De’ fatti di Firenze.
Nel detto anno, a dì XI di luglio, la notte vegnente s’aprese fuoco in Firenze in borgo Santo Appostolo nel chiasso tra’ Bonciani e gli Acciaiuoli, e arsonvi VI case e ’l palagio di Giotti, sanza danno di persone.
XXX Come il duca e’ Fiorentini feciono oste sopra Castruccio, e presono per forza il castello di Santa Maria a Monte.
Nel detto anno, a dì XXV di luglio, si partì l’oste di Firenze ordinata per lo duca e per lo detto Comune, e rassegnaronsi e feciono mostra la cavalleria ne la piazza di Santa Croce; e furono la gente del duca MCCC a cavallo, e’ Fiorentini C caporali con II o III compagni ciascuno, molto nobile gente e bene in arme e a cavallo; e nell’isola dietro a Santa Croce si rassegnarono i pedoni, che furono più di VIIIm. E avuta la benedizione dal legato cardinale e date le ’nsegne per lo duca, si mossono e andarono la sera, e puosonsi a campo a piè di Signa in su l’Ombrone; e stettonvi III dì, che niuno non sapea dove l’oste si dovesse andare, onde molto si maravigliavano i Fiorentini; ma ciò fu fatto cautamente acciò che Castruccio non si prendesse guardia ove l’oste si dovesse porre, o a Pistoia, o andare in sul contado di Lucca, e acciò che gli convenisse partire la gente sua in due parti. E ciò fatto, subitamente di notte si levarono, e lasciarono tutte le tende tese infino la mattina a terza, acciò che’ nimici non s’accorgessono che l’oste fosse levata, e tutta la notte cavalcarono per lo cammino di Montelupo, e l’altro giorno anzi l’ora di nona passarono la Guisciana a uno ponte che fu posto la detta notte al passo di Rosaiuolo; e passati innanzi CCCC cavalieri ch’erano in Valdarno, e’ subitamente si puosono all’assedio al castello di Santa Maria a Monte. E poi s’agiunse a la detta oste messer Vergiù di Landa con CCCL cavalieri che mandò il Comune di Bologna, e·legato ed altre amistà, sì che ’l giorno appresso v’ebbe intorno MMD cavalieri, e più di XIIm pedoni, de la quale oste era capitano il conte Novello di Montescheggioso e d’Andri, che il duca era rimaso in Firenze con Vc cavalieri, però che non fu oste generale, e non era onore del duca di porsi a oste a uno castello. Il detto castello era molto forte di tre gironi di mura co la rocca, e di vittuaglia assai fornito, e gente v’avea da Vc uomini, e non più; però che temendo Castruccio che l’oste non andasse a Carmignano, vi mandò CC de’ migliori masnadieri che fossono in Santa Maria a Monte. E dato termine a quegli del castello d’arendersi, non obbedendo, domenica a dì II d’agosto si diede per la detta oste la battaglia da più parti al primo girone di sotto da’ borghi; e’ maggiori baroni e cavalieri dell’oste ismontarono da cavallo, e col pavese in braccio e elmi in capo si misono sotto le mura e per li fossi rizzando scale a le mura; e ’l popolo a piè veggendo ciò fare a’ cavalieri, feciono maraviglie di combattere; e fu sì aspra battaglia da ogni parte, che di saettamento per gli balestrieri genovesi ch’erano all’assedio, sì de’ Fiorentini e d’ogni altro assalto, che que’ d’entro non poterono durare; e uno scudiere provenzale ch’avea nome... fu il primaio che salì in su le mura co le ’nsegne, e poi molti apresso, il quale dal duca fu fatto cavaliere, e donogli rendita in suo paese. E ciò veggendo i terrazzani, isbigottiti abbandonarono i borghi, e entrarono nel secondo girone. Ma i Fiorentini e la gente del duca entrati nel primo girone, sanza riposo o indugio incontanente si misono a combattere l’altro girone, e simile per forza e con iscale e con fuoco che misono, con grande affanno il dì medesimo il vinsono, e quanta gente vi trovarono dentro piccioli e grandi misono alle spade, se non alquanti che ricoverarono nella rocca, e ’l castello da più parti ardendo per lo fuoco prima messo per gli nostri a la battaglia, e poi la gente nostra rubando la preda, e togliendola gli oltramontani a’ nostri acciò che no·ll’avessono salva, innanzi metteano i nostri fuoco nelle case e nella preda. E per questo modo non vi rimase casa piccola né grande che non ardesse; e’ terrazzani, uomini e femmine e fanciugli ch’erano scampati e nascosi, non scamparono del fuoco, imperciò che molti se ne trovarono morti e arsi. E ciò fu grande giudicio di Dio e non sanza cagione, imperciò che quegli di Santa Maria a Monte sempre erano stati di parte guelfa, e aveano tradita la terra e data a Castruccio: e gli usciti di Lucca e di loro parte assai, e de’ migliori ch’allora erano nel castello, per lo detto tradimento furono dati presi nelle mani di Castruccio. E oltre a·cciò dapoi che si rendé a Castruccio, era stata spilonca di tutte le ruberie e micidi e presure e villani peccati fatti in Valdarno e nel paese ne la detta guerra. E poi che la gente nostra ebbe il castello, si tenne la rocca VIII dì aspettando soccorso da Castruccio, il quale non s’ardì con sua gente d’uscire di Vivinaia ov’era a campo, e ciò fue a dì X d’agosto nel detto anno; e quegli ch’erano nella rocca n’uscirono, salve le persone. E avuta la rocca, l’oste nostra vi dimorò di fuori a campo VIII giorni per rafforzare la terra e rifare le bertesche e torri e case, e lasciarla poi guernita di C cavalieri e Vc pedoni. Avemo sì lungamente detto de la presura del detto castello, però ch’era il più forte castello di Toscana e meglio fornito, e ebbesi per forza di battaglia, per la virtù e vigoria de la buona gente ch’era ne la nostra oste, la quale simile vigoria non si ricorda fosse in Toscana a’ nostri tempi; per la qual cosa Castruccio e sua gente forte isbigottiro, e in nulla parte s’ardivano a mettere né avisare poi co la nostra gente e con quella del duca.
XXXI Come l’oste de’ Fiorentini e del duca ebbono per forza il castello d’Artimino.
Avuto il castello di Santa Maria a Monte, si partì l’oste de’ Fiorentini di là a dì XVIII d’agosto, e passarono la Guisciana, e accamparsi a piè di Fucecchio, e quivi dimorarono due giorni, acciò che Castruccio non si potesse avisare ove l’oste dovesse fedire, o nel contado di Lucca, o in quello di Pistoia; e ciò fatto, subitamente ripassarono la Guisciana, e andarono a campo a piè del Cerruglio apresso di Vivinaia, e ivi e a Gallena dimorarono per III dì, schierandosi e o trombando e richeggendo di battaglia Castruccio, il quale era in sul Cerruglio e Montechiaro con VIIIc cavalieri e più di Xm pedoni; e sarebbonsi messi a passare e andare in verso Lucca per forza, se non che·lla stanza bisognava grande ispendio e fornimento, e aveasi novelle che ’l Bavero detto re de’ Romani di corto dovea passare in Toscana, sì che per lo migliore consiglio si ritornarono di qua da la Guisciana, e sanza restare la detta oste passò Monte Albano, e puosonsi ad assedio del castello d’Artimino, il quale era rimurato e molto afforzato per Castruccio, e bene fornito di vittuglia e di gente; e stettonvi ad assedio III giorni. Al terzo dì vi diedono la più forte battaglia tutto intorno che mai si desse a castello, e per gli migliori cavalieri dell’oste; e durò da mezzodì infino al primo sonno de la notte, ardendo gli steccati e la porta del castello; per la qual cosa quegli d’entro molto impauriti, e di saettamento i più fediti, sì dimandarono misericordia, e che si voleano arendere, salve le persone. E così fu fatto; e la mattina, a dì XXVII d’agosto, si partirono, e renderono il castello; ma con tutti i patti, partiti da·lloro i cavalieri che gli scorgeano, molti ne furono morti: e con quella vittoria l’oste intendeva di seguire e combattere Carmignano e Tizzano, e sanza dubbio gli avrebbono presi per lo sbigottimento de la battaglia di Santa Maria a Monte e d’Artimino; ma il duca ebbe ferme novelle come il Bavero con sua gente era a Pontriemoli, sì che, acciò che·lla sua gente non trovasse a campo, rimandò che l’oste tornasse in Firenze; e così tornò bene aventurosamente a dì XXVIII d’agosto del detto anno. E nota che poi che ’l duca venne in Firenze, che fu uno dì anzi calen d’agosto MCCCXXVI, infino a la tornata de la detta oste in Firenze, che fu pochi dì più d’uno anno, si trovò speso il Comune di Firenze cogli danari del salaro del duca più di Vc migliaia di fiorini d’oro, che sarebbe gran cosa a uno ricco reame. E tutti uscirono delle borse de’ Fiorentini, onde ciascuno cittadino forte si dolea. Lasceremo alquanto de’ nostri fatti di Firenze ritornando adietro, dicendo di quello che ’l Bavero, lui coronato a Milano, fece in Lombardia e poi in Toscana.
XXXII Come il Bavero dispuose della signoria di Milano i Visconti e misegli in pregione.
Coronato in Milano Lodovico detto Bavero eletto re de’ Romani, come adietro lasciammo, essendo in Milano e volea moneta come promessa gli fu al parlamento a Trento, Galeasso Visconti signore di Milano, il quale per sua superbia e signoria si tenea maggiore del detto Bavero in Milano, e avea a suo soldo bene XIIc di cavalieri tedeschi, essendoli domandata la detta moneta per lo Bavero, rispuose arrogantemente al signore, dicendo come imporrebbe la moneta, quando gli paresse luogo e tempo. E ciò non dicea sanza cagione, imperciò che tutti i nobili di Milano, e eziandio messer Marco suo fratello e gli altri suoi consorti, e quasi tutto il popolo di Milano odiavano la sua tirannesca signoria per gli soperchi incarichi e gravezze a·lloro fatte, e volea tutto e non parte, sì non s’ardia d’imporre i danari al popolo; e se fatto l’avesse non sarebbe ubbidito. E già molti de’ maggiorenti de la sua signoria s’erano compianti al Bavero, per la qual cosa il detto signore rimandò per lo suo maliscalco e sua gente, ch’erano andati al soccorso di Voghiera, e fece parlare a tutti i conostaboli tedeschi ch’erano a messer Galeasso, e giurare segretamente a·llui; e venuto il suo maliscalco, il Bavero raunò uno grande consiglio, ove fu Galeasso e’ suoi e tutti i migliori di Milano, e in quello dogliendosi del detto Galeasso e de’ suoi, in prima gli fece rifiutare la signoria, e poi nel detto consiglio al detto suo maliscalco fece pigliare Galeasso e Azzo suo figliuolo, e Marco e Luchino suoi frategli; e ciò fu a dì VI del mese di luglio, gli anni di Cristo MCCCXXVII; per la qual cosa i nobili e ’l popolo di Milano furono molto allegri e contenti. E ciò fatto, riformò la terra di signoria d’uno suo barone vicario col consiglio di XXIIII de’ migliori di Milano, i quali incontanente impuosono e ricolsono Lm fiorini d’oro, e diedongli al detto Bavero. E per questo modo la Chiesa di Dio fu vendicata de la superbia de’ suoi nimici Visconti per lo suo nimico Lodovico di Baviera suo persecutore; sì che veramente s’adempié la parola di Cristo nel suo santo Vangelio, ove dice: «Io ucciderò il nimico mio col nimico mio etc.».
XXXIII Come il Bavero, fatto suo parlamento in Lombardia, passò in Toscana.
Per la detta presura di Galeasso e de’ suoi si maravigliarono e impaurirono tutti i tiranni ghibellini di Lombardia e di Toscana, imperciò che propio lo studio e podere e dispendio di Galeasso, e per suo consiglio, il detto Bavero s’era mosso d’Alamagna e venuto in Lombardia; ed egli prima l’avea abbattuto di signoria e messo in pregione. Per la qual cosa il detto Bavero ordinò di fare uno parlamento generale a uno castello di bresciana che si chiama Liorci, e fece sommuovere e richiedere tutti i caporali di parte d’imperio di Lombardia e di Toscana al detto parlamento; e Galeasso mandò legato in pregione nel castello di Moncia; e Marco lasciò, perché nol trovò in nulla colpa; e Luchino e Azzo gli tagliò in XXVm di fiorini d’oro per loro redenzione, de’ quali pagaro XVIm, e menò seco presi cortesemente al detto parlamento. E partissi di Milano a dì XII d’agosto nel detto anno. E al detto parlamento fu messer Cane signore di Verona, e messer Passerino signore di Mantova, e Rinaldo de’ marchesi d’Esti, e Guido Tarlati disposto vescovo d’Arezzo, e ambasciadori di Castruccio e di tutte le terre di parte d’imperio, nel quale parlamento palesò lettere di trattato che Galeasso mandava al legato del papa contra ’l detto Bavero, per mostrare la cagione perché preso l’avea. Chi disse che furono vere, e chi che furono false. E nel detto parlamento in dispetto di santa Chiesa fece tre vescovi, uno in Chermona e l’altro in Commo e l’altro, uno de’ Tarlati, a la Città di Castello. E ciò fatto, ordinò suo passaggio in Toscana; e truovasi ch’ebbe infino allora da’ Milanesi e tiranni e terre ghibelline d’Italia CCm fiorini d’oro; e bisognavangli, però ch’egli e sua gente erano molto poveri di danari. E partito il detto parlamento, Marco e Luchino e Azzo Visconti si fuggirono e entrarono nel castello di Liseo, e poi feciono guerra a Milano. Il Bavero venne a Chermona, e di là passò per lo ponte il fiume del Po a dì XXIII d’agosto, gli anni di Cristo MCCCXXVII, e venne al borgo a San Donnino con MD cavalieri de’ suoi, con quegli ch’avea trovati in Milano, e CCL di quegli di messer Cane, e CL di messer Passerino, e C di quegli de’ marchesi d’Esti; e sanza nullo contasto passò per lo contado di Parma le montagne apennine, e capitò a Pontriemoli in calen di settembre nel detto anno. E sì avea il legato che in Lombardia era per la Chiesa più di IIIm cavalieri soldati, e non si mise a contastarlo, ch’assai era leggere per li forti passi; onde il detto legato molto fu abbominato di tradimento da’ fedeli di santa Chiesa di Toscana, ed iscusavasi come non avea dal papa i danari di loro paghe, e però non poteva fare cavalcare la sua gente.
XXXIV Come il Bavero si puose ad assediare la città di Pisa.
Come il Bavero e la donna sua, la quale era figliuola del conte d’Analdo, furono passati in Toscana, Castruccio con grande compagnia e grandi doni e presenti e rinfrescamento di vittuaglia andò loro incontro infino a Pontriemoli, e acompagnogli in più giorni infino a Pietrasanta nel contado di Lucca, e là s’arestò, e non volle entrare in Lucca, se prima non avesse la città di Pisa, la quale da certi che·lla reggeano, i quali erano i più ricchi e possenti di Pisa e aversari di Castruccio, in nulla guisa voleano ubbidire il detto Bavero per tema di Castruccio e de le gravezze de le spese, dando cagione di non voler fare contra la Chiesa, imperciò che ’l Bavero era scomunicato, e non era imperadore con autorità di santa Chiesa; e ancora non voleano i Pisani rompere pace al re Ruberto e a’ Fiorentini. E mandato il Bavero suoi ambasciadori, non gli lasciarono entrare in Pisa, ma si fornirono di gente e di vittuaglia, e afforzarono la città, e cacciarne i soldati tedeschi ch’aveano, e tolsono loro i cavagli; onde il detto Bavero molto s’aontò, e fermossi di non passare più innanzi, se prima non avesse Pisa a suo comandamento. E in questo intervallo di tempo Guido Tarlati disposto vescovo d’Arezzo si mise mezzano, e venne a Ripafratta, e mandò che’ Pisani gli mandasson loro ambasciadori, i quali vi mandarono tre de’ maggiori di Pisa, ciò fu messer Lemmo Guinizzelli Sismondi, e messer Albizzo da Vico, e ser Iacopo da Calci; e stati più giorni in trattato, e accordandosi i Pisani di dare al Bavero LXm fiorini d’oro, e s’andasse a suo viaggio sanza entrare in Pisa; il quale accordo in nulla guisa volle accettare. E partendosi i detti ambasciadori a rotta del trattato, Castruccio passò il fiume di Serchio con gente d’arme, e prese i detti ambasciadori; e poi il Bavero con sua gente passò simigliante, e il suo maliscalco con anche gente venne da Lucca, e puosono oste a la città di Pisa a dì VI di settembre, gli anni di Cristo MCCCXXVII, e la persona del signore si mise a Sammichele degli Scalzi.
XXXV Come il Bavero ebbe la città di Pisa.
I Pisani veggendosi traditi de la ’mpresa de’ loro ambasciadori, e così subitamente venuto il Bavero e Castruccio all’assedio della città, isbigottirono assai; ché se ciò avessono creduto, di certo avrebbono prima mandato per soccorso in Firenze al duca di cavalieri e di gente, con tutto ch’a la ’nfinta stessono in trattato co·llui, e ebbono da’ Fiorentini arme e saettamento assai. Ma veggendosi così assaliti francamente, ripresono vigore e buono ordine di guardia della città, rimurando tutte le porte, e guardando le mura. Il secondo dì il Bavero passò Arno, e puosesi nel borgo di San Marco, e Castruccio rimase dal lato de la città di verso Lucca con sua oste, e poi si stese l’oste a la porta di San Donnino e a quella della Legatia sanza contasto niuno, e in pochi dì feciono uno ponte di legname dal borgo a San Marco a San Michele de’ Prati, e un altro ne fece fare in su barche dal lato di sotto a la Legatia, sì che in pochi giorni tutta ebbono assediata la città intorno intorno; ne la quale oste avea il Bavero, tra di sua gente e di quella di Castruccio e d’altri Ghibellini di Toscana e di Lombardia, IIIm cavalieri o più, male a cavallo, e popolo grandissimo del contado di Lucca e di Pisa medesimo, e di quello di Luni e della riviera di Genova; e di presente ebbono Porto Pisano; e poi faccendo cavalcare per lo contado co’ caporali degli usciti di Pisa, in pochi giorni ebbe a suo comandamento tutte le castella e terre di Pisa. Onde ciò sappiendo i Pisani che teneano la città, molto isbigottiro: né già però non mandarono per soccorso al duca, se non di moneta, per pagare i loro soldati ch’erano a la guardia della terra, perché non s’ardivano a fare gravezza a’ cittadini, perché il popolo minuto non si levasse contro a·lloro; e ’l duca vi mandò moneta per lettere di compagnie di Firenze ch’erano dentro, e più ve ne avrebbe mandati, se non ch’egli sentì ch’eglino stavano in trattato col Bavero, avegna che a la difensa fossono uniti e feroci. E più assalti e battaglie diede a le porte, e fece cavare sotto le mura, e più difici strani levare per dare battaglia a la città; ma tutto era niente, si era forte e bene guernita. E così vi stette il Bavero all’assedio con grande affanno e con più difalte più d’uno mese. Ma come piacque a Dio, per pulire i peccati de’ Pisani, disensione nacque tra coloro che governavano la terra, e de’ primi fu il conte Fazio figliuolo del conte Gaddo, giovane uomo, e Vanni di Banduccio Bonconti, che per lettere e promesse di Castruccio dissono di volere pace, e gli altri che co·lloro reggeano la terra, temendo, dissono il simigliante; e feciono trattato d’acordo, e di dargli la città, LXm fiorini d’oro, rimanendo in loro giuridizione e stato, e che Castruccio né’ loro usciti non potessono entrare in Pisa sanza loro volontà, stando a’ confini. E compiuto e giurato per lo Bavero il detto falso accordo, gli diedono la terra a dì VIII d’ottobre, gli anni della incarnazione di Cristo MCCCXXVII al nostro corso; e la domenica dì XI d’ottobre appresso v’entrò il Bavero e la donna sua con tutta sua gente paceficamente sanza nulla novità fare; e Castruccio e sua gente e gli usciti di Pisa rimasono di fuori. Ma al terzo giorno i Pisani medesimi per piacere al signore, e per paura, non potendo altro per lo popolo minuto, arsono i patti scritti del loro trattato, e liberamente sanza niuno nisi da capo gli diedono la signoria de la città, e rivocarono Castruccio e tutti i loro usciti i quali di presente tornarono in Pisa. E nulla novità v’ebbe, se non che uno ser Guiglielmo da Colonnata, il qual era stato bargello in Pisa, menandolo al Bavero uno suo conastabole, e il popolo minuto gli venia gridando dietro, il detto conastabole l’uccise ne la piazza in presenza del signore, credendoli piacere; per la qual cosa il detto Bavero per mostrare giustizia fece prendere il detto, ch’avea nome messer Currado de la Scala tedesco, e fecegli tagliare il capo, e fece mandare bando che ogni maniera di gente potesse andare e venire sano e salvo per Pisa e per lo contado, pagando la gabella di danari VIII per libbra d’ogni mercatantia: e ciò fece perché i mercatanti non si partissono di Pisa, e per avere maggiore entrata, e i Pisani civanza di moneta. E ciò fatto, fece una colta sopra i Pisani di LXm fiorini d’oro per pagare suoi cavalieri, e appena fu cominciata di pagare, che ne puose sopra quella una di Cm fiorini d’oro per fornire suo viaggio a Roma; onde i Pisani si tennono morti e consumati, imperciò che per la perdita di Sardigna e per quella guerra erano molto assottigliati d’avere; e chiunque avea niente in Pisa, si pentea forte dell’accordo, che di certo se si fossono sostenuti un altro mese, come poteano, aveano diliberi del Bavero loro e tutta Italia, ma dopo volta si ravidono co·lloro danno e struggimento. Del detto accordo da’ Pisani al Bavero s’ebbe grande dolore per gli Fiorentini e per tutti coloro che teneano a la parte della Chiesa, imperciò che come il Bavero era per istraccarsi durando l’assedio, per la impresa di Pisa fu esaltato e ridottato da tutte genti.
XXXVI Come quegli che fu vescovo d’Arezzo si partì male in accordo dal Bavero, e tornando ad Arezzo morì in Maremma.
Nel detto anno Guido Tarlati signore d’Arezzo, e stato disposto vescovo, si partì di Pisa dal Bavero assai male contento, per grosse parole e rimprocci avuti da Castruccio dinanzi al detto signore; intra gli altri rimprocci che Castruccio il chiamò traditore, dicendo che quand’egli sconfisse i Fiorentini ad Altopascio, e venne con Azzo Visconti a Peretola, se ’l vescovo d’Arezzo fosse venuto colle sue forze verso Firenze per la via di Valdarno, la città di Firenze non si potea tenere; e in parte si potea appressare al vero. Il vescovo rispuose che traditore era egli ch’avea cacciato di Pisa e di Lucca Uguiccione da Faggiuola e tutti i grandi Ghibellini di Lucca che gli avevano data la signoria, sì come tiranno, e ch’egli non dovea rompere la pace a’ Fiorentini, se non la rompessono a·llui, come avea fatto elli, rimproverandogli che se non fossono i suoi cavalieri e danari che gli mandò, non potea sostenere l’oste contra i Fiorentini, e per lui avea vinto. Per questi rimprocci il Bavero non gli avea fatto onore, né ripreso Castruccio, onde molto dispetto prese, e si partì di Pisa; e quando fu in Maremma, cadde malato al castello di Montenero, nel quale passò di questa vita a dì XXI del mese d’ottobre. E innanzi che morisse, in presenza di più genti, frati e cherici e secolari, o per isdegno preso o per buona coscienza, si riconobbe sé avere errato contro al papa e santa Chiesa, e confessò come papa Giovanni era giusto e santo, e ’l Bavero, che si facea chiamare imperadore, era eretico e fautore d’eretici, e sostenitore di tiranni, e non giusto né degno signore, promettendo e giurando (e di ciò a più notai fece fare solenni carte) che se Dio gli rendesse santade, che sempre sarebbe obediente a santa Chiesa e al papa, e nimico de’ suoi ribelli; e con molte lagrime domandò penitenzia e misericordia: ebbe i sacramenti di santa Chiesa, e co la detta contrizione morì; onde fu tenuto gran fatto in Toscana. E lui morto, per gli suoi ne fu portato il corpo ad Arezzo, e là sepolto a grande onore, come quegli ch’avea molto acresciuta la città d’Arezzo e ’l suo vescovado. Per la sua morte l’oste d’Arezzo e di quegli di Castello, ch’erano con battifolli a l’assedio a Castello di Monte Sante Marie, se ne partirono come in isconfitta e tornarono ad Arezzo; e feciono gli Aretini signori de la terra per uno anno Dolfo e Piero Saccone da Pietramala.
XXXVII Come il papa diede alcuna sentenzia contro al Bavero.
Nel detto anno MCCCXXVII, a dì XX d’ottobre, papa Giovanni apo Vignone diede ultima sentenzia di scomunica contro al Bavero, sì come a persecutore di santa Chiesa e fautore degli eretici, privandolo d’ogni dignità temporale e spirituale.
XXXVIII Come il Bavero fece Castruccio duca di Lucca e d’altre terre.
Nel detto anno, a dì IIII di novembre, il Bavero per meritare Castruccio del servigio fattogli d’avere avuta per suo senno e prodezza la città di Pisa n’andò a la città di Lucca con Castruccio insieme, e fugli fatto da’ Lucchesi grande festa e onore; e poi il menò Castruccio in Pistoia per mostrargli la città e contado di Firenze, e com’era a la frontiera e presso a guerreggiare la città di Firenze. E tornaro in Lucca per la festa di san Martino, per la quale con grande trionfo e onore il detto Bavero fece Castruccio duca de la città e distretto di Lucca, e del vescovado di Luni, e de la città e vescovado di Pistoia e di Volterra; e mutò arme a Castruccio, lasciando la sua propia della casa degl’Interminelli col cane di sopra, e fecelo armare a cavallo coverto, e bandiere a modo di duca, col campo ad oro, e al traverso una banda a scacchi pendenti azzurri e argento, sì come l’arme propia al tutto, co’ detti scacchi del ducato di Baviera. E fatta la detta festa, si tornarono in Pisa a dì XVIII di novembre. E in quello brieve tempo che l’avea presa trasse il Bavero de la città di Pisa e del contado, che di libbre e che d’imposte, CLm di fiorini d’oro, e de’ cherici di quella diocesia XXm fiorini d’oro, con grande dolore e torzioni de’ Pisani, sanza quegli ch’ebbe da Castruccio quando il fece duca, che si dice che furono Lm fiorini d’oro. Lasceremo alquanto del processo del detto Bavero, che si riposa in Pisa e in Lucca, e rauna danari per fornire suo viaggio a Roma; e faremo incidenza d’altre cose che furono in Firenze e in altre parti del mondo in questi tempi, tornando poi a nostra materia per seguire il corso e andamento del detto Bavero.
XXXIX Come il re di Scozia corse in Inghilterra.
Nel detto anno MCCCXXVII, del mese d’agosto, il re di Scozia con più di XLm Scotti passò infra l’Inghilterra per guastare il paese più giornate. Il giovane Adoardo terzo re d’Inghilterra con tutta sua cavalleria e forza di gente a piè gli andò incontro, e rinchiuse tutti i detti Scotti in uno parco del vescovo di Durem, e tutti gli avrebbe in quello morti o presi, se non fosse la viltà e tradimento de’ suoi Inghilesi, che non faceano la guardia come si convenia, onde i detti Scotti di notte si partirono, e tutti n’andarono sani e salvi sanza battaglia o caccia niuna.
XL Come il popolo della città d’Imola fu sconfitto da la gente de la Chiesa.
Nel detto anno, a dì VIII di settembre, messer Ricciardo de’ Manfredi di Faenza con gente a cavallo, di quegli del legato cardinale ch’era a Bologna, essendo venuti nella città d’Imola, perché quegli della terra per trattato fatto con Alberghettino suo fratello che avea rubellata Faenza, ed egli con sua gente cavalcarono per avere Imola, il popolo d’Imola si levò a romore per cacciarne il detto messer Ricciardo e la gente de la Chiesa, onde si cominciò la battaglia in su la piazza d’Imola; e per forza d’arme il detto messer Ricciardo con gli Alidogi e loro fedeli, e colla detta cavalleria della Chiesa, ch’erano da Vc cavalieri, sconfissono e ruppono il popolo d’Imola, e uccisonne più di CCCC, che non v’ebbe buona casa che uomo non vi rimanesse morto; e poi corsono la terra e rubarla tutta, onde la piccola città d’Imola quasi rimase distrutta di buona gente, e disolata di preda.
XLI Come in Firenze fu arso maestro Cecco d’Ascoli astrolago per cagione di resia.
Nel detto anno, a dì XVI di settembre, fu arso in Firenze per lo ’nquisitore de’ paterini uno maestro Cecco d’Ascoli, il qual era stato astrolago del duca, e avea dette e rivelate per la scienza d’astronomia, overo di nigromanzia, molte cose future, le quali si trovarono poi vere, degli andamenti del Bavero e de’ fatti di Castruccio e di quegli del duca. La cagione perché fu arso sì fu perché, essendo in Bologna, fece uno trattato sopra la spera, mettendo che nelle spere di sopra erano generazioni di spiriti maligni, i quali si poteano costrignere per incantamenti sotto certe costellazioni a potere fare molte maravigliose cose, mettendo ancora in quello trattato necessità alle infruenze del corso del cielo, e dicendo come Cristo venne in terra accordandosi il volere di Dio co la necessità del corso di storlomia, e dovea per la sua natività essere e vivere co’ suoi discepoli come poltrone, e morire de la morte ch’egli morìo; e come Anticristo dovea venire per corso di pianete in abito ricco e potente; e più altre cose vane e contra fede. Il quale suo libello in Bologna riprovato, e ammonito per lo ’nquisitore che no·llo usasse, gli fu opposto che l’usava in Firenze; la qual cosa si dice che mai non confessò, ma contradisse a la sua sentenzia, che poi che ne fu ammonito in Bologna, mai no·llo usò; ma che il cancelliere del duca, ch’era frate minore vescovo d’Aversa, parendogli abominevole a tenerlo il duca in sua corte, il fece prendere. Ma con tutto che fosse grande astrolago, era uomo vano e di mondana vita, ed erasi steso per audacia di quella sua scienza in cose proibite e non vere, però che la ’nfruenza delle stelle non costringono necessitade, né possono essere contra il libero arbitrio dell’animo dell’uomo, né maggiormente a la proscienzia di Dio, che tutto guida, governa e dispone a la sua volontà.
XLII De la morte del gran medico maestro Dino di Firenze.
Nel detto tempo, a dì XXX di settembre, morì in Firenze maestro Dino del Garbo grandissimo dottore in fisica e in più scienze naturali e filosofiche, il quale al suo tempo fu il migliore e sovrano medico che fosse in Italia, e più nobili libri fece a richesta e intitolati per lo re Ruberto. E questo maestro Dino fu grande cagione de la morte del sopradetto maestro Cecco, riprovando per falso il detto suo libello, il quale avea letto in Bologna, e molti dissono che ’l fece per invidia.
XLIII Come messer Cane della Scala ricominciò guerra a’ Padovani.
Nel detto tempo messer Cane de la Scala signore di Verona ricominciò guerra a’ Padovani col figliuolo di messer Ricciardo da Cammino di Trivigi, e presono il castello d’Esti che teneano i Padovani, e grande danno feciono co·lloro oste intorno a Padova; per la qual cosa i Padovani mandarono per aiuto al duca di Chiarentana, a la cui signoria s’erano dati, il quale mandò in loro aiuto M cavalieri tedeschi, per la qual cosa messer Cane si levò da oste e tornossi a Verona.
XLIV Come i conti da Santa Fiore riebbono Magliano.
Nel detto anno MCCCXXVII i Pancechieschi di Maremma, ch’aveano in guardia il castello di Magliano per lo duca di Calavra, per paura del maliscalco del Bavero, che cavalcò con grossa gente da Pisa in Maremma per andare verso Roma, temendo che’ conti da Santa Fiore con quella gente non gli asediasse, misono fuoco nel detto castello, e vilmente se n’uscirono fuori, e abbandonarono, e’ conti il si ripresono e racconciarono; e’ loro mallevadori furono presi in Firenze per lo duca, e messi in pregione nelle Stinche.
XLV Come la gente de la Chiesa osteggiarono Faenza.
Nel detto tempo la gente della Chiesa ch’era col legato in Bologna cavalcarono con messer Ricciardo Manfredi sopra la città di Faenza per raquistarla, la quale avea rubellata Alberghettino suo fratello, e guastarla intorno con grandissimo danno de la contrada, ma però non poté avere la terra.
XLVI Quando morì il re Giammo d’Araona.
Nel detto anno, del mese d’ottobre, morì lo re Giammo d’Araona di suo male, e fue soppellito in Barzellona; e lo ’nfante Anfus suo figliuolo, il quale conquistò la Sardigna, ne fu fatto e coronato re d’Araona e di Sardigna. Il detto re Giammo fu savio e valoroso signore e di grandi opere e imprese, come per adietro le nostre croniche in più parti fanno menzione.
XLVII Come il Bavero diede a Castruccio più castella de’ Pisani.
Nel detto anno, a dì III di dicembre, i Pisani per comandamento del Bavero renderono a Castruccio, detto duca di Lucca, per guidardone del suo servigio il castello di Serrezzano e quello di Rotina in Versilia, e Montecalvoli e Pietracassa, onde i Pisani si tennono forte gravati.
XLVIII Come il duca fece cacciare uno popolano di Firenze, perché aringò contro a·llui.
Nel detto anno, a dì VII di dicembre, uno popolano di Firenze chiamato Gianni Alfani, per cagione che in uno consiglio di dare aiuto al re Ruberto a richesta de’ suoi ambasciadori il detto Gianni contradisse, il fece il duca condannare nell’avere e persona, e guastare i suoi beni; e con tutto che ’l detto Gianni fosse per sue ree opere degno di quello, e peggio, sì spiacque a tutti i popolani di Firenze per assempro di loro, e però ch’egli avea pure detto bene per lo Comune, e ragionevolemente, ma disselo con troppa audacia e prosunzione contra il signore. Avenne fatta menzione, non per lo detto Gianni, che non era degno di scrivere in cronica, ma per esemplo, e perché a’ Fiorentini parve essere troppo fedeli del signore, per questa cagione recando in loro assempro che chi a uno offende a molti minaccia.
XLIX Come il Bavero si partì di Pisa per andare a Roma.
Nel detto anno MCCCXXVII il Bavero essendo stato in Pisa, poi che la vinse, come adietro facemmo menzione, non intese a fare guerra niuna contra’ Fiorentini, né contra il loro signore messer lo duca, ma solamente a raunare moneta per fornire suo cammino verso Roma, e da l’ottobre ch’egli prese Pisa infino a la sua partita trasse da’ Pisani, con XXm fiorini d’oro che impuose al chericato di Pisa, che di libbre e d’imposte e di loro rendite e gabelle, CCm fiorini d’oro, con molti guai de’ Pisani, che alla loro difensione contra al detto Bavero non ardirono a imporre Vm. E ciò fatto, a dì XV di dicembre nel detto anno, con sua gente in numero di IIIm cavalieri e con più di Xm bestie uscì della città di Pisa, e acampossi a la badia di Santo Remedio presso a Pisa a tre miglia, e di là mandò innanzi per la via di Maremma il suo maliscalco co’ conti a Santa Fiore e con Ugolinuccio da Baschio con VIIc cavalieri e IIm pedoni, acciò che prendessono i passi di Maremma, e fornissono il cammino di vittuaglia. E nel detto luogo soggiornò il Bavero VI dì per attendere Castruccio duca di Lucca, il quale mal volentieri andava con lui a Roma, temendo di lasciare isguernita la città di Lucca e di Pistoia. A la file non vegnendo il detto Castruccio, e il Bavero avendo lettere e messaggi da’ Romani, che avacciasse sua andata a Roma se volesse la terra, acciò che la parte degli Orsini e della Chiesa non vi mettessero prima la forza e gente del re Ruberto, si partì a dì XXI di dicembre, e fece la pasqua di Natale a Castiglione della Pescaia; e poi di là passò il fiume d’Ombrone a la foce di Grosseto con grande affanno, perché per le gravi piogge il detto fiume era molto grosso, e uno ponte apposticcio ch’aveano fatto fare il suo maliscalco co’ detti Maremmani, per soperchio incarico di sua gente si ruppe, e assai di sua gente e loro cavagli annegarono, e convenne che ’l signore passasse a la foce a la marina con due galee e più barche che fece venire da Piombino. Il quale passaggio, se ’l duca di Calavra co la sua gente e co’ Sanesi avesse voluto impedire, assai era loro leggere e sicuro; ma poi che ’l Bavero fu in Toscana, il detto duca nol volle vedere né lui né sua gente, o per viltà di cuore, o per senno e comandamento del padre lo re Ruberto, per non venire a la zuffa co’ Tedeschi, che l’andavano caendo. E così passò il Bavero la Maremma con grande affanno e con male tempo e grande soffratta di vittuaglia, albergando per necessità i più de la sua gente a campo nel cuore del verno. E pochi giorni apresso Castruccio con IIIc cavalieri de la migliore gente ch’egli avea, e con M balestrieri tra Genovesi e Toscani, seguì il Bavero e giunselo a Viterbo, e lasciò in Lucca e in Pistoia e in Pisa da M cavalieri per guardia con buoni capitani. Il detto Bavero, faccendo la via di Santa Fiore, e poi da Corneto e da Toscanella, giunse nella città di Viterbo a dì II del mese di gennaio del detto anno; ne la quale fu ricevuto a grande onore, sì come loro signore, però che Viterbo si tenea a parte d’imperio, ed erane signore e tiranno di quella uno ch’avea nome Salvestro di Gatti loro cittadino.
Lasceremo alquanto gli andamenti del Bavero, e torneremo a·cciò che fece il duca di Calavra.
L Come il duca di Calavra si partì della città di Firenze, e andonne nel Regno per contradiare al Bavero.
Sentendo il duca di Calavra ch’era in Firenze la partita del Bavero de la città di Pisa, e come già era entrato in Maremma, a dì XXIIII di dicembre nel detto anno fece uno grande parlamento in sul palagio del Comune ove abitava, ove furono i priori e’ gonfalonieri e’ capitani de la parte guelfa, e tutti i collegi degli uficiali di Firenze, e gran parte de la buona gente de la cittade, grandi e popolani; e quivi per suoi savi solennemente e con belle dicerie anunziò la sua partita, la quale a·llui era di necessità per guardare il suo regno e per contastare le forze del Bavero, confortando i Fiorentini che rimanessono in costanza e fedeli e con buono animo a parte di santa Chiesa e al padre e a·llui, e ch’egli lasciava loro capitano e suo luogotenente messer Filippo di Sangineto, figliuolo del conte di Catanzano di Calavra, e per suo consiglio messer Giovanni di Giovannazzo e messer Giovanni da Civita di Tieti, grandi savi in ragione e in pratica, e gente d’arme da M cavalieri, pagandogli CCm fiorini d’oro l’anno, com’egli ci fosse, per soldo de’ detti cavalieri, promettendo che quando bisognasse egli in persona o altri di suo lignaggio verrebbe con tutte sue forze a l’aiuto e difensione di Firenze. A·cciò che fu proposto e detto per gli savi del duca, saviamente e con belle aringherie fornite di molte autoritadi fu fatta la risposta per gli Fiorentini per certi loro savi, mostrando doglia e pesanza di sua partita, però che con tutto non fosse stato vivo signore né guerriere, come molti Fiorentini avrebbono voluto, e come potea colle sue forze, sì fu pur dolce signore e di buono aiere a’ cittadini, e nella sua stanza adirizzò molto il male stato di Firenze, ed ispense le sette ch’erano tra’ cittadini, e con tutto che costasse grossamente la sua stanza in Firenze, che di vero si trovarono spesi per lo Comune, in XVIIII mesi che il detto duca fu in Firenze, co la moneta ch’egli aveva de’ gaggi, più di DCCCCm di fiorini d’oro; e io il posso testimonare con verità, che per lo Comune fui a farne ragione, con tutto che’ cittadini e tutti artefici guadagnarono assai da lui e da sua gente. E dilibero il detto parlamento, il dì apresso del Natale fece il duca grande corredo, e diè mangiare a molti buoni cittadini, e gran corte di donne, e con grande festa e danze e allegrezza; e poi il lunedì vegnente dopo terza, dì XXVIII di dicembre, si partì il detto duca di Firenze co la donna sua, e con tutti i suoi baroni, e con ben MD cavalieri de la migliore gente ch’avesse, e seguì suo cammino soggiornando in Siena e in Perugia e a Rieti; e a dì XVI di gennaio, anno detto, giunse a l’Aquila, e là si fermò con sua gente. Lasceremo alquanto del Bavero e del duca, faccendo incidenza per dire d’altre novità infra ’l detto tempo.
LI Come il borgo a San Donnino s’arendé a la Chiesa.
Nel detto anno MCCCXXVII, del mese di dicembre, il borgo a San Donnino in Lombardia, che tanto avea fatto di guerra e di danno a la parte della Chiesa, partitane la cavalleria di Milano per l’altre guerre cominciate per la venuta del Bavero in Toscana, per certo trattato tra’ terrazzani s’arendéo a’ figliuoli di messer Ghiberto da Coreggio di Parma per lo legato del papa ch’era in Lombardia, e costò danari assai al detto legato.
LII Come fu fatto accordo tra’ Perugini e la Città di Castello.
Nel detto anno e mese si fece accordo da’ Perugini a la Città di Castello, rimagnendo la signoria di Castello a’ Tarlati d’Arezzo e a’ figliuoli di Tano degli Ubaldini che n’erano signori, e a la parte ghibellina, rimettendo nella città certi usciti guelfi e parte rimanendo a’ confini, riavendo il frutto di loro posessioni, e prendendo podestà e capitano di Perugia di parte ghibellina a·lloro volontà. E ciò feciono i Perugini perch’erano molto affannati de la detta guerra, e per la venuta del Bavero male potuti atare da’ Fiorentini e dagli altri Toscani.
LIII Come il papa fece X cardinali.
Nel detto anno, a dì XVIII di dicembre, per le digiune Quattro Tempora, papa Giovanni per riformare e rafforzare lo stato suo e della Chiesa per la venuta del Bavero, e per la nimistà che la Chiesa avea presa co·llui, appo Vignone in Proenza fece X cardinali, i nomi de’ quali furono questi: messer l’arcivescovo di Tolosa, che l’arcivescovo di Napoli, che messer Anibaldo di quegli di Ceccano in Campagna, lo vescovo di Siponto, cioè fra Matteo degli Orsini di Campo di Fiore, lo vescovo d’Alsurro ch’è di Francia, lo vescovo di Ciarteri anche francesco, lo vescovo di Cartaina di Spagna, lo vescovo di Mirapesce di tolosana, lo vescovo di San Paulo anche di tolosana, messer Giovanni figliuolo di messer Stefano de la Colonna di Roma, messer Imberto di Ponzo di Caorsa parente del detto papa.
LIV Di certe novità che il legato del papa fece in Firenze.
Nel detto anno, il dì apresso la Pifania, per mandato del cardinale degli Orsini legato in Toscana, il quale era in terra di Roma, in Firenze si celebrò tre dì continui processione per tutti i religiosi e secolari maschi e femmine che la vollono seguire, pregando Idio che desse il suo aiuto a santa Chiesa a la difensione del Bavero, e lui recasse a l’obedienza della Chiesa, e pace; e però diede grandi indulgenzie e perdono. E in questo tempo il papa diede al detto legato per sua mensa le rendite de la Badia di Firenze, ch’era morto l’abate, e vacava, il quale la prese, e poi non vi fu abate; e per gli monaci ch’erano X, con ogni fornimento di cappellani e della chiesa, lasciò Vc fiorini d’oro; e fu grande ragione, ché la Badia avea di rendita presso a IIm fiorini d’oro, ed ispendeasi fra X monaci e uno abate.
LV Come il Bavero si partì di Viterbo e andonne a Roma.
Nel detto anno MCCCXXVII, essendo il Bavero giunto in Viterbo, in Roma nacque grande questione tra ’l popolo, e spezialmente tra’ LII buoni uomini, chiamati IIII per rione a la guardia del popolo romano, che parte di loro voleano liberamente la venuta del Bavero sì come loro signore, e parte di loro parendo mal fare e contra santa Chiesa, e parte voleano patteggiare co·llui anzi che si ricevesse in Roma; e a questo terzo consiglio s’apresono nel palese per contentare il popolo, e mandargli solenni ambasciadori a·cciò trattare. Ma Sciarra della Colonna e Iacopo Savelli, ch’erano capitani del popolo, coll’aiuto di Tibaldo di quegli di Santo Stazio, grandi e possenti Romani, i quali tre caporali erano stati cagione de la revoluzione di Roma, e cacciati n’aveano gli Orsini e messer Stefano de la Colonna, e’ figliuoli, tutto fosse fratello carnale del detto Sciarra, però ch’era cavaliere del re Ruberto e teneasi a sua parte; per la qual cosa tutti gli amici del re Ruberto per tema si partirono di Roma, e tolto fu agli Orsini Castello Santangiolo, e tutte le forze di Roma a·lloro e a·lloro seguaci, sotto la forza e guardia del popolo. I sopradetti tre capitani del popolo sempre nel segreto, dissimulando il popolo, ordinavano e trattavano la venuta del Bavero e di farlo re de’ Romani, per animo di parte ghibellina, e per molta moneta ch’ebbono da Castruccio duca di Lucca, e da la parte ghibellina di Toscana e di Lombardia. Incontanente mandarono segreti messi e lettere a Viterbo al Bavero, che lasciasse ogni dimoranza, e venisse a Roma, e non guardasse a mandato o detto degli ambasciadori del popolo di Roma. I quali ambasciadori giunti a Viterbo, ed isposta solennemente la loro ambasciata co le condizioni e patti loro imposte per lo popolo di Roma, commise il Bavero la risposta dell’ambasciata a Castruccio signore di Lucca, il quale, com’era per lo segreto ordinato, fece sonare trombe e trombette, e mandò bando ch’ogni uomo cavalcasse verso Roma; «e questa», disse agli ambasciadori di Roma, «è la risposta del signore imperadore». I detti ambasciadori cortesemente ritenne, e fece ordinare e mandò scorridori innanzi prendendo ogni passo, acciò che ogni messaggio o persona ch’andasse verso Roma fosse arrestato e ritenuto. E così si partì il detto Bavero con sua gente de la città di Viterbo martidì a dì V di gennaio, e giunse in Roma il giuovidì vegnente, dì VII di gennaio MCCCXXVII, nell’ora di nona, e con sua compagnia bene IIIIm cavalieri, sanza contasto niuno, com’era ordinato per gli detti capitani, e da’ Romani fue ricevuto graziosamente, ed ismontò ne’ palazzi di Santo Pietro, e là dimorò IIII giorni; poi passò il fiume del Tevero per venire ad abitare a Santa Maria Maggiore; e il lunidì vegnente salì in Campidoglio, e fece uno grande parlamento, ove fu tutto il popolo di Roma, ch’amava la sua signoria, e degli altri; e in quello il vescovo d’Ellera dell’ordine degli agostini disse la parola per lui con belle autoritadi, ringraziando il popolo di Roma dell’onore che gli aveano fatto, dicendo e promettendo com’egli avea intenzione di mantenergli e innalzargli, e di mettere il popolo di Roma in ogni buono stato, onde a’ Romani piacque molto, gridando: «Viva, viva il nostro signore e re de’ Romani!». E nel detto parlamento s’ordinò la sua coronazione la domenica vegnente, e nel detto parlamento il popolo di Roma il feciono sanatore e capitano del popolo per un anno.
E nota che col detto Bavero vennono in Roma molti cherici e parlati e frati di tutte l’ordini, i quali erano ribelli e sismatici di santa Chiesa, e tutta la sentina degli eretici de’ Cristiani per contradio di papa Giovanni; per la qual cosa molti de’ cattolici cherici e frati si partirono di Roma, e fu la terra e la santa città interdetta, e non vi si cantava uficio sacro né sonava campana, se non che s’uficiava per gli suoi cherici sismatici e scomunicati. E ’l detto Bavero commise a Sciarra della Colonna ch’egli costrignesse i cattolici cherici che dicessono il divino uficio; ma per tutto ciò niente ne vollono fare; e il santo sudario di Cristo fu nascoso per uno calonaco di San Piero che l’avea in guardia, perché non gli parea degno si vedesse per gli detti sismatici, onde in Roma n’ebbe grande turbazione.
LVI Come Lodovico di Baviera si fece coronare per lo popolo di Roma per loro re e imperadore.
Nel detto anno MCCCXXVII, domenica dì XVII gennaio, Lodovico duca di Baviera eletto re de’ Romani fu coronato a Santo Pietro di Roma con grandissimo onore e trionfo, come diremo appresso; cioè ch’egli e la moglie con tutta sua gente armata si partirono la mattina da Santa Maria Maggiore, ove allora abitava, vegnendo a Santo Pietro, armeggiandogli innanzi IIII Romani per rione con bandiere, coverti di zendado i loro cavagli, e molta altra gente forestiera, essendo le vie tutte spazzate e piene di mortella e d’alloro, e di sopra a ciascuna casa tese e parate le più belle gioie e drappi e ornamenti che avessono in casa. Il modo come fu coronato, e chi il coronò, furono gl’infrascritti: Sciarra de la Colonna, ch’era stato capitano di popolo, Buccio di Proresso, e Orsino... stati sanatori, e Pietro di Montenero cavaliere di Roma, tutti vestiti a drappi ad oro; e co’ detti a coronarlo sì furono de’ LII del popolo, e ’l prefetto di Roma sempre andandogli innanzi, come dice il titolo suo, ed era adestrato da’ sopradetti IIII capitani, sanatori e cavaliere, e da Giacopo Savelli, e Tibaldo di Santo Stazio, e molti altri baroni di Roma; e tuttora si facea andare innanzi uno giudice di legge, il quale avea per istratto l’ordine dello ’mperio. E col detto ordine si guidò alla sua coronazione. E non trovando niuno difetto, fuori la benedizione e confermazione del papa, che non v’era, e del conte del palazzo di Laterano, il quale s’era cessato di Roma, che secondo l’ordine dello ’mperio il doveva tenere quando prende la cresima a l’altare maggiore di Santo Pietro, e ricevere la corona quando la si trae, si providde, innanzi si coronasse, di fare conte del detto titolo Castruccio detto duca di Lucca. E prima con grandissima sollecitudine il fece cavaliere cignendogli la spada colle sue mani, e dandogli la collata; e molti altri ne fece poi cavalieri pur toccandogli co la bacchetta dell’oro, e Castruccio ne fece in sua compagnia VII. E ciò fatto, si fece consecrare il detto Bavero come imperadore, in luogo del papa o de’ suoi legati cardinali, a sismatici e scomunicati, al vescovo che fu di Vinegia nipote che fu del cardinale da Prato, e al vescovo d’Ellera; e per simile modo fu coronata la sua donna come imperadrice. E come il Bavero fu coronato, si fece leggere tre decreti imperiali, prima della cattolica fede, il secondo d’onorare e reverire i cherici, il terzo di conservare le ragioni de le vedove e pupilli, la quale ipocrita dissimulazione piacque molto a’ Romani. E ciò fatto, fece dire la messa; e compiuta la detta solennitade, si partirono di Santo Pietro, e vennono nella piazza di Santa Maria dell’Ariacelo dov’era apparecchiato il mangiare; e per la molta e lunga solennità fue sera innanzi che si mangiasse; e la notte rimasono a dormire in Campidoglio. E la mattina apresso fece sanatore e suo luogotenente Castruccio duca di Lucca, e lasciollo in Campidoglio; ed egli e la moglie se n’andarono a San Giovanni Laterano. In questo modo fu coronato a imperadore e re de’ Romani Lodovico detto Bavero per lo popolo di Roma, a grande dispetto e onta del papa e della Chiesa di Roma, non guardando niuna reverenza di santa Chiesa.
E nota che presunzione fu quella del detto dannato Bavero, che non troverrai per nulla cronica antica o novella che nullo imperadore cristiano mai si facesse coronare se non al papa o a suo legato, tutto fossono molto contradi della Chiesa, o prima o poi, se non questo Bavero; la qual cosa fu molto da maravigliare. Lasceremo alquanto di dire ora più del Bavero, faccendo alcuna incidenza, però che rimane in Roma per ordinare e fare maggiori e più maravigliose cose. Ma come egli fu coronato, sanza soggiorno se fosse andato colla sua gente verso il regno di Puglia, nullo ritegno né difensione v’avea, con tutto che ’l duca di Calavra fosse a la frontiera a l’Aquila con MD cavalieri, e guernito Rieti, e Cepperano, e ponte Corbolo, e San Germano di gente d’arme; ma il detto Bavero si trovò in Roma a la detta sua coronazione più di Vm cavalieri, tra Tedeschi e Latini, buona gente d’arme e volonterosi di battaglia; ma a cui Idio vuole male gli toglie il buono consiglio, e così avenne a·llui, come inanzi nel suo processo faremo menzione.
LVII Come quegli da Fabbriano furono sconfitti da la gente de la Chiesa.
Nel detto anno MCCCXXVII, di gennaio, essendo l’oste della Chiesa sopra il castello di Fornoli ne la Marca d’Ancona, quegli da Fabbriano ribegli de la Chiesa con IIIIc cavalieri e IIm pedoni per levare il detto assedio vennono e puosonsi ivi presso a un altro castello che teneano que’ della Chiesa. Tano da Iegi capitano della gente della Chiesa gli asalì con sua gente e miseli in isconfitta, e rimasonvi VII bandiere di cavalieri, e da CLXX cavagli, e ben IIIc uomini morti e IIIIc presi.
LVIII Conta de’ fatti di Firenze.
Nel detto anno, a dì XXII di gennaio, si cominciò a fondare in Firenze la grande porta de la cittade sopra le mura che va verso Siena e verso Roma, presso al munistero de le Donne di Monticelli Oltrarno; e in quelli tempo si dificarono quelle mura nuove della cittade intorno a la detta porta verso il poggio di Bogoli. Domenica notte vegnente, a dì XXIIII di gennaio, s’apprese il fuoco in Firenze nel sesto di Borgo presso a la loggia de’ Bondelmonti, e arsonvi due case sanza altro danno.
LIX Come la città di Pistoia fu presa per lo capitano del duca e de’ Fiorentini.
Nel detto anno MCCCXXVII, a l’uscita di gennaio, essendo messo innanzi segretamente a messer Filippo di Sangineto, capitano di guerra per lo duca rimaso in Firenze, per uno Baldo Cecchi e Iacopo di messer Braccio Bandini Guelfi usciti di Pistoia come potea avere la città di Pistoia per imbolìo e forza, se si volesse assicurare, il detto messer Filippo cautamente intese al trattato, e segretamente fece fare nel castello dello ’mperadore di Prato ponte di legname, e scale e bolcioni e altri difici da combattere terre; e mercolidì sera, a dì XXVII di gennaio, serrate le porte, si partì il detto messere Filippo di Firenze con VIc uomini di cavallo di sua gente, e non menò seco nullo Fiorentino, se non messer Simone di messer Rosso della Tosa, che ordinò il trattato col detto messer Filippo. E anzi mezzanotte giunsono a Prato, dov’erano apparecchiati i detti difici di legname, e caricandogli in muli e aportatori mandati di Firenze, si mise in via menando seco IIm fanti a piè tra Pratesi e soldati de’ Fiorentini ch’erano ordinati in Prato; e giunse a Pistoia anzi il giorno di costa a la porta di San Marco da la parte ov’era il fosso con meno acqua, e il luogo de la terra più solitario e peggio guardato. I detti Baldo e Iacopo passaro il fosso su per lo ghiaccio, e con iscala salirono in su le mura che non furono da nulli sentiti, e ivi su misono le bandiere del duca e del Comune di Firenze, e per simile modo ne misono dentro da C fanti; e trovandogli l’uficiale ch’andava ricercando le guardie, levò il romore, e egli e sua compagnia furono morti di presente, e la terra fu tutta ad arme. In quello la gente di messer Filippo puosono il ponte sopra il fosso, e con più scale messe a le mura molta gente vi misono dentro, e co’ bolcioni dentro e di fuori pertugiarono il muro in due parti, per modo che vi poteano mettere il cavallo, onde menando a mano più ve ne furono messi; e messer Filippo in persona con alquanti di sua gente v’entrò dentro, e incontanente seminarono triboli di ferro, ch’aveano portati, per le vie d’onde i nemici poteano loro venire adosso, per impedire loro e’ loro cavagli; e come vi furono ingrossati dentro, la cavalleria e gente di fuori e quegli entrati dentro combatterono la torre de la porta a Sa·Marco, e misono fuoco nel ponte e porta dell’antiporta. La gente di Castruccio, che v’erano dentro da CL cavalieri e Vc pedoni soldati a la guardia, sanza i cittadini, francamente parte di loro rimagnendo armati in su la piazza, e parte vennono a combattere la gente ch’era entrata da le mura, e per forza gli ripinsono allo stretto e rottura de le mura, e molti se ne gittavano fuori, se non fosse la virtù e sollecitudine del detto messer Filippo e di sua compagna, ch’erano dentro già con centocinquanta cavalieri, i quali montando in su i loro cavagli con grande vigore percossono a’ nemici e per due riprese gli rimisono in rotta; e intanto arsa l’antiporta, e per quelli ch’erano dentro tagliata la porta, e le guardie de la torre morti e fuggiti, tutta la cavalleria e gente di fuori con grande vigore e grida e spavento di trombe e di nacchere entrarono ne la terra. E ciò sentendo la gente di Castruccio, con due suoi figliuoli piccoli che dentro v’erano, Arrigo e Galerano, si ridussono al Prato nel castello fatto per Castruccio chiamato Bellaspera, il quale tutto non fosse compiuto era molto maraviglioso e forte. Gli spaventati cittadini, uomini e femmine di Pistoia, de la sùbita presa non proveduti, e ancora non era giorno, a nulla difesa della città intesono se non a lo scampo di loro e di loro cose, correndo come ismarriti qua e là per la terra. La cavalleria e gente del capitano, e’ Fiorentini e’ Pratesi la maggior parte, si sparsono per la terra a la preda e ruberia, che quasi il capitano e messer Simone non rimasono con LXXX a cavallo co le bandiere ducali e del Comune di Firenze, i quali traendo dietro a’ nimici nel Prato, i Tedeschi di Castruccio vigorosamente percossono al capitano e a sua gente, e diedono loro molto a·ffare per più assalti; e furono in pericolo d’essere sconfitti e cacciati i nostri della terra per mala condotta de’ Borgognoni soldati, che s’erano sparti per la città a la ruberia, e lasciate le bandiere e ’l capitano; ma ischiarando il giorno, la gente cominciò ad andare al Prato al soccorso del capitano. I nimici veggendo la gente nostra ingrossare, e già di loro e morti e presi, si rinchiusono nel castello, e intesono di quello per la porta Luccese co’ detti figliuoli di Castruccio sanza ritegno scampare, e fuggendo verso Serravalle, e lasciando molti l’arme e’ cavagli, e presine e morti alquanti. Ma se per lo capitano fosse stato meglio proveduto, o da’ suoi cavalieri meglio obbidito, che parte di loro fossono cavalcati di fuori a la porta Luccese, i figliuoli di Castruccio e tutta sua gente erano morti e presi. In questo modo fu presa la città di Pistoia giuovidì a dì XXVIII di gennaio anni MCCCXXVII, e tutta fu corsa e rubata sanza nullo ritegno, e durò la ruberia più di X dì, rubando Guelfi e Ghibellini, onde molto fu ripreso il capitano; che se a·cciò avesse riparato, e co la sua gente e con Vc cavalieri della Chiesa, ch’allora erano in Prato, fosse di presente cavalcato, avrebbe avuto Serravalle, Carmignano, Montemurlo, e Tizzano, o alcuno de’ detti castelli. Ma il vizio della covidigia guasta ogni buono consiglio. Raquetata la ruberia, il capitano riformò la terra per lo re Ruberto e per lo duca, e lasciòvi per capitano il detto messer Simone de la Tosa con CCL soldati e M pedoni al soldo del Comune di Firenze, e il detto messer Filippo tornò in Firenze, domenica a dì VII di febbraio, con grande onore e trionfo fattogli per gli Fiorentini d’armeggiatori con bandiere e coverti di zendadi, e andargli incontro co la cavalleria e popolani a piè, ciascuna compagnia col suo gonfalone, e fattogli palio per mettere sopra capo, ma ciò non volle acconsentire, ma fecevi mandare sotto innanzi a·llui il pennone dell’arme del duca, ch’elli usava portare sopra capo, che gli fu posto in gran senno e conoscenza, e menonne seco molti pregioni pistolesi e altri, e uno figliuolo del traditore messer Filippo Tedici e uno suo nipote piccoli garzoni, e più altri cari figliuoli de’ Ghibellini di Pistoia, e molta roba, drappi, arnesi, e gioelli.
Avemo sì distesamente inarrato la presura della città di Pistoia, però che per sì fatto modo e così forte città di mura e di fossi e guernita di gente d’arme non fu presa in Toscana già fa grandissimo tempo, e ancora per la sequela ch’avenne poi della detta presura, come diremo appresso. E per l’aquisto di Pistoia a dì VI di febbraio s’arendé la castellina ch’è sopra Puntormo, la quale molta guerra avea fatta a la strada che vae a Pisa.
LX Come Castruccio si partì di Roma dal Bavero sì tosto come seppe la perdita di Pistoia.
Essendo Castruccio in Roma col Bavero in tanta gloria e trionfo, come detto avemo, d’esser fatto cavaliere a tanto onore, e confermato duca, e fatto conte di palazzo e sanatore di Roma, e più ch’al tutto, era signore e maestro de la corte del detto imperadore, e più era temuto e ubbidito che ’l Bavero, per leggiadria e grandezza fece una roba di sciamito cremesi, e dinanzi al petto con lettere d’oro che diceano: «È quello che Idio vuole», e nelle spalle di dietro simili lettere che diceano: «E sì sarà quello che Idio vorrà». E così egli medesimo profetezzò in sé le future sentenzie di Dio. E stando lui in tanta gloria, come piacque a·dDio, prima perdé la città di Pistoia per lo modo che detto avemo. Come la gente di Castruccio ebbono perduta Pistoia, incontanente per terra e per mare mandarono messaggi e vacchette armate, sì che per la via di mare Castruccio seppe la novella in Roma in tre dì. Incontanente Castruccio fu al Bavero e re de’ Romani detto imperadore, e dolfesi forte de la perdita di Pistoia, rimprocciando che se non l’avesse menato seco Pistoia non sarebbe perduta, mostrando grande gelosia della città di Pisa e di quella di Lucca, che nonn avessono mutazione. Incontanente prese congio da·llui, e partissi di Roma il primo dì di febbraio con sua gente. Ma Castruccio lasciò sua gente in cammino, ed egli con pochi con grande sollecitudine e rischio per gli passi di Maremma cavalcò innanzi, e giunse in Pisa con XII a cavallo a dì VIIII di febbraio, anni MCCCXXVII. E la sua gente, ch’erano Vc cavalieri e M pedoni a balestra, giunsono più giorni apresso. E nota che per la partita di Castruccio tutto l’osordio e imprese del Bavero ch’avea ordinate per passare nel Regno, gli vennono poi corte e fallite, come innanzi faremo menzione; però che Castruccio era di grande consiglio in guerra e bene aventuroso, ed egli solo più temuto dal re Ruberto e dal duca e da quegli del Regno, che ’l Bavero con tutta sua gente. Sì che per l’aquisto di Pistoia Castruccio si partì di Roma, onde allora il Bavero prolungò l’andare nel Regno, che se vi fosse ito sanza indugio e col senno di Castruccio e con sua gente, di certo il re Ruberto era in pericolo di potersi difendere, perché male s’era ancora proveduto a la difesa. Come Castruccio fue in Pisa, al tutto prese la signoria de la terra, e recò a sé tutte l’entrate e le gabelle de’ Pisani; e oltre a·cciò gli gravò di più incarichi di moneta. E poco apresso per alcuno trattato credette avere Montetopoli per imbolìo, e cavalcòvi con sua gente una notte, e di sua gente per condotta del traditore entrarono infino a l’antiporta. La mattina per tempo quegli de la terra, e’ soldati a cavallo e a piè che v’erano per lo Comune di Firenze, sentirono il tradimento, e vigorosamente difesono la porta, e uccisono il traditore, e coloro cu’ egli avea già condotti dentro. Per la qual cosa Castruccio si tornò a Pisa, e poi in calen di marzo fece fare una grande cavalcata nel piano di Pistoia, ed egli medesimo venne a provedere Pistoia, come quegli che tutto suo animo era disposto in raquistarla; e fece fornire Montemurlo, e tornossi in Lucca sanza contasto niuno da’ Fiorentini o dal capitano del duca.
Lasceremo alquanto de’ processi di Castruccio, e diremo d’altre cose istrane ch’avennono ne’ detti tempi.
LXI Come e quando morì Carlo re di Francia.
Nel detto anno MCCCXXVII, il dì di calen di febbraio, morì Carlo re di Francia di sua malatia, e cogli altri re fu soppellito a San Donis a grande onore. Questi non lasciò nullo figliuolo, ma la reina sua moglie, la quale, come adietro facemmo menzione, era sua cugina carnale, rimase grossa, e fu fatto governatore del reame messer Filippo di Valos suo cugino, e figliuolo che fu di messer Carlo di Valos. Al detto termine la detta reina fece una figlia femmina, sì che de la signoria del reame fu fuori e di quistione, e il detto messer Filippo ne fu re, come innanzi faremo menzione. Questo re Carlo fu di piccola bontà, e al suo tempo non fece cosa notabile, e in lui finì l’eritaggio del reame del suo padre il re Filippo, e de’ suoi fratelli, che co·llui furono IIII re: Luis e Giovanni suo piccolo figliuolo nato della reina Cremenza poi che morì il padre, che non vivette che XX dì, ma pur fu nel numero de’ re; e morto il detto fanciullo succedette e fu re il zio, ciò fu il re Filippo, e poi il detto Carlo, e di niuno rimase reda maschio; ciò avenne loro la sentenzia che ’l vescovo d’Ansiona profetezzò loro, come dicemmo adietro nel capitolo della presura e morte di papa Bonifazio, come per lo detto peccato commesso per lo re Filippo loro padre egli e’ suoi figliuoli avrebbono gran vergogna e abbassamento di loro stato, e i·lloro fallirebbe la signoria del reame. E così avenne, che come adietro facemmo menzione, vivendo il detto re Filippo padre, le donne de’ suoi detti tre figliuoli furono trovate in avolterio con grande vergogna de la casa reale, e in loro fallì la signoria del reame, che di nullo di loro rimase reda maschio. E però è da guardare d’offendere chi è in luogotenente di Cristo, né a santa Chiesa, a diritto né a torto, che con tutto che’ suoi pastori per loro difetti non sieno degni, l’offesa a·lloro fatta è dell’onnipotente Iddio.
LXII Come in tutta Italia fu corruzzione di febbre.
Nel detto anno e mese di febbraio fu per tutta Italia una generale corruzzione di febbre mossa per freddo, onde i più de le genti ne sentirono, ma pochi ne morirono. Dissono gli astrolaghi naturali che di ciò fu cagione l’aversione di Mars e di Saturno.
LXIII Come il conte Guiglielmo Spadalunga prese Romena e poi la lasciò.
Nel detto anno, a dì XXVI di febbraio, Guiglielmo Spadalunga, de’ conti Guidi ghibellini, coll’aiuto di IIIc cavalieri tedeschi ch’ebbe dagli Aretini, prese il castello di Romena, salvo la rocca, il quale era de’ suoi consorti guelfi figliuoli del conte Aghinolfo; onde in Firenze per cagione dell’essere del Bavero n’ebbe grande gelosia e paura; e cavalcarvi le masnade de’ cavalieri, e gli altri conti Guidi guelfi si raunarono co·lloro isforzo per contradiare il detto conte Guiglielmo, il quale veggendo sì sùbito soccorso, ed egli mal proveduto di vittuaglia, lasciò la terra con alcuno danno di sua gente.
LXIV Come i Genovesi ripresono il castello di Volteri.
Nel detto anno MCCCXXVII, a l’entrante di marzo, i Genovesi d’entro ripresono per forza e ingegno il castello di Volteri con grande danno di loro usciti che dentro v’erano, che molti ne furono morti e presi.
LXV Come si cominciò guerra tra’ Viniziani e gli usciti di Genova e que’ di Saona.
Nel detto tempo si cominciò guerra in mare tra’ Viniziani e quegli di Saona e gli usciti di Genova, per cagione che’ detti usciti di Genova corseggiando in mare in Soria e in Romania, più cocche e galee cariche d’avere de’ mercatanti di Vinegia presono tra più volte nel detto anno, in quantità di valuta di più di LXXm fiorini d’oro, e più di IIIc Viniziani per più riprese, e in più legni affrontandosi co·lloro a·bbattaglia furono morti. A la fine volendo gli Viniziani pigliare la guerra per comune, e ordinato, e già armate LX galee, Castruccio signore di Lucca per animo di parte, che·ll’una parte e l’altra erano Ghibellini, prese in mano la differenza, e accordogli insieme con amenda a’ Viniziani di libbre M di viniziani grossi, e grande danno e vergogna de’ Viniziani; ma feciollo per non perdere il navicare, e per tema di soperchia spesa; ma più gli vinse animo di parte e la loro viltade.
LXVI Come il Bavero fece cominciare guerra a la città d’Orbivieto.
Nel detto anno il Bavero che si facea chiamare imperadore, essendo rimaso in Roma dopo la partita di Castruccio, mandò de’ suoi cavalieri da MD a Viterbo, e fece cominciare guerra a la città d’Orbivieto, perché si teneano a la parte della Chiesa, e molte ville e castella di loro contado arsono e guastarono; e maggior danno avrebbono fatto, se non che a dì IIII di marzo in Roma nacque una grande zuffa tra’ Romani e’ Tedeschi, per cagione che di vittuaglia che prendeano non voleano dare danaio, onde molti Tedeschi furono morti, e furonne i Romani sotto l’arme, e abarrarsi in più parti in Roma. Per la qual cosa il Bavero ebbe sospetto di tradimento; s’afforzò in Castello Santo Angiolo, e tutta sua gente fece tornare ad abitare ne la contrada si chiama Portico di San Piero, e per la sua gente ch’era sopra Orbivieto rimandò, e fece ritornare in Roma. Alla fine s’aquetò la zuffa, e più Romani furono condannati, onde s’acrebbe la loro mala volontà contra il Bavero e sua gente.
LXVII Come il Bavero fece torre la signoria di Viterbo e il suo tesoro a Salvestro de’ Gatti che n’era signore.
Nel detto anno MCCCXXVII, del mese di marzo, il Bavero, essendogli detto che ’l signore di Viterbo avea grande tesoro di moneta, e egli di ciò molto bisognoso, mandò il suo maliscalco e ’l cancelliere con M uomini a cavallo a la città di Viterbo, e giunti nella terra, subitamente feciono pigliare Salvestro de’ Gatti e ’l figliuolo, ch’era signore di Viterbo, e quegli che gli avea data l’entrata de la terra e la signoria, opponendogli che egli stava in trattato col re Ruberto di dare a sua gente Viterbo, e fecelo martoriare per farlo confessare ove avea suo tesoro; il quale confessato ch’era nella sagrestia de’ frati minori, vi mandaro, e vi trovarono XXXm fiorini d’oro; e quegli presi, con essi n’andarono a Roma, menandone preso il detto Salvestro e ’l figliuolo; sì che il piccolo tiranno dal maggiore fue sanza colpa di quel peccato degnamente pulito, e toltagli la signoria de la terra, e il suo tesoro.
LXVIII Come il cancelliere di Roma si rubellò al Bavero.
Nel detto anno, a dì XX di marzo, il cancelliere di Roma, ch’era nato degli Orsini, rubellò contra al Bavero la terra d’Asturi in su la marina, ch’era sua, e misevi le genti del re Ruberto, acciò che facessono guerra a Roma; per la qual cosa i Romani a furore corsono a disfare le case sue, e la bella e nobile torre ch’era sopra la Mercatantia a piè di Campidoglio, che si chiamava la torre del Cancelliere. E in questo tempo il Bavero fece in Roma una imposta di XXXm fiorini d’oro, per gran fame ch’avea di moneta; i Xm ne fece pagare a’ Giudei, e gli altri Xm a’ cherici di Roma, e gli altri a’ laici romani; onde il popolo si turbò forte, perché non erano usati di così fatti incarichi, e attendeano dell’essere in Roma il Bavero avere grascia e non ispesa; per la qual cosa a’ Romani cominciò a crescere la loro mala volontà e indegnazione contra il detto Bavero.
LXIX Di certe leggi che fece in Roma Lodovico di Baviera sì come imperadore.
Negli anni di Cristo MCCCXXVIII, a dì XIIII del mese d’aprile, Lodovico di Baviera, il quale si facea chiamare imperadore e re de’ Romani, congregato parlamento nella piazza dinanzi a Santo Pietro in Roma, ove avea grandi pergami in su i gradi de la detta chiesa, dove stava il detto Lodovico parato come imperadore, acompagnato di molti cherici e parlati e religiosi romani, e altri di sua setta che l’aveano seguito, e di molti giudici e avogadi, in presenza del popolo di Roma fece pubblicare e confermò le ’nfrascritte nuove leggi per lui nuovamente fatte, la sustanzia in brieve de le quali è questa: che qualunque Cristiano fosse trovato in eresia contro a Dio e contra a la ’mperiale maestà, che secondo ch’è anticamente per le leggi, dovesse essere morto, così confermò che fosse; e di ciò potesse essere giudicato e sentenziato per ciascuno giudice competente, o fosse stato richesto o non richesto; incontanente trovato in quello peccato dell’eretica pravità o de la lesa maestà, fosse e dovesse essere morto, nonostante le leggi fatte per gli predecessori suoi, le quali negli altri casi rimanessono in loro fermezza. E questa legge volle s’intenda a le cose passate e a le presenti, e a quelle che fossono pendenti, e che debbono avenire. Ancora fece comandare che ciascuno notaio dovesse mettere in ciascuna carta ch’egli facesse, posti gli anni Domini, e indizione, e il dì: «Fatta al tempo dell’eccellente e magnifico domino nostro Lodovico imperadore de’ Romani, anno suo etc.», e che altrimenti non valesse la carta. Item, che ciascuno si guardasse di dare aiuto o consiglio ad alcuno ribello o contumace del sacro imperadore o del popolo di Roma, sotto la pena de’ suoi beni, e che piacesse a la sua corte. Queste leggi furono pensatamente fatte e ordinate per lo detto Bavero e per lo suo maculato consiglio a fine che sotto queste volle partorire lo suo iniquo e pravo intendimento contra papa Giovanni e la diritta Chiesa, come apresso faremo menzione.
LXX Sì come il detto Lodovico diede sentenzia, e come potéo dispuose papa Giovanni XXII.
Apresso, i·lunidì vegnente, a dì XVIII d’aprile del detto anno, il detto Lodovico per simile modo ch’avea fatto il giuovidì dinanzi fece parlamento, e congregare il popolo di Roma, cherici e laici, ne la piazza di San Piero, e in su i sopradetti pergami venne vestito di porpore, e co la corona in capo e la verga dell’oro ne la mano diritta, e la poma overo mela d’oro ne la manca, sì come imperadore; e puosesi a sedere sopra uno ricco trono rilevato, sì che tutto il popolo il potea vedere, intorniato di parlati e baroni e di cavalieri armati. E come fu posto a sedere, fece fare silenzio; e uno frate Niccola di Fabbriano dell’ordine de’ romitani si fece al perbio, e gridò ad alte boci: «Ècci alcuno procuratore che voglia difendere prete Iacopo di Caorsa, il quale si fa chiamare papa Giovanni XXII?». E così gridò tre volte, e nullo rispuose. E ciò fatto, si fece al perbio uno abate d’Alamagna molto letterato e propuose in latino queste parole: «Hec est dies boni nuntii etc.», allegando sopra questa autoritade molto belle parole sermonando; e poi si lesse una sentenzia molto lunga e ornata di molte parole e falsi argomenti, inn-effetto di questo tenore. Prima nel proemio, come il presente santo imperadore, essendo avido dell’onore e di ricoverare lo stato del popolo di Roma, si mosse d’Alamagna lasciando il regno suo e’ suoi figliuoli piccioli in adolescente etade, e sanza alcuna dimoranza era venuto a Roma, sappiendo come Roma era capo del mondo e de la fede cristiana, e che ella era vacua della sedia spirituale e temporale; e stando a Roma, dinanzi a·llui pervenne che Iacopo di Caorsa, il quale si faceva abusivamente dire papa Giovanni XXII, avea voluto mutare il titolo de’ cardinalitichi, i quali sono a Roma, ne la città di Vignone, e non lasciò, se non perché i suoi cardinali non l’assentirono. E poi sentì che quello Iacopo di Caorsa avea fatto bandire le croce contro a’ Romani, e queste cose fece asapere agli LII rettori del popolo di Roma e ad altri savi, come gli parve che si convenisse. Per la qual cosa per il sindaco della chericia di Roma, e per quello del popolo di Roma, costituiti da coloro che n’aveano balìa, fue isposto dinanzi a·llui e supplicato ch’egli procedesse sopra il detto Iacopo di Caorsa secondo eretico, e provedesse la Chiesa e ’l popolo di Roma di santo pastore e di fedele Cristiano, sì come altra volta fu fatto per Otto terzo imperadore. Onde volendo attendere a la piatà de’ Romani e de la santa Chiesa di Roma, che rapresenta tutto il mondo e la fede cristiana, procedette sopra il detto Iacopo di Caorsa, trovandolo in caso di resia per gl’infrascritti modi, cioè, prima, che essendo il regno d’Erminia assalito da’ Saracini, e volendo lo re di Francia mandarvi soccorso di galee armate, egli avea quella andata fatta convertire sopra i Cristiani, cioè sopra i Ciciliani. Ancora, che essendo egli pregato da’ frieri di Santa Maria degli Alamanni ch’egli mandasse oste sopra i Saracini, avea risposto: «Noi avemo in casa i Saracini». Anche avea detto che Cristo avea avuto propio in comune co’ suoi discepoli, il quale sempre amò povertade.
E appresso trovatolo in altri grandi peccati di resia, massimamente ch’egli s’avea voluto apropiare lo spirituale e ’l temporale dominio, di consiglio di Ioab, cioè di Ruberto conte di Proenza, faccendo contro al santo Vangelio, ove dice che Cristo, vogliendo fare distinzione dello spirituale dal temporale, disse: «Id quod est Cesaris Cesari, et quod est Dei Deo». E in altra parte del Vangelio disse: «Regnum meum non est de hoc mundo; et si de hoc mundo esset regnum meum, ministri mei etc.», e seguentemente: «Regnum meum non est hic». Sì che i detti e altri diversi e grandi peccati di resia ha commessi, anche ch’avea prosummito e avuto ardire contra la ’mperiale maestade, disponendo e cassando la sua elezione, la quale incontanente fatta, per quella medesima ragione è confermata, e non abisogna di confermagione alcuna, con ciò sia cosa che non sia sottoposto ad alcuno, ma ogni uomo e tutto il mondo è sottoposto a·llui. Onde avendo il detto Iacopo commessi cotali peccati, sì di resia e sì de la lesa maestade, nonostante ch’egli non sia stato citato, che non bisogna per la nuova legge fatta per lo detto imperadore, e per altre leggi canoniche e civili, rimovea, privava, e cassava il detto Iacopo di Caorsa da l’oficio del papato, e da ogni oficio e beneficio temporale e spirituale, e sommettendolo a ciascuno ch’avesse giuridizione temporale, che ’l potesse punire d’animaversione, secondo che eretico e commettitore de la lesa maestade; e che nullo re, prencipe, o barone, o comunità gli dovesse dare aiuto, consiglio, o favore, né averlo né tenerlo per papa, in pena di privazione d’ogni dignità, cherici e laici di cheunque stato fosse, e a pena d’essere condannato come fautore d’eretico, e di commettere peccato de la lesa maestà; e la metà della pena e condannagione fosse applicata a la camera dello ’mperadore, e l’altra metade al popolo di Roma, e chiunque gli avesse dato aiuto, consiglio o favore, da indi adietro cadesse in simile sentenzia, assegnando termine a scusarsi a chi contro a·cciò avesse fatto, a quegli d’Italia uno mese, e a tutti gli altri d’universo mondo infra due mesi, che si venissono a scusare. E data e confermata la detta sentenzia, disse il detto Lodovico Bavero che infra pochi giorni provederebbe di dare buono papa e buono pastore, sì che grande consolazione n’avrebbe il popolo di Roma e tutti i Cristiani. E queste cose disse ch’avea fatte di consiglio di grandi savi cherici e laici fedeli Cristiani, e de’ suoi baroni e prencipi. De la detta sentenzia i savi uomini di Roma molto si turbarono; l’altro semplice popolo ne fece gran festa.
LXXI Come il figliuolo di messer Stefano della Colonna entrò in Roma, e piuvicò il processo del papa contro al Bavero.
Apresso la detta sentenzia data per lo Bavero contro a papa Giovanni XXII, il venerdì, dì XXII del detto mese d’aprile e de la detta indizione, messer Iacopo figliuolo di messer Stefano della Colonna venne in Roma ne la contrada di Santo Marcello, e ne la piazza de la detta chiesa, in presenza di più di M Romani ivi raunati, trasse fuori uno processo scritto, fatto per papa Giovanni contra Lodovico di Baviera, e nullo era stato ardito di recarlo e piuvicarlo in Roma, e quello diligentemente lesse; e disse che agli orecchi del chericato di Roma era pervenuto che certo sindaco era comparito dinanzi a Lodovico di Baviera, il quale abusivamente si fa dire imperadore, e sposto contra il santo papa Giovanni XXII, e ancora il sindaco del popolo di Roma, il quale sindaco, cioè quello del chericato di Roma, mai non ispuose; e se alcuno fosse venuto come sindaco vero, non era, con ciò sia cosa che il chericato, cioè i calonaci di Santo Pietro, e quegli di Santo Giovanni Laterano, e di Santa Maria Maggiore, i quali sono i primi nel chericato di Roma, e gli altri maggiore cherici seguente loro, e’ religiosi abati e’ frati minori e predicatori, e gli altri savi degli ordini, erano, già sono più mesi, partiti di Roma per cagione de la gente scomunicata ch’era entrata in Roma; e chi v’era rimaso e avea celebrato era scomunicato, sì che di ragione non poteano fare sindaco; e se alcuno fosse stato sindaco innanzi, e fosse rimaso in Roma, ancora era scomunicato: onde egli contradicendo a quello ch’era stato fatto per lo detto Lodovico, dicendo che papa Giovanni era cattolico e giusto papa, e ragionevolemente fatto per gli cardinali di santa Chiesa, e questo che si dice imperadore, imperadore non essere, ma essere eretico e scomunicato, e’ sanatori di Roma e’ LII del popolo, e tutti coloro che consentivano a·llui, e dessono, o avessono dato aiuto o consiglio o favore, similemente erano eretici e scomunicati. E intorno a la materia molte altre parole disse, profferendo di ciò provare di ragione, e se bisognasse, colla spada in mano in luogo comune. E apresso diligentemente il detto processo scritto conficcò con sue mani ne la porta de la detta chiesa di Santo Marcello sanza nullo contasto; e ciò fatto, montò a cavallo con IIII compagni, e partissi di Roma, e andonne a Pilestrino. De le quali cose grande mormorio fue per tutta Roma; e fatto assapere al Bavero ch’era a Santo Pietro, gli mandò dietro genti d’arme a cavallo per prenderlo, ma già era assai dilungato. Per la detta bontade e ardire del detto messer Iacopo, come il papa il seppe, il fece vescovo di... e mandò ch’egli andasse a·llui, e così fece.
LXXII Come il Bavero e ’l popolo di Roma feciono legge contra qualunque papa si partisse di Roma.
Il dìe sequente, ciò fu sabato, dì XXIII del detto mese d’aprile, richesti per bando i sanatori di Roma, e’ LII del popolo, e’ capitani di XXV, e’ consoli, e’ XIII buoni uomini, uno per rione, che fossono dinanzi a lo ’mperadore, e così fu fatto; e consigliarono assai sopra la novità fatta, come detto avemo, per messer Iacopo de la Colonna. E poi fue tratta fuori e pubblicata una nuova legge in questo tenore: che il papa, il quale lo ’mperadore e ’l popolo di Roma intendea di chiamare, e ogni altro che papa fosse, debbia stare ne la città di Roma, e non partirsi, se non tre mesi dell’anno, e non dilungarsi da Roma da due giornate in su, e allora co la licenza del popolo di Roma; e quando fosse asente da Roma, e fosse richesto per lo popolo di Roma, ch’egli tornasse in Roma; e se a le tre richeste non tornasse, s’intendesse essere casso del papato, e potessene chiamare un altro. E ciò fatto, sì perdonò il Bavero a tutti i Romani ch’erano stati e tratti a uccidere la sua gente a la zuffa e battaglia che fu al ponte dell’isola; e queste leggi e perdono fece il Bavero per contentare il popolo di Roma. E nota ingiusta e non proveduta legge, a imporre al pastore di santa Chiesa costituzioni e modi di stare o andare contra la libertà di santa Chiesa, e contra la somma podestà che deono avere, e sempre hanno avuta, i sommi pontefici.
LXXIII Come Lodovico di Baviera col popolo di Roma elessono antipapa contro al vero papa.
Negli anni di Cristo MCCCXXVIII, a dì XII di maggio, il dì dell’Ascensione la mattina per tempo, congregato il popolo di Roma, uomini e femmine che vi vollono andare, dinanzi a Santo Pietro, Lodovico di Baviera che si facea chiamare imperadore venne incoronato e parato coll’abito imperiale in su il pergamo, il quale era sopra le gradora di San Piero, con molti cherici e religiosi, e co’ capitani del popolo di Roma, e intorno di lui molti de’ suoi baroni; e fece venire dinanzi a·ssé uno frate Pietro da Corvara, nato de’ confini tra ’l contado di Tiboli e Abruzzi, il quale era dell’ordine de’ frati minori, inn-adietro tenuto buono uomo e di santa vita. E lui venuto, il detto Bavero si rizzò in su la sedia, e ’l detto frate Piero fece sedere sotto il solicchio. E ciò fatto, si levò frate Niccola di Fabbriano dell’ordine de’ romitani, e propuose in suo sermone queste parole: «Reversus Petrus ad se dixit: "Venit angelus Domini, et liberavit nos de manu Erodis ed de omnibus factionibus Iudeorum’», appropiando il detto Bavero per l’angelo, e papa Giovanni per Erode; e intorno a·cciò molte parole. E fatto il detto sermone, venne innanzi il vescovo che fu di Vinegia, e gridò tre volte al popolo se voleano per papa il detto frate Pietro; e con tutto che ’l popolo assai se ne turbasse, credendosi avere papa romano, per tema rispuosono in gridando che sì. E poi si levò ritto il Bavero, e letta per lo detto vescovo in una carta il decreto che a confermazione del papa si costuma, l’appellò il detto Bavero Niccola papa quinto, e diedegli l’anello, e misegli adosso il manto, e puoselo a·ssedere da la mano diritta di costa a sé; e poi si levarono, e con grande trionfo entrarono nella chiesa di Santo Pietro; e detta la messa, con grande festa n’andarono a mangiare. Di questa lezione e confermagione del detto antipapa la buona gente di Roma forte si turbarono, parendo loro che ’l detto Bavero facesse contra fede e la santa Chiesa; e sapemmo poi di vero da la sua gente medesima, che quegli ch’erano savi, parve loro ch’egli non facesse bene; e molti per la detta cagione mai poi non gli furono fedeli come prima, spezialmente quegli de la bassa Alamagna ch’erano co·llui.
LXXIV Come la città d’Ostia fu presa per le galee del re Ruberto.
Il sequente dìe che fue fatto l’antipapa XIIII galee armate del re Ruberto entrarono in Tevero, e presono la città d’Ostia con grande danno de’ Romani; e alquante de le dette galee vennono su per lo fiume del Tevero infino a Santo Paolo, scendendo in terra, e ardendo case e casali, e levando grande preda di gente e di bestiame; onde i Romani molto isbigottirono, gittando molte rampogne al signore. Per la qual cosa vi fece cavalcare a la detta Ostia VIIIc cavalieri di sua gente e molti Romani a piè a soldo, i quali assalendo la terra, molti ne furono morti e più fediti per gli molti balestrieri delle galee ch’erano in Ostia, e così si tornarono in Roma con danno e con vergogna.
LXXV Come l’antipapa fece VII cardinali.
A dì XV del mese di maggio del detto anno l’antipapa fatto per Lodovico di Baviera fece VII cardinali, i nomi de’ quali furono questi: il vescovo che fu disposto di Vinegia per papa Giovanni, il quale fu nipote del cardinale da Prato; l’abate di Santo Ambruogio di Milano, il quale anche fu disposto; uno abate d’Alamagna, il quale lesse la sentenzia contra papa Giovanni; frate Niccola da Fabbriano de’ romitani, il quale è stato nominato in questo, che sermonò contra papa Giovanni; l’altro fu messer Piero Orrighi e messer Gianni d’Arlotto popolani di Roma; l’altro, l’arcivescovo che fu di Modona; e alcuno altro Romano n’elesse, i quali non vollono accettare, avendo di ciò coscienza, ch’era contra Dio e contra fede. Tutti questi detti di sopra furono disposti di loro benifici per papa Giovanni, perch’erano sismatici e ribelli di Santa Chiesa, i quali furono confermati per lo detto Lodovico, sì come fosse imperadore; e egli fornì di cavagli e d’arnesi l’antipapa e’ detti suoi sismatici cardinali. E con tutto che ’l sopradetto antipapa biasimava per via di spirito le ricchezze e onori ch’usava il diritto papa e’ suoi cardinali e gli altri parlati de la Chiesa, e tenea l’oppinione che Cristo fue tutto povero e non ebbe propio comune, e così doveano fare i successori di santo Pietro: egli pur sofferse e volle co’ suoi cardinali avere cavagli e famiglie vestite e cavalieri e donzelli e forniti d’arnesi, e usare larga mensa a mangiare sì come gli altri; e rimosse e diede molti benifici ecclesiastichi siccome papa, annullando quegli dati per papa Giovanni, e dando larghi brivilegi con falsa bolla e per moneta, però che con tutto che ’l Bavero l’avesse fornito, come avea potuto, egli da sé era sì povero di moneta, che per necessità convenne che ’l suo papa e’ suoi cardinali e loro corte fosse povera, e per moneta desse brivilegi e dignità e benifici. E fatte le dette cose, il detto Bavero lasciò il suo papa ne’ palagi di San Piero in Roma, e egli cogli più di sua gente si partì di Roma e andonne a Tiboli, a dì XVII del detto mese di maggio.
LXXVI Come Lodovico di Baviera si fece ricoronare e confermare imperadore al suo antipapa.
Sabato, a dì XXI del sopradetto mese di maggio, il detto Bavero si partì da Tiboli, e venne a San Lorenzo fuori le Mura, e ivi albergò, e tutta sua gente intorno acampata. Poi la domenica mattina, il dì de la Pentecosta, entrò in Roma, e ’l suo antipapa co’ suoi sismatici cardinali gli vennono incontro insino a San Giovanni Laterano, e poi ne vennono per Roma insieme col detto Bavero; e ismontati a Santo Pietro, il Bavero mise a l’antipapa la berriuola dello scarlatto in capo, e poi l’antipapa coronò da capo Lodovico di Baviera, confermandolo, sì come papa, a essere degno imperadore. E ciò fatto, il detto Bavero confermò la sentenzia data per Arrigo imperadore contra lo re Ruberto e contra i Fiorentini e altri. E il detto antipapa in quegli giorni fece marchese della Marca, e conte di Romagna, e conte in Campagna, e duca di Spuleto, e fece più legati ne’ detti luoghi e in Lombardia. E poi il Bavero si partì di Roma e andonne a Velletri, e lasciò sanatore in Roma Rinieri, figliuolo che fu d’Uguiccione da Faggiuola, il quale martorizzò e fece ardere due buoni uomini, l’uno lombardo, e l’altro toscano, perché diceano che ’l detto frate Piero di Corvara non era né potea essere degno papa, ma era papa Giovanni XXII degno e santo.
LXXVII Come gente del Bavero furono sconfitti presso a Narni.
Nel detto anno MCCCXXVIII, a dì IIII di giugno, IIIIc cavalieri di quegli del Bavero, venuti da Roma con MD pedoni, s’erano partiti da Todi per torre il castello di Santo Gemini. Sentendo ciò gli Spuletini, con loro isforzo e con CC cavalieri di Perugia ch’erano in Spuleto, ch’andavano in Abruzzi in servigio del re Ruberto, si misono in guato presso di Narni, e ivi ebbe grande battaglia e ritenuta per gli Tedeschi, ma per lo forte passo la gente del Bavero rimasono sconfitti e morti, e presi gran parte.
LXXVIII Come il Bavero adoperò con sua oste in Campagna per passare nel Regno, e come si tornò a Roma.
Nel detto anno, a dì XI di giugno, il popolo di Roma co la gente del Bavero stati più tempo ad assedio al castello della Mulara, nel quale era la gente del re Ruberto, per difalta di vittuaglia s’arendé al popolo di Roma, andandone sani e salvi la gente del re, ch’erano IIIc cavalieri e Vc pedoni. E ciò fatto, il Bavero colla detta oste andò a Cisterna, e arendési a·llui, e’ Tedeschi la rubarono tutta e arsono; e per caro di vittuaglia ch’ebbe nel campo del Bavero, che vi valse o danari XVIII provigini il pane, e non ve n’avea, i Romani si partirono tutti e tornarsi in Roma; e ’l Bavero tornando a Velletri, que’ della terra non ve lo lasciarono entrare per paura non rubassono la terra e ardessono, come aveano fatto a Cisterna; per la qual cosa gli convenne stare di fuori a campo a grande misagio. E in quella stanza la gente del re Ruberto ch’erano in Ostia, per tema non v’andasse l’oste del Bavero, la rubarono tutta e arsono, e abandonarla. Ancora nel detto dimoro a campo tra la gente del Bavero ebbe grande dissensione, da’ Tedeschi dell’alta Alamagna a quegli della bassa, per cagione della preda di Cisterna e per lo caro della vittuaglia; e armarsi in campo l’una parte e l’altra per combattersi; onde il Bavero con gran fatica e promesse gli dipartì, mandandone a Roma que’ de la bassa Alamagna, ed egli cogli altri si tornò a Tiboli dì XX di giugno, e là dimorò intorno d’uno mese per cercare via e modo d’entrare nel Regno; ma per povertà di moneta, e per la carestia grande ch’era al paese, e’ passi forti e guardati dal duca di Calavra e da sua gente, non s’ardì a mettere, e tornossi a Roma a dì XX di luglio. Lasceremo alquanto degli andamenti del Bavero, e torneremo adietro a raccontare d’altre novità avenute in questo tempo in Toscana e per l’universo mondo, che ne sursono assai.
LXXIX Come papa Giovanni aramatizzò di scomunica il Bavero e’ suoi seguaci.
Nel detto anno MCCCXXVIII, dì XXX di marzo, papa Giovanni appo Vignone aramatizzò di scomunica il Bavero e’ suoi seguaci, e dispuose Castruccio del ducato di Lucca e di Luni, e Piero Saccone de la signoria d’Arezzo, ed ogni brivilegio ricevuto dal Bavero per sentenzia cassò e annullò.
LXXX Come fu pace tra·re d’Inghilterra e quello di Scozia.
Nel detto anno e mese di marzo si compié l’accordo e pace tra·re d’Inghilterra e quello di Scozia, ch’era durata la guerra... anni, con grande danno e abassamento degl’Inghilesi; e feciono parentado insieme, che il giovane re d’Inghilterra diè per moglie la serocchia al figliuolo del re di Scozia.
LXXXI Come Castruccio fece rubellare Montemasso a’ Sanesi.
Nel detto anno, a dì X d’aprile, Castruccio prima fatto rubellare, e poi il fece fornire, Montemassi in Maremma, il quale certi gentili uomini maremmani, che v’aveano ragione, col favore di Castruccio l’aveano rubellato a dispetto de’ Sanesi che v’erano ad oste, e con battifolle, e’ Fiorentini vi mandarono in loro soccorso CCL cavalieri, ma giunsono tardi, sì che non poterono riparare a la forza della cavalleria di Castruccio. Per la qual cosa i Sanesi mandarono ambasciadori a Pisa a Castruccio, e dimandargli che non si travagliasse contro a·lloro. Castruccio per ischernie de’ Sanesi non fece loro null’altra risposta, se non per una lettera bianca, ch’altro non dicea se non: «Levate via chelchello», in sanese, cioè il battifolle; onde i Sanesi forte ingrecaro, e rinforzarvi l’assedio coll’aiuto de’ Fiorentini, che vi mandarono CCCL cavalieri, e per patti ebbono il detto Montemassi a dì... d’agosto MCCCXXVIII.
LXXXII Come fu preso e disfatto il castello del Pozzo sopra Guisciana.
Nel detto anno, a dì XXVI d’aprile, le masnade de’ Fiorentini ch’erano in Santa Maria a Monte, presono il castelletto del Pozzo in su Guisciana, il quale era molto rafforzato. Vegnendo la gente di Castruccio per fornirlo, e que’ del castello uscendo incontro per loro ricevere, le masnade de’ Fiorentini entrarono in mezzo tra ’l castello e loro, e misongli in isconfitta, e ebbono il Pozzo, il quale i Fiorentini feciono di presente diroccare infino a le fondamenta. Quello Pozzo Castruccio avea molto fatto afforzare e murare, e tenealo per suo luogo propio.
LXXXIII Come Castruccio corse la città di Pisa e fecesene fare signore.
In questi tempi e mese d’aprile Castruccio essendo in Pisa, e non parendogli che la terra si reggesse bene a sua guisa, e convitando d’esserne al tutto signore, e certi grandi e popolani di Pisa, i quali a la venuta del Bavero erano de la setta di Castruccio, allora erano contra lui per non volerlo per signore, e aveano fatto trattato in Roma col Bavero ch’egli donasse la signoria a la ’mperadrice, acciò che Castruccio non avesse la signoria; e così fece per danari ch’ebbe da’ Pisani (la quale donna mandò a Pisa per suo vicario il conte d’Ottinghe d’Alamagna, il quale da Castruccio infintamente fu ricevuto), ma due dì apresso Castruccio con sua cavalleria e con gente a piè assai del contado di Lucca corse la città di Pisa due volte, non riguardando reverenza o signoria del Bavero o de la moglie, e prese messer Bavosone d’Agobbio, il quale il Bavero v’avea lasciato per suo vicario, e messer Filippo da Caprona e più altri grandi e popolani di Pisa, e per forza si fece eleggere signore libero di Pisa per II anni, e ciò fu a dì XXVIIII d’aprile MCCCXXVIII; per la qual cosa il sopradetto conte d’Ottinghe si ritornò a Roma con onta e vergogna. Ben si disse che Castruccio il contentò di moneta, acciò che non si dolesse lui al Bavero né a la donna sua; ma di certo di questa novità nacque grande isdegno coperto dal Bavero a Castruccio, del quale sarebbe nato novità assai e diverse, se Castruccio fosse lungamente vivuto, come innanzi faremo menzione.
LXXXIV Come i Fiorentini renderono il castello di Mangone a messer Benuccio Salimbeni di Siena.
Nel detto anno, a dì XXX d’aprile, i Fiorentini per volontà e comandamento del duca loro signore, e per certe rapresaglie e roba de’ Fiorentini sostenute da’ Sanesi, renderono contra loro buona voglia il castello di Mangone a messer Benuccio de’ Salimbeni di Siena, che vi cusava ragione per la moglie, la quale fu figliuola del conte Nerone da Vernia, e nipote del conte Alberto da Mangone; ma per certe ragioni e testamenti fatti con patti infra i conti da Mangone, chi di loro rimanesse sanza reda maschio legittimo, rimanesse e Vernia e Mangone al Comune di Firenze, e morto Alberto nullo ve ne rimanea, e ’l Comune di Firenze n’avea ragione, e n’era in possessione. Per la qual cosa il popolo di Firenze molto si turbò di renderlo; ma per lo male stato del nostro Comune, e per non recarne i Sanesi a nimici, e non potere contastare a la volontà del duca, si rendé per lo meno reo, con patti che messer Benuccio ne dovesse con C fanti fare oste e cavalcate col Comune di Firenze, e mandare uno palio di drappo ad oro per la festa del beato Giovanni.
LXXXV Come Castruccio puose l’assedio a la città di Pistoia.
Ne’ detti tempi grande quistione nacque dal Comune di Firenze a messer Filippo di Sangineto, il quale il duca di Calavra avea lasciato in suo luogo e capitano di guerra in Firenze per cagione che oltre a’ patti di CCm fiorini d’oro che ’l duca avea l’anno per la sua signoria e per tenere M cavalieri (che non ne tenea allora VIIIc), sì volea che’ Fiorentini fornissono a loro spese la città di Pistoia e Santa Maria a Monte, e non bastava il costo de’ soldati, che oltre a le masnade a cavallo pagati de’ danari de’ Fiorentini, teneano i Fiorentini in Pistoia M pedoni, e nel castello di Santa Maria a Monte Vc al loro soldo, sì volea il detto messer Filippo si fornisse di vittuaglia de la moneta del Comune le dette terre, e il duca ne volea e avea la signoria e dominazione libera de la detta città di Pistoia e di Santa Maria a Monte. Onde isdegno e gara nacque grande tra’ rettori di Firenze e il detto messer Filippo e’ suoi consiglieri; e non sanza giusta cagione de’ Fiorentini, però che ’l detto messer Filippo quando prese Pistoia l’avea co la sua gente rubata e vota d’ogni sustanza, e no·lla volea fornire di vittuaglia de la pecunia che gli rimanea, pagati i suoi cavalieri, di CCm fiorini d’oro, che bene lo potea fare largamente, anzi gli rimandava al duca nel Regno. Onde i Fiorentini ingrecati e imbizzarriti per lo detto isdegno, s’acrebbe grossamente danno sopra danno e pericolo sopra vergogna, come innanzi faremo menzione; che per ispesa di IIIIm fiorini d’oro si trovava chi forniva la città di Pistoia, che costò poi a’ Fiorentini più di Cm, con danno e vergogna del Comune di Firenze e del duca che n’era signore. Questa discordia sentendo Castruccio, e come Pistoia non era fornita per più di due mesi, co la grande volontà ch’aveva di riprenderla, e di vendicarsi di messer Filippo e de’ Fiorentini de l’onta che·lline parea avere ricevuta de la perdita di quella, come sollecito e valoroso signore vi mandò la sua gente, in quantità di M cavalieri e popolo assai, a l’assedio, a dì XIII di maggio MCCCXXVIII, e egli rimase in Pisa a sollecitare di fornire la detta oste. E mandòvi i Pisani per comune, e col loro carroccio, i più contra loro volontà, e egli poi venne in persona nella detta oste a dì XXX maggio con tutto il rimaso di sua gente, e trovossi con XVIIc di cavalieri e popolo innumerabile, sì ch’elli cinse la città d’intorno intorno di sua oste e con più battifolli, sì che nullo vi potea entrare né uscire, avendo tagliate le vie e fatti i fossi e isbarre e steccati di maravigliosa opera, acciò che nullo potesse uscire di Pistoia, né’ Fiorentini impedire né assalire sua oste da l’altra parte.
LXXXVI Come i Fiorentini feciono grande oste per soccorrere la città di Pistoia, e come Castruccio l’ebbe a patti.
Istando Castruccio a l’assedio di Pistoia per lo modo ch’avemo detto di sopra, dando a la città sovente battaglie con gatti e grilli e torri di legname armate, e riempiendo in alcuna parte de’ fossi, ma poco o niente vi poté fare, però che la terra era fortissima di mura con ispesse torricelle e bertesche, e poi steccata con dupplicati fossi, come Castruccio medesimo l’avea fatta afforzare, e dentro avea per lo Comune di Firenze CCC cavalieri e M pedoni, buona gente d’arme a la guardia e difensione, sanza i cittadini guelfi, i quali sovente uscivano fuori assalendo il campo con danno de’ nimici; e le masnade de’ Fiorentini ch’erano in Prato spesso assalivano l’oste; ma poco levava, sì avea Castruccio afforzato il campo. In questa stanza i Fiorentini feciono disfare e tagliare co’ picconi la rocca e le mura e tutte case e fortezze del castello di Santa Maria a Monte, e misonvi fuoco, e feciolla rovinare a dì XV di giugno del detto anno, per non avere a fornire tante guardie di castella, e per la tenza ch’aveano de la detta guardia co la gente del duca, sì come dicemmo dinanzi, e per fare partire Castruccio da l’assedio di Pistoia, o asottigliare sua oste, per venire a difendere Santa Maria a Monte. Ma egli, come costante e valoroso, niente si mosse da Pistoia, ma raforzò l’asedio. I Fiorentini veggendo che Pistoia era con difalta di vittuaglia, e non si potea fornire sanza possente oste o per battaglia con Castruccio, sì raunarono tutta loro amistà, e ebbono dal legato di Lombardia, il quale era in Bologna, Vc cavalieri, prestando loro per paga Xm fiorini d’oro, e IIIIc cavalieri del Comune di Bologna, e CC cavalieri del Comune di Siena, e gente di loro a piè con balestra, e da CCC cavalieri tra di Volterra, e San Gimignano, e Colle, e Prato, e’ conti Guidi guelfi e altri amici, e messer Filippo di Sangineto capitano per lo duca VIIIc cavalieri, che ne dovea avere M, per la qual difalta, oltre a quegli, il Comune di Firenze ne soldò IIIIcLX sotto bandiere del Comune, onde furono capitani messer Gian di Bovilla di Francia e messer Vergiù di Landa di Piagenza. E raunata la detta cavalleria, la quale furono da XXVIc di cavalieri, molto bella e buona gente, la maggiore parte oltramontani, e popolo a piè grandissimo, e preso il gonfalone della Chiesa, e la croce dal legato cardinale ne la piazza di Santa Croce, si mosse di Firenze il capitano con parte dell’oste martidì XIII di luglio, e andonne a Prato; e il seguente e terzo dì apresso si mosse di Firenze tutta l’altra cavalleria e gente. E poi i·lunidì, dì XVIIII di luglio, uscì tutta l’oste de’ Fiorentini di Prato ordinata e schierata, e puosonsi a campo di là dal ponte Agliana, e ’l seguente dì si puosono a le Capannelle, e quivi assai presso a l’oste di Castruccio, ispianando di concordia intra le due osti, avendo Castruccio promessa e ingaggiata la battaglia. Tutto uno giorno stette l’oste de’ Fiorentini ischierata in sul campo per combattere; ma Castruccio veggendo tanta buona gente a’ Fiorentini, e volonterosa di combattere, ed egli si sentia con assai meno cavalleria, non si volle mettere a la fortuna de la battaglia; ma con grandissima sollecitudine e studio personalmente intendea a fare imbarrare con alberi tagliati e fossi e steccati intorno a la sua oste, e spezialmente verso la parte ove avisava che l’oste de’ Fiorentini si dovea porre. E così ingannati i Fiorentini da Castruccio di non volere la battaglia, mossono loro schiere, e tennono a mano diritta verso tramontana, e acamparsi al ponte a la Bura; che s’avessono tenuto di costa al fiume dell’Ombrone da la mano sinestra, di nicessità convenia che Castruccio venisse a la battaglia, o Fiorentini fornissono per forza Pistoia, e entrassono tra la terra e Serravalle, onde venia la vittuaglia a l’oste di Castruccio. Ma a cui Idio vuole male gli toglie il senno; che presono pure il peggiore, e strinsonsi a’ poggetti di Ripalta, ove l’oste di Castruccio era più forte per lo sito del terreno, e dove avea più battifolli, e gente a piè innumerabile a la difesa. E stando nel detto luogo da VIII giorni badaluccandosi sovente le genti de le due osti insieme, ma poco poterono avanzare i Fiorentini; che s’aquistavano il giorno terreno, la notte era ripreso e afforzato di steccati per la gente di Castruccio. E sturbò ancora molto la ’mpresa, che messer Filippo capitano per lo duca di Fiorentini alquanto amalò, e non era bene inn-accordo col maliscalco che v’era colla cavalleria de la Chiesa e di Bologna, che l’uno volea tenere una via, e l’altro un’altra; e de’ soldati de la Chiesa, che v’avea assa’ Tedeschi, spesso passavano con fidanza a l’oste di Castruccio, onde si prese alquanta sospeccione, e dissesi che Castruccio avea fatti corrompere più conostaboli tedeschi de la gente de la Chiesa. E per le dette cagioni, e ancora che·legato da Bologna studiava di riavere la sua cavalleria per sue imprese di Romagna, sì·ssi prese partito in Firenze, per lo men reo, di fare tornare l’oste, e cavalcare in su quello di Pisa, e lasciare guernimento in Prato di gente e di vittuaglia, sì che se Castruccio si levasse da l’assedio di Pistoia, si fornisse la terra. E così levato il campo e l’oste de’ Fiorentini, e schierati, a dì XXVIII di luglio, trombato, e richesto Castruccio di battaglia, non comparendo, si partì l’oste e tornò in Prato, e gran parte cavalcarono per la via di Signa in Valdarno di sotto; e faccendo vista di passare Guisciana per andare verso Lucca, e parte ne passarono, il maliscalco de la Chiesa con grande cavalleria e pedoni corsono sopra quello di Pisa, e presono e arsono il Ponte ad Era; e poi per forza combattendo presono il fosso Arnonico e uccisonvi e presono molte genti: e simile presono Cascina, e corsono a San Savino, e infino presso al borgo di San Marco di Pisa, avendo molti pregioni e grandissima preda, però che’ Pisani non si prendeano guardia, trovandogli a mangiare co le tavole messe, e non v’avea cavalieri né genti a la difesa, che tutti erano a l’oste di Pistoia; sì che infino a le porte di Pisa poteano cavalcare sanza contradio. Castruccio per cavalcata che la gente de’ Fiorentini facessono in su quello di Lucca o di Pisa, non si mosse dall’asedio di Pistoia, sentendo ch’era stretta di vittuaglia, e que’ d’entro, d’onde era capitano messer Simone de la Tosa, isbigottiti, veggendo partita l’oste de’ Fiorentini, e non aveano potuto fornirgli, ed era loro fallita la vittuaglia, cercarono trattato con Castruccio di rendere la terra, salve le persone con ciò che se ne potessono portare, e chi volesse essere cittadino di Pistoia rimanesse. E così fu fatto; e arrendessi Pistoia a Castruccio, mercoledì mattina a dì III d’agosto, gli anni di Cristo MCCCXXVIII. E nota se questa impresa fu con grande vergogna e danno e spesa de’ Fiorentini, e quasi incredibile a dovere potere essere, che Castruccio tenesse l’assedio con XVIc di cavalieri o là intorno, e’ Fiorentini, che n’aveano tra nell’oste e in Pistoia IIIm cavalieri o più, molto buona gente e popolo grandissimo, non poterlo levare da campo. Ma quello che per Dio è permesso nulla forza né senno umano può contastare.
LXXXVII Come morì il duca Castruccio signore di Pisa e di Lucca e di Pistoia, e messer Galeasso de’ Visconti di Milano.
Come Castruccio ebbe racquistata Pistoia per suo grande senno e studio e prodezza per lo modo che detto avemo, sì riformò e rifornì la terra di gente e di vittuaglia, e rimisevi i Ghibellini, e tornò a la città di Lucca con grande trionfo e gloria a modo di triunfante imperadore, e trovossi in sul colmo d’essere temuto e ridottato, e bene aventuroso di sue imprese, più che fosse stato nullo signore o tiranno italiano, passati CCC anni, ritrovandone il vero per le croniche; e con questo, signore della città di Pisa, e di Lucca, e di Pistoia, e di Lunigiana, e di gran parte de la riviera di Genova di levante, e trovossi signore di più di IIIc castella murate. Ma come piacque a Dio, il quale per lo debito di natura raguaglia il grande col piccolo, e·ricco col povero, per soperchio di disordinata fatica presa nell’oste a Pistoia, stando armato, andando a cavallo e talora a piè a sollecitare le guardie e’ ripari di sua oste, faccendo fare fortezze e tagliate, e talora cominciava colle sue mani acciò che ciascuno lavorasse al caldo del sole leone, sì gli prese una febbre continua, onde cadde forte malato. E per simile modo partendosi l’oste da Pistoia, molta buona gente di quella di Castruccio amalaro e morirne assai. Intra gli altri notabili uomini messer Galeasso de’ Visconti di Melano, il quale era in servigio di Castruccio, amalò al castello di Pescia, e in quello in corto termine morì scomunicato assai poveramente, ch’era stato così grande signore e tiranno, che innanzi che ’l Bavero gli togliesse lo stato era signore di Melano e di VII altre città vicine al suo séguito, com’era Pavia, Lodi, Chermona, Commo, Bergamo, Noara, e Vercelli, e morì vilmente soldato a la mercé di Castruccio. E così mostra che i giudici di Dio possono indugiare, ma non preterire. Castruccio innanzi ch’egli amalasse, sentendo che ’l Bavero tornava da Roma, e parendogli averlo offeso in isturbargli la sua impresa del Regno per lo suo dimoro in Toscana, e presa la città di Pisa a sua signoria contra sua volontà e mandamento, temette di lui, e ch’egli nol levasse di signoria e di stato, come avea fatto Galeasso di Melano, si fece cercare trattato d’accordo segretamente co’ Fiorentini; ma, come piacque a Dio, gli sopravenne la malatia, sì che si rimase, e lui agravato ordinò suo testamento, lasciando Arrigo suo primo figliuolo duca di Lucca; e che sì tosto come fosse morto, sanza fare lamento, dovesse andare in Pisa co la sua cavalleria e correre la città, e recarla a sua signoria. E ciò fatto, passò di questa vita sabato a dì III di settembre MCCCXXVIII. Questo Castruccio fu della persona molto destro, grande, d’assai avenante forma, schietto, e non grosso, bianco, e pendea in palido, i capegli diritti e biondi con assai grazioso viso: era d’etade di XLVII anni quando morì. E poco innanzi a la sua morte conoscendosi morire, disse a più de’ suoi distretti amici: «Io mi veggo morire, e morto me, vedrete disasseroncato», in suo volgare lucchese, che viene a dire in più aperto volgare: «Vedrete revoluzione», overo in sentenzia lucchese: «Vedrai mondo andare». E bene profetezzò, come innanzi potrete comprendere.
E per quello che poi sapemmo da’ suoi più privati parenti, egli si confessò e prese il sagramento e l’olio santo divotamente; ma rimase con grande errore, che mai non riconobbe sé avere offeso a Dio per offensione fatta contra santa Chiesa, faccendosi coscienza che giustamente avesse operato per lo ’mperio e suo Comune. E poi che in questo stato passò, e tennesi celata la sua morte infino a dì X di settembre, tanto che com’egli avea lasciato, corse Arrigo suo figliuolo co la sua cavalleria la città di Lucca e quella di Pisa, e ruppono il popolo di Pisa combattendo ovunque trovarono riparo. E ciò fatto, tornò in Lucca e feciono il lamento, vestendosi tutta sua gente a nero, e con X cavagli coverti di drappi di seta e con X bandiere; dell’arme dello ’mperio due, e di quelle del ducato due, e della sua propia due, e una del Comune di Pisa, e simile di quello di Lucca e di Pistoia e di Luni. E soppellissi a grande onore in Lucca al luogo de’ frati minori di san Francesco a dì XIIII di settembre. Questo Castruccio fu uno valoroso e magnanimo tirannno, savio e accorto, e sollecito e faticante, e prode in arme, e bene proveduto in guerra, e molto aventuroso di sue imprese, e molto temuto e ridottato, e al suo tempo fece di belle e notabili cose, e fu uno grande fragello a’ suoi cittadini, e a’ Fiorentini e a’ Pisani e Pistolesi e a tutti i Toscani in XV anni ch’egli signoreggiò Lucca: assai fu crudele in fare morire e tormentare uomini, ingrato de’ servigi ricevuti in suoi bisogni e necessitadi, e vago di gente e amici nuovi, e vanaglorioso molto per avere stato e signoria; e al tutto si credette essere signore di Firenze e re in Toscana. Della sua morte si rallegrarono e rassicurarono molto i Fiorentini, e appena poteano credere che fosse morto. Di questa morte di Castruccio ci cade di fare memoria a noi autore, a cui avenne il caso. Essendo noi in grande turbazione della persecuzione che facea al nostro Comune, la quale ci parea quasi impossibile, dogliendone per nostra lettera a maestro Dionigio dal Borgo a San Sepolcro, nostro amico e divoto, dell’ordine degli agostini, maestro in Parigi in divinità e filosofia, pregando m’avisasse quando avrebbe fine la nostra aversità, mi rispuose per sua lettera in brieve, e disse: «Io veggio Castruccio morto; e alla fine della guerra voi avrete la signoria di Lucca per mano d’uno ch’avrà l’arme nera e rossa, con grande affanno, ispendio, e vergogna del vostro Comune, e poco tempo la gioirete». Avemmo la detta lettera da Parigi in quegli giorni che Castruccio avea avuta la vittoria di Pistoia di su detta, e riscrivendo al maestro com’elli Castruccio era nella maggiore pompa e stato che fosse mai, rispuosemi di presente: «Io raffermo ciò ti scrissi per l’altra lettera; e se Idio nonn-ha mutato il suo giudicio e il corso del cielo, io veggio Castruccio morto e sotterrato». E com’io ebbi questa lettera, la mostrai a’ miei compagni priori, ch’era allora di quello collegio, che pochi dì innanzi era morto Castruccio, e in tutte le sue parti il giudicio del maestro Dionigio fu profezia.
Lasceremo alquanto delle novità di Toscana, e faremo incidenza faccendo menzione d’altre cose che in questi tempi furono in più parti del mondo, e degli andamenti del Bavero, il quale era rimaso a Roma, tornando poi a nostra materia de’ fatti di Firenze.
LXXXVIII Come Filippo di Valos fu coronato re di Francia.
Nel detto anno MCCCXXVIII di maggio, a l’ottava di Pentecosta, messer Filippo di Valos, figliuolo che fu di messer Carlo di Valos, a cui succedette il reame di Francia, però che di niuno de’ tre suoi cugini, ch’erano stati re di Francia e figliuoli del re Filippo il Bello, non rimase niuno figliolo maschio, fu coronato re di Francia a la città di Rens co la moglie a grande festa e onore; e ciò fatto, ristituì il reame di Navarra al figliuolo che fu di messer Luis di Francia suo cugino, faccendogline omaggio, che gli succedea per dote de la moglie, che fu figliuola del re Luis che fu re di Francia, per successione del re Filippo suo padre, e re di Navarra per lo retaggio della reina Giovanna sua madre, e per aquitarlo della quistione ch’egli avea mossa, dicendo ch’era vero reda del reame di Francia per la moglie, ch’era figliuola del re Luigi maggiore de’ fratelli, figliuolo del re Filippo il Bello, e così suo cugino com’egli. E in quella coronazione, ordinato saviamente lo stato del reame, e’ ordinò d’andare con tutto suo podere sopra i Fiamminghi, i quali s’erano rubellati da la signoria de·reame, e cacciato il loro conte e signore.
LXXXIX Come il detto re di Francia sconfisse i Fiamminghi a Cassella.
Ne’ detti tempi, essendo quegli di Bruggia e di tutte le terre de la marina di Fiandra rubellato a Luis conte di Fiandra loro signore, come adietro in alcuna parte facemmo menzione, e Luis uscito di loro pregione, stando nella villa di Guanto, più volte gli feciono oste adosso, e l’assalirono, e cacciarono del paese tutti i nobili e i grandi borgesi; onde il detto conte andò in Francia e al suo sovrano signore, cioè a Filippo di Valos nuovo re di Francia, dolendosi di quello che gli faceano i Fiamminghi suoi vassalli, a’ quali il detto re di Francia mandò comandando che dovessono tenere il conte per loro signore e rimetterlo in suo stato: i quali disobedienti, e con orgoglio rispondendo che non erano aconci d’ubbidire né ’l conte né lui, lo re ricordandosi de le ’ngiurie e vergogne fatte per gli Fiamminghi a’ suoi anticessori e a la casa di Francia, sì s’aparecchiò d’andare ad oste sopra loro; e con grande esercito si mosse con tutta la baronia di Francia, e oltre a’ Franceschi menò seco il conte di Savoia, e ’l Dalfino di Vienna, e ’l conte d’Analdo, e quello di Bari, e quello di Namurro, e più altri baroni di Brabante e di confini de la Magna, i quali erano suoi amici e al suo servigio, e con numero di più di XIIm cavalieri e popolo grandissimo a piè, e co la detta oste si mosse di Francia, e andonne in Fiandra. I Fiamminghi non ispaventati sentendosi venire adosso sì grande esercito, ma come valorosi e franchi lasciando ogni loro arte e mestiere, per comune vennono tutti a piede a le frontiere di Fiandra, e puosonsi a campo in sul poggio di Cassella per contradiare il re di Francia che non entrasse in loro paese. Lo re di Francia con sua oste s’acampò a piè del detto poggio, e quivi stettono più giorni sanza assalire l’una oste l’altra, se non di scaramucci e badalucchi, però che ciascuna oste era in luogo forte. A la fine tanto s’asicurarono le due osti, che quasi nullo stava armato per lo soperchio caldo ch’era allora. E’ Fiamminghi sagacemente, per sapere lo stato e essere dell’oste de’ Franceschi, vi mandarono uno pesciaiuolo di Bruggia a vendere pesci, molto savio e aveduto, e che sapeva bene il francesco, il quale avea nome Gialucola, ed era de’ maggiori maestri dell’oste, il quale per la sua patria si mise a pericolo di morte, e più giorni vendendo i suoi pesci, usò e stette nell’oste de’ Franceschi, e vide e conobbe loro condizione e stato; e tornato a’ suoi, disse tutto, com’era a·lloro leggere di prendere il re di Francia e sconfiggere tutta sua oste, se volessono essere valenti, però che per lo caldo non istavano armati né in nulla guardia. E fé ordinare di fare richiedere il re di battaglia ordinata il dì di santo Bartolomeo d’agosto, ch’è a dì XXIIII del mese; la qual cosa per lo re e per tutta sua gente fu accettata allegramente. E poi disse a’ suoi: «A noi conviene usare inganno con prodezza. Il re attende la giornata ordinata di battaglia, e in questo mezzo non fa quasi guardia, e spezialemente il meriggio per lo caldo si spogliano e dormono tutti.
Armianci segretamente, e subitamente assaliamo l’oste, e io con certi eletti n’anderò diritto a la tenda del re, che la so bene». E com’ebbe detto e ordinato, così fu fatto, che a dì XXIII d’agosto, gli anni di Cristo MCCCXXVIII, dì II innanzi il giorno de la battaglia ordinata, i Fiamminghi armati di corazze in sul pieno meriggio, sanza fare nullo romore né di trombe né d’altro stormento, scesono del poggio di Cassella, e assalirono il campo e l’oste del re di Francia, che non se ne prendeano nulla guardia, con grande danno e mortalità de’ Franceschi per modo che, come aveano ordinato i Fiamminghi, venia fatto di mettere inn-isconfitta il re di Francia e sua oste. E già il sopradetto pesciaiuolo con sua compagnia era venuto sanza contasto niuno infino a la tenda del re, il quale re da’ detti assalitori fu a condizione di morte, e con grande fatica e rischio apena poté ricoverare a cavallo. Ma che impedì i Fiamminghi, come piacque a Dio, il venire soperchio armati di corazze, e ’l caldo era grande, onde non si poteano per istanchezza del corso ch’aveano fatto reggere, ma molti ne traffelaro, e d’altra parte il conte d’Analdo e quello di Bari e quello di Namurro con loro gente, i quali erano co·lloro tende a l’estremità dell’oste, e non istavano nell’agio né morbidezze de’ Franceschi, ma sanza dormire stavano armati a la tedesca, come s’avidono della scesa de’ Fiamminghi, montarono a cavallo e misonsi al contasto, onde i Franceschi ebbono alcuno riparo, e vennonsi armando e montando a cavallo. Per la qual cosa la battaglia de’ Franceschi rinforzò, e i Fiamminghi per istraccamento di loro soperchie armi affieboliro, onde in quello giorno, come piacque a Dio, furono sconfitti i Fiamminghi, e morirne in sul campo più di XIIm, e gli altri si fuggirono chi qua e chi là per lo paese. E ciò fatto, il re con sua oste ebbe incontanente Popolinghe, e poi la buona villa d’Ipro, e venne verso Bruggia. Quegli ch’erano rimasi in Bruggia contradi del re e del conte si teneano forte, credendo guarentire la terra; ma come piacque a Dio, e quasi fu uno miracolo, le donne e femmine di Bruggia congregate insieme, presono bandiere dell’arme del conte correndo in su la piazza dell’Alla di Bruggia, gridando in loro lingua: «Viva il conte, e muoiano i traditori!»; per la quale sommozione i detti caporali per paura si partirono, e le donne mandarono per lo conte, il qual era ad Andriborgo, e diedongli la signoria della terra; e poi vi venne il re di Francia con grande festa, e risagì signore il detto conte de la contea di Fiandra dal fiume de la Liscia in là, aquetandolo d’ogni spesa ch’avea fatta ne la detta oste, e amonendolo che fosse buono signore, e si guardasse che per sua difalta non perdesse la contea più; che se ciò gli avenisse, gli torrebbe la terra. E ciò fatto, si tornò lo re in Francia con grande vittoria e trionfo, e ’l conte rimase in Fiandra e fece abattere tutte le fortezze di Bruggia e d’Ipro, e fece morire tra più volte di mala morte più di Xm Fiamminghi de la Comune, i quali erano stati caporali e cominciatori de la disensione e rubellazione. Questa fu notabile e grande vendetta e mutazione di stato che Idio permise de’ Fiamminghi per abbattere l’orgoglio e ingratitudine che ’l detto scomunato popolo aveano presa sopra i Franceschi per la vittoria ch’aveano avuta sopra loro l’anno del MCCCI a Coltrai, e più altre, come in que’ tempi facemmo menzione, e però n’avemo fatta più distesa memoria.
XC Come fu canonizzato santo Pietro di Morrone, papa Celestino.
Nel detto anno MCCCXXVIII papa Giovanni co’ suo’ cardinali apo la città di Vignone in Proenza, ov’era la corte, canonizzò santo Pietro di Morrone, il quale fu papa Celestino V, onde al suo tempo, che fu gli anni di Cristo MCCLXXXXIIII, facemmo adietro compiutamente menzione; il quale rinunziò il papato per utile di sua anima, e tornossi al suo romitaggio al Morrone a fare penitenzia; e in sua vita, e poi dopo la sua morte, fece Idio per lui nel paese d’Abruzzi molti miracoli, e la sua festa si celebrò dì XVIII di maggio, e il corpo suo imbolato del castello di Fummone in Campagna, reverentemente fu portato nella città dell’Aquila.
XCI Come gli usciti di Genova presono Volteri e riperdero.
Nel detto anno, a dì VI di giugno, gli usciti di Genova ch’erano in Saona presono per forza il castello di Volteri presso a Genova, mettendo a morte chiunque vi trovarono dentro, ma poco il tennono, che’ Genovesi v’andarono ad oste per terra e per mare, e riebbollo a patti.
XCII Come quegli di Pavia rubarono la moneta che ’l papa mandava a’ suoi cavalieri.
Nel detto anno, a l’entrante di luglio, vegnendo da corte da Vignone la paga de’ soldati che·lla Chiesa tenea col suo legato in Lombardia, i quali danari erano in quantità di LXm fiorini d’oro a la guardia di CL cavalieri, passando per lo contado di Pavia di qua dal fiume di Po, le masnade di Pavia ribelli della Chiesa, fatta posta della venuta de la detta moneta, e messisi in aguato, essendo passati parte de la detta scorta, sì assalirono il rimanente e misongli in rotta, e presono parte del tesoro, che furono più di XXXm fiorini d’oro, sanza i pregioni e cavagli e somieri e arnesi.
XCIII Come la gente del re Ruberto presono Alagna.
Nel detto anno, a l’entrante di luglio, la gente del re Ruberto in quantità d’ottocento cavalieri, ond’era capitano il dispoto di Romania nipote del detto re, e il conte Novello di quegli del Balzo, presono e entrarono per forza ne la città d’Alagna in Campagna col favore de’ nipoti che furono di papa Bonifazio, e cacciarne con battaglia tutti i seguaci del Bavero, il quale si facea chiamare imperadore, onde fu grande favore al re Ruberto, e il contradio al detto Bavero. Nel detto anno, a dì XVII di luglio, i Ghibellini de la Marca con cavalieri d’Arezzo vennono in quantità di Vc cavalieri subitamente sopra la città da Rimine, per condotta dell’arciprete de’ Malatesti ribello di Rimine, e presono i borghi, ma poi per forza ne furono cacciati con danno e con vergogna di quegli usciti di Rimine. Nel detto anno e mese di luglio ne la città di Vignone in Proenza, ove era la corte di Roma, fu grandissimo diluvio d’acqua per crescimento di Rodano; che per diverse piogge cadute in Borgogna, e nevi strutte a le montagne, il Rodano crebbe sì disordinatamente, che uscì de’ suoi termini, e infinito danno fece in Valdirodano, e in Vignone guastò più di M case lungo la riva, e molte genti anegarono. Nel detto anno e mese di luglio Alberghettino, che tenea Faenza, venne ad acordo e comandamento del papa, cioè del legato del papa a Bologna.
XCIV Come i Parmigiani e’ Reggiani si rubellarono dal legato e dalla Chiesa di Roma.
Nel detto anno, il primo dì d’agosto, quegli della città di Parma con trattato de’ Rossi che n’erano signori rubellarono Parma a la signoria de la Chiesa, e cacciarne la gente e uficiali del legato, opponendo che gli oppressavano troppo, ed era pur vero, con tutto ch’eglino pure aveano male in animo, e in più casi erano stati mali Guelfi e non fedeli a parte di Chiesa. E per simile modo il seguente dì si rubellarono i Reggiani, e feciono lega con messer Cane signore di Verona e con Castruccio, onde i Fiorentini e gli altri Guelfi di Toscana ne sbigottirono assai.
XCV Come il Bavero, che si facea chiamare imperadore, col suo antipapa si partì di Roma e venne a Viterbo.
Nel detto tempo, gli anni di Cristo MCCCXXVIII, essendo il sopradetto Bavero in Roma in povero stato di moneta, perché gli aveano fallato il re Federigo di Cicilia e que’ di Saona usciti di Genova e gli altri Ghibellini d’Italia di venire con loro armata e con moneta al tempo promesso; e la sua gente già per difetti venuta in discordia e da’ Romani male veduti, e la gente del re Ruberto già presa forza in Campagna e in terra di Roma, sì s’avisò il detto Bavero che in Roma non potea più dimorare sanza pericolo di sé e di sua gente, si mandò il suo maliscalco a Viterbo con VIIIc cavalieri, ed egli appresso si partì di Roma col suo antipapa e’ suoi cardinali a dì IIII d’agosto del detto anno, e giunse a Viterbo a dì VI d’agosto. E a la sua partita i Romani gli feciono molta ligione, isgridando lui e ’l falso papa e loro gente, e chiamandogli eretici e scomunicati, e gridando: «Muoiano, muoiano, e viva la santa Chiesa!»; e fedirono co’ sassi, e uccisono di loro gente; e lo ’ngrato popolo gli fece la coda romana, onde il Bavero ebbe grande paura, e andonne in caccia e con vergogna. E la notte medesima ch’egli s’era il dì dinanzi partito entrò in Roma Bertoldo Orsini nipote del legato cardinale con sua gente, e la mattina vennero messer Stefano della Colonna, e furono fatti sanatori del popolo di Roma. E a dì VIII d’agosto vennono il legato cardinale e messer Nepoleone Orsini con loro seguaci con grande festa e onore; e riformata la santa città di Roma de la signoria di santa Chiesa, feciono molti processi contra il dannato Bavero e contra il falso papa, e su la piazza di Campidoglio arsono tutti i loro ordini e brivilegi; ed eziandio i fanciugli di Roma andavano a’ mortori, ov’erano sotterrati i corpi de’ morti Tedeschi e d’altri ch’aveano seguitato il Bavero, e iscavati de le monimenta gli tranavano per Roma e gittavangli in Tevero. Le quali cose per giusta sentenzia di Dio furono al Bavero e al suo antipapa e a’ loro seguaci grande brobbio e abbominazione, e segni di loro rovina e abassamento. E per la loro partita si fuggirono di Roma Sciarra de la Colonna, e Iacopo Savelli, e i loro seguaci, i quali erano stati caporali di dare la signoria di Roma al Bavero, e di molti furono abattuti e guasti i loro palazzi e beni, e condannati. E poi a dì XVIII d’agosto entrò in Roma messer Guiglielmo d’Ebole con VIIIc cavalieri del re Ruberto e gente a piè assai con grande onore: onde la città fu tutta sicura, e riformata a l’ubbidienza di santa Chiesa e del re Ruberto.
XCVI Come il Bavero andò a oste a Bolsena con trattato d’avere la città d’Orbivieto.
Come il Bavero fu in Viterbo con sua gente, il quale avea ancora più di MMD cavalieri tedeschi, sanza gl’Italiani, sì venne a oste sopra il contado d’Orbivieto, e prese più loro castella e villate, faccendo grande danno. E a dì X d’agosto, l’anno detto, si puose a oste al castello di Bolsena, al quale fece dare continue battaglie; ma la sua stanza era in quello luogo per uno trattato ch’avea in Orbivieto, che gli dovea essere data la terra la vilia di santa Maria d’agosto, ch’è loro principale festa: andando i cittadini a l’offerta, i traditori d’entro doveano dare la terra per la porta che vae verso Bagnorea. E già v’era cavalcato il suo maliscalco con M cavalieri, ma come piacque a nostra Donna, si scoperse il detto tradimento in sul punto che giunse il maliscalco, e’ traditori presi e giustiziati. E quando fu fallito al Bavero il suo intendimento, il dì appresso si partì coll’oste da Bolsena e tornossi a Viterbo, e poi a dì XVII d’agosto si partì di Viterbo col suo falso papa e’ suoi cardinali e tutta sua gente, e venne a la città di Todi, non oservando i patti a’ Todini che gli aveano dati IIIIm fiorini d’oro, acciò che non entrasse in loro terra; e venuto in Todi, impuose a’ Todini Xm fiorini d’oro, e caccionne i Guelfi, e l’antipapa per bisogno di danari spogliò Santo Fortunato di tutti i gioelli e santuarie infino a le lampane, che v’erano d’ariento, che valea grande tesoro. E stando il Bavero in Todi, sì mandò il conte d’Ottinghe con Vc cavalieri per conte in Romagna, il quale co la forza de’ Ghibellini di Romagna cavalcarono infino a le porte d’Imola, ardendo e guastando; e d’altra parte il detto Bavero fece cavalcare il suo maliscalco con M cavalieri a Fuligno, credendo avere la terra per tradimento; ma come piacque a Dio, non venne fatto, onde si tornarono a Todi, ardendo e dibruciando e levando prede per le terre del Ducato.
XCVII Come il Bavero essendo a Todi ordinò di venire sopra la città di Firenze, e l’apparecchiamento che feciono i Fiorentini
Ne’ detti tempi essendo il Bavero in Todi, e perseguitando con tanta rovina e Romagna e ’l Ducato, e essendo molto infestato da’ Ghibellini usciti di Firenze e gli Aretini e gli altri Toscani di parte d’imperio, che dovesse venire ad Arezzo per venire da quella parte a oste sopra la città di Firenze, con ordine fatta, che Castruccio, che ancora vivea e era molto montato per la vittoria avuta sopra i Fiorentini de la città di Pistoia, con sua oste dovesse venire per lo piano di verso Prato, e gli Ubaldini co la forza del conte d’Ottinghe e de’ Ghibellini di Romagna rubellare il Mugello, e da tutte parti chiudere le strade a’ Fiorentini, mostrando al detto Bavero che, vinta la città di Firenze (che assai gli era possibile), era signore di Toscana e di Lombardia, e poi assai leggermente potea conquistare il regno di Puglia sopra il re Ruberto; onde il detto Bavero a·cciò s’accordò, e già avea questo preso per consiglio, e fece cominciare l’apparecchiamento per la sua venuta ad Arezzo. I Fiorentini ebbono grandissima paura, e bisognava bene, ch’egli era in sul tempo de la ricolta, e era carestia e scarso di vittuaglia, onde se fosse seguita la detta venuta del Bavero, e il detto ordine preso per gli Ghibellini, i Fiorentini erano in grande pericolo di potere guerentire la cittade, e da molte parti erano spaventati, veggendosi circundati di sì possenti tiranni e nimici. Ma però non si disperaro né si gittarono tra vili e cattivi, però che vile perisce chi a viltà s’appoggia; e piccolo riparo e rispitto molti casi fortuiti passa. Onde i Fiorentini presono conforto e vigore, e con grande consiglio e sollecitudine feciono rafforzare le castella di Valdarno, cioè Monteguarchi, e Castello San Giovanni, e Castello Franco, e l’Ancisa, e guernire di vittuaglia e d’ogni guernimento da difenzione e guerra; e mandarvi in ciascuna terra due capitani de’ maggiori cittadini, uno grande e uno popolano, con masnade a cavallo e con grande quantità di buoni balestrieri. E per simile modo feciono guernire Prato e Signa e Artimino, e tutte le castella di Valdarno di sotto, e feciono isgombrare di vittuaglia e strame tutto il contado, e recare a la città o a terre forti e murate, acciò che’ nimici non trovassono di che vivere per loro e per loro bestie. E mandarono per loro amistadi, e grande guardia si facea di dì e di notte ne la città, e a le porte e a le torri e mura, e faccendo rafforzare ovunque la città era debole; e come franchi uomini erano disposti a sostenere ogni passione e distretta per mantenere coll’aiuto di Dio la cittade. E ordinarono di mandare al re Ruberto e al duca, e così feciono, che rimossa ogni cagione, il duca personalmente co le sue forze venisse a la difensione della città di Firenze; e se non venisse, il Comune era fermo, che le CCm di fiorini d’oro che davano al duca per suoi gaggi secondo i patti, di non pagargli, se non tanti solamente quanto montassono i gaggi de’ cavalieri che tenea messer Filippo di Sangineto suo capitano, che poteano montare l’anno CXm di fiorini d’oro; e il rimanente voleano per lo Comune per fornire la guerra. De la quale richesta il re e ’l duca molto si turbarono; ma veggendo il bisogno de’ Fiorentini, però non volle mettere in aventura la persona del duca contra il Bavero, ma ordinarono di mandare messer Beltramon del Balzo con IIIIc cavalieri a suo soldo per contentare i Fiorentini. Ma tardi era il soccorso; ma come piacque a Dio, che mai non venne meno la sua misericordia a le strette necessitadi del nostro Comune, in brevissimo tempo ci diliberò del tiranno Castruccio per sua morte, come adietro facemmo menzione, e poi di diverse e varie mutazioni e novità ch’avennono al dannato Bavero, come innanzi faremo menzione; e non solamente Idio ci guarentì, ma ci adirizzò in vittorie, prosperità, e buono stato.
XCVIII Come fu morto il tiranno messer Passerino signore di Mantova.
Nel detto anno, a dì XIIII d’agosto, Luisi da Gonzaga di Mantova, con trattato fatto con messer Cane signore di Verona e coll’aiuto de’ suoi cavalieri venuti segretamente a Mantova, tradì messere Passerino, e corse la città di Mantova gridando: «Viva il popolo, e muoia messer Passerino e le sue gabelle!», e con questa furia vegnendo in su la piazza, trovando il detto messer Passerino isproveduto e disarmato vegnendo a cavallo a la detta gente per sapere perché il romore fosse, il detto Luisi gli diede d’una spada in testa, ond’egli morì di presente; e poi prese il figliuolo e ’l nipote del detto messer Passerino, il quale suo figliuolo era fellone e reo, e degnamente gli fece morire per mano del figliuolo di messer Francesco de la Mirandola, cui messer Passerino per tradimento e a torto avea fatto morire; e poi si fece signore de la terra. E così si mostra il giudicio di Dio per la parola del suo santo Vangelio, «Io ucciderò il nimico mio col nimico mio», abbattendo l’uno tiranno per l’altro. Questo messer Passerino fu de la casa de’ Bonaposi di Mantova, e gli antichi furono Guelfi; ma per essere signore e tiranno si fece Ghibellino, cacciando i suoi medesimi e ogni possente di Mantova. Fu piccolo de la persona, ma molto savio e proveduto e ricco, e fu signore in Mantova lungo tempo e di Modana, e sconfisse i Bolognesi, come adietro facemmo menzione, l’anno MCCCXXV; ma dopo il colmo de la detta sua gloria e vittoria ogni dì venne abassando suo stato, come piacque a Dio.
XCIX Come quegli di Fermo de la Marca presono San Lupidio.
Nel detto anno e mese d’agosto quegli de la città di Fermo de la Marca presono per tradimento il castello di San Lupidio, e corsollo e rubarlo tutto, e cacciarne i Guelfi con molta uccisione, e quasi la detta terra fu distrutta.
C Come i Sanesi ebbono Montemassi co la forza de’ Fiorentini.
Nel detto anno e mese d’agosto i Fiorentini, non istanchi né sbigottiti per la tornata del Bavero in Toscana, mandarono in aiuto de’ Sanesi Vc cavalieri, onde fu capitano messer Testa Tornaquinci, per difendergli da la forza di Castruccio, il quale avea mandati in Maremma VIc de’ suoi cavalieri per levare i Sanesi da oste dal castello di Montemassi, e già aveano preso e rubato e arso il castello di Pavanico; e di certo i Sanesi non aveano podere di tenere campo, se non fosse la forza de’ Fiorentini, che incontanente la gente di Castruccio si ritrasse, e’ Sanesi ebbono il castello a patti, rendendosi a sicurtà ne le mani de’ Fiorentini a dì XXVII d’agosto. Lasceremo de’ fatti universali degli strani, e torneremo al processo e andamenti del Bavero.
CI Come don Piero di Cicilia co la sua armata e di quegli di Saona vennono in aiuto del Bavero, e come arrivarono a Pisa, là dov’era il detto Bavero.
Nel detto anno MCCCXXVIII, del mese d’agosto, don Piero, che re Piero si facea chiamare, figliuolo di Federigo signore di Cicilia, con LXXXIIII tra galee e uscieri, e con III navi grosse e più legni sottili, tra di Cicilia e degli usciti di Genova ch’abitavano in Saona, vennono al soccorso del Bavero detto imperadore con VIc cavalieri tra Catalani e Ciciliani e Latini; e tutto che secondo l’ordine e promessa giugnessono tardi al suo soccorso, puosono in più parti nel Regno, prima in Calavra, e poi ad Ischia, e poi sopra Gaeta, seguendo la stinea de la marina, faccendo danno e correrie a le terre del re Ruberto sanza contasto niuno. E poi in terra di Roma presono Asturi e vennono in foce di Tevero, credendo che ’l Bavero fosse a Roma; e non trovandolo, guastarono intorno a Orbitello, e arrivarono a Corneto; e di là sentendo novelle che ’l Bavero era a Todi, gli mandarono ambasciadori che venisse a la marina a parlamentare co·lloro, il quale Bavero avendo le dette novelle, mutò consiglio del venire verso Firenze per la via d’Arezzo, e partissi da Todi a dì XXXI d’agosto col suo antipapa e tutta sua corte e gente, e venne a Viterbo, e là lasciò il detto antipapa e la ’mperadrice e l’altra gente, e con VIIIc cavalieri andò a Corneto a don Piero; e là scendendo que’ signori in terra, stettono in parlamento alquanti giorni con grandi contasti e riprensioni, perché l’armata non era venuta al tempo promesso, e domandava il Bavero i danari promessi per gli patti. Don Piero e suo consiglio il richiedea che venisse sopra le terre del re Ruberto, e egli verrebbe co l’armata per mare e darebbegli la moneta promessa, ch’erano XXm once d’oro. In questo contasto ebbono novelle e ambasciadori da’ Pisani, come la gente di Castruccio aveano corsa la città di Pisa e cacciatane la signoria del Bavero; e d’altra parte il detto Bavero non si sentia in podere, né in disposizione la sua gente di volere andare nel Regno, sentendo i passi guerniti, e la carestia di vittuaglia grande in tutte parti: sì prese consiglio di venire verso Pisa co la donna sua e con tutta sua gente per terra, e l’armata per mare. E così fu fatto; che a dì X di settembre si partirono di Corneto, e vegnendo, morì a Montalto il perfido eretico e maestro e conducitore del Bavero maestro Marsilio di Padova; e giunse il Bavero e l’oste sua a Grosseto a dì XV di settembre; e l’armata di don Piero presono Talamone e guastarlo, e scesono a Grosseto, e col Bavero insieme vi puosono l’oste a petizione degli usciti di Genova e de’ conti da Santa Fiore per torre il porto e ’l passo de la mercatantia a’ Fiorentini e a’ Sanesi e agli altri Toscani che per ischifare Pisa faceano quella via; e stettonvi IIII dì a l’assedio dandovi grandi battaglie co’ balestrieri ch’erano in su l’armata, e salirono più volte in su le mura di Grosseto, e furonne cacciati per forza, e rimasonvene morti più di IIIIc de’ migliori; ma per soperchia gente e battaglie non si potea la terra guari tenere. Ma in questa stanza venne novella e ambasciadori di certi imperiali di Pisa al Bavero, come Castruccio signore di Lucca era morto, e che’ figliuoli con loro masnade aveano corsa la terra, e che per Dio si studiasse d’andare a Pisa, se non che temeano che non dessono la terra a’ Fiorentini. Per la qual cosa il Bavero si partì da Grosseto a dì XVIII di settembre, e con sollecito cavalcare entrò in Pisa a dì XXI di settembre, e da’ Pisani fu ricevuto con grande allegrezza per essere fuori de la signoria de’ figliuoli di Castruccio e de’ Lucchesi; i quali sentendo la sua venuta, si partirono di Pisa e tornarono a Lucca, e il Bavero riformò la terra di Pisa a sua signoria, e fece suo vicario Tarlatino de’ Tarlati d’Arezzo, il quale fece cavaliere, e diede il gonfalone del popolo, onde i Pisani furono molto contenti, e parve loro tornare in loro libertade per la signoria tirannesca avuta da Castruccio e da’ figliuoli. E ciò fatto, don Piero di Cicilia, avuti molti parlamenti col Bavero e coll’altra lega de’ Ghibellini, si partì di Pisa co la sua armata a dì XXVIII di settembre, e simile feciono gli usciti di Genova. Ma a don Piero male avenne, che essendo col suo navilio già presso a l’isola di Cicilia, fortuna gli venne a la ’ncontra, e tutto suo navilio sciarrò in più parti alle piagge di terra di Roma e di Maremma, onde furono in grande pericolo e condizione di scampare; e perirono in mare da XV de le sue galee co la gente che v’era suso, e molte altre ruppono e straccarono in diverse parti; e don Piero con grande pericolo arrivò a Messina con IIII galee solamente; e·rimanente dell’altre arrivarono in diversi porti di Cicilia scemati di gente e d’arnesi, onde i Ciciliani ricevettono una grande sconfitta. Lasceremo alquanto di questa materia, e torneremo a’ fatti di Firenze e dell’altra Italia.
CII Come messere Cane della Scala ebbe la signoria della città di Padova.
Nel detto anno MCCCXXVIII, essendo la città di Padova molto afflitta e anullata di podere e di signoria e di gente, e perduto la maggior parte di suo contado per la discordia di grandi cittadini, e per la persecuzione de la guerra avuta con messer Cane della Scala signore di Verona, quegli della casa da Carrara di Padova, cacciati i loro vicini e guasta loro parte guelfa per volere essere signori e tirannare, quasi per necessità non potendo bene tenere la terra, s’accordaro con messere Cane e imparentarsi co·llui, e diedongli la signoria di Padova a dì VIII del mese di settembre, la quale sì lungamente avea bramata; e a dì X del mese v’entrò con grande trionfo e signoria. E come fu in Padova, l’ordinò e compuose in assai giusto e convenevole stato secondo la terra ch’era guasta, sanza fare vendetta di niuno, e rimettendo nella città chiunque volle tornare sotto la sua signoria. E bene s’adempié la profezia di maestro Michele Scotto de’ fatti di Padova, ove disse molto tempo dinanzi: «Padue magnatum plorabunt filii necem diram et orrendam datam Catuloque Verone».
CIII Come i Fiorentini presono per forza il castello di Carmignano.
Nel detto tempo, sentendo messer Filippo di Sangineto con gli altri capitani della guerra di Firenze e col consiglio de’ priori, che·cci trovammo allora di quello collegio, sentendo che ’l castello di Carmignano non era bene fornito, ed erano isbigottiti de la morte di Castruccio, sì ordinarono segretamente d’assalirlo e di combatterlo e prenderlo per forza; e così misono a seguizione, che ’l detto capitano con certi Fiorentini e con parte della cavalleria e popolo a piè si partirono una notte ordinata di Samminiato e dell’altre terre di Valdarno, e feciono la via del monte, e la mattina furono intorno a Carmignano; e per simile modo, e a uno punto, vi venne la cavalleria de’ Fiorentini ch’era in Prato, co’ Pratesi e gente a piè assai, sì che si trovarono intorno a Carmignano VIIIc cavalieri oltramontani e Vm pedoni. Il castello era assai forte di sito, e parte murato per Castruccio e parte steccato e affossato, e con torri e bertesche di legname; ma era d’uno grande giro e porpreso, e dentro v’avea L cavalieri e da VIIc uomini a piè, che bisognava a la guardia due cotanti gente. Messer Filippo capitano de’ Fiorentini fece tutti i cavalieri scendere a piè, e a ciascuno conastabole aggiunse pedoni con pavesi e balestra e raffi e stipa e fuoco, e a ciascuno diede la sua posta intorno al castello; e da più di XX parti a uno suono di trombe e nacchere il fece assalire e combattere; la quale battaglia fue aspra e dura e sostenne da la mattina a ora di nona. Ma a la fine per lo grande porpreso e per la prodezza de’ nostri cavalieri in più parti vinsono la battaglia con grande danno di que’ d’entro e entrarono per forza dentro a la terra e puosono le bandiere. Gli altri de la terra veggendo entrati i nimici dentro, abbandonarono le loro poste e la terra, e fuggirono, chi poté, nel girone de la rocca, e l’altra gente entrò poi ne la terra, e corsolla e rubarla tutta, e di gran preda la spogliarono; e ciò fu a dì XVI del mese di settembre del detto anno. E la rocca si tenne poi VIII giorni, avendovi ritti mangani e difici, i quali gli consumavano dì e notte, e eranvi con grande fame e difetto di vittuaglia per la molta gente che v’erano rifuggiti de’ terrazzani. A la fine s’arendé la rocca e ’l girone a patti, salve le persone e ciò che se ne potessono portare. E ebbono i soldati che v’erano dentro per menda di loro cavagli MCC fiorini d’oro. Questi patti così larghi si feciono loro però che ’l Bavero era già giunto in Pisa, e di sua cavalleria già venuta in Pistoia, ond’era a la nostra oste grande pericolo a soprastarvi. Di questo acquisto di Carmignano ebbe in Firenze grande allegrezza, isperando che la fortuna prospera fosse adirizzata a’ Fiorentini, ma più consigli si tennono di disfare la terra e la rocca per dubbio del Bavero, o di ritenerla; a la fine si vinse che si ritenesse e si recasse a minore giro, e si murasse tutta con torri di pietre e calcina, e rafforzare la rocca e ’l girone, e che mai non si lasciasse per gli Fiorentini, ma che si confiscasse a perpetuo al nostro contado; e così fu tutto di presente fatto.
CIV Come il re di Francia fece fare pace tra ’l conte di Savoia e ’l Dalfino di Vienna.
Nel detto anno, a l’uscita di settembre, lo re Filippo di Francia a preghiera e studio de la reina Crementa, la quale era stata moglie del re Luis di Francia e figliuola di Carlo Martello re d’Ungheria e nipote del re Ruberto, sì fece fare pace tra ’l conte di Savoia e ’l Dalfino di Vienna nipote de la detta reina, intra’ quali era stata lunga e mortale guerra; e essendo la detta reina malata a morte, per darle consolazione lo re in sua presenza la fece fare, e basciare in bocca i detti signori, la quale poco apresso passò di questa vita, onde fu gran dammaggio, sì come di savia e valente donna e reina.
CV Come il Bavero andò a Lucca, e dispuose de la signoria i figliuoli di Castruccio.
Essendo il sopradetto Bavero in Pisa, i figliuoli di Castruccio gli furono molto abominati da’ Pisani, e ch’eglino e il loro padre Castruccio aveano tenuto trattato co’ Fiorentini contra l’onore della corona; e ciò fu in parte verità. Onde il Bavero era molto indegnato contra loro, e per lo correre ch’aveano fatto in Pisa, e la sua gente non lasciavano entrare in Lucca. Per la qual cosa la moglie che fu di Castruccio, per raumiliarlo contra i figliuoli, sì venne in Pisa, e donogli il valore di Xm fiorini d’oro, tra in danari e gioegli e ricchi destrieri, e rimisesi in lui, lei e’ figliuoli. Per la qual cosa, e per consiglio de’ Pisani e di certi Lucchesi, il Bavero andò a Lucca a dì V d’ottobre, e fugli fatto grande onore; ma per gli sombugli ch’avea nella città per gli cittadini, che non voleano che’ figliuoli di Castruccio rimanessono signori, si levò la città a romore a dì VII d’ottobre, e s’asserragliò e abarrò da casa gli Onesti e in più parti. A la fine fu corsa per gli Tedeschi, e riformò la terra a sua signoria, e lasciò per signore il Porcaro suo barone, che tanto è a dire Porcaro in tedesco come conte castellano; ma in nostra lingua era chiamato Porcaro. E impuose a Lucca e al contado CLm di fiorini d’oro, tagliandogli per uno anno, promettendo di lasciargli franchi. E trasse di pregione messer Ramondo di Cardona e ’l figliuolo, che fu capitano de’ Fiorentini, e pagogli per sua redenzione IIIIm fiorini d’oro, e fecelo giurare a la sua signoria, e ritennelo al suo soldo con C cavalieri; e ciò fu a priego del re di Raona; e tornò in Pisa a dì XV d’ottobre, e a’ Pisani impuose Cm fiorini d’oro; per le quali imposte in Pisa e in Lucca n’ebbe grandi ramarichii e dolori per gli cittadini per la soperchia gravezza, e il loro male stato, e macerati de le guerre. In questa stanza il Porcaro, che ’l Bavero avea lasciato in Lucca, s’imparentò co’ figliuoli di Castruccio, e rimisegli inn-istato e signoria, e mostrava di volersi tenere co·lloro insieme la signoria di Lucca e del contado; per la qual cagione per certi Lucchesi e Pisani furono fatti sospetti de la corona, onde per gelosia della ’mpresa del Porcaro de’ fatti di Lucca e de’ Tedeschi de la bassa Alamagna partiti da·llui e andati al Cerruglio, come appresso faremo menzione, il Bavero tornò a Lucca a dì VIII di novembre, e dispuose di signoria il detto Porcaro, il quale se n’andò per disdegno in Lombardia e poi in Alamagna, e a’ figliuoli di Castruccio tolse ogni titolo del ducato, e mandò loro e·lla madre a’ confini a Pontriemoli, e ’l Comune di Pisa con assento del Bavero condannarono i figliuoli di Castruccio, e Nieri Saggina loro tutore, e tutti gli usciti di Firenze, e chi furono caporali co·lloro a rompere il popolo di Pisa e correre la terra nell’avere e nella persona sì come traditori.
CVI Come certi della gente del Bavero si rubellarono da lui, e vennono in sul Cerruglio di Vivinaia.
In questo presente tempo i Tedeschi de la bassa Alamagna i quali erano col Bavero, conceputo il disdegno, cominciata la discordia tra ’l Bavero e loro infino a Cisterna, in Campagna, sì come adietro facemmo menzione, e istando in Pisa, e non potendo avere le loro paghe e gaggi dal Bavero, sì feciono infra loro cospirazione e congiura, e furono da VIIIc uomini a cavallo, e i più de’ migliori di sua gente, seguendoli più altri gentili uomini rimasi a piè per povertà; e partirsi di Pisa a dì XXVIIII d’ottobre del detto anno, e credettono prendere e rubellare la città di Lucca e tenerlasi per loro; e venia loro fatto, se non che ’l Bavero sentendo loro folle partita, per messaggi battendo, mandò a Lucca che non fossono ricettati nella città; e così fu fatto. Per la qual cosa albergando ne’ borghi di Lucca, gli rubarono d’ogni sustanzia, e vennono in Valdinievole, e non potendo entrare in niuna fortezza murata, sì si misono in sul Cerruglio, il quale è in su la montagna di Vivinaia e di Montechiaro, il quale luogo Castruccio avea afforzato quando avea la guerra co’ Fiorentini, e quello rafforzarono e tennono, faccendosi dare trebuto e vittuaglia a tutte le terre vicine. E in questa loro stanza più trattati feciono cercare co’ Fiorentini, e venne in Firenze il duca di Cambenic de la casa di quegli di Sassogna, e messer Arnaldo di..., loro caporali; ma poco effetto ebbono allora i loro trattati, perché voleano troppo larghi patti e molta moneta, e’ Fiorentini si poteano male fidare di loro; e con questo tuttora erano in trattato col Bavero per riconciliarsi co·llui, per avere i loro gaggi, e parte n’ebbono, più per tema che non s’accordassono co’ Fiorentini che per amore. Avenne che in questi trattati da·lloro al Bavero egli mandò a·lloro per ambasciadore e trattatore messer Marco de’ Visconti di Milano, il quale ad istanzia del Bavero fece loro certa impromessa di moneta per levargli del luogo e menargli in Lombardia; i quali passato il termine, e non fornito per lo Bavero come avea promesso, ritennono il detto messer Marco cortesemente per loro pregione per LXm fiorini d’oro; e dissesi che ’l Bavero il vi mandò viziatamente per farlo ritenere per levarlosi d’intorno, non fidandosi di lui per quello ch’avea fatto a messer Galeasso suo fratello di torgli la signoria di Milano. Di questa compagna dal Cerruglio seguirono poi grandi novitadi e mutazioni ne la città di Lucca, come innanzi faremo per gli tempi menzione.
CVII Come il re Ruberto e ’l duca suo figliuolo mandarono inn-aiuto de’ Fiorentini Vc cavalieri.
Nel detto anno, il dì d’Ognesanti, giunse in Firenze messer Beltramone del Balzo con Vc cavalieri, i quali il re Ruberto e ’l duca suo figliuolo mandò di Puglia al servigio de’ Fiorentini e al suo soldo per contastare il Bavero; e ciò fu per sodisfare in parte la richesta ch’aveano fatta i Fiorentini di volere la persona del duca, sì come dovea venire a difendere la città di Firenze, dapoi che prendea CCm fiorini d’oro, com’era in patti. De la quale venuta de’ cavalieri i Fiorentini furono altrettanto contenti come se fosse venuto il duca in persona, perciò che già rincrescea loro la sua signoria, e cercavano modo di non volergli dare l’anno i detti danari dapoi che non istava in Firenze personalmente; ma tosto si quetò la detta questione, come diremo apresso.
CVIII Come morì Carlo duca di Calavra e signore di Firenze.
Nel detto anno, a dì VIIII del mese di novembre, come piacque a Dio, messer Carlo figliuolo del re Ruberto duca di Calavra, e signore de’ Fiorentini, passò di questa vita nella città di Napoli d’infermità di febbre presa a uccellare nel Gualdo; onde in Napoli n’ebbe grande dolore e in tutto il Regno, e soppellìsi al monistero di Santa Chiara in Napoli, a dì XIIII di novembre, a grande onore, sì come re; e poi se ne fece l’esequio in Firenze a dì II di dicembre a la chiesa de’ frati minori, molto grande e onorevole di cera in grandissima quantità, per lo Comune e per la parte guelfa e per tutte l’arti; e furonvi le signorie e ’l capitano ch’era del duca, e uomini e donne e tutta la buona gente de la città di Firenze, che apena poteano capere nella piazza di Santa Croce non che nella chiesa. Di questo duca non rimase reda nulla maschio, ma due figliuole femmine, una nata, e d’una rimase grossa la duchessa; onde a lo re Ruberto suo padre e a tutto il Regno n’ebbe gran dolore, però che ’l re Ruberto non avea altro figliuolo maschio. Questo duca Carlo fu uomo assai bello del corpo, e informato, innanzi grosso, e non troppo grande; andava in capegli sparti, assai era grazioso, di bella faccia ritonda, con piena barba e nera, ma non fu di gran valore a quello che potea essere, né troppo savio; dilettavasi in dilicatamente vivere e de la donna, e più in ozio che in fatica d’arme, con tutto che ’l padre lo re Ruberto il tenea molto corto per gelosia de la sua persona, perché non avea più figliuoli; morì d’etade di.... anni; assai fu cattolico e onesto, e amava giustizia. De la morte di questo signore i cittadini di Firenze ch’amavano parte guelfa ne furono crucciosi, quanto per parte; ma il genero de’ cittadini ne furono contenti per la gravezza della spesa e moneta che traeva de’ cittadini, e per rimanere liberi e franchi, che già cominciava a dispiacere forte a’ cittadini la signoria de’ Pugliesi, i quali avea lasciati suoi uficiali e governatori, che a nulla altra cosa intendeano con ogni sottigliezza se non di fare venire danari in Comune, e di tenere corti i cittadini di loro onori e franchigia, e tutto si voleano per loro; e di certo, se ’l duca non fosse morto, non potea guari durare, che’ Fiorentini avrebbono fatta novità contra la sua signoria, e rubellati da·llui.
CIX Come i Fiorentini riformarono la città di signorie dopo la morte del duca.
Dapoi che’ Fiorentini ebbono novelle de la morte del duca, ebbono più consigli e ragionamenti e avisi, come dovessono riformare la città di reggimento e signoria per modo comune, acciò che si levassono le sette tra’ cittadini; e come piacque a·dDio, quegli che allora erano priori, con consiglio d’uno buono uomo per sesto, di concordia trovarono questo modo ne la lezione de’ priori e gonfalonieri, cioè che’ priori con due arroti popolani per sesto facessono scelta e rapporto di tutti i cittadini popolani guelfi degni de l’uficio del priorato, d’età da XXX anni in suso; e per simile modo feciono i gonfalonieri de le compagnie con II popolani arroti per gonfalone; e simile recata facessono i capitani di parte guelfa col loro consiglio; e simile i cinque uficiali della mercatantia col consiglio di VII capitudini de le maggiori arti, due consoli per arte. E fatte le dette recate, ne la sala de’ priori si congregarono i priori e’ gonfalonieri a l’entrante del mese di dicembre, e co·lloro i XII buoni uomini consiglieri, e con cui i priori faceano le gravi diliberazioni, e con XVIIII gonfalonieri de le compagnie, e due consoli di ciascuna delle XII arti maggiori, e VI arroti fatti per gli priori e per gli detti XII consiglieri per ciascuno sesto, sì che in tutto furono in numero di LXXXXVIII; e messo ciascuno uomo recato a scruttino segreto di fave bianche e nere, ricolte per due frati minori e due predicatori e due romitani, forestieri savi e discreti, e parte di loro a vicenda stavano nella camera a ricogliere le fave e a noverarle; e chiunque avea LXVIII boci, cioè LXVIII fave nere, era aprovato per priore e messo in segreto rigistro scritto, il quale rimase apo i frati predicatori, e in una piccola cedola sottile iscritto il nome e sopranome suo, e messo in una borsa a sesto a sesto come venia; e quelle borse messe in uno forziere serrato a tre chiavi, e mandato nella sagrestia de’ frati minori; e l’una chiave teneano i frati conversi di Settimo, che stavano a la camera dell’arme de’ priori, e l’altra il capitano del popolo, e l’altra il ministro de’ frati. E quando finiva l’uficio de’ priori de’ due in due mesi, anzi loro uscita il meno per III dì, i vecchi priori col capitano sonando e raccogliendo il consiglio facevano venire il detto forziere, e in presenza del consiglio s’apriva, e a sesto a sesto s’aprieno le dette borse, mischiando le bollette, e poi traendole in aventura; e quegli ch’era tratto era priore, oservando il divieto ne la persona di quegli ch’era due anni, che più non potea essere infra ’l tempo; e il figliuolo, padre, o fratello di quegli avea divieto uno anno; e la casa ond’era VI mesi. E questo ordine si fermò prima per gli opportuni consigli, e poi in pieno parlamento ne la piazza de’ priori, ove fu congregato molto popolo, ov’ebbe molti dicitori, e lodando l’ordine, e confermandola a dì XI di dicembre MCCCXXVIII, sotto gravi pene chi contro facesse, e che di due in due anni del mese di gennaio si dovesse rifare da capo per simile modo, e chi vi si trovasse in registro che non fosse uscito o tratto vi rimanesse; e chi di nuovo fosse approvato per lo detto squittino fosse rimescolato con quegli che non fossono tratti; e quegli che tratti fossono si rimettessono a sesto a sesto in un’altra borsa infino che fossono gli altri tutti tratti.
Per simile modo e squittino s’aprovarono i XII uomini consiglieri de’ priori; e chi era, durava il loro uficio IIII mesi, e qual era dell’uno collegio era dell’altro. I gonfalonieri de le compagnie si feciono per simile modo, salvo che poteano essere giovani di XXV anni o da indi in suso; e durava il loro uficio quattro mesi, che in prima duravano VI mesi. E per simile modo ciascuna de le XII maggiori arti feciono i loro consoli; e rimutossi il consiglio del Cento, e Credenza, e LXXXX, e generale, che soleano essere per antico; e fecesi uno consiglio di popolo di CCC uomini popolani scelti e approvati sofficienti e guelfi; e simile uno consiglio di Comune, ove avea grandi uomini de’ casati e popolani di CCL uomini approvati, e furono recati a termine di IIII mesi, ove soleano essere per VI mesi, per avicendare i cittadini, e dare parte degli ufici. Per questo modo fu riformata la città di Firenze de’ suoi reggimenti e uficiali, e poco tempo appresso per fuggire le pregherie si feciono per borse, overo sacchi, approvati per squittino le podestadi forestiere. Avemo così stesamente fatta memoria di questa riformazione, perché fu con bello ordine e comune; e seguìne assai tranquillo e pacefico stato al nostro Comune uno tempo, perché sia esemplo a coloro che sono a venire; ma com’è l’usanza de’ Fiorentini di spesso volere fare mutazioni, per la qual cosa gli detti buoni ordini assai tosto si coruppono e viziaro per le sette de’ malvagi cittadini, che al tutto voleano reggere sopra gli altri, mettendo con frode a le riformazioni de’ loro seguaci non degni a’ detti ufici, e lasciare adietro de’ buoni e sofficienti, onde seguì poi molti danni e pericoli a la nostra città, come innanzi faremo menzione.
CX Come in Firenze fu fatta una imposta sopra il chericato.
In questi tempi si fece in Firenze per autorità d’una vecchia lettera di papa una imposta sopra il chericato di XIIm fiorini d’oro (bene ch’ella fosse ordinata innanzi per lo priorato ch’era stato al tempo che ’l Bavero dovea venire verso Firenze per la via d’Arezzo, e Castruccio era vivo, e dovea venire da la parte di Pistoia), acciò ch’egli atassono per li loro benifici la difensione de la città e del contado contra i rubegli e persecutori di santa Chiesa; de la quale imposta il detto chericato ingrato e sconoscente non volea pagare, e convenne che pagassono per forza; per la qual cosa appellarono al papa, e misono lo ’nterdetto in Firenze a dì XVIII di novembre, e poi il levarono infino a la Bifania, e poi il ripuosono infino che ’l vescovo di Firenze ch’era ne la Marca tornò, e levollo con loro grande vergogna, però che s’ordinava di trarre i cherici de la guardia del Comune; e ciò fu a dì V di febbraio anni MCCCXXVIII. Lasceremo alquanto de’ fatti di Firenze, e diremo dell’altre novità degli strani che furono in questi tempi.
CXI Come sobbissò per tremuoti gran parte de la città di Norcia del Ducato con più castella ivi intorno.
Nel detto anno MCCCXXVIII, a l’entrante di dicembre, furono diversi tremuoti ne la Marca ne le contrade di Norcia, per modo che quasi la maggior parte de la detta città di Norcia sobbissò, e caddono le mura de la terra e le torri, case, e palazzi, e chiese, e de la detta rovina, perché fu sùbita e di notte, morirono più di Vm persone. E per simile modo rovinò uno castello presso a Norcia, che si chiama le Precchie, che non vi rimase persona né animale vivo; e per simile modo il castello di Montesanto, e parte di Monte Sammartino, e di Cerreto, e del castello di Visso.
CXII Come il Bavero ne la città di Pisa condannò papa Giovanni, e papa Giovanni apo Vignone diè sentenzia contro al Bavero.
Nel detto anno, a dì XIII del mese di dicembre, il Bavero, il quale si dicea essere imperadore, si congregò uno grande parlamento, ove furono tutti i suoi baroni e maggiori di Pisa, laici e cherici, che teneano quella setta, nel quale parlamento frate Michelino di Cesena, il quale era stato ministro generale de’ frati minori, sermonò in quello contro a papa Giovanni, opponendogli per più falsi articoli e con molte autoritadi ch’egli era eretico e non degno papa; e ciò fatto, il detto Bavero a modo d’imperadore diè sentenzia contra il detto papa Giovanni di privazione. E in questi medesimi tempi e mese di dicembre, per le digiune Quattro Tempora, il detto papa Giovanni apo Vignone in concestoro de’ suoi cardinali e de’ parlati di corte piuvicò e fece gran processi contra il detto Bavero, sì come eretico e persecutore di santa Chiesa e de’ suoi fedeli, e per sentenzia il privò e dispuose d’ogni dignità e stato e signoria, e commise a tutti gl’inquisitori della eretica pravità che procedessono contro a·llui e chi gli desse aiuto o conforto o favore.
CXIII Come l’antipapa con suoi cardinali entrò ne la città di Pisa e predicò contro a papa Giovanni.
Nel detto anno, a dì III di gennaio, l’antipapa di su detto, frate Piero di Corvara, entrò in Pisa a modo di papa con suoi VII cardinali fatti per lui, al quale per lo Bavero detto imperadore e da sua gente e da’ Pisani fu ricevuto con gran festa e onore, andandogli incontro il chericato e’ religiosi di Pisa e’ laici col detto Bavero con grande processione a piè e a cavallo, con tutto che quegli che ’l vidono dissono che parea loro opera isforzata e non degna, e la buona gente e’ savi di Pisa molto si turbarono, non parendo loro ben fare, sostegnendo tanta abbominazione. E poi a dì VIII del detto mese di gennaio il detto antipapa predicò in Pisa e diede perdono, come potea, di colpa e di pena, chi rinnegasse papa Giovanni, e tegnendolo per non degno papa, confessandosi de’ suoi peccati infra gli otto dì, e confermando la sentenzia che ’l detto Bavero avea data contro a papa Giovanni per la predica di frate Michelino, come dicemmo adietro.
CXIV Di certe cavalcate che la gente che ’l capitano del re Ruberto co la gente de’ Fiorentini feciono sopra il contado di Pisa.
Nel detto tempo, a dì X di gennaio, essendo il Bavero in Pisa con tutta sua forza, messere Beltramone del Balzo capitano della gente del re Ruberto essendo in Samminiato a le frontiere colla sua gente e con quella de’ Fiorentini, in numero di M a cavallo e gente a piè assai, cavalcarono in sul contado di Pisa per la Valdera infino a ponte di Sacco, e levarono grande preda di gente, e di bestiame, e arsono tutto il paese, e stettonvi due dì e una notte, né però la gente del Bavero non uscirono di Pisa per soccorrere il loro contado, dicendo il Bavero a’ Pisani, se volessono che cavalcassono, dessono danari a’ suoi cavalieri; onde molto fu ripreso e tenuto a vile da la buona gente di Toscana. E poi a dì XXI di febbraio il detto messer Beltramone con sua gente e con quella de’ Fiorentini cavalcarono sopra il contado di Pisa, e simile levarono grande preda, ma fu con danno d’alquanti di sua gente a piè, i quali per ghiottornia de la preda s’erano dilatati per lo paese, e a la ritratta ve ne rimasono de’ morti e de’ presi più di CL.
CXV D’uno certo tradimento che fu scoperto che si doveva fare in Firenze.
Nel detto anno, in mezzo gennaio, fu menato uno trattato per Ugolino di Tano degli Ubaldini con certi uomini di piccolo affare di Firenze di tradire la città di Firenze in questo modo: che dovea mettere di sagreto in Firenze CC de’ suoi fanti, e quegli stare nel borgo d’Ognesanti e di San Paolo, e una notte ordinata fare mettere fuoco in quattro case, in diverse parti di Firenze in San Piero Scheraggio e Oltrarno, le quali si trovarono allogate a pigione e stipate di scope; e appresi i detti fuochi, quando la gente fossono tratti al soccorso del fuoco, i detti fanti, onde dovea essere capo uno Giovanni del Sega da Carlone, oso fante e ardito, si doveano raunare in sul prato d’Ognesanti con più altri loro seguaci e Ghibellini, gridando: «Viva lo ’mperadore!», e imbarrare le vie, e fare tagliare la porta del Prato e quella de le Mulina; e da Pistoia per cenno di fuoco ordinato doveano venire la notte M cavalieri di quegli del Bavero con M fanti in groppa a guida del detto Ugolino e altri usciti di Firenze, ed entrare in sul Prato e correre e combattere la terra. E da Pisa dovea simigliante quella notte muovere il maliscalco del Bavero con molta gente e venire a Firenze. Ma, come piacque a Dio, il detto trattato si scoperse per certi compagni del detto Giovanni del Sega, e liberò Idio la città di Firenze di tanto pericolo, con tutto che per molti cittadini si fece quistione, se potesse essere venuto fornito il detto tradimento, non essendo nella città possenti uomini ch’avessono risposto al tradimento, che non si trovò di vero; e in Firenze avea gente a cavallo assai, e a piè innumerabile quantità a la difensione, e la città grande, e in molte parti ripari e fortezze da difendere. Ma s’avessono proceduto, non era sanza grande rischio e pericolo, essendo il romore di notte e improviso, onde i cittadini sarebbono stati isbigottiti e in sospetto l’uno dell’altro per tema di maggiore ordine di tradimento, sì che ci e il pro e il contro. Ma come si fosse, il detto Giovanni fue menato in su uno carro per tutta la città attanagliato, e levatogli le carni di dosso co le tanaglie calde in fuoco, e poi piantato; e tre altri ch’aveano cerco e sentito il trattato, e non revelato, furono impiccati in sul prato d’Ognesanti; e Ugolino di Tano e più suoi seguaci condannati come traditori. E quegli che scopersono il trattato ebbono MM fiorini d’oro dal Comune, e brivileggiati che potessono sempre portare ogni arme da offendere e da difendere per guardia di loro persone. Ma per molti cittadini e forestieri si disse che la detta cerca e trattato sì pur fece, ma parendo al consiglio del Bavero impossibile a poterlo fornire e recarlo a fine sanza loro gran pericolo, sì il lasciarono, e il detto Ugolino degli Ubaldini e’ suoi consorti a più loro amici e parenti fiorentini se ne scusarono, che non v’avea colpa.
CXVI Come l’antipapa fece suo cardinale messer Giovannino Visconti di Milano.
Nel detto anno, a dì XXVIIII di gennaio, l’antipapa a richiesta del Bavero e di messere Azzo Visconti di Milano fece suo cardinale messer Giovannino di messer Maffeo Visconti, e mandollo in Lombardia per suo legato; e il detto Bavero confermò sì come imperadore la signoria di Milano a messer Azzo Visconti, promettendogli il detto messer Azzo in certe paghe CXXVm di fiorini d’oro per sodisfare i suoi cavalieri, i quali erano al Cerruglio; onde ordinò loro capitano messer Marco Visconti, e licenziollo si tornasse a Milano. Il quale messer Azzo se n’andò in Lombardia con uno barone del Bavero che si chiamava il Pulcaro, con certi de’ cavalieri dal Cerruglio, e giunto in Milano il detto Pulcaro ebbe da messer Azzo XXVm di fiorini d’oro, e andossene con essi nella Magna sanza risponsione al detto Bavero o a’ cavalieri dal Cerruglio. Per la qual cosa saputo in Lucca, il Bavero si tenne male contento e ingannato dal Pulcaro e da messer Azzo Visconti; e i cavalieri de la compagna dal Cerruglio ritennono messer Marco Visconti loro capitano per pegno e come loro pregione per gli loro gaggi promessi per messer Azzo. In questi inganni e dissimulazioni vivea in Lucca e in Pisa il detto antipapa e quegli che si chiamava imperadore. E in questi dì quegli della città di Volterra e di San Gimignano feciono una tacita triegua col Bavero e co’ Pisani, acciò che non gli cavalcassono, onde i Fiorentini furono molto crucciosi, e mandarvi loro ambasciadori forte riprendendogli.
CXVII Come il capitano del Patrimonio e gli Orbitani furono sconfitti in Viterbo credendo avere presa la terra.
Nel detto anno, a dì II di febbraio, il capitano del Patrimonio, che v’era per lo papa, co la forza degli Orbitani, avendo certo trattato con certi cittadini di Viterbo di dare loro l’entrata della terra, sì entrarono in Viterbo per una porta con CCC cavalieri e VIIc pedoni, e corsono la terra infino a la piazza, e per mala capitaneria si cominciaro a spargere per la città rubando, credendo avere vinta la terra. Il signore di Viterbo con molti de’ cittadini si cominciarono a difendere e abarrare le vie; e combattendo, vinsono coloro ch’erano rimasi in su la piazza, onde furono sconfitti e cacciati; e rimasonvi tra morti e presi più di C a cavallo e più di CC a piè. E in questi medesimi dì que’ d’Orbivieto lasciarono la signoria di Chiusi a’ signori di Montepulciano, però che di loro era il vescovo di Chiusi, e rimisono in Chiusi ogni parte e usciti.
CXVIII Come i Romani per carestia tolsono la signoria di Roma al re Ruberto.
In questi tempi, a dì IIII di febbraio, essendo in Roma sanatore per lo re Ruberto messer Guiglielmo d’Eboli suo barone con CCC cavalieri a la guardia de la terra, i Romani avendo grande carestia di vittuaglia per lo grande caro che generalmente era per tutta Italia, dogliendosi del re Ruberto che non gli forniva del Regno, a romore si levò il popolo, gridando: «Muoia il sanatore!»; e corsollo in Campidoglio assalendolo aspramente, il quale con tutta sua gente non poté resistere; si s’arendé e uscì de la signoria con grande danno e vergogna, e’ Romani feciono loro sanatori messer Stefano de la Colonna e messer Poncello Orsini, i quali del loro grano e di quello degli altri possenti Romani feciono venire in piazza, e racquetarono il popolo.
CXIX Come il detto anno, e più il seguente, fue grande caro di vittuaglia in Firenze e quasi in tutta Italia.
Nel detto anno MCCCXXVIII si cominciò e fu infino nel CCCXXX grande caro di grano e di vittuaglia in Firenze, che di soldi XVII lo staio ch’era valuto di ricolta, il detto anno valse XXVIII, subitamente in pochi dì montò in XXX soldi; e poi entrando il seguente anno CCCXXVIIII, ogni dì venne montando sì, che per la Pasqua del Risoresso del XXVIIII valse soldi XLII, e innanzi che fosse il novello per lo contado in più parti valse fiorino uno d’oro lo staio, e nonn-avea pregio il grano, possendosene avere per danari la gente ricca che n’avea bisogno, onde fu grande stento e dolore a la povera gente. E non fu solamente in Firenze, ma per tutta Toscana e in gran parte d’Italia; e fu sì crudele la carestia che’ Perugini, e’ Sanesi, e’ Lucchesi, e’ Pistolesi, e più altre terre di Toscana per non potere sostentare cacciarono di loro terre tutti i poveri mendicanti. Il Comune di Firenze con savio consiglio e buona provedenza, riguardando a la piatà di Dio, ciò non sofferse, ma quasi gran parte de’ poveri di Toscana mendicanti sostenne, e fornì di grossa quantità di moneta la canova; mandando per grano in Cicilia, faccendolo venire per mare a Talamone in Maremma, e poi condurlo in Firenze con grande rischio e ispendio; e così di Romagna e del contado d’Arezzo, e non guardando al grave costo, sempre ch’era la grave carestia, il tenne a mezzo fiorino d’oro lo staio in piazza, tuttora col quarto orzo mescolato. E con questo era sì grande rabbia del popolo in Orto San Michele, che convenia vi stesse a guardia degli uficiali le famiglie delle signorie armate col ceppo e mannaia per fare giustizia, e fecionsene intagliare membri. E perdévi il Comune di Firenze in quegli due anni più di LXm fiorini d’oro per sostentare il popolo; e tutto questo era niente; se non che infine si provide per gli uficiali del Comune di non vendere grano in piazza, ma di fare pane per lo Comune a tutti i forni, e poi ogni mattina si vendea in tre o quattro canove per sesto di peso d’once VI il pane mischiato per danari IIII l’uno. Questo argomento sostenne e contentò la furia del popolo e della povera gente, ch’almeno ciascuno potea avere pane per vivere, e tale avea danari VIII o XII per sua vita il dì, che non potea raunare i danari di comperare lo staio. E tutto ch’io scrittore non fossi degno di tanto uficio, per lo nostro Comune mi trovai uficiale con altri a questo amaro tempo, e co la grazia di Dio fummo de’ trovatori di questo rimedio e argomento, onde s’apaciò il popolo, e fuggì la furia, e si contentò la povera gente sanza niuno scandalo o romore di popolo o di città. E con questo testimonio di verità che anche in niuna terra si fece per gli possenti e pietosi cittadini tante limosine a’ poveri, quanto in quella disordinata carestia si fece per gli buoni Fiorentini; ond’io sanza fallo stimo e credo che per le dette limosine e provedenza fatta per lo povero popolo, Idio abbia guardata e guarderà la nostra città di grandi aversitadi. Avemo fatto sì lungo parlare sopra questa materia per dare esemplo a’ nostri cittadini che verranno d’avere argomento e riparo, quando in così pericolosa carestia incorresse la nostra città, acciò che si salvi il popolo al piacere e reverenza di Dio, e la città non incorra in pericolo di furore o rubellazione. E nota che sempre che la pianeta di Saturno saràe ne la fine del segno del Cancro e infino al ventre del Leone, carestia fia in questo nostro paese d’Italia, e massimamente nella nostra città di Firenze, però che pare attribuita a parte di quello segno. Questo non diciamo sia però necessitade, che Idio può fare del caro vile e del vile caro secondo sua volontà, o per grazia de’ meriti di sante persone o per pulizione de’ peccati; ma naturalmente parlando, Saturno secondo il detto de’ poeti e astrolagi è lo Dio de’ lavoratori, ma più vero la sua infruenza porta molto a l’overaggio e semente de le terre; e quand’egli si truova ne le case e segni suoi aversi e contrarii, come il Cancro e più il Leone, adopera male le sue vertù ne la terra, però ch’egli è di naturale isterile, e il segno del Leone isterile; sì che dà caro e sterelità, e non ubertà e abbondanza. E questo per isperienza avemo veduto per gli tempi passati, e basti a chi s’intende di queste ragioni, che così fu in questi tempi, il qual è di XXX in XXX anni, e talora ne le sue quarte, secondo le congiunzioni di buone o ree pianete.
CXX Come l’antipapa del Bavero fece in Pisa processi contra papa Giovanni e lo re Ruberto e Comune di Firenze.
Nel detto anno MCCCXXVIII, a dì XVIIII di febbraio, l’antipapa del Bavero, il quale era nella città di Pisa, in pieno parlamento e sermone, ove fu il detto Bavero e tutta sua baronia e parte de la buona gente di Pisa, fece processo e diè sentenzia di scomunica contro a papa Giovanni, e contro al re Ruberto, e contro al Comune di Firenze e chi loro seguisse, opponendo contro a’ detti falsi articoli. Avenne in ciò grande maraviglia, e visibile e aperta, che raunandosi il detto parlamento, subitamente venne da cielo la maggiore tempesta di gragnuola e d’acqua con terribile vento, che per poco mai venisse in Pisa; e perché agli più de’ Pisani pareva mal fare andando al detto sermone, e per lo forte tempo pochi ve n’andavano, per la qual cosa il Bavero mandò il suo maliscalco a cavallo con gente d’arme e con fanti a piede per la città a costrignere che la buona gente andasse al detto parlamento e sermone, e con tutta la forza pochi ve n’andarono. E in quello cavalcare per la terra il detto maliscalco, essendo la detta fortuna e tempesta, prese freddo a la persona, onde per guerire la sera fece uno bagno, ove fece mettere acqua stillata, e in quello bagnandosi vi s’apprese fuoco, e subitamente il detto maliscalco nel detto bagno arse e morì sanza altro male di persone; la qual cosa fu tenuto gran miracolo di Dio e segno contrario al Bavero e a l’antipapa, che’ loro indegni processi non piacessono a Dio. E poi a dì XXIII di febbraio il detto Bavero palesò a’ Pisani di partirsi di Toscana, e per sue grandi bisogne gli convenia ire in Lombardia, onde i Pisani per la sua appressione furono molto allegri.
CXXI Come la parte ghibellina de la Marca presono la città d’Iegi, e tagliarono il capo a Tano che n’era signore.
Nel detto anno, a dì VIII di marzo, i Ghibellini de la Marca, ond’era loro capitano di guerra il conte di Chieramonte di Cicilia, con gente del Bavero subitamente entrarono ne’ borghi della città d’Iegi col favore e trattato di quegli de la cittade, de la quale era capo e signore Tano da Iegi, uno grande capitano di parte guelfa e molto ridottato in tutta la Marca, il quale tirannescamente lungo tempo l’avea soggiogata, e molto temuto e disamato da’ suoi cittadini, e presi i borghi e la terra, assediarono i palazzi e rocca ov’era il detto Tano e sua famiglia, e quella combatterono; e perché il detto Tano era non proveduto né fornito, non potendosi difendere s’arrendé, al quale il detto conte di Chieramonte infra il terzo dì gli fece tagliare la testa, sì come a nimico e ribello dello ’mperio. E così gli fece confessare, e dicesi che di sua libertà confessò, e si rendé colpevole non di quello peccato che gli parea avere fatto mercé in servigio di santa Chiesa essere rubello dello ’mperio, ma che in quello tempo, essendo eletto capitano di guerra de’ Fiorentini, e s’apparecchiava di venire, era disposto a petizione di certi grandi e popolani di Firenze, per cagione di sette, di guastare il nostro tranquillo stato, e farvi nuova parte, e sì come tiranno cacciare gente de la nostra città di Firenze. Se questo s’avesse potuto fare o no, egli di vero il confessò a la morte, onde per la grazia di Dio la nostra città fu libera del male volere del tiranno per mano de’ nostri nimici non provedutamente
CXXII Come gli Aretini ebbono il Borgo a Sansipolcro per assedio.
Nel detto anno avendo i signori da Pietramala d’Arezzo impetrato dal Bavero titolo de la signoria d’Arezzo e de la Città di Castello, le quali teneano, e de la terra del Borgo a Sansipolcro, la quale non era sotto loro soggezione, volendola signoreggiare quegli del borgo, si misono a la difensione i Guelfi e’ Ghibellini per essere liberi; onde i detti Tarlati signori da Pietramala co la forza degli Aretini e con loro amistà misono assedio con oste a la terra del Borgo a Sansipolcro, la quale era molto forte e di mura e de’ fossi, e intorno a quella stettono più d’otto mesi ad assedio con più battifolli non avendo contasto niuno. Ben mandarono que’ del borgo loro ambasciadori a’ Fiorentini per darsi loro liberamente, se gli liberassono dell’asedio e gli difendessono dagli Aretini. Per gli Fiorentini si diliberò di non fare quella impresa per l’essere del Bavero, ch’allora era in Pisa, e perché il borgo era di lungi e fuori di nostre marce e impossibile a fornirlo. A la fine i borghigiani veggendosi abandonati dagli amici guelfi di Toscana, e certi de’ migliori de la terra presi dagli Aretini in loro cavalcate, s’arrenderono agli Aretini sotto certi patti a l’uscita del mese di marzo, rimanendo la dominazione de la terra a’ detti signori da Pietramala d’Arezzo.
CXXIII Come il Bavero andò a Lucca e fece correre la terra, e dispuose della signoria i figliuoli di Castruccio.
Nel detto anno, a dì XVI di marzo, il Bavero si partì di Pisa e andonne a Lucca per certa disensione cominciata in Lucca tra quegli della casa de’ Pogginghi con séguito di loro amici grandi e popolani e quegli degl’Interminelli e’ figliuoli di Castruccio e’ loro seguaci, i quali ciascuna parte avea abarrata la terra, e si combatteano per non avere signoria di tiranni cioè de’ figliuoli di Castruccio e’ loro seguaci, o d’altri degl’Interminelli. Ivi al terzo dì che ’l Bavero vi fu venuto, fece correre la terra al suo maliscalco con la sua cavalleria, ove fu grande punga e battaglia, e misesi fuoco, ond’arsono la maggior parte de le case de’ Pogginghi, e intorno a Santo Michele, e in Filungo infino a cantone Bretto, nel migliore e più caro de la cittade con grandissimo danno de’ casamenti e d’avere. A la fine de’ Pogginghi e di loro seguaci molti furono cacciati fuori de la terra; e ciò fatto, il Bavero riformò la terra e prese mezzo, e fece suo vicaro in Lucca Francesco Castracane degl’Interminelli per XXIIm di fiorini d’oro ch’ebbe da·llui tra danari e promesse; e dispuose d’ogni signoria i figliuoli di Castruccio, i quali, tutto fossono congiunti del detto messer Francesco, s’astiavano e voleano male insieme, perché ciascuno volea essere signore. E riformata la terra, il Bavero si tornò in Pisa a dì III d’aprile MCCCXXVIIII.
CXXIV Come i seguaci de’ figliuoli di Castruccio con messere Filippo Tedici corsono la città di Pistoia, e come ne furo cacciati.
In quegli giorni entrarono nella città di Pistoia i figliuoli di messer Filippo Tedici co la forza de’ figliuoli di Castruccio loro cognati, e con Serzari Sagina, che si chiamava signore d’Altopascio, e loro seguaci e masnade di loro amici tedeschi a cavallo e a piè, e corsono la terra, gridando: «Vivano i duchini!», cioè i figliuoli di Castruccio, sanza contasto niuno; e credendosi avere vinta la terra, quegli della casa de’ Panciatichi, e di Muli, e Gualfreducci, e Vergellesi, antichi Ghibellini e nimici de’ Tedici, con loro amici e coll’apoggio del vicaro che v’era per lo Bavero, con armata mano e con séguito del popolo e di molti loro amici cittadini ricorsono la terra la loro volta gridando: «Viva lo ’mperadore!»; e ruppono e sconfissono e cacciarono de la terra i Tedici e ’l signore d’Altopascio e’ loro seguaci, e assai ne furono morti e presi.
CXXV Come la gente del legato vollono prendere Reggio, e come Forlì e Ravenna feciono le comandamenta del legato.
Nel detto tempo e mese per certo trattato dove’ essere data l’entrata de la città di Reggio al legato del papa ch’era in Bologna, onde vi cavalcò il suo maliscalco con più di VIIIc cavalieri e gente a piede assai, e furono infino ne’ borghi de la terra; ma vennono sì tardi, che già era scoperto il tradimento; onde furono presi e guasti di coloro che·ll’aveano ordinato, e la gente della Chiesa vi ricevettono danno e vergogna, e tornarsi a Bologna. E nel detto mese, a dì XXVI di marzo, i Forlivesi e que’ di Ravenna per certo ordine di pace vennono a’ comandamenti del legato a Bologna.
CXXVI Come la gente di messer Cane di Verona furono sconfitti nel castello di Salò in bresciana.
Nel detto anno, faccendo messer Cane de la Scala grande guerra a’ Bresciani, fece fare una grande armata di gazzarre e d’altro navilio, e con molta gente d’arme a dì XXIIII di marzo fece assalire il castello di Salò in bresciana, e per gente de la terra ch’erano al tradimento fu data loro l’entrata, e corsono e rubarono la terra. A la fine i Bresciani avisati di questa cavalcata giunsono a Salò, e combatterono co’ nimici e sconfissorgli e cacciarono de la terra, e rimasonne più di Vc morti.
CXXVII Come il Bavero si partì di Pisa e andonne in Lombardia, e fece oste sopra Milano.
Nell’anno MCCCXXVIIII, a dì XI d’aprile, si partì di Pisa Lodovico di Baviera, il quale si facea chiamare imperadore, per andare in Lombardia, per cagione che’ Visconti che teneano la signoria di Milano non gli rispondeano come volea, per la quistione già mossa contra a messer Marco, e perché ’l Bavero mostrava d’abattere lo stato de’ figliuoli di Castruccio, i quali erano a setta co’ detti Visconti. E partendosi il Bavero di Toscana, diede speranza a’ suoi seguaci di Pisa e di Lucca e dell’altra Toscana di tosto ritornare, con tutto che a’ Pisani paresse M anni la sua partita per le ’ncomportabili gravezze ricevute da·llui, e con poco suo onore o stato de’ Pisani o de’ Lucchesi; e lasciò in Pisa suo vicario messer Tarlatino d’Arezzo con VIc cavalieri tedeschi, e in Lucca Francesco Castracane Interminelli con IIIIc cavalieri. E giunto il detto Bavero in Lombardia, fece richiedere a parlamento a Marcheria tutti i tiranni e’ grandi lombardi, i quali la maggiore parte vi furono, ciò fue messer Cane della Scala, e il signore di Mantova, e quello di Commo e di Chermona, salvo che non vi furono i Visconti di Milano. E tenuto parlamento infino a venerdì santo, a dì XXI d’aprile, si ordinò co’ detti Lombardi di fare oste sopra Milano, per cagione che messer Azzo Visconti e’ suoi nol voleano ubbidire né dare la signoria libera di Milano, e sentiva che teneano trattato d’accordo col papa e colla Chiesa. E ciò fatto, si tornò a Chermona per ordinare la detta oste, e poco appresso, del mese di maggio, co la lega di Lombardia il detto Bavero andò sopra Milano con MM cavalieri e puosesi a Moncia, e ivi e nel contado di Milano stette più tempo guastando il paese; ma non v’aquistò terra niuna del contado di Milano, salvo ch’a l’uscita del mese di giugno, per via di trattati, con certi patti il Bavero ebbe la città di Pavia, e poi con sua gente si tornò a Chermona per le novitadi già cominciate ne la città di Parma e di Reggio e di Modana contro al legato e la Chiesa, come innanzi faremo menzione.
CXXVIII Come la compagna de’ Tedeschi dal Cerruglio vennono a Lucca e furono signori de la terra.
Nel detto anno, quattro dì apresso partito il Bavero di Pisa, ciò fu a dì XV d’aprile, i suoi ribelli tedeschi ch’erano in sul Cerruglio in Valdinievole, come adietro facemmo menzione, i quali erano intorno VIc uomini a cavallo, molto aspra e buona gente d’arme, con trattato di certi Fiorentini, ond’era caporale e menatore messer Pino de la Tosa e il vescovo di Firenze con certi altri cittadini segreti, infino che ’l Bavero era in Pisa, faccendo loro grandi promesse di danari per lo Comune di Firenze, e ancora con certo trattato con masnade vecchie de’ Tedeschi stati al servigio di Castruccio, i quali erano a la guardia del castello de l’Agosta di Lucca, si feciono loro capitano messer Marco Visconti di Milano, stato per loro gaggi promessi loro pregione. E partirsi di notte tempore di Valdinievole e vennono a Lucca; e com’era ordinato, fu data loro l’entrata del castello de l’Agosta; e incontanente mandarono per Arrigo figliuolo di Castruccio e per gli suoi frategli, i quali erano per confini del Bavero al castello loro di Monteggioli; e loro giunti, e entrati nel castello di Lucca, vollono correre la terra. I Lucchesi per tema d’essere rubati e arsi con Francesco Interminelli insieme, ch’era signore di Lucca per lo Bavero, s’arenderono, e diedono la signoria dell’altra terra a messer Marco e a’ suoi seguaci del Cerruglio la domenica apresso. E poi in questo stante corsono il paese d’intorno, e chi non facea le comandamenta sì rubavano e uccideano come gente salvaggia e bisognosa che viveano di ratto. E perché quegli de la terra di Camaiore si contesono, furono arsi e rubati, e arsa e guasta la terra, e morti più di IIIIc di loro terrazzani a dì VI di maggio: e poi corsono e guastarono intorno a Pescia. E in questa mutazione di Lucca il detto messer Marco e’ suoi seguaci mandarono a Firenze loro ambasciadori frati agostini a richiedere i Fiorentini ch’atenessono loro i patti de la moneta promessa, offerendosi di dare la signoria di Lucca e ’l castello libero a’ Fiorentini, pagando le masnade di loro gaggi sostenuti ch’era lo stimo e loro domanda intorno di LXXXm fiorini d’oro, e promettendo di perdonare e di lasciare i figliuoli di Castruccio in alcuno stato cittadinesco, e non signori. Di ciò si tennono molti e più consigli in Firenze; e come la ’nvidia che guasta ogni bene, overo ch’ancora non fosse tempo di nostro felice stato, overo che paresse loro ben fare, contastatori ebbe in Firenze assai. Principale fu messer Simone de la Tosa contrario per setta, e per lignaggio consorto di messer Pino, e più suoi seguaci grandi e popolani, mostrando con belle ragioni e colorate la confidanza di messer Marco e de’ Tedeschi istati nostri contrarii e nimici, e come non era onore del Comune di Firenze a perdonare a’ figliuoli di Castruccio di tante offese ricevute dal padre; e così il benificio trattato per lo Comune di Firenze d’avere la signoria di Lucca, per invidia cittadina rimase, e presesi il peggiore con grande interesso e dammaggio del nostro Comune, come innanzi per lo tempo faremo menzione.
CXXIX Come fu fatta pace tra’ Fiorentini e’ Pistolesi.
Per la detta mutazione di Lucca i Ghibellini caporali che teneano la città di Pistoia, ciò erano, come dicemmo adietro, Panciatichi, e Muli, e Gualfreducci, e Vergiolesi, i quali erano contradi e nimici di messer Filippo Tedici e de’ suoi, e sospetti de’ figliuoli di Castruccio e loro seguaci per lo parentado di messer Filippo, conoscendo che bene non poteano tenere la città di Pistoia sanza grande pericolo, se non si facessono amici de’ Fiorentini, per la qual cosa feciono cercare trattato di pace col Comune di Firenze, del quale trattato fu menatore e fattore messer Francesco di messer Pazzino de’ Pazzi, però ch’avea parentado co’ Panciatichi del lato guelfo, onde degli altri Panciatichi si fidarono con gli altri loro seguaci ch’erano signori di Pistoia: lo quale trattato ebbe tosto buono compimento, però che facea così bene per gli Fiorentini come per gli Pistolesi, e dievisi fine a dì XXIIII di maggio MCCCXXVIIII, in questo modo: che’ Pistolesi renderono a’ Fiorentini Montemurlo, pagando XIIc di fiorini d’oro a le masnade che v’erano dentro, e quetarono in perpetuo a’ Fiorentini Carmignano e Artimino e Vitolino e più altre terre del monte di sotto, le quali aveano prese e teneano i Fiorentini; e promisono di rimettere tutti i Guelfi in Pistoia infra certo tempo, salvo i Tedici, e raccomunare gli ufici co’ Guelfi, e d’avere gli amici per amici e’ nimici per nimici del Comune di Firenze. E per pegno diedono a’ Fiorentini la guardia de la rocca di Tizzano, la quale rimessa de’ Guelfi oservarono in prima che ’l termine ordinato; e vollono che’ Fiorentini avessono la guardia della città di Pistoia, e vi tenessono uno capitano popolano di Firenze con gente d’arme; e così fu fatto. E’ Fiorentini per più fermezza di pace feciono fare per sindaco di Comune, che fu messer Iacopo Strozzi, cavalieri due de’ Panciatichi, e uno de’ Muli, e uno de’ Gualfreducci, e donarono loro MM fiorini d’oro, e feciono in Pistoia XXXVI cavallate al soldo de’ Fiorentini. E’ detti Ghibellini di Pistoia feciono ordine che s’abbattesse ogni insegna d’aguglia e di Bavero e di Castruccio e di parte ghibellina, e feciono per sopransegna a·lloro bandiere i nicchi dell’oro sa·Jacopo. Di questa pace si fece gran festa in Pistoia d’armeggiare e d’altri giuochi, e ancora in Firenze il dì dell’Ascensione apresso si feciono ne la piazza di Santa Croce ricche e belle giostre, tenendosi tavola ferma per III dì per VI cavalieri, dando giostra a ogni maniera di gente a cavallo, perdere e guadagnare, ov’ebbe di molto belli colpi e d’abattere di cavalieri, e al continuo v’era pieno di belle donne a’ balconi, e di molto buona gente.
CXXX Come il legato di Lombardia fece fare oste sopra Parma, Reggio e Modana, e come feciono le sue comandamenta.
Nel detto anno, a l’uscita di maggio, il legato del papa di Lombardia, ch’era in Bologna, fece fare oste sopra la città di Parma e quella di Reggio di più di MM cavalieri e popolo assai, perché s’erano rubellati a la Chiesa e non voleano ubbidire il legato. Poi per certo trattato in corte col papa di dissimulata pace Parma e Reggio feciono le comandamenta a dì XXV di giugno, mettendovi il legato suoi rettori e uficiali con poca gente, sì che la signoria e forza de le dette terre si rimase pure a’ signori di quelle. E ciò fatto, a dì V di luglio vegnente la detta oste de la Chiesa venne sopra la città di Modana, per la qual cosa, come avea fatto Parma e Reggio, e in quella forma, i Modanesi s’arrenderono al legato.
CXXXI Come il legato di Toscana co’ Romani fece oste sopra Viterbo.
In quello medesimo tempo il legato di Toscana, il quale era a Roma, fece co’ Romani e con altro suo podere oste sopra la città di Viterbo, perch’era ribella a’ Romani e a la Chiesa, e signoreggiavasi per tiranno, e quella guastarono intorno, e presono più castella de le loro, ma la città non poterono avere.
CXXXII Come i Pisani cacciarono di Pisa il vicaro del Bavero e le sue masnade.
Nel detto anno, del mese di giugno, i Pisani sentendo che ’l Bavero era rimaso in Lombardia per non tornare al presente in Toscana, e dispiacendo loro la sua signoria, e ancora per le novità e mutazioni de la città di Lucca, sì ordinarono col conte Fazio il giovane di cacciare il vicario del Bavero, ch’era messer Tarlatino di quegli da Pietramala d’Arezzo, e tutti i suoi uficiali, e feciono venire in Pisa da la città di Lucca messer Marco Visconti con certe masnade de’ cavalieri de la compagna del Cerruglio nimici del Bavero, e uno sabato sera feciono levare la terra a romore e armare il popolo e’ cavalieri di messer Marco, e tutti trassono a casa il conte Fazio, e tagliarono il ponte a la Spina, e misono fuoco nel ponte nuovo, e armarono e barrarono il ponte vecchio ch’è sotto le case del conte, acciò che le masnade del Bavero le quali erano in Pisa a petizione del suo vicario non potessono passare né correre il quartiere di Quinzica dov’era il conte co la forza sua e del popolo. La domenica mattina vegnente, dì XVIII di giugno, cresciuta la forza del conte e del popolo, e volendo passare il ponte vecchio per assalire e combattere il vicario al palagio, egli veggendosi mal parato a tanta forza, si partì con sua famiglia di Pisa, e fu rubato il palagio di tutti suo’ arnesi; e poi riposato il romore, riformarono la terra di loro podestà, e mandarne le masnade del Bavero gran parte.
CXXXIII Come messer Marco Visconti venne in Firenze per certi trattati, e poi tornato in Milano fu morto da’ fratelli e nipote.
Rivolto lo stato di Pisa per lo modo scritto nel passato capitolo, i Pisani e ’l conte Fazio providono messer Marco Visconti riccamente del servigio ricevuto da·llui. Il detto messer Marco non volle tornare a Lucca, però ch’era in gaggio per lo Bavero a’ cavalieri del Cerruglio per loro soldi, come adietro facemmo menzione; cercò, e mandò lettere al Comune di Firenze che volea venire e passare per Firenze per andarsene in Lombardia con intendimento di parlare a’ priori e con coloro che reggeano la città cose utili per potere avere la città di Lucca. Fugli data licenzia del venire sicuramente; il quale venne in Firenze a dì XXX di giugno nel detto anno con XXX a cavallo di sua famiglia; da’ Fiorentini fu veduto graziosamente e fattogli onore assai, ed egli da·ssé, mentre dimorò in Firenze, al continuo mettea tavola, convitando cavalieri e buona gente, e fece nel palagio de’ priori l’obbedienza di santa Chiesa dinanzi a’ priori e a l’altre signorie e del vescovo di Firenze e di quello di Fiesole e di quello di Spuleto, ch’era Fiorentino, e dinanzi a lo ’nquisitore e di certi legati che erano in Firenze per lo papa. E promise d’andare a la misericordia del legato di Lombardia e poi al papa, e d’essere sempre figliuolo e difenditore di santa Chiesa. In Firenze tenne trattato co’ cavalieri dal Cerruglio che teneano il castello di Lucca di dare al Comune di Firenze il detto castello e tutta la città, dando loro LXXXm fiorini d’oro; e de’ maggiori caporali e conastaboli vennono in Firenze per lo detto trattato, profferendo di dare per sicurtà molti di loro caporali per istadichi per oservare la promessa. In Firenze se ne tennono più consigli, e gli più s’accordarono al trattato, e spezialmente la comune gente e quegli de la setta di messer Pino de la Tosa, il quale, come dicemmo adietro, avea menato il trattato di fare torre Lucca a messer Marco e a’ cavalieri dal Cerruglio. L’altra setta, ond’era caporale messer Simone de la Tosa suo consorto, per invidia, o forse perché per loro non era mosso il detto trattato e non aspettavano l’onore, o forse utole, s’oppuose contro, mostrando più dubitazioni e pericoli, come si poteano perdere i danari, e la gente si mettesse per gli Fiorentini a la guardia del castello dell’Agosta. E così per mala concordia de’ nostri non diritti cittadini a la republica rimase il trattato, e messer Marco si partì di Firenze a dì XXVIIII di luglio, e furongli donati per lo Comune di Firenze M fiorini d’oro per aiuto a le sue spese. Il detto messer Marco se n’andò a Milano, e da’ suoi cittadini fu ricevuto a grande onore, e avea da’ Milanesi grande séguito, maggiore che neuno de’ suoi fratelli, o che messer Azzo Visconti suo nipote, ch’era signore di Milano. Per la qual cosa montò la ’nvidia e la gelosia che messer Marco non togliesse la signoria a messer Azzo per gli trattati fatti in Firenze co’ Guelfi, e forse messere Marco per tornare in grazie del papa ed esser signore di Milano, che ’l potea e n’avea per aventura la ’ntenzione guardando suo tempo.
Avenne che a dì IIII di settembre nel detto anno, fatto messer Azzo uno grande convito ove fu messer Marco e messer Luchino e messer Giovannino Visconti suoi zii, e altri de’ Visconti e più buona gente di Milano, compiuto il mangiare, e partendosi messer Marco e l’altra buona gente, fu fatto chiamare per parte di messer Azzo che tornasse al palazzo, che volea egli e’ frategli parlare co·llui al segreto. Il detto messer Marco non prendendosi guardia, e non avendo arme, andò a·lloro, e entrato co·lloro in una camera, come i traditori caini aveano ordinato, co·lloro masnadieri armati uscirono adosso a messer Marco, e sanza fedirlo il presono e strangolarlo, sì ch’afogò, e morto il gittarono da le finestre del palazzo in terra. Di questa disonesta morte di messer Marco i Milanesi per comune ne furono molto turbati, ma nullo n’osò parlare per paura. Questo messer Marco fu bello cavaliere e grande della persona, fiero e ardito, e prode in arme, e bene aventuroso in battaglia più che niuno Lombardo a’ suoi dì; savio non fu troppo, ma se fosse vivuto, avrebbe fatto di grandi novitadi in Milano e in Lombardia.
CXXXIV Come le castella di Valdinievole feciono pace e accordo co’ Fiorentini.
Nel detto anno la lega delle castella di Valdinievole, come sono Montecatini, Pescia, Buggiano, Uzzano, il Colle, il Cozzile, e Massa, e Montesommano, e Montevettolino, veggendo il male stato di Lucca, e come i Pistolesi s’erano pacificati co’ Fiorentini, e seguivane loro utile e bene, e per consiglio di loro amici ghibellini di Pistoia, spezialmente de’ cavalieri novelli fatti per lo Comune di Firenze, e per posarsi in pacefico stato de le loro lunghe guerre e pericoli passati, cercavano pace co’ Fiorentini, e compiési a dì XXI di giugno del detto anno, perdonando e dimettendo il Comune di Firenze ogni offesa ricevuta da·lloro ne la guerra castruccina, e eglino promisono a’ Fiorentini d’avere gli amici per amici e’ nimici per nimici, e feciono lega co’ Fiorentini, e vollono un capitano di Firenze.
CXXXV Come i Pisani trattarono di comperare Lucca, e come la gente de’ Fiorentini cavalcarono in su le porte di Pisa, e come si fece pace tra Fiorentini e’ Pisani
Nel detto anno, a l’entrata del mese di luglio, i Pisani sentendo i trattati menati per messer Marco Visconti co’ Fiorentini e’ cavalieri tedeschi del Cerruglio che teneano Lucca, per tema ch’a’ Fiorentini non crescesse la forza e ’l podere avendo Lucca, e tornarla a parte guelfa, e non fossono loro più presso vicini, si s’intraversarono, e cercarono co’ detti Tedeschi il detto trattato d’avere Lucca per LXm fiorini d’oro. E fatto il patto, diedono caparra XIIIm fiorini d’oro, i quali si perderono per la fretta che ebbono: non ne presono stadichi né cautela; e ciò avenne per le varie novità e mutazioni ch’avennono poi in Lucca. Per la qual cosa sentendolo i Fiorentini, di ciò molto crucciati feciono cavalcare sopra i Pisani messer Beltramone del Balzo maliscalco de la gente del re Ruberto, ch’era in Sa·Miniato co le masnade de’ soldati de’ Fiorentini, in quantità di più di M a cavallo e gente a piede assai, e corsono infino al borgo di San Marco di Pisa, e infino a l’antiporto sanza contasto niuno, ardendo e guastando, menandone grande preda di pregioni, di bestie e d’arnesi. E poi si volsono per Valdera rubando e ardendo ciò che si trovarono innanzi; e ebbono per forza combattendo il castello di Pratiglione e quello di Camporena, che ’l tenevano i Pisani, e feciollo disfare. I Pisani veggendosi così apressati da’ Fiorentini, e eransi rubellati dal Bavero, e essendo in assai male stato, cercarono pace co’ Fiorentini. I Fiorentini l’asentirono per potere meglio fornire la guerra di Lucca, e compiési la detta pace a Montetopoli per gli nostri e loro sindachi e ambasciadori, a dì XII del mese d’agosto del detto anno, con patti e franchigie de la pace vecchia, e ch’eglino sarebbono nimici del Bavero e di chiunque fosse nimico de’ Fiorentini. Il settembre seguente certi Ghibellini di Pisa, dispiacendo la pace fatta co’ Fiorentini, cercarono con quegli di Lucca di tradire Pisa; ma fu scoperto il tradimento, e certi ne furono presi e guasti, e molti ne furono fatti rubelli e isbanditi.
CXXXVI Come i Fiorentini ripresono il contado d’Ampinana, che ’l tenea il conte Ugo.
Nel detto anno, a dì XV di luglio, i Fiorentini mandarono di loro masnade in Mugello e feciono riprendere i popoli e contado del castello che fue d’Ampinana, il quale s’avea ripreso il conte Ugo da Battifolle per lo modo detto adietro al tempo della sconfitta d’Altopascio.
CXXXVII Come si rubellò il castello di Montecatini da la lega de’ Fiorentini.
Nel detto anno, a dì XVII di luglio, gli amici ghibellini de’ figliuoli di Castruccio i quali erano in Montecatini, coll’aiuto delle masnade de’ Lucchesi ch’erano in Altopascio, rubellarono la terra da l’accordo de la lega, e cacciarne fuori i Guelfi, e fornissi per gli Lucchesi. Per la qual cosa le masnade de’ Fiorentini cavalcarono in Valdinievole, e presono e arsono il borgo di Montecatini, e rimasevi per capitano messer Alnerigo Donati per gli Fiorentini, con gente d’arme a cavallo e a piede assai a la guardia di Buggiano e dell’altre terre della lega di Valdinievole, e per fare guerra a Montecatini. E in questa stanza da XII caporali e grandi Ghibellini del castello di Montevettolino andarono segretamente in Montecatini per ordinare di rubellare Montevettolino. E ispiandolo messer Amerigo, a l’uscita che feciono del castello gli fece prendere, e per la loro presura ebbe il castello di Montevettolino in signoria per lo Comune di Firenze, che innanzi non vi lasciavano entrare dentro le loro masnade. E infino allora si cominciò l’assedio di Montecatini per gli Fiorentini, non perciò stretto, come seguirono poi, come innanzi si farà menzione; ma erano le loro guernigioni di gente a cavallo e a piede ne le castella d’intorno, e non vi potea entrare vittuaglia se non di furto, o con grossa scorta.
CXXXVIII Come messer Cane della Scala ebbe la città di Trevigi, e incontanente di malatia vi morì.
Nel detto anno, a dì IIII di luglio, messer Cane della Scala di Verona andò ad oste sopra la città di Trevigi con tutto suo podere, e furono più di MM cavalieri e popolo grandissimo, la quale città di Trevigi era in comunità, ma il maggiore n’era l’avogaro di Trevigi: al quale assedio stette XV dì, e poi l’ebbe liberamente a patti, salvi tutti avere e persone, ciascuno in suo grado. E a dì XVIII del detto mese v’entrò messer Cane colla sua gente con grande festa e trionfo, e fu adempiuta la profezia di maestro Michele Scotto, che disse che ’l Cane di Verona sarebbe signore di Padova e di tutta la Marca di Trivigi. Ma come piacque a Dio, e le più volte pare ch’avegna per lo piacere di Dio e per mostrare la sua potenzia, e perché niuno si fidi in niuna felicitade umana, che dopo la grande allegrezza di messer Cane, adempiuti gli suoi intendimenti, venne il grande dolore, che giunto lui in Trevigi, e mangiato in tanta festa, incontanente cadde malato, e il dì de la Maddalena, dì XXII di luglio, morì in Trevigi, e fune portato morto a soppellire a Verona, e di lui non rimase né figlio né figlia legittimo, altro che due bastardi, i quali poi da’ loro zii frategli di messer Cane perché non regnassono furono scacciati, e alcuno di loro fatto morire. E nota che questi fu il maggiore tiranno e ’l più possente e ricco che fosse in Lombardia da Azzolino di Romano infino allora, e chi dice di più; e nella sua maggiore gloria venne meno de la vita e di sue rede, e rimasono signori appresso lui messer Alberto e messer Mastino suoi nipoti.
CXXXIX Come il legato di Lombardia ebbe la città di Faenza a patti.
Nel detto anno, a dì VI di luglio, il legato di Lombardia da Bologna mandò grande oste sopra la città di Faenza, la quale aveva rubellata e tenea Alberghettino di Francesco Manfredi, e stettevi all’assedio XXV dì. A la fine per consiglio del padre e di messer Ricciardo suo fratello, ch’erano di fuori col legato, s’arrendé a patti con grandi impromesse al detto Alberghettino l’ultimo dì di luglio, e Alberghettino ne venne a Bologna al legato, e fecelo di sua famiglia, e dandogli robe e gaggi con sua compagnia, mostrandogli grande amore. A dì XXV del detto mese di luglio essendo l’oste de la Chiesa sopra Mattelica ne la Marca, da’ Ghibellini e ribelli de la Chiesa furono sconfitti.
CXL Come la città di Parma, e di Modana, e di Reggio si rubellarono al legato.
Nel detto anno, a dì XV d’agosto, avendo il legato di Lombardia fatti venire in Bologna i figliuoli di messer Ghiberto da Coreggio e Orlando de’ Rossi sotto sua confidanza (il quale Orlando era stato signore di Parma), per tema non gli facesse rubellare la terra, sotto protesto ch’egli non volea far pace co’ detti figliuoli di messer Ghiberto, il ritenne in Bologna, e fecelo mettere in pregione. Per la qual cosa i fratelli e’ consorti del detto Orlando col popolo della città, che l’amava molto, rubellarono al legato e a la Chiesa la città di Parma, e presono tutti gli uficiali del legato e quanta di sua gente v’avea. E per simile modo si rubellò la città di Reggio e quella di Modana, temendo di loro, e ispiaccendo lo ’nganno e tradimento fatto al detto Orlando sotto la detta confidanza.
CXLI Ancora come i Tedeschi ch’erano in Lucca vollono venderla
per danari a’ Fiorentini, e no·lla seppono prendere.
Ne’ detti tempi, essendo la città di Lucca in grande variazione e in male stato e sanza nullo ordine di signoria o reggimento, se non al corso de’ conastaboli de’ Tedeschi dal Cerruglio che se n’erano signori e guidavallasi come preda guadagnata, i quali Tedeschi tennono con più genti e Comuni e signori d’intorno trattati per avere danari e dare la signoria di Lucca, vedendo che per loro no·lla poteano bene tenere, e ancora ne richiesono da capo il Comune di Firenze, il quale, come detto è adietro nel capitolo del trattato che ne fece messer Marco Visconti di Milano, per le ’nvidie de’ cittadini non s’ebbe ancora per gli rettori del Comune di Firenze di ciò concordia. Ma certi valenti e ricchi cittadini di Firenze la vollono comperare per lo Comune LXXXm fiorini d’oro per loro vantaggio, e credendone fare al Comune di Firenze grande onore e grande loro guadagno, e fornire le spese, rimanendo in loro mano le gabelle e l’entrate di Lucca con certo ordine e patti. E a·cciò teneano co·lloro i mercatanti usciti di Lucca, e metteanvi Xm fiorini d’oro, e voleano che ’l Comune di Firenze vi mettesse innanzi solamente XIIIIm fiorini d’oro, e prendesse la guardia del castello de l’Agosta con XX i maggiori e migliori conastaboli per istadichi per oservare i patti; e gli primi danari si ritraessono fossono quegli del Comune di Firenze, e tutti gli altri insino LVIm di fiorini d’oro metteano di loro volontà singulari cittadini di Firenze. E di ciò potemo rendere piena fede noi autore, però che fummo di quegli. Ma la guercia e disleale sempre invidia de’ cittadini di Firenze, e massimamente di coloro ch’erano al governamento de la città, nol vollono aconsentire, dando scusa di falsa ipocresia, dicendo come oppuosono l’altra volta sotto colore d’onestà, che fama correa per l’universo mondo che i Fiorentini per covidigia di guadagno di moneta hanno comperata la città di Lucca. Ma al nostro parere, e di più savi che poi l’hanno disaminata quistionando, che compensando le sconfitte e’ danni ricevuti e ispendii fatti per lo Comune di Firenze per cagione de’ Lucchesi per la guerra castruccina, niuna più alta vendetta si potea fare per gli Fiorentini, né maggiore laude e gloriosa fama potea andare per lo mondo che potersi dire: i mercatanti e’ singulari cittadini di Firenze colla loro pecunia hanno comperata Lucca, e gli suoi cittadini e contadini, stati loro nimici, come servi. Ma a cui Idio vuole male gli toglie il senno, e non gli lascia prendere i buoni partiti; o forse, o sanza forse, ancora non erano purgati i peccati, né domata la superbia né l’usure, e’ maliabrati guadagni de’ Fiorentini, per fare loro spendere e consumare in guerra seguendo la discordia co’ Lucchesi, che per ogniuno danaio che Lucca si comperava, C o più, ma dire potremmo infiniti, spesi poi per gli Fiorentini ne la detta guerra, come innanzi leggendo faremo per gli tempi menzione; che si potea co la sopradetta prestanza di moneta, e non ispesa né perduta, fare così onorata e alta vendetta de’ Lucchesi, avendogli comperati come servi, e sopra servi i loro beni, e alle loro spese, e sotto il nostro giogo rendere loro pace e perdonare, e fargli liberi e compagni, come per l’antico soleano essere co’ Fiorentini.
CXLII Come messer Gherardino Spinoli di Genova ebbe poi per danari la signoria della città di Lucca.
Essendo rotto il detto trattato da’ Tedeschi di Lucca a’ Fiorentini, però che’ rettori del Comune di Firenze non lasciarono ciò compiere, come nel passato capitolo è fatta menzione, ma minacciaro chiunque se ne travagliasse, e alcuno ch’avea menato il trattato fatto mettere in carcere; messer Gherardino degli Spinoli di Genova s’accordò co’ detti Tedeschi, e dando loro XXXm fiorini d’oro, e ritenendone alquanti di loro, chi volle co·llui rimanere a’ suoi gaggi; li diedono la città di Lucca e feciolne signore, il quale vigorosamente la prese: a dì II di settembre del detto anno venne in Lucca, e ebbe la signoria de la città libera e sanza nullo contasto; e poi ordinò le sue masnade, e richiese i Fiorentini di pace o di triegua, i quali nulla ne vollono intendere, anzi feciono rubellare il castello di Collodi presso di Lucca a l’entrante d’ottobre, il quale messer Gherardino co la cavalleria sua e popolo di Lucca vennono a l’assedio del detto Collodi, il quale, non soccorso a tempo da’ Fiorentini, com’era promesso, s’arendero a messer Gherardino e al Comune di Lucca, a dì XX del detto mese d’ottobre, con poco onore de’ Fiorentini. Onde in Firenze ebbe molti ripitii e biasimi dati a coloro che non aveano lasciato prendere l’accordo co’ Tedeschi, né saputo fare la guerra e impresa cominciata; e ’l detto messer Gherardino, avuto il castello di Collodi, con ogni sollecitudine procacciò di raunare moneta, e d’avere gente d’arme per levare i Fiorentini dall’assedio, il quale già aveano cominciato e posto al castello di Montecatini in Valdinievole.
CXLIII Come i Melanesi e’ Pisani si riconciliarono col papa e co la Chiesa, e furono ricomunicati per l’offese fatte per lo Bavero e antipapa.
Del mese di settembre del detto anno apo la città di Vignone, ov’era la corte di Roma, i Milanesi e messer Azzo Visconti che n’era signore furono riconciliati e ricomunicati da papa Giovanni, e con patti ordinati co·lloro ambasciadori si rimisono de l’offese fatte a la Chiesa nel detto papa; e messer Giovanni figliuolo che fu di messer Maffeo Visconti, il quale il Bavero avea fatto fare cardinale al suo antipapa, come adietro fu fatta menzione, sì rinunziò al detto cardinalato; e ’l papa il fece vescovo di Noara, e levò lo ’nterdetto di Milano e del contado. E per simile modo il detto papa riconciliò e assolvette i Pisani, però ch’eglino aveano tanto adoperato col conte Fazio da Doneratico loro grande cittadino, il quale avea in guardia, come gli avea lasciato segretamente il Bavero quando si partì di Pisa, il suo antipapa in uno suo castello in Maremma, il quale antipapa da’ detti fu ingannato e tradito, e poi mandato preso a Vignone a papa Giovanni, come innanzi faremo menzione. E fatta per gli ambasciadori de’ Pisani ch’erano a corte la detta convegna con grandi vantaggi del detto conte Fazio, che ’l papa gli donò il castello di Montemassi, ch’era dell’arcivescovado, e altri ricchi doni e benifici ecclesiastichi, e così ad altri grandi cittadini di Pisa che seguirono la ’mpresa, e fattine assai cavalieri papali con ricchi doni. E tornati i detti ambasciadori in Pisa, il gennaio appresso si publicò in Pisa il trattato e l’accordo, e in pieno parlamento, e in mano d’uno legato cherico oltramontano mandato per lo papa, tutti i Pisani giurarono nella chiesa maggiore d’essere sempre ubbidenti e fedeli di santa Chiesa e nimici del Bavero e d’ogn’altro signore che venisse in Italia sanza la volontà della Chiesa.
CXLIV Come il legato di Toscana ebbe Viterbo, e mise in pace tutto il Patrimonio, e simile la Marca.
Nel detto anno e mese di settembre Salvestro de’ Gatti, il quale tenea per tirannia la signoria de la città di Viterbo, e contra la Chiesa, fu a tradimento morto in Viterbo da uno figliuolo del prefetto, e corse la terra e ridussela a l’obedienza della Chiesa. E poi a l’entrante di novembre vegnente messer Gianni Guatani degli Orsini cardinale e legato in Toscana venne a Viterbo, e fece riformare la città e tutte le terre del Patrimonio in pace e in buono stato sotto la signoria de la Chiesa. E in questo tempo medesimo tutte le terre de la Marca si pacificarono e tornaro a l’ubbidenza di santa Chiesa, rimanendo le parti de le terre ciascuna in suo stato.
CXLV Come il Bavero raunò sua gente in Parma credendosi avere la città di Bologna, e poi come si partì d’Italia e andonne in Alamagna.
Nel detto anno, a l’entrante del mese d’ottobre, il Bavero che si tenea imperadore, il quale era a la città di Pavia, venne a Chermona, e poi a dì XVII di novembre venne a Parma, e là si trovò con cavalieri che gli mandò il vicario suo da Lucca, con più di MM cavalieri oltramontani, con intendimento d’avere la città di Bologna, e di torla al legato del papa messer Beltrando dal Poggetto che v’era dentro per la Chiesa. E ciò si cercava per certo trattato fatto per certi Bolognesi e altri; il quale trattato fu scoperto, e fatta giustizia di certi traditori, come innanzi nel seguente capitolo si farà menzione. E vedendo il detto Bavero che ’l suo proponimento non gli era venuto fatto, a dì VIIII di dicembre seguente si partì di Parma con ambasciadori de’ maggiori caporali di Parma e di Reggio e di Modana, e andonne a Trento per parlamentare con certi baroni de la Magna e co’ tiranni e signori di Lombardia, per ordinare al primo tempo d’avere nuova gente e forte braccio per venire sopra la città di Bologna, e per torre il contado di Romagna a la Chiesa. E stando al detto parlamento, ebbe novelle de la Magna com’era morto il dogio d’Osterichi, eletto che fu a re de la Magna e istato suo aversario, incontanente lasciò tutto il suo esordio d’Italia e andonne in Alamagna, e poi non passò di qua da’ monti.
CXLVI Come la città di Bologna volle essere tradita e tolta al legato cardinale per lo Bavero.
Nel detto anno, del mese d’ottobre, cospirazione fu fatta nella città di Bologna per torla e rubellarla al detto legato cardinale, che dentro v’era per la Chiesa; e a·cciò era capo Ettor de’ conti da Panigo con ordine de’ Rossi da Parma, perché ’l detto legato tenea in pregione Orlando Rosso per lo modo che dicemmo adietro. E a questo trattato teneano l’arciprete di Bologna de la casa de’ Galluzzi, e messer Guido Sabatini, e più altri grandi e popolari di Bologna, dispiacendo loro la signoria del legato. E co·lloro tenea mano Alberghettino de’ Manfredi, il qual’era per lo legato levato di sua signoria di Faenza, e tenealo in Bologna intorno di sé a’ suoi gaggi. E era l’ordine che ’l Bavero detto imperadore, il quale era venuto da Pavia a Parma colle sue forze, come nel capitolo dinanzi dicemmo, dovea venire a Modana e fare cavalcare parte di sua gente in Romagna; per la qual cavalcata con ordine del detto Alberghettino doveano fare rubellare Faenza e mettervi la detta cavalleria; e come le masnade della Chiesa per la detta venuta del Bavero e cavalcata di sua gente fossono uscite di Bologna per andare a le frontiere, come per lo legato era ordinato, si dovea levare la città di Bologna a romore per quegli caporali che guidavano il trattato, e loro seguaci; e il detto Ettor da Panigo con Guidinello da Montecuccheri con grande quantità di fanti e masnadieri a piè doveano al giorno nomato venire dalle montagne in Bologna con quegli cittadini ch’aveano fatta la congiura, e con loro séguito, ch’erano molti, cacciarne i·legato e sua gente, e mettervi dentro il Bavero co le sue genti. La quale congiurazione fu scoperta segretamente al legato per alcuno seguace de’ congiurati, credendosene valere di meglio; per la qual cosa il legato fece pigliare il detto Alberghettino, e l’arciprete de’ Galluzzi, e ’l detto messer Guido, e Nanni de’ Dotti cognato d’Ettor da Panago, e più altri grandi cittadini e popolani di Bologna. Ma il detto Ettor non poté avere, perché già era a la montagna a raunare suo isforzo. E disaminata la detta congiura, e confessata per gli detti traditori, il legato trovò che la congiura era sì grossa, e tanti e tali cittadini di Bologna vi teneano mano, ch’egli non s’ardia a farne fare giustizia, con tutta la forza delle sue masnade, dubitando forte che la città di Bologna non si levasse a furore contra lui; e bisognavagli bene, avendo così di presso il Bavero e le sue forze. Per la qual cosa il legato mandò per aiuto di gente al Comune di Firenze perché fossono a la sua guardia; i quali Fiorentini gli mandarono di presente CCC cavalieri de le migliori masnade ch’avessono, e IIIIc balestrieri tutti soprasegnati di soprasberghe, il campo bianco e ’l giglio vermiglio, molto bella e buona gente, de’ quali avea la ’nsegna del Comune di Firenze messer Giovanni di messere Rosso de la Tosa. E come la detta gente fu venuta in Bologna, il legato fu rassicurato e forte, e al terzo dì fece al suo maliscalco, armata tutta sua gente e quella de’ Fiorentini, in su la piazza di Bologna mozzare il capo a’ sopradetti presi caporali de la congiura, salvo che l’arciprete, perch’era sacro, fece morire d’inopia inn-orribile carcere.
E di queste cose io posso rendere testimonio, ch’io era allora in Bologna per ambasciadore del nostro Comune al legato. E se non fosse il soccorso che ’l nostro Comune vi mandò così sùbito, la città di Bologna era perduta per la Chiesa, e prendea stato d’imperio e ghibellino; e il legato e sua gente in pericolo di morte, o d’esserne cacciati, sì era la terra in grande gelosia, e pregna di male talento contra il legato e sua gente: e per cagione di ciò ritenne il legato più mesi la detta gente de’ Fiorentini al suo servigio e guardia a’ gaggi de’ Fiorentini; ma male fu gradito per lo legato sì fatto e tale servigio de’ Fiorentini, come innanzi si potrà vedere, ove tratteremo de’ suoi processi.
CXLVII Come i Pistolesi diedono il loro castello di Serravalle in guardia al Comune di Firenze.
Nel detto anno, a dì XI di novembre, il Comune di Pistoia diedono in guardia il loro caro e forte castello di Serravalle al Comune di Firenze per tre anni liberamente; e ciò fu procaccio de’ Panciatichi, e de’ Muli, e de’ Gualfreducci, e Vergiolesi, con anche case ghibelline, i quali amavano pace co’ Fiorentini e buono stato de la loro città, e furono quegli che prima ordinarono la pace co’ Fiorentini, e diedono loro la terra di Pistoia a guardia, come adietro facemmo menzione. La quale dazione di Serravalle fu molto cara e gradita per gli Fiorentini, e d’allora innanzi parve loro stare sicuri de la città di Pistoia, però ch’era e è gran fortezza, e quasi la chiave e porta del nostro piano e di quello di Pistoia; e ancora si può dire la rocca di Pistoia è l’entrata in Valdinievole, e di quello potere difendere le nostre castella e frontiere, e guerreggiare il contado di Lucca. E poi più tempo appresso stette sotto la guardia e signoria de’ Fiorentini con grande pace e buono stato de la città di Pistoia, e d’allora innanzi i Fiorentini cominciarono a strignere più l’assedio di Montecatini.
CXLVIII Come i figliuoli di Castruccio vollono torre la città di Lucca a messer Gherardino Spinoli.
Nel detto tempo per le feste di Natale, a dì XXVII di dicembre, i figliuoli di Castruccio co·lloro amici e colle masnade vecchie de’ Tedeschi ch’erano stati al soldo e amici di Castruccio credettono torre la signoria di Lucca a messer Gherardino; e con armata mano, a cavallo e a piè corsono la città di Lucca gridando: «Vivano i duchini!», da la mattina infino all’ora di terza sanza contasto alcuno. Onde messer Gherardino temette forte, e se non fosse ch’egli era nel castello de l’Agosta, egli perdeva la terra; ma rasicurato per lo conforto de’ buoni uomini di Lucca ch’amavano la sua signoria, s’afforzò e fece armare sua gente, e apresso mangiare uscì de l’Agosta, e corse la città di Lucca infino a sera gridando: «Muoiano i traditori e viva messer Gherardino!». Per la qual cosa i figliuoli di Castruccio e’ caporali di loro seguaci uscirono di Lucca e andarsene a·lloro castella, e messer Gherardino rimase signore, e molti Lucchesi de la setta castruccina mandò a’ confini, e cassò e cacciò via le masnade vecchie, e rinovossi di soldati tedeschi di Lombardia; e molti de’ suoi amici e consorti e parenti fece venire da Saona in Lucca per sicurtà di lui. E per le dette novità di Lucca i Fiorentini crebbono gente all’assedio di Montecatini, e credettollo avere con poca fatica e per loro gagliardia, la qual cosa venne allora manco il loro aviso; che a dì XVII di febbraio alquanti dell’oste de’ Fiorentini ch’erano allo assedio di Montecatini, di notte tempore con iscale e difici di legname assalirono il castello e scalarono le mura, e parte di loro entrarono dentro valentemente; ma quegli de la terra erano sì forti e sì avisati, e di guerresche masnade, che ruppono gli asalitori, e quanti dentro n’erano entrati rimasono presi e morti.
CXLIX Come i Turchi e’ Tartari sconfissono i Greci di Gostantinopoli.
Negli anni di Cristo MCCCXXX, essendo la forza e oste dello ’mperadore di Gostantinopoli passato la bocca d’Avida in su la Turchia per guerreggiare i Turchi, i quali Turchi mandarono per aiuto a’ Tartari de la Turchia; e venuti con grande esercito assalirono l’oste de’ Cristiani e Greci, e misongli inn-isconfitta, e pochi ne scamparono che non fossono presi o morti; e perderono tutta la terra di là dal braccio San Giorgio, che poi non v’ebbono i Greci nullo podere o signoria. E eziandio i detti Turchi con loro legni armati corsono per mare, e presono e rubarono più isole d’Arcipelago; per la qual cosa molto abassò lo stato e podere dello ’mperadore di Gostantinopoli. E poi continuamente ogn’anno feciono loro armate, quando di Vc e VIIIc legni tra grossi e sottili, e correano tutte l’isole d’Arcipelago rubandole e consumandole, e menandone gli uomini e le femmine per ischiavi, e molti ancora ne feciono loro tributari.
CL Come il re d’Inghilterra fece tagliare la testa al conte di Cantibiera suo zio e il Mortimiere.
Nel detto anno MCCCXXX, del mese di marzo, il giovane Adoardo re d’Inghilterra fece prendere il conte di Cantibiera suo zio, fratello carnale del padre, e oppuosegli cagione ch’egli ordinava congiura contra lui per rubellargli l’isola d’Inghilterra e per torgli la signoria, per la qual cosa gli fece mozzare la testa; onde fu molto ripreso, e detto gli fece torto, e che non era colpevole. Ben si trovò che ’l detto conte per consiglio d’indovini entrò in fantasia, e feciollo intendente che Adoardo suo fratello, e ch’era stato re d’Inghilterra e fatto morire, come adietro de’ fatti d’Inghilterra facemmo menzione, dovea essere vivo e sano; per la qual cosa il detto conte suo fratello facea cercare di ritrovarlo, e mettevasene inchesta, ond’avea molto sommosso il paese. E poi del mese d’ottobre vegnente fece cogliere cagione al Mortimiere, il quale era stato governatore del reame e della reina sua madre, quand’ebbe la guerra col marito e co’ dispensieri, opponendogli tradigione, e fecelo impiccare; si disse sanza colpa. E tali sono i guidardoni a chi s’impaccia tra’ signori, o·ssi rivolge negli innormi peccati; che si dicea che ’l detto Mortimiere si giacea co la reina madre del detto re; e d’allora innanzi il re abassò molto la signoria e lo stato de la reina sua madre.
CLI Come i Fiorentini per loro ordini tolsono tutti gli ornamenti a le loro donne.
Nel detto anno, per calen d’aprile, essendo le donne di Firenze molto trascorse in soperchi ornamenti di corone e ghirlande d’oro e d’argento, e di perle e pietre preziose, e reti e intrecciatoi di perle, e altri divisati ornamenti di testa di grande costo, e simile di vestiti intagliati di diversi panni e di drappi rilevati di seta di più maniere, con fregi e di perle e di bottoni d’argento dorato ispessi a quattro e sei fila accoppiati insieme, e fibbiagli di perle e di pietre preziose al petto con diversi segni e lettere; e per simile modo si facevano disordinati conviti per le nozze de le spose, ed altri con più soperchie e disordinate vivande; fu sopra·cciò proveduto, e fatti per certi uficiali certi ordini molto forti, che niuna donna non potesse portare nulla corona né ghirlanda né d’oro né d’ariento né di perle né di pietre né di vetro né di seta né di niuna similitudine di corona né di ghirlanda, eziandio di carta dipinta, né rete né trecciere di nulla spezie se non semplici, né nullo vestimento intagliato né dipinto con niuna figura, se non fosse tessuto, né nullo addogato né traverso, se non semplice partita di due colori; né nulla fregiatura né d’oro, né d’ariento, né di seta, né niuna pietra preziosa, né eziandio ismalto, né vetro; né potere portare più di due anella in dito, né nullo scaggiale né cintura di più di XII spranghe d’argento; e che d’allora innanzi nulla si potesse vestire di sciamito, e quelle che·ll’aveano il dovessono marcare, acciò ch’altra nol potesse fare; e tutti’ vestiri di drappi di seta rilevati furono tolti e difesi; e che nulla donna potesse portare panni lunghi dietro più di due braccia, né iscollato di più di braccia uno e quarto il capezzale; e per simile modo furono difese le gonnelle e robe divisate a’ fanciulli e fanciulle, e tutti’ fregi, e eziandio ermellini, se non a’ cavalieri e a loro donne; e agli uomini tolto ogni ornamento e cintura d’argento, e’ giubbetti di zendado o di drappo o di ciambellotto. E fu fatto ordine che nullo convito si potesse fare di più di tre vivande, e a nozze avere più di XX taglieri, e la sposa menare VI donne seco e non più; e a·ccorredi di cavalieri novegli più di C taglieri di tre vivande; e che a corte de’ cavalieri novelli non si potessono vestire per donare robe a’ buffoni, che in prima assai se ne donavano. Sopra i detti capitoli feciono uficiale forestiere a cercare e donne e uomini e fanciulli de le dette cose divietate con grandi pene. Ancora feciono ordine sopra tutte l’arti in correggere loro ordini e monipoli e posture, e che ogni carne e pesce si vendesse a peso per certo pregio la libbra. Per gli quali ordini la città di Firenze amendò molto delle disordinate spese e ornamenti a grande profitto de’ cittadini, ma a grande danno de’ setaiuoli e orafi, che per loro profitto ogni dì trovavano ornamenti nuovi e diversi. I quali divieti fatti, furono molto commendati e lodati da tutti gl’Italiani; e se le donne usavano soperchi ornamenti, furono recare al convenevole; onde forte si dolfono, ma per li forti ordini tutte si rimasono degli oltraggi; ma per non potere avere panni intagliati, vollono panni divisati e istrangi, i più ch’elle poteano avere, mandandoli a fare infino in Fiandra e in Brabante, non guardando a costo; ma però molto fu grande vantaggio a tutti i cittadini in non fare le disordinate spese nelle loro donne e conviti e nozze, come prima faceano; e molto furono commendati i detti ordini, però che furono utoli e onesti; e quasi tutte le città di Toscana e molte altre d’Italia mandarono a Firenze per asempro de’ detti ordini, e confermargli nelle loro città.
CLII Come messer Gherardino Spinola signore di Lucca cavalcò con suo isforzo per fornire Montecatini, e nol poté fornire.
Nel detto anno, a dì XXIII d’aprile, Ispinetta de’ marchesi Malispina venne di Lombardia in Lucca con gente d’arme; per la qual cosa messer Gherardino Spinola signore di Lucca con sue masnade a cavallo e a piè e col detto Spinetta cavalcarono per fornire Montecatini, e presono la rocca uzzanese, e iv’entro due degli Obizzi usciti di Lucca e L fanti, che co·lloro erano per lo Comune di Firenze a la guardia di quella. Ma però non poterono fornire Montecatini né appressarsi ad esso, però che’ Fiorentini aveano afforzato l’assedio e fatte per loro fosse e tagliate in verso la parte di Lucca, e volto in quelle il fiume de la Pescia e de la Borra; e tornarsi in Lucca con poco onore. E poi a dì II di maggio vegnente il detto messer Gherardino raunata più gente e avuto da’ Pisani aiuto, come sono usati per adietro, con VIc cavalieri e IIIc balestrieri, fece ancora pugna di fornire Montecatini, e venne con sue genti infino a’ palizzati e oste de’ Fiorentini, e di ciò gli avenne come l’altra volta; e per simile modo, e per le dette fosse e tagliate, non vi poté apressare né quelle passare, perché nell’oste de’ Fiorentini avea più di M cavalieri e popolo grandissimo. E nota lettore che da piè di Serravalle infino a Buggiano per gli Fiorentini era affossato e steccato e imbertescato spesso tutta la detta bastita, il campo e l’assedio de’ Fiorentini con guardie per tutto, e i detti fossi pieni d’acqua e accozzati insieme, e messi in quegli il fiume della Nievola e quello della Borra; la quale bastita tenea più di sei miglia nel piano; e da la parte del monte tra le castelletta d’intorno e altri battifolli per gli poggi e tagliate fatte e barre di legname messi, dove stavano di dì e di notte guardie con grossa gente a piè, erano più di XII poste di battifolli, sì che di Montecatini non potea uscire né entrare gente né vittuaglia, se non quello che si prendeano in preda nelle pendici e circustanze del poggio. E girava la detta impresa e guardia de’ Fiorentini da XIIII miglia; che fu tenuta grande cosa e ricca impresa a chi la vide, che fummo noi di quegli. Che certo la bastita e la cinta de’ fossi e di steccati che si legge fece Giullo Cesare al castello d’Aliso in Borgogna, ch’ancora si vede il porpreso, non fu maggiore né così grande, come quello che’ Fiorentini feciono intorno a Montecatini. Lasceremo alquanto de’ fatti de’ Fiorentini e dell’assedio di Montecatini per raccontare altre novità state in questi tempi inn-altri paesi, ritornando poi assai tosto a nostra materia, come i Fiorentini ebbono per fame il detto Montecatini.
CLIII Come il maliscalco de la Chiesa e gente del re Ruberto furono sconfitti presso de la città di Modana da’ Modanesi.
Nel detto anno MCCCXXX, a dì XXIIII d’aprile, tornando da Reggio messer Beltramone e messer Ramondo del Balzo, e messer Galeasso fratello del re Ruberto bastardo, ch’erano in Lombardia per lo detto re al servigio de la Chiesa, e ’l maliscalco de la Chiesa e del legato con molta buona gente d’arme in quantità di VIc cavalieri, i quali erano al servigio del legato ch’era in Bologna, credendo avere la villa di Formigine presso a Modana a VI miglia, com’era loro promessa per tradimento, sentendo ciò il signore di Modana, la notte dinanzi cavalcò col popolo di Modana, e con CCC cavalieri a la detta terra di Formigine. E la mattina trovandosi ingannati la detta gente de la Chiesa, e sentendo la venuta di quegli di Modana, temettono che non fosse aguato di più grossa gente che non erano, e ridussonsi schierati in su uno prato assai presso de la terra; e non s’avidono che ’l detto prato era affossato e impadulato d’intorno. Quegli di Modana, conoscendo il luogo, uscirono fuori francamente, e presono l’entrata del detto prato, e rinchiusono i detti cavalieri, i quali non poteano combattere né si poteano partire per gli pantani e fossi d’intorno; e quale si mise per combattere rimase morto da’ pedoni ch’erano in su le ripe de’ fossi, che tutti i cavagli scontravano co le lance, e meglio e più potea uno pedone che uno cavaliere; e per questo modo la detta gente furono la maggiore parte presi e menati in Modana, che pochi ne scamparono. La quale fu tenuta una grande disaventura, e fu grande isbigottimento al legato cardinale ch’era in Bologna, e a tutta la parte de la Chiesa di Lombardia e di Toscana.
CLIV Come papa Giovanni per paura non lasciò passare in Proenza il conte d’Analdo.
Nel detto mese d’aprile, vegnendo il conte d’Analdo a la corte del papa a Vignone con sua gente intorno di VIIIc cavalieri per avere la benedizione del papa, e per andare sopra i Saracini di Granata per uno suo boto e pellegrinaggio, e essendo già in Ricordana, papa Giovanni prese di sua venuta il maggiore sospetto del mondo, perché ’l detto conte era suocero del Bavero detto imperadore suo nimico; e mandò per lo siniscalco di Proenza e per tutti i cavalieri e baroni del paese che fossono in Vignone con arme e cavagli, e tutte le sue famiglie e de’ cardinali e prelati fece armare, e tutti i cortigiani per sua guardia; e trovarsi i Fiorentini da C in arme a cavagli coverti, molto bella gente, sanza i Fiorentini a piè, che furono più di CCC armati. E ciò fatto, il papa mandò comandando al conte d’Analdo che non dovesse venire in Proenza sotto pena di scomunicazione, assolvendolo del suo boto se tornasse adietro, il quale conte per non disubbidire il papa si tornò in Analdo.
CLV Come il legato fece oste sopra Modana, e tornò con poco onore.
A l’entrante del mese di giugno nel detto anno, i Parmigiani ribelli del legato e de la Chiesa ebbono il borgo a San Donnino, il quale tenea la gente del legato; per la qual cosa, e ancora per la sconfitta ricevuta la sua gente da’ Modanesi, il detto legato fece fare sua oste e cavalcata sopra Modana di più di MD cavalieri, e andarono infino presso a la terra guastando; e poi tornando i Modanesi, coll’aiuto de’ Parmigiani e Reggiani cavalcarono appresso l’oste de la Chiesa presso di Bologna a VI miglia infino in sul fosso de la Muccia con VIIIc cavalieri e IIIm pedoni, e affrontarsi, il detto fosso in mezzo; ma non s’ardì l’oste de la Chiesa combattere, che essendo tanta cavalleria più di loro nimici, fu tenuta grande viltade. Lasceremo delle ’mprese del legato di Lombardia, e torneremo a’ fatti dell’oste de’ Fiorentini, e com’ebbono il castello di Montecatini.
CLVI Come i Fiorentini per lungo assedio ebbono il forte castello di Montecatini.
Nel detto anno, a dì XI di giugno, venuto soccorso da’ Lombardi a messer Gherardino Spinola signore di Lucca di CCCCL cavalieri tedeschi, onde si trovò colle sue masnade e’ Pisani e altri amici con più di MCC cavalieri e popolo grandissimo, uscì fuori a oste per soccorrere Montecatini, il quale era molto a lo stremo di vittuaglia per l’assedio de’ Fiorentini, e puosesi a campo nel luogo detto... E come furono acampati, scandalo nacque tra messer Gherardino e messer Francesco Castracani, e fu fedito messere Gherardino da uno degl’Interminelli, e fuggìsi quegli in Buggiano, onde fu preso messer Francesco e’ suoi seguaci e alcuno conastabole e mandati a Lucca, e alcuno giustiziato. I Fiorentini rinforzata loro oste di quantità di MVc cavalieri, co·lloro amistà e popolo grandissimo, e’ s’accamparono il grosso dell’oste in sul Brusceto, quasi a lo ’ncontro dell’oste de’ Lucchesi, il fosso e steccato in mezzo, e nondimeno fornite di guardie il procinto e la pieve sotto Montecatini. E dell’oste de’ Fiorentini era capitano messer Alamanno degli Obizzi uscito di Lucca, con certi cavalieri di Firenze grandi e popolani pur de’ maggiori e più savi e sperti in guerra, i nomi de’ quali sono questi: messer Biagio Tornaquinci, messer Giannozzo Cavalcanti, messer Francesco de’ Pazzi, messer Gerozzo de’ Bardi, messer Talento Bucelli, e altri donzelli grandi e popolani capitani de le masnade de’ pedoni. Messer Gherardino e sua gente feciono più assalti al fosso de’ Fiorentini e in più parti; ma poco poterono accedere, che in tutte parti furono riparati. E richiesono i Fiorentini di battaglia, ma gli Fiorentini per loro vantaggio non la vollono prendere. A la fine, a dì XXII di giugno anzi il giorno, armata l’oste de’ Lucchesi e schierati, e mandati privatamente la notte dinanzi CCCL cavalieri e Vc pedoni de le migliori masnade ch’avessono, ond’era capitano il Gobbole tedesco molto maestro di guerra, con Burrazzo de’ conti da Gangalandi, e altri usciti di Firenze, e con Luzzimborgo fratello di messer Gherardino, e cavalcarono infino presso a Serravalle e dirimpetto a·luogo detto la Magione, ove avea meno guardia, e passarono per forza il ponte a la Gora sopra la Nievole, e vennono a la Pieve, e a quella combatterono co la guernigione e guardie di quella, che v’avea da C cavalieri e popolo assai per gli Fiorentini; e sconfissongli, e presono e menarono in Montecatini messer Iacopo de’ Medici e messer Tebaldo di Ciastiglio conastabole francesco, e più altri. E l’oste de’ Lucchesi, veduto per gli loro preso il passo, si ritrassono verso quella parte schierati per rompere l’oste de’ Fiorentini e fornire il castello. Ma ciò veggendo l’oste de’ Fiorentini, vi mandarono soccorso di Vc cavalieri e pedoni assai, i quali vi furono vigorosamente e sì presti, che non lasciarono passare più de la gente de’ Lucchesi; e quegli ch’erano passati non poterono ritornare adietro sanza pericolo di loro, onde si ricolsono al poggio di Montecatini, e là su istando, feciono molti assalti all’oste e alle bastite de’ Fiorentini di dì e di notte; e dall’altra parte facea il simile messer Gherardino co lo rimanente dell’oste de’ Lucchesi da la parte di fuori.
E ciò veggendo i Fiorentini e’ capitani di Firenze, e considerando il grande porpreso che la loro oste aveano a guardare, sì rifornirono l’oste di molte genti a piè cittadini di volontà, e per l’ordine di tutte l’arti che vi mandarono, e la parte guelfa e altri possenti singulari, e il Comune masnade di forestieri a soldo; onde si radoppiò l’oste di gente a piè, e mandovisi la podestà e altri cittadini, perché ’l capitano dell’oste era malato. E stato messer Gherardino alla punga per fornire il castello, o per ricoverare quegli ch’erano di là passati, per ispazio d’otto giorni, e veggendo che la sua potenzia non potea resistere a quella de’ Fiorentini, e la sua oste era diminuita per quegli ch’erano inchiusi in Montecatini, e col rimanente di sua oste stava a grande rischio, si partì del campo, e ritrassesi con sua oste parte a Pescia e parte a Vivinaia; e poi si tornò in Lucca con poco onore e con grande sospetto, abandonando al tutto Montecatini. I Fiorentini apresso strinsono l’assedio, ponendo uno battifolle a·luogo detto le Quarantole, sì presso al castello, che tolsono le fontane di fuori, per modo che que’ d’entro non avendo più di che vivere di vittuaglia, e male acque per bere, patteggiarono di rendere il castello liberamente al Comune di Firenze, salve le loro persone, arme e cavagli. E ciò fu a dì XVIIII di luglio del detto anno; e così fu fatto, e uscitine le masnade a cavallo e a piè de’ Lucchesi, i Fiorentini v’entrarono con grande allegrezza, che v’erano stati ad assedio per più di XI mesi, e non vi si trovò dentro vittuaglia per tre dì.
CLVII Come in Firenze ebbe grande quistione di disfare Montecatini.
Ne la detta punga e presa di Montecatini fu grande abbassamento de lo stato di messer Gherardino signore di Lucca e de’ Lucchesi, e esaltazione e grandezza de’ Fiorentini, sì come d’una grande vittoria. E preso Montecatini, in Firenze n’ebbe grande quistione, e più consigli se ne tennono di disfarlo al tutto o di lasciarlo in piede. A molti parea di disfarlo per iscemare spesa di guardia e di guerra al Comune, e perpetuo segno e memoria di vendetta per la sconfitta che’ Fiorentini v’ebbono a piede per cagione di quello, l’anno MCCCXV, da Uguiccione da Faggiuola e Pisani e Lucchesi, come adietro facemmo menzione. Altri consigliarono che non si disfacesse, però che’ Montecatinesi erano naturalmente Guelfi e amatori del Comune di Firenze, e per novello e per antico: ricordandosi che al tempo che gli usciti guelfi di Firenze furono cacciati di Lucca per la forza del re Manfredi e de’ Ghibellini di Toscana, come in questa cronica al detto tempo si fece menzione, nulla terra di Toscana, città, o castello gli volle ritenere, altro che quegli di Montecatini, ch’al tutto a·lloro si profersono e si vollono dare, per la qual cosa mai non furono amici de’ Lucchesi, ma gli perseguirono infino che gli ebbono messi per forza sotto loro soggezzione, che prima erano esenti, e comunità per loro. Per questa cagione, e ancora perché nonn-era finita la guerra da’ Fiorentini a’ Lucchesi, e Montecatini è una forte terra e grande frontiera, e quasi in corpo del contado di Lucca, per potere fare guerra a Lucca si diliberò di lasciarlo in piede, e rimisonvisi i Guelfi usciti, e giurarono la fedeltà perpetua del Comune di Firenze, e promisono le fazzioni reali e personali sì come propia terra del contado di Firenze, e sempre per la festa di santo Giovanni di giugno offerere in Firenze a la sua chiesa uno ricco cero co la figura del detto castello; e’ Fiorentini gli presono a loro guardia e libertà e difensione, come a·lloro amati suditi. E nota che ’l detto nome di Montecatino si è Monte Catellino, però che Catellina uscito di Roma di prima il puose per sua fortezza, e là si ridusse quando uscì di Fiesole, innanzi che da’ Romani fosse sconfitto nel piano di Picceno, detto oggi Peteccio, assai ivi di presso vicino. E questo troviamo per autentica cronica; ma per lo scorso e corrotto volgare è mutato il nome di Catellino in Catino; e nonn-è da maravigliare se quello sito hae avute molte mutazioni e battaglie, però che di certo è de le reliquie di Catellina.
CLVIII Come in questi tempi scurò il sole e la luna.
Nel detto anno, a dì XVI del mese di luglio, alquanto dopo l’ora di Vespro, iscurò il sole quasi la metade ne la fine del segno del Cancro, e l’opposizione andata dinanzi de la luna e del sole, scurò la luna nel Sagittario. E poi, a dì XXVI di dicembre vegnente, scurò tutta la luna nel segno del Cancro; per la qual cosa e per certi savi astrolagi si disse dinanzi, intra l’altre cose, significava che, con ciò sia cosa che ’l segno del Cancro sia attribuito per l’ascendente de la città di Lucca, ch’eglino doveano avere molte ditrazioni e abbassamento, come ebbono per lo ’nnanzi a·lloro avenne per l’assedio che’ Fiorentini feciono a la città di Lucca, e altre mutazioni e aversità ch’ebbono poi, come apresso faremo menzione. Lasceremo alquanto de’ fatti e guerra da’ Fiorentini a’ Lucchesi, e diremo d’altre novità istate ne’ detti tempi per altri paesi.
CLIX Come il re Filippo di Francia venne a Vignone al papa a parlamentare co·llui.
Nel detto anno, a l’entrante del mese di luglio, il re Filippo di Francia venne in Proenza sotto titolo di pellegrinaggio a Santa Maria di Valverde e a Marsilia a vicitare il corpo di santo Lodovico vescovo che fu di Tolosa, e figliuolo che fu del re Carlo secondo, e venne con poca compagnia, se non con sua privata famiglia. E fornito il suo pellegrinaggio venne a Vignone, e con papa Giovanni stette più d’otto dì a segreto consiglio da·llui al papa sanza altra persona, ragionando di più cose e trattati, che non si poté sapere. Dissesi sopra il passaggio per lui ordinato oltremare e altre mene d’Italia, che poi per l’esecuzioni si scopersono, come innanzi faremo menzione. E ciò fatto, sanza soggiorno il re si tornò in Francia.
CLX Di certe osti che furono in Lombardia.
Nel detto anno e mese di luglio i signori de la Scala di Verona feciono oste sopra la città di Brescia, e tolsono loro più castella in bresciana; e il legato di Lombardia fece fare oste sopra la città di Modana infino a’ borghi, e guastarla intorno intorno, e tornarsi a Bologna.
CLXI Di certo tradimento ordinato in Pisa, e come i Pisani mandarono preso l’antipapa a papa Giovanni a Vignone.
Nel detto anno e mese di luglio ne la città di Pisa era ordinata cospirazione, ond’era capo messer Gherardo del Pellaio de’ Lanfranchi, per cagione che a·llui e alla sua setta parea che quegli che reggeano la terra fossono contra parte imperiale, e tenessono troppo colla Chiesa e co’ Fiorentini, overo per invidia de la signoria. La quale congiura scoperta, il detto messer Gherardo e più suoi seguaci si partirono di Pisa, e furono condannati per rubelli, e IIII popolani che ne furono presi come traditori furono impiccati. E ciò fatto, a dì IIII d’agosto vegnente, il Comune di Pisa in accordo col conte Fazio mandarono l’antipapa preso a Vignone in su due galee provenzali armate, con certo ordine e patti trattati per loro ambasciadori col papa. Il quale antipapa giunse a Vignone a dì XXIIII d’agosto, e poi il dì seguente in piuvico concestoro dinanzi al papa e’ cardinali e tutti i prelati di corte il detto antipapa col capestro in collo si gittò a’ piè del papa cheggendo misericordia; e con bello sermone e autorità si confessò peccatore e eretico col Bavero insieme che fatto l’avea, mettendosi a la mercé del papa e de la Chiesa. Per la qual cosa il papa risposto al suo sermone saviamente, co·llagrime, più per soperchia allegrezza, si disse, che per altra pietade, il levò colle sue mani di terra e basciollo in bocca e perdonogli, e fecegli dare una camera sotto la sua tesoreria e libri da leggere e studiare; e vivea de la vivanda del papa, faccendolo tenere sotto cortese guardia, non lasciandogli parlare ad alcuna persona. E in questo modo vivette poi tre anni e uno mese; e lui morto, fu soppellito onorevolemente a la chiesa de’ frati minori in Vignone in abito di frate. Di questo inganno e tradimento fatto per gli Pisani dell’antipapa il Comune di Pisa e il conte Fazio ne furono in grande grazia di papa Giovanni, e ciò che voleano aveano in sua corte, e mandava in Pisa da XX robe da cavalieri; onde i Fiorentini e gli altri Comuni di Toscana istati sempre fedeli e amatori di santa Chiesa molto ne sdegnarono.
CLXII Come il re di Spagna sconfisse i Saracini di Granata.
Nel detto anno, del mese d’agosto, il re di Castello e di Spagna essendo ad assedio d’uno castello del re di Granata, l’oste de’ Saracini di Granata vegnendolo per soccorrere furono sconfitti e morti, e presi più di XVm Saracini, e lo re di Spagna ebbe la terra.
CLXIII D’una nuova e bella limosina che uno nostro cittadino lasciò a’ poveri di Cristo.
Del mese di settembre del detto anno morì in Firenze uno nostro cittadino di piccolo affare, che non avea figliuolo né figliuola, e ciò ch’avea lasciò per Dio per ordinato testamento; e intra gli altri legati che fece lasciò che a tutti i poveri di Firenze, i quali andassono per limosine, fossono dati danari VI per uno. E per gli suoi esecutori fu ordinato per bando che in ciascuno sesto, ne le maggiori chiese di quegli sesti, in una mattina si raunassono tutti i poveri, e in quelle rinchiusi, perché non andassono dall’una chiesa a l’altra; e dando a ciascuno povero, come n’usciva, danari VI, si trovò che montò libbre CCCCXXX di piccioli, che furono per numero più di XVIIm di persone tra maschi e femmine piccioli e grandi, sanza i poveri vergognosi e quegli degli spedali e pregioni e religiosi mendicanti, che disparte ebbono la loro limosina a danari XII l’uno, che furono più di IIIIm. La qual cosa fu tenuto gran fatto, e grandissimo numero di poveri; ma di ciò nonn-è da maravigliare, però che non solamente furono di Firenze, ma per le limosine che vi si fanno traggono di tutta Toscana e più di lungi a Firenze. Per lo gran fatto che allora fu tenuto n’avemo fatta memoria, e per dare buono esemplo a chi per l’anima sua vorrà fare limosina a’ poveri di Cristo.
CLXIV Di certe novitadi ch’ebbe in Lucca, e come per tradimento riebbono il castello di Buggiano.
Nel detto anno, a dì X di settembre, avendo messer Gherardino Spinoli signore di Lucca rimessi in Lucca per accordo quegli de la casa de’ Quartigiani, e’ Pogginghi, e gli Avogadi, e altri quando prese la signoria, che per Castruccio e gli suoi n’erano stati cacciati, come adietro facemo menzione, il detto messer Gherardino per gelosia corse la terra con sua cavalleria, e fece prendere messer Pagano Quartigiani e uno suo nipote e altri, opponendo loro che trattavano col signore d’Altopascio e co’ Fiorentini di dare loro la terra. E di vero vi si mandaro bandiere a’ detti per gli Fiorentini, e certo trattato era; per la qual cosa fece loro tagliare le teste. E poi, a dì XVIIII di settembre, per trattato e tradimento quegli del castello di sopra di Buggiano si rubellarono a’ Fiorentini, e presono la loro podestà ch’era Tegghia di messer Bindo Bondelmonti, e renderlo a’ Lucchesi; e venutavi la cavalleria di Lucca a due dì apresso, combatterono i borghi di Buggiano, ne’ quali erano le guernigioni de le masnade de’ Fiorentini; i quali Lucchesi vi ricevettono grande danno, che le dette masnade uscirono fuori e combatterongli e ruppono e ripinsongli nel castello. Per la quale rubellazione i Fiorentini molto turbati ordinarono di fare oste a Lucca per lo modo che seguirà apresso, onde assai ne cresce materia.
CLXV Come i Fiorentini puosono oste e assedio a la città di Lucca.
Come i Fiorentini ebbono perduto il castello di Buggiano, sì ordinarono d’andare a oste sopra la città di Lucca, sentendola molto affiebolita; e partite le masnade di Pistoia e di Valdinievole, salirono in sul poggio del Cerruglio di notte, e quello, datovi assalto di battaglia, ebbono a patti a dì V d’ottobre del detto anno. E per simile modo ebbono il castello di Vivinaia, e Montechiaro, e San Martino in Colle, e Porcari. E poi a dì VIII d’ottobre scesono al piano e acamparsi a Lunata; e a dì X d’ottobre si strinsono all’assedio della città a mezzo miglio, prendendo il campo da la strada che vae a Pistoia a quella che va ad Altopascio; e quello campo affossaro e steccaro con bertesche e porte, e faccendovi molte case d’assi e coperte di lastre e tegoli per potervi vernare. E de la detta oste, al cominciamento, fu capitano messer Alamanno degli Obizzi uscito di Lucca con consiglio di VI cavalieri di Firenze; e avevavi al soldo de’ Fiorentini XIc di soldati a cavallo al cominciamento de l’oste, e in Lucca non avea che Vc cavalieri, e poi vennono nell’oste de’ Fiorentini de la gente del re Ruberto e di Siena e di Perugia da IIIIc cavalieri e popolo grandissimo. E a dì XII d’ottobre i Fiorentini vi feciono correre tre palii per vendetta di quegli che fece correre Castruccio a Firenze; il primo di quegli da cavallo fu una melagranata fitta in una lancia, e iv’entro fitti XXV fiorini d’oro nuovi; e l’altro fu di panno sanguigno, che ’l corsono i fanti a piè; e l’altro di baraccame bambagino, che ’l corsono le meretrici dell’oste. E gli detti palii si feciono tenere presso a la porta di Lucca quanto potea trarre uno balestro, armata tutta l’oste; e mandarono bando che chi di Lucca volesse uscire a correre, o vedere correre i detti palii, potesse venire e tornare salvamente; onde molti n’uscirono a vedere la festa. Intra gli altri n’uscirono CC cavalieri tedeschi armati, i quali erano usciti di Montecatini quando fu assediato, che per trattato fatto per gli Fiorentini si rimasono nel campo al soldo de’ Fiorentini, ond’era capo il Gobbole tedesco, il quale poi fece molta guerra a’ Lucchesi. De la quale uscita de’ detti CC cavalieri grande isbigottimento ne presono i Lucchesi, e grande favore l’oste de’ Fiorentini. Ma la peggiore capitaneria che nella detta oste fosse adoperata di guerra per gli Fiorentini sì fu che ’l capitano col suo consiglio non lasciarono fare guasto nullo, ma lasciarono seminare il piano delle VI migliaia d’intorno a Lucca, sotto cagione di dare esemplo a’ Lucchesi di bene trattargli, acciò che si rendessono a’ Fiorentini. Ma il capitano e gli altri usciti di Lucca n’aricchirono per le dette difensioni, faccendo ricomperare i contadini di Lucca, e per lo detto modo corruppono e guastarono la detta oste. E per questa cagione i Fiorentini elessono per loro capitano Cantuccio di messer Bino de’ Gabbriegli d’Agobbio, la quale lezione fu fatta più per ispezialtà di setta, che ragionevole, a fare capitano uno scudiere non uso di guerra a guidare tanti gentili uomini e cavalieri e baroni, onde male n’avenne, che se difetto fu nella detta oste ne la capitaneria di messer Alamanno Obizzi, maggiore avenne per quella del detto Cantuccio; ma fu per altra forma e caso più pericoloso, come innanzi faremo menzione.
Lasceremo alquanto del detto assedio di Lucca, che vi dimorò più mesi, per raccontare d’altre cose che furono ne’ detti tempi; e poi ritorneremo a nostra materia a raccontare del fine de la detta oste.
CLXVI Come le castella di Fucecchio e di Santa Croce e Castello Franco di Valdarno si diedono liberi al Comune di Firenze.
Nel detto anno e mese d’ottobre, osteggiando i Fiorentini la città di Lucca, il castello di Fucecchio, e di Castello Franco, e di Santa Croce, i quali erano a la guardia del Comune di Firenze istati, dapoi si rivolse lo stato di parte guelfa in Lucca, di loro libera volontà e a·lloro stanza e mossa, si diedono e sottomisono al Comune di Firenze, sì come loro distrittuali e contadini con mero e misto imperio, essendo eglino trattati in Firenze come contadini e popolani, e faccendo ogni fazione di Comune, reale e personale, con giusto estimo ordinato di libbra, e dando ciascuna de le dette terre uno cero grande co la figura di quello castello a la festa del beato santo Giovanni Batista di giugno; e gli detti patti si compierono e fermarono e accettarono in Firenze a dì IIII di dicembre MCCCXXX.
CLXVII Come di prima il re Giovanni di Buem passò in Italia e ebbe la città di Brescia e quella di Bergamo.
Nel detto anno, essendo il re Giovanni di Buem, figliuolo che fu dello ’mperadore Arrigo di Luzzimborgo, venuto in Chiarentana per certe bisogne ch’avea a·ffare col duca di Chiarentana suo cognato, e quegli della città di Brescia in Lombardia essendo in male stato, e molto oppremuti da’ loro usciti e dal signore di Milano e da quegli di Verona, e dal re Ruberto, a cui i Bresciani s’erano dati, non erano soccorsi né atati (e male il potea fare per la forza de’ Ghibellini di Lombardia), sì mandarono loro segreti ambasciadori con pieno sindacato al detto re Giovanni, e diedonglisi liberamente. Il Boemino, povero di moneta e cupido di signoria, accettò e prese la detta signoria, e sanza altro consiglio; e co’ detti ambasciadori vi mandò CCC cavalieri, e poi incontanente apresso si mise al cammino, e giunse in Brescia con IIIIc cavalieri a dì XXXI d’ottobre MCCCXXX, e da’ Bresciani fu ricevuto a grande onore come loro signore. E poco stante lui in Brescia, la città di Bergamo era in grande divisione, e combattiensi insieme i cittadini; una de le parti, che si chiamavano i Collioni, mandò al detto re Giovanni ch’egli mandasse per la terra, il quale vi mandò il suo maliscalco con CCC cavalieri, e fugli data l’entrata della terra, e caccionne la parte di..., e rimase al re Giovanni la signoria. La quale venuta in Italia del detto re Giovanni fece grande mutazione e rivoluzione, come per innanzi leggendo di suoi processi faremo menzione.
CLXVIII D’uno grande diluvio d’acqua che fu in Cipri e in Ispagna.
Nel detto anno MCCCXXX, del mese di novembre, nell’isola di Cipri piovve quasi al continuo XXVIII dì e le notti; la qual cosa stata disusata e isformata, né mai ricordata in quello paese, per l’abondanza di quella piova crebbono sì le riviere scendendo da le montagne, che giunte a la città di Niccosia e a quella di Limisa, tutto che di loro natura siano di poca acqua, crebbono tanto che quelle città tutte allagarono diversamente, e molte case di quelle rovinaro, e tra in quelle due città e castella e maserie dell’isola vi morirono per la somersione del diluvio più di VIIIm persone. Nel detto anno per simile modo fu disordinato diluvio ne le parti di Spagna, e crebbe sì diversamente il fiume della grande città di Sibilia, che quasi pareggiò d’altezza le mura de la detta città, e se il riparo de le dette mura non fosse stato, la città profondava tutta; e di fuori de la terra fece innumerabile danno di casali profondare, e di gente anegare in grande quantità. Nel detto anno, a dì XVI di gennaio, fu morto Matteo de’... tiranno e signore di Corneto con più suoi seguaci ghibellini da’ Guelfi di quella terra a romore di popolo, e’ Guelfi ne rimasono signori.
CLXIX Come si ritrovò il corpo di santo Zenobio.
A mezzo il detto mese di gennaio l’arcivescovo di Pisa fiorentino, il vescovo di Firenze, e quello di Fiesole, e quello di Spuleto fiorentino, con calonaci di Firenze e molti cherici e prelati, feciono scoprire l’altare di santo Zenobi di sotto a le volte di Santa Reparata per trovare il corpo del beato Zenobio, e convenne fare cavare sotterra per X braccia anzi che si trovasse; e trovatolo in una cassa commessa in una arca di marmo, di quello levato alquanto del suo teschio del capo, e nobilemente il feciono legare in una testa d’argento a similitudine del viso e testa del detto santo per poterlo annualmente per la sua festa con grande solennità mostrare al popolo; e l’altro corpo rimisono in suo luogo con grande devozione d’orazioni e canti, e sonando le campane del Duomo di dì e di notte per X dì quasi al continuo, dando per gli vescovi perdono al popolo che ’l vicitasse. Per la quale traslazione e indulgenzia quasi tutto il popolo e persone di Firenze devote, uomini e donne, piccoli e grandi, v’andarono a vicitarlo con grande devozione e oferta.
CLXX Come si levò l’oste de’ Fiorentini da Lucca, e come i Lucchesi si diedono al re Giovanni di Buem.
Tornando a nostra materia dell’assedio de la città di Lucca per gli Fiorentini, come lasciammo nel quinto capitolo scritto adietro, per la partita de’ cavalieri tedeschi che n’uscirono, e de la venuta de la gente del re Ruberto e de’ Sanesi e Perugini e altre amistà che mandarono aiuto a’ Fiorentini, la detta oste crebbe assai di gente d’arme a piè e a cavallo, e quegli di Lucca scemando isbigottirono molto. Per la qual cosa i Fiorentini ordinarono ch’al tutto l’oste acircondasse la terra intorno intorno, acciò che vittuaglia né altro aiuto vi potesse entrare; ch’al continuo per gli Pisani nascosamente era fornita di gente d’arme per la guardia de la terra e di vittuaglia contra’ patti de la pace. E ciò fu fatto a dì XVIIII del mese di dicembre, che una parte dell’oste valicarono gli Oseri che vanno da Pontetetto, e fecionvi su più ponti e valichi, e puosonsi a la villa di Cattaiuola alquanto di là dal detto Pontetetto, verso la parte di Pisa, ove avea ricchi e begli casamenti e giardini fatti per Castruccio; e ’l sopradetto Gobbole tedesco con sue masnade e con molti briganti a piè e fanti di volontà si puosono nel borgo del Ponte a San Piero, e in capo del prato in su la strada che vae a Ripafratta feciono una bastita, overo battifolle, guernito di gente d’arme, per lo quale circuito d’assedio i Lucchesi d’entro furono molto ristretti e afflitti, e cominciò loro a mancare la vittuaglia e vino e molte altre cose necessarie; e convenne loro ogni vittuaglia e vino raccomunare, e fare taverne di vino inacquato per lo Comune, e carne poveramente; e simile canova di pane, dandolo per peso alle masnade e alle famiglie. Per la quale stremità quegli che reggeano Lucca, per loro feciono cercare accordo co’ Fiorentini, mandando uno di loro maggiori più sagreto in Firenze sotto salvocondotto e sagretamente con certi patti d’arendere la terra (e fu l’opera assai di presso all’accordo per diversi patti e modi, partendosi messer Gherardino della signoria), e dargli danari, e disfaccendosi il castello de l’Agosta, rimanendo i Ghibellini in Lucca co’ Guelfi insieme, e raccomunando gli ufici a la guardia e signoria de’ Fiorentini, e faccendo certi gentili uomini ghibellini in numero di XXIIII de’ più caporali cavalieri per lo Comune e popolo di Firenze per loro sicurtà, al modo di que’ di Pistoia, donando a ciascuno Vc fiorini d’oro de’ danari del Comune di Firenze, rimanendo le gabelle e l’entrate del Comune di Lucca al Comune di Firenze per fornire la spesa della guardia di Lucca, e i·rimanente scontare del dono si facesse a’ detti cavalieri; e oltre a·cciò in termine di V anni sodisfare tutti i cittadini di Firenze che furono presi da Castruccio di ciò che si ricomperarono da·llui, che montavano fiorini Cm d’oro e più. E di certo sarebbe venuto fatto; ma la ’nvidia e avarizia, le quali guastano ogni bene, parte di quegli Fiorentini che sentivano e guidavano il detto trattato co’ caporali cittadini di Lucca, per volerne l’onore e il profitto tutto a·lloro propietà, lo scopersono a messer Gherardino, e co·llui tennono nuovo trattato, e andaronne chiusamente in Lucca a parlargli certi di loro; per la quale cagione si guastò l’uno trattato per l’altro, rimanendo in grande sospetto i cittadini di Lucca con messer Gherardino. E io autore, con tutto non fossi degno di sì grandi cose menare, posso essere vero testimonio, però che fui di quello numero con pochi diputato per lo nostro Comune a menare il primo trattato, il quale fu guasto per lo modo detto. Ma la giustizia divina, la quale non perdona alla pulizione degl’innormi peccati, come a Dio piacque, tosto vi mise penitenza con vergogna del nostro Comune per gli modi dupplicati e improvisi e non pensati che diremo qui apresso; in prima, che mutando i Fiorentini il capitano dell’oste Cantuccio de’ Gabbriegli d’Agobbio, di cui dinanzi facemmo menzione, giunse nell’oste con sua compagna di L cavalieri e C sergenti a piè a dì XV di gennaio; e come uomo poco iscorto e uso a guidare sì fatta oste, che v’avea CCC gentili uomini più grandi e più maestri e degni di lui, avenne ch’alcuno Borgognone di piccolo affare fece alcuna follia; e la famiglia di Cantuccio prendendolo, e a la guisa come fosse podestà in Firenze il volesse giustiziare, i Borgognoni per isdegno, che n’avea nell’oste più di VIc a cavallo al soldo de’ Fiorentini, fiera gente e aspra, s’armarono, e tolsono il malfattore a la famiglia del capitano, e fedirgli e uccisonne; e a furore corsono a la casa e loggia del capitano, e rubarono tutto, e uccisono cui poterono di sua famiglia, e misono fuoco nell’albergo, e però arse il quarto del campo con grande danno e pericolo; onde il campo e oste de’ Fiorentini fu a grande rischio, se non fosse per gli savi capitani consiglieri che v’erano di Firenze, ch’atutarono il furore coll’aiuto de’ cavalieri tedeschi, che gli ubbidirono e seguirono, e nascosono il capitano e cui poterono di sua famiglia, e rimase a·lloro al tutto la guardia dell’oste; e se non fosse la fiebolezza di que’ di Lucca, l’oste de’ Fiorentini stava in grande pericolo per la detta novità e discordia. In questo stante messer Gherardino, riconfortatosi della discordia dell’oste de’ Fiorentini, lasciò il trattato co·lloro, e mandò incontanente suoi ambasciadori con sindachi di pieno mandato in Lombardia al re Giovanni, e diedongli la signoria di Lucca con certi patti, ed egli la promise di difendere; e a dì XII di febbraio mandò in Firenze il detto re tre suoi ambasciadori, i quali con belle parole e promesse di pace e d’amore richiesono per sua parte i Fiorentini, pregandogli si dovessono partire da l’assedio di Lucca, sì come di sua terra, e fare triegue co·llui; e loro in pieno consiglio fu risposto com’era la detta oste sopra Lucca a petizione della Chiesa e del re Ruberto, e che però non si leverebbe. Partirsi i detti ambasciadori, e andarne a Pisa. Pochi dì apresso avuta la detta risposta, il re Giovanni mandò il suo maliscalco in Parma con VIIIc cavalieri per soccorrere Lucca; e ciò sentendo i Fiorentini, presono al loro soldo messer Beltramon del Balzo, che tornava di pregione di Lombardia, iscambiato per lo legato con Orlando Rosso di Parma, e feciollo capitano di guerra; e ito lui nell’oste da Lucca, parendogli folle la stanza per le novità state ne la detta oste, che molto l’avea scompigliata e pochi giorni dinanzi uno messer Arnoldo tedesco conastabole de’ Fiorentini, si partì del campo con C cavalieri, e entrò in Lucca, e per lo maliscalco del re Giovanni che venia a Lucca, gli parve il migliore di levare l’oste.
E così fece a dì XXV del detto mese di febbraio MCCCXXX, e ricolsonsi sani e salvi in sul poggio di Vivinaia, e di quello partendosi, rubarono la terra e misonvi fuoco. E così tornò in vano la ’mpresa dell’oste de’ Fiorentini, che nel cominciamento e poi fu così prospera, e Lucca così affinita. E però non si dee nullo disperare, né d’alcuna impresa fare grolia, né avere troppa speranza, se prima non si vede la fine, che sovente riescono le ’mprese ad altro segno che non sono cominciate, per lo piacere di Dio. E poi il primo dì di marzo apresso il maliscalco de·re Giovanni venne di Lombardia, e entrò in Lucca con VIIIc cavalieri tedeschi, e prese la signoria della terra per lo re, e partissene messer Gherardino male contento dal re Giovanni e da’ Lucchesi, e con suo dammaggio di più di XXXm fiorini d’oro messi de’ suoi danari ne la detta signoria e guerra de’ Lucchesi, e non gli poté riavere. E dogliendosene il detto messer Gherardino al re Giovanni, gli fu rimprocciato ch’egli era istato traditore, ch’egli avea tenuto trattato co’ Fiorentini di dare loro Lucca; e mostrata gli fu innanzi al re una lettera del Comune di Firenze, la quale messer Gherardino s’avea fatta fare a sua cautela del trattato.
CLXXI Come la gente del re Giovanni cavalcarono in su il contado di Firenze nella contrada di Greti.
Per la detta venuta della gente del re Giovanni in Lucca i Fiorentini abandonarono il borgo di Buggiano che teneano, e misonvi fuoco; e simile lasciarono il castelletto del Cozzile e quello de la Costa sopra Buggiano a dì VIIII di marzo del detto anno; e poi a dì XV del detto mese di marzo il sopradetto maliscalco del re Giovanni ch’era in Lucca con M cavalieri e MM pedoni si partirono di Buggiano e passarono sotto Montevettolino, ispianando le tagliate, entrarono in Greti in sul contado di Firenze sanza contasto niuno, e presono e arsono il borgo di Cerreto Guidi, e combatterono il castello; e presono e arsono Collegonzi e Agliana, e corsono il paese per III dì, e menarne preda di C pregioni e IIIIc bestie grosse e MM minute; e feciono danno assai con grande vergogna de’ Fiorentini, ch’aveano altrettanti cavalieri e più al loro soldo, che per loro non fu fatto contasto niuno. Che se pure CC cavalieri avessono difesa la tagliata da Montevettolino a la Guisciana, ch’assai era leggere a difendere, non ne tornava mai niuno adietro, che tutti rimaneano o presi o morti; però che la cavalcata, tutto fosse per loro ardita e franca, sì fu folle e con mala provedenza di non lasciare guardia al passo. Ma dissesi che certi conastaboli de’ Fiorentini ch’erano a la guardia de le castella di Valdinievole seppono la cavalcata, e stettono al tradimento, e lasciarono valicare i nimici sanza volergli contastare, i quali ciò saputo, furono acommiatati da’ Fiorentini e cassi di loro soldi.
CLXXII Come al re Giovanni fu data la signoria di Parma, di Reggio, e di Modana.
Nel detto anno, a dì II di marzo, Giovanni re di Buem entrò nella città di Parma in Lombardia con grande onore, la quale gli fu data per Orlando Rosso e quegli della sua casa de’ Rossi, per contradio del legato cardinale ch’era in Bologna per la Chiesa loro contradio. E per simile modo si diede poco apresso al detto re la città di Reggio e quella di Modana per certi patti, per non tornare a la signoria della Chiesa e de’ suoi legati e uficiali caorsini; per la qual cosa il papa si mostrò molto turbato, e mandò sue lettere bollate in Firenze, le quali in coram populi si lessono, e piuvicaro, come di suo volere né de la Chiesa il re Giovanni non era passato in Italia, né presa la signoria di Lucca e delle sopradette terre di Lombardia, ma tutto fu disimulazione del papa e del legato, come per lo ’nanzi per loro processi si potrà comprendere.
CLXXIII Come si cominciò grande guerra in mare tra’ Catalani e’ Genovesi.
Nel detto anno e mese di marzo si cominciò la guerra da’ Catalani a’ Genovesi e’ Viniziani molto aspra e dura, per cagione di più ruberie fatte in mare per gli Genovesi andando in corso sopra’ Catalani e’ Viniziani. E per cagione di ciò i Genovesi co’ loro usciti e que’ di Saona feciono triegua, onde poi nacque pace tra·lloro, come per innanzi faremo menzione. I Viniziani per loro viltà e tema de’ Genovesi feciono pace assai tosto co·lloro, per piccola amenda di meno di Xm fiorini d’oro, che ’l valere di più di Cm fiorini d’oro aveano perduti, sanza più buona gente di Vinegia morti da’ Genovesi in mare. Quella guerra de’ Catalani durò poi più tempo con grande uccisione e dammaggio dell’una parte e dell’altra, come per gli tempi si troverà.
CLXXIV Come il popolo di Colle di Valdelsa uccisono il loro capitano e signore, e diedonsi a la guardia de’ Fiorentini.
Nel detto anno, a dì X di marzo, essendo signore di Colle di Valdelsa messer Albizzo ch’era arciprete di Colle, che s’era fatto capitano di popolo co’ suoi frategli, messer Desso e Agnolo de la casa di Tancredi, che teneano la terra a modo di tiranni, soppressando disordinatamente il popolo e chiunque avea podere ne la terra; per la qual cosa il popolo di Colle, dispiaccendo loro sì fatta tirannia e signoria, con ordine di tradimento, coll’aiuto di quegli da Montegabri e da·pPicchiena, de’ detti signori loro cugini e parenti, in su la piazza di Colle, usciti coloro da mangiare, uccisono il detto capitano arciprete e Agnolo suo fratello; e messer Desso si difese gran pezza francamente, ma alla fine per lo soperchio de’ nimici fu fedito, poi preso per tradimento d’Agnolino Granelli de’ Tolomei, e poi in pregione lo strangolaro; e uno fanciullo di quello Agnolo d’età di X anni presono, e per paura il tennono pregione, e tengono ancora, acciò che nullo di quella progenia scampasse, con tutto ch’un altro suo fratello era a Firenze. E ciò fatto, per tema di loro parenti, ch’erano i Rossi di Firenze e altri possenti e grandi di Firenze, feciono popolo, e diedono poi la guardia de la terra di Colle al Comune e popolo di Firenze per più anni, chiamando podestà e capitano fiorentino. Della qual cosa i Fiorentini furono contenti, però ché ’l detto capitano tiranneggiava in Firenze con certi grandi, e al tempo del caro fu molesto al popolo di Firenze di fare divieto e non lasciare venire vittuaglia a Firenze, e era amico di Castruccio tutto si tenesse Guelfo.
CLXXV Quando si cominciarono le porte del metallo di Santo Giovanni, e si compié il campanile de la Badia di Firenze.
Nel detto anno MCCCXXX si cominciarono a fare le porte del metallo di Santo Giovanni molto belle e di maravigliosa opera e costo, e furono formate in cera, e poi pulite e dorate le figure per uno maestro Andrea Pisano, e gittate furono a fuoco di fornello per maestri viniziani. E noi autore per l’arte de’ mercatanti di Calimala, guardiani dell’opera di Santo Giovanni, fui uficiale a far fare il detto lavorio. E il detto anno s’alzò e compié il campanile della Badia di Firenze, e per noi fu fatto fare a priego e a istanzia di messer Giovanni degli Orsini di Roma, cardinale e legato in Toscana e signore de la detta Badia, e della sua entrata di quella Badia.
CLXXVI Di certi miracoli che furono in Firenze.
L’anno MCCCXXXI morirono in Firenze due buoni e giusti uomini e di santa vita e conversazione e di grandi limosine, tutto che fossono laici. L’uno ebbe nome Barduccio, e soppellìsi in Santo Spirito a·luogo de’ frati romitani; e l’altro ebbe nome Giovanni..., e soppellìsi a San Piero Maggiore. E per ciascuno mostrò Idio aperti miracoli di sanare infermi e atratti e di più diverse maniere, e per ciascuno fu fatta solenne sepoltura, e poste più immagini di cera per voti fatti.
CLXXVII D’uno parlamento che fu fatto intra·re Giovanni e·legato di Lombardia.
Nel detto anno, a dì XVI d’aprile, fu fatto uno parlamento segreto in sul fiume della Scoltena tra Bologna e Modana intra·re Giovanni di Buem, figliuolo che fu dello ’mperadore Arrigo, e legato di Lombardia cardinale, che dimorava per la Chiesa in Bologna; e furono in accordo insieme, e al dipartire si basciarono in bocca; e poi il dì seguente con grande festa mangiarono insieme al castello di Piumaccio. Per la qual cosa tutti i signori e tiranni di Lombardia e ancora il Comune di Firenze, il quale si tenea nimico del detto re Giovanni per la nimistà antica d’Arrigo imperadore suo padre, e per la sua impresa di Lucca e di Brescia, presono grande sospetto e isdegno contra il cardinale legato, parendo loro che disimulatamente egli e la Chiesa avessono fatto venire il detto re Giovanni in Italia; e che colla forza del detto re, e per trattato del papa Giovanni e del re di Francia, volesse occupare la signoria di Lombardia e di Toscana; onde a riparare ciò si trattò di fare compagnia e lega e giura col re Ruberto insieme contro al detto re Giovanni e contra chiunque gli desse aiuto o favore; e de la detta lega il papa disimulando co’ Fiorentini, per sue lettere che mandò loro, si mostrò contento; onde poi seguì l’abassamento del detto re e del legato, come innanzi faremo menzione.
CLXXVIII Come si divise e partì la casa de’ Malatesti da Rimine.
Nel detto anno, del mese di maggio, essendo la casa de’ Malatesti da Rimine in Romagna nel maggiore stato e colmo che fossono stati mai, e di loro fatti poco tempo dinanzi VI cavalieri con grande onore, e trionfavano non solamente la città da Rimine ma quasi tutta la Romagna; ma per la cupidigia della tirannica signoria messer Malatesta il giovane figliuolo di messer Pandolfo a tradimento cacciò di Rimine tutti i suoi consorti, e loro perseguendo con arme per uccidergli, e alquanti ne prese, e morirono poi in pregione, opponendo loro che volevano cacciare lui; per la qual cosa fu guasta la detta casa, e commossesene quasi tutta la Romagna. E pare una maladizione in quello paese, e ancora pessima usanza di Romagnuoli, che volentieri sono traditori tra·lloro. E nota che pare ch’avegna nelle signorie e istato delle dignità mondane che come sono in maggiore colmo hanno di presente la loro discesa e rovina, e non sanza providenza del divino giudicio per pulire le peccata, e perché niuno si confidi della fallace prospera ventura.
CLXXIX Come la città di Firenze fu lungamente interdetta.
Nel detto anno, a dì X di maggio MCCCXXXI, il legato di Toscana mise lo ’nterdetto a la città di Firenze per cagione ch’egli avea impetrata dal papa a sua mensa la pieve di Santa Maria in Pineta che vacava, al modo ch’avea fatta la Badia di Firenze, de la quale pieve erano padroni la casa de’ Bondelmonti, e a·lloro stanza, e perché pareva a’ cittadini che ’l detto legato volesse occupare tutti i buoni benifici di Firenze, e ancora quello benificio preso a inganno contro a’ Bondelmonti, per la qual cosa non gli lasciarono avere la rendita né’ frutti di quella pieve; e innanzi ne sostennono lo ’nterdetto XVIIII mesi, con grande sconcio e fatica de’ cittadini in ogni atto spirituale, tanto che i detti Bondelmonti s’accordarono col legato, per la qual cosa i detti Bondelmonti molto furono obbrigati al popolo di Firenze.
CLXXX Come il re Giovanni si partì di Lombardia, e andonne oltremonti.
Nel detto anno, avendo il re Giovanni ordinato col legato insieme una disimulata pace e trattato di rimettere gli usciti guelfi in Lucca, alquanti ve ne tornarono contra volere de’ Fiorentini. E intra gli altri che cercò il detto trattato fu messer Manno degli Obizzi, per la qual cosa molto venne in disgrazia de’ Fiorentini; e poi quegli Guelfi ch’erano tornati in Lucca, per la mala signoria se ne partirono. Poi il detto re Giovanni, riformata Lucca e Parma e Reggio e Modana a la sua signoria, vi lasciò Carlo suo figliuolo con VIIIc cavalieri, e egli si partì di Parma a dì II di giugno per andare a corte e in Francia e nella Magna, per ordinare maggiori cose col papa e col re di Francia per sottomettere la libertà degl’Italiani, come innanzi farà menzione.
CLXXXI Come delle masnade de’ Fiorentini furono sconfitti a Buggiano.
Nel detto anno messer Simone Filippi di Pistoia vicario in Lucca del re Giovanni fece porre oste e battifolli al castello di Barga in Carfagnana che si tenea per gli Fiorentini, sentendo ch’era male fornito; per la qual cosa i Fiorentini feciono cavalcare messer Amerigo de’ Donati capitano di Valdinievole con IIIIc cavalieri sopra Buggiano per fare levare il detto assedio da Barga. Ma le masnade di Lucca di notte vennono a Buggiano, da Vc cavalieri. Messere Amerigo e sua gente isproveduti di tale avenimento, e non prendendosi guardia, furono assaliti subitamente sul Brusceto sotto Montecatini, e rotti e sconfitti a dì VI di giugno, e rimasonne da C a cavallo tra morti e presi, e messere Amerigo e gli altri fuggiro in Montecatini; e il luglio apresso si perdé Uzzano per tradimento, che ’l teneano i Fiorentini.
CLXXXII Come papa Giovanni ricomunicò i Milanesi e’ Marchigiani.
Nel detto anno, a dì IIII di giugno, papa Giovanni apo Vignone ricomunicò i Milanesi e’ Marchigiani, i quali erano stati sì lungamente iscomunicati e in contumacia di santa Chiesa per molti falli fatti contro a la Chiesa, come adietro è fatta menzione; e ciò fece il papa a petizione del legato di Lombardia, l’una per rompere la lega già cominciata tra’ Lombardi, e l’altra perché i Marchigiani fossono riverenti al legato, che ’l n’avea fatto marchese e signore.
CLXXXIII Di fuochi che s’apresono nella città di Firenze in questo anno.
Nel detto anno, a dì XXIII di giugno, la notte de la vilia di santo Giovanni s’apprese fuoco in sul ponte Vecchio dal lato di là, e arsono tutte le botteghe, che v’erano da XX, con grande danno di molti artefici, e morirvi due garzoni, e in parte arsono delle case di San Sipolcro della magione dello Spedale. E poi, a dì XII di settembre la notte vegnente, s’aprese fuoco a casa Soldanieri da Santa Trinita in certe case basse di legnaiuoli e di maliscalco, le quali case erano a lo ’ncontro della via di Porta Rossa, e morirvi VI persone, che per lo ’mpetuoso fuoco del molto legname e stalle non poterono scampare. E poi a dì XXVIII di febbraio la notte vegnente s’apprese fuoco nel palagio del Comune, ove abita la podestà, e arse tutto il tetto del vecchio palazzo e le due parti del nuovo dalle prime volte in su. Per la qual cosa s’ordinò per lo Comune che si rifacesse tutto in volte infino a’ tetti. E poi a dì XVI di luglio vegnente s’apprese nel palazzo dell’arte della lana d’Orto San Michele, e arse tutto da la prima volta in su, e morìvi uno pregione, che ’l vi mise credendo scampare, e la sua guardia; poi per l’arte della lana si rifece più nobile e tutto in volte infino al tetto.
CLXXXIV Come in Firenze nacquono due leoncegli.
Nel detto anno, a dì XXV di luglio, il dì di santo Iacopo, nacquono in Firenze II leoncini del leone e leonessa del Comune, che stavano in istia incontro a San Pietro Scheraggio; e vivettono, e fecionsi grandi poi: e nacquono vivi e non morti, come dicono gli autori ne’ libri della natura delle bestie, e noi ne rendiamo testimonianza, che con più altri cittadini gli vidi nascere, e incontanente andare e poppare la leonessa; e fu tenuta grande maraviglia che di qua da mare nascessono leoni che vivessono, e non si ricorda a’ nostri tempi. Bene ne nacquono a Vinegia due, ma di presente morirono. Dissesi per molti ch’era segno di buona fortuna e prospera per lo Comune di Firenze.
CLXXXV Come i Fiorentini presono la signoria di Pistoia.
Nel detto anno, il dì seguente la festa di sa·Iacopo, essendo in Pistoia in grande sospetto e gelosia della signoria della terra, che parte de’ cittadini ch’amavano di ben vivere, voleano la signoria de’ Fiorentini, e parte voleano rimanere liberi; i Fiorentini avendo ciò sentito, di que’ dì per lo detto sospetto mandata di loro gente in Pistoia, in quantità di Vc cavalieri e MD pedoni, e’ feciono correre la terra gridando: «Vivano i Fiorentini!», sanza fare nulla ruberia né altro malificio. Per la qual cosa i Pistolesi per solenne consiglio, non potendo altro, diedono la signoria al Comune e popolo di Firenze per uno anno; e riformata la terra ne mandarono fuori più di C confinati, e gran parte di Guelfi ritornarono in Pistoia, che’ più erano contradi a la signoria de’ Fiorentini, per volere tiranneggiare la terra, e torre lo stato a’ cavalieri de’ Panciatichi e Muli e Gualfreducci ghibellini, fatti cavalieri per lo popolo di Firenze, e a·lloro seguaci, parendo loro che i Fiorentini gli mantenessono in maggiore stato per le promesse fatte, che non parea agl’ingrati Guelfi rimessi in Pistoia per gli Fiorentini. E poi appresso, innanzi che fosse mezzo l’anno, parendo a’ Pistolesi che’ Fiorentini gli trattassono benignamente, e manteneangli in pacefico stato e sanza gravezze, di loro buona volontà feciono sindachi due di loro anziani, e mandargli a Firenze a dare la guardia e signoria della terra liberamente a’ Fiorentini per due anni, oltre a la prima dazione; e’ Fiorentini la presono e solennemente l’ordinarono, eleggendo loro le podestadi forestieri di VI in VI mesi, e uno capitano della guardia grande popolano di Firenze di tre in tre mesi, con VI cavagli e L fanti, e uno conservadore di pace forestiere con X cavagli e C fanti, e la podestà di Serravalle e due castellani de le rocche fiorentini. E in Firenze elessono XII buoni popolani di tre in tre mesi, a cui diedono piena balìa della governazione di Pistoia, e delle riformazioni delle signorie co’ priori di Firenze insieme, e ciò fu in mezzo gennaio; e poi all’uscita del febbraio seguente i Fiorentini vi feciono cominciare uno bello e forte castello da la parte de la terra di verso Firenze per più sicurtà della terra, il quale si compié, e misonvi guardie e castellani con C fanti alle spese de’ Pistolesi; e oltre a·cciò CCC fanti a la guardia de la terra.
CLXXXVI Come i Sanesi osteggiarono e sconfissono i conti da Santa Fiore, e’ Pisani ebbono Massa.
Nella detta state i Sanesi feciono oste sopra i conti da Santa Fiore, e gli Orbitani sopra quegli da Baschia in Maremma, e feciono loro grande danno. Ed essendo i detti Sanesi all’assedio d’Arcidosso, i conti da Santa Fiore con CC cavalieri tedeschi avuti da Lucca, e con tutto loro isforzo, vennono per soccorrere il detto castello, e furono sconfitti da’ Sanesi; e poi ebbono il detto castello i Sanesi. E in questo stante dell’oste de’ Sanesi i Massetani si rubellarono dalla loro signoria, e cacciarono di Massa la podestà di Siena, e la casa de’ Ghiozzi e loro seguaci e parte, e dieronsi a’ Pisani.
CLXXXVII Come i Catalani co·lloro armata vennono sopra Genova, per la qual cosa i Genovesi co’ loro usciti feciono pace.
Nel detto anno, a l’entrante d’agosto, i Catalani con armata di XLII galee e XXX legni armati vennono nella riviera di Genova e di Saona, e arsonvi più castegli e ville e manieri, e feciono danno grande; né però i Genovesi né que’ di Saona non s’ardirono di contastargli, per cagione ch’erano male in ordine e peggio in accordo i Guelfi d’entro e’ Ghibellini di fuori, ch’erano in Saona. E fatto per gli Catalani la detta vergogna e dammaggio a’ Genovesi e a’ loro usciti, se n’andarono sani e salvi in Sardigna. Per la detta venuta de’ Catalani i Genovesi d’entro e que’ di fuori parendo loro avere di ciò grande vergogna, cercarono di fare pace tra·lloro; e l’una parte e l’altra mandarono grande e ricca ambasceria a Napoli al re Ruberto, commettendogli le loro questioni, e pregandolo gli pacificasse insieme: il quale re Ruberto diede fine a la detta pace a dì VIII di settembre MCCCXXXI, con patti che gli usciti tornerebbono tutti in Genova, e rendebbono tutte le fortezze di Saona e della riviera che teneano al Comune; e feciono loro signore il detto re Ruberto di concordia di tutti que’ d’entro e que’ di fuori, oltre al termine ch’egli l’avea in signoria da’ Guelfi d’entro per III anni, e dandogli alle spese del Comune CCC cavalieri e Vc sergenti a la guardia della terra e del suo vicario, e ’l Castello di Peraldo sopra Genova, e promisono d’essere contro al Bavero, e contro al re Giovanni, e contro a ogn’altro signore che passasse in Italia contra il volere del papa e della Chiesa e del re Ruberto, rimanendo liberi Ori e Spinoli della guerra del re Ruberto a don Federigo che tenea Cicilia, d’aoperarne a·lloro volontà d’atare l’una parte e l’altra, come a·lloro piacesse; però ch’uno d’Oria era amiraglio di quello di Cicilia, e uno Spinola del re Ruberto. E i Fiorentini mise il re Ruberto nella detta pace, che gli usciti si teneano per nimici de’ Fiorentini, per l’aiuto ch’eglino aveano fatto al detto re contra loro, quand’erano all’assedio di Genova. La quale pace poco piacque al re, dubitando forte della potenzia de’ Ghibellini tornando nella città, e assai il mostrò a’ Guelfi; ma eglino la pur vollono. E poi di gennaio MCCCXXXIII prolungarono la signoria di Genova al re Ruberto per V anni, la qual pace e signoria per lo re poco tempo durò, che i Ghibellini la ruppono, e cacciarne fuori i Guelfi, e tolsono la signoria del re, come innanzi per gli tempi si farà menzione.
CLXXXVIII Come il legato di Lombardia fece assediare la città di Forlì, e s’arendé a·llui.
Nel detto anno, del mese d’agosto, il legato del papa ch’era in Bologna fece fare oste a la città di Forlì in Romagna, la quale oste fece con forza di MVc cavalieri e popolo grandissimo; e fecevi porre battifolli perché non faceano le sue comandamenta, e aveano cacciato il suo vicario e tesoriere. E’ Fiorentini, con tutto fossono indegnati contro al legato per l’amistà e compagnia ch’avea presa col re Giovanni, sì pur mandarono in aiuto della Chiesa ne la detta oste C cavalieri, e istettevi la detta oste infino all’uscita d’ottobre. E poi partita l’oste, per patti s’arrenderono al legato a dì XXI di novembre sotto certi patti e convenzioni, cioè di torre suo vicario e tesoriere, e pagare il censo solamente; ma le masnade de’ loro cavalieri a la guardia della terra vollono eleggere que’ della terra di Forlì a·lloro volontà, giurando ubbidenza del detto legato.
CLXXXIX Come il duca d’Attene passò in Romania con gente d’arme e non poté aquistare niente.
Nel detto anno, del mese d’agosto all’uscita, il duca d’Attena, cioè conte di Brenna, si partì da Brandizio, e passò in Romania con VIIIc cavalieri franceschi menati di Francia gentili uomini, e Vm pedoni toscani al soldo vestiti insieme, la quale fu molto buona e bella gente d’arme, per racquistare sua terra che gli occupavano que’ della compagna. E co’ detti cavalieri il seguirono molta gente del regno di Puglia. E come fu di là, prese la terra dell’Arta, e molto del paese, casali e ville; e se i suoi nimici fossono venuti a battaglia di campo co·llui, di certo avrebbe racquistato suo paese e avuta vittoria, ch’egli avea seco molta buona cavalleria da tenere campo a tutti quegli di quella Romania, Latini e Greci. Ma que’ della compagnia maestrevolemente si tennono alla guardia delle fortezze, e non vollono uscire a battaglia. Per la qual cosa la cavalleria e gente del duca usi a grandi spese per lo bistento e lungo dimoro non potendo avere battaglia, istraccarono e non poterono durare; e tornò in vano la ’mpresa del duca, che gli era costata grande tesoro, e per necessità si partirono tutti del paese col duca insieme. Dissesi per gli savi infino che si mosse, che se vi fosse ito con meno gente e di meno costo tegnendosi a guerra guerriata e rinfrescata gente, vincea suo paese e avea onore della ’mpresa.
CXC D’avenimenti di guerra da noi a que’ di Lucca, onde morì messere Filippo Tedici di Pistoia.
Nel detto anno, a dì XIIII di settembre, essendo quegli di Buggiano a·ffare loro vendemmie con guardia di LXX cavalieri di que’ di Lucca, la nostra gente di Valdinievole, intorno di CL cavalieri e pedoni assai, uscirono loro adosso e sconfissongli e cacciarono infino al borgo di Buggiano. In questa caccia, com’era ordinato, vennono da CC de’ loro cavalieri da Pescia, e trovando i nostri sparti e seguendo i nimici, percossono loro adosso e sconfissongli, e rimasono de’ nostri presi V conastaboli, e da L e più cavalieri. E poi a dì XXI del detto mese, partendosi di Lucca CC cavalieri e M pedoni a la condotta di messer Filippo de’ Tedici di Pistoia per pigliare il castello di Popiglio de la montagna di Pistoia, che dovea loro essere dato, e iscesi i cavalieri a piè, perch’era stretto luogo, entrarono nel castello lasciando di fuori i cavagli. Quegli del castello che non sentirono il trattato francamente gli ripinsono fuori; que’ del paese d’intorno trassono a’ valichi e a’ forti passi delle montagne, e presono i loro cavagli e misongli in isconfitta; e fuvi morto da’ villani, com’era degno, il detto messer Filippo traditore di Pistoia e più altra buona gente, e presi più di C cavagli. E poi il marzo vegnente que’ di Lucca ch’erano in Buggiano misono aguato per pigliare Massa in Valdinievole. Per la gente de’ Fiorentini ch’erano in Montecatini, sentito, uscirono loro adosso e sconfissongli, e rimasono di loro assai presi e morti, e IIII bandiere da cavallo ne vennono prese a Firenze. E così va di guerra guerriata, che talora nell’uno luogo si perde e nell’altro si guadagna.
CXCI Come il marchese di Monferrato tolse Tortona al re Ruberto.
Nel detto anno, del mese di settembre, il marchese di Monferrato con sua forza entrò ne’ borghi e terra di Tortona in Piemonte, la quale gli fu data da’ cittadini; e la gente che v’era dentro per lo re Ruberto, ond’era capitano messere Galeasso fratello bastardo del detto re, e’ si ridussono nella città e rocca di sopra, e poi non potendo tenere la città di sopra che non era bene fornita, sì·ll’abandonarono co·lloro vergogna, e rimase alla signoria del marchese.
CXCII Come il fiume del Po ruppe gli argini di Mantovani.
Nel detto anno, del mese d’ottobre, crebbe il fiume del Po in Lombardia sì diversamente, che ruppe in più parti degli argini di mantovana e di ferrarese, e guastò molto paese, e morirvi anegando Xm persone tra piccoli e grandi.
CXCIII Quando si ricominciò a lavorare la chiesa di Santa Reparata di Firenze, e fu grande dovizia quello anno.
Nel detto anno e mese d’ottobre, essendo la città di Firenze in assai tranquillo e buono stato, si ricominciò a lavorare la chiesa maggiore di Santa Reparata di Firenze, ch’era stata lungo tempo vacua e sanza nulla operazione per le varie e diverse guerre e ispese avute la nostra città, come adietro s’è fatta menzione, e diessi in guardia per lo Comune la detta opera all’arte della lana, acciò che più l’avanzasse, e istanziòvi il Comune gabella di danari II per libbra d’ogni danaro ch’uscisse di camera del Comune, come anticamente era usato, e oltre a·cciò ordinarono una gabella di danari IIII per libbra sopra ogni gabelliere della somma che comperasse gabella dal Comune, le quali due gabelle montavano l’anno libbre XIIm di piccioli. E’ lanaiuoli ordinarono ch’ogni fondaco e bottega di tutti gli artefici di Firenze tenessono una cassettina ove si mettessono il danaro di Dio, di ciò che si vendesse e comperasse; e montava l’anno al cominciamento libbre IIm. E di queste entrate si forniva la detta opera. E in questo anno fu in Firenze grande divizia e ubertà di vittuaglia; e valse lo staio del grano colmo soldi VIII di piccioli di libbre tre il fiorino d’oro, che fu tenuto gran maraviglia alla disordinata carestia stata l’anno del MCCCXXVIIII e poi del MCCCXXX, come dicemmo adietro. E in questi tempi si feciono in Firenze molti buoni ordini e adirizzamento sopra ogni vittuaglia, e ogni carne e pesce si dovesse vendere a peso, e ogni volatio certo pregio convenevole; e sopra·cciò vi feciono uficiale, e misono pene chi non l’osservasse.
CXCIV Di guerra che fu mossa in Buemmia al re Giovanni.
Nel detto anno, del mese di novembre, essendo il re Giovanni andato in Buemmia, raunò suo isforzo coll’aiuto dell’arcivescovo di Trievi suo zio e del dogio di Chiarentana suo cognato, e trovossi con più di Vm cavalieri, per cagione che ’l re di Pollonia e lo re d’Ungheria e ’l dogio d’Ostericchi suoi nimici, e ancora con ordine del Bavero, che per le ’mprese sue di Italia gli voleva male, e·re d’Ungheria a petizione del re Ruberto e suo zio, e genero del re di Pollonia, aveano raunato grande esercito di più di XVm cavalieri tra Tedeschi e Ungheri per cavalcare in su i·reame di Buemmia e guastarlo. Le quali osti istettono afrontati più giorni sopra la riviera di... ciascuno dalla sua parte; poi per le ’mprese del re Giovanni gli convenne partire per andare in Francia. Per la qual cosa il re Giovanni da’ savi fu tenuto folle di cercare nuove imprese in Italia per lasciare in periglio il suo reame. Ma tutto ciò facea a petizione del re di Francia per certi grandi intendimenti, come per lo ’nanzi leggendo si potrà comprendere. E partito lui di Boemmia, i suoi nimici valicarono in suo reame, e per due volte sconfissono la gente del re Giovanni con grande guastamento di suo paese; e più l’avrebbono guasto, se non fosse la forte vernata che gli fece partire.
CXCV Come il re di Francia promise di fare il passaggio oltremare.
Nel detto anno, per la pasqua della Natività di Cristo, il re Filippo di Francia piuvicò in Parigi dinanzi a’ suoi baroni e prelati com’egli imprendea di fare il passaggio d’oltremare per racquistare la Terrasanta dal marzo vegnente a due anni, domandando a’ prelati e comunanze di suo reame aiuto e susidio di moneta; e richiese i duchi e’ conti e’ baroni che s’ordinassono d’andare co·llui; e mandò suoi ambasciadori a Vignone a papa Giovanni a notificare a·llui e a’ suoi cardinali la sua impresa, richeggendo la Chiesa per XXVII capitoli grandi susidii e grazie e vantaggi, intra’ quali ebbe di molti sconvenienti e oltraggiosi. Intra gli altri volea tutto il tesoro de la Chiesa e le decime di tutta Cristianità per VI anni, pagando in tre, e in suo reame le ’nvestiture e promutazioni d’ogni benificio eccresiastico; e domandava titolo del reame d’Arli e di Vienna per lo figliuolo; e che d’Italia volea la signoria per messere Carlotto suo fratello. Perché ’l papa né’ suoi cardinali la maggiore parte non gli vollono accettare, rispondendo che passati erano XL anni che i suoi anticessori aveano aute le decime del reame per lo passaggio, e consumatele in altre guerre contra i Cristiani, ma che·re seguisse sua impresa, e alla sua mossa la Chiesa gli darebbe ogni aiuto che si convenisse temporale e spirituale al sussidio del santo passaggio; per le quali domande e risposte si cominciò alcuno isdegno tra la Chiesa e ’l re di Francia.
CXCVI Come gli Aretini vollono prendere Cortona.
Nel detto anno, all’uscita di gennaio, messer Piero Saccone de’ Tarlati signore d’Arezzo per avere la città di Cortona certo trattato e tradimento ordinò con messer Guccio fratello di messer Rinieri di... che n’era signore, promettendogli più vantaggi; e il detto per discordia ch’avea col fratello, perché nol trattava come volea, aconsentì al detto tradimento. E cavalcarvi gli Aretini di notte, ma discoperto il tradimento, il detto messer Guccio dal fratello fu preso, e de’ suoi seguaci cittadini che co·llui intendeano al tradimento, in quantità di più di XXX, furono impiccati a’ merli delle mura della terra al di fuori, e il detto messer Guccio fu messo in oscura pregione, nella quale con grande stento, com’era degno, finì sua vita.
CXCVII Come gli usciti di Pisa vennono sopra Pisa, e come i Fiorentini mandarono loro soccorso.
Nel detto anno, a dì VIIII di gennaio, avendo gli usciti di Pisa, ond’era capo il vescovo che fu d’Ellera in Corsica, fatta lega co’ Parmigiani e con certi Ghibellini di Genova, ond’era capo Manfredi de’ Vivaldi, che tenne il castello de·Lerici, e ancora con gente di Lucca, i quali furono in quantità di Vc cavalieri e popolo assai, e presono più terre de’ Pisani di là dal fiume della Magra, e corsono sopra Serrezzano, e poi vennono iscorrendo infino presso di Pisa. Onde i Pisani furono in grande gelosia e paura di loro cittadini d’entro, amici e partefici di loro usciti; e dì e notte stavano sotto l’arme, e chiuse le porte, dubitando di perdere la terra. Mandarono per più ambasciadori l’uno apresso l’altro al Comune di Firenze pregando che per Dio gli soccorressono, e mandassono di loro cavalieri a la guardia della terra, promettendo d’essere sempre frategli e amici del Comune di Firenze. Per la qual cosa i Fiorentini mandarono loro CC cavalieri, e a Montetopoli, e a l’altre castella de’ Fiorentini di Valdarno ne mandarono più di Vc, che a richiesta de’ Pisani andassono a Pisa o dove a·lloro bisognasse; e giunti in Pisa i detti cavalieri, i loro usciti si ritrassono, e’ Pisani mandarono fuori certi confinati, di cui dubitavano, e la città rimase in pace e sanza sospetto. Il quale servigio de’ Fiorentini venne a que’ che reggeano Pisa a grande bisogno; che se ciò non fosse stato, di certo si rubellava loro la terra, e mutava stato.
CXCVIII Come i Bolognesi si diedono liberamente a la Chiesa, e come il legato fece uno castello in Bologna.
Nel detto anno, a dì X di gennaio, per procaccio e segacità del legato di Lombardia che dimorava in Bologna, fece tanto che i Bolognesi si diedono per loro solenni consigli a perpetuo privileggiati e liberi sanza alcuno patto o salvo al papa e a la Chiesa di Roma, promettendo loro, e con simulate lettere di papa Giovanni, che infra uno anno il papa co la corte verrebbe a stare in Bologna; e sotto questo inganno cominciò a fare fare uno forte e magno castello in Bologna alla fine del loro prato in su le mura, dicendo che ciò facea per l’abituro del papa, ordinandolo a ogni atto d’abituro nobilemente a·cciò. E per sé fece fare quasi un altro compreso di castello più infra la terra, pigliando più case di cittadini, dicendo l’abiterebbe egli venuto il papa. E fece segnare tutte le liveree dove dovessono abitare tutti gli altri cardinali. E tutto ciò fu fatto ad arte e simulatamente per fare la detta fortezza per meglio dominare i Bolognesi. I Bolognesi per lo vantaggio che s’aspettavano vegnendo in Bologna la corte, che tutti speravano d’essere ricchi, si lasciarono ingannare, e assentirono che si facessono la detta fortezza e castello in Bologna, e mandarono loro solenni ambasciadori de’ maggiori cittadini e sindachi apo Vignone al papa, dandogli per solenne obbrigagione liberamente la signoria, e pregandolo da parte del loro Comune l’avacciamento della sua venuta alla sua città di Bologna. I quali ambasciadori e sindachi dal papa furono ricevuti graziosamente, e accettata per la Chiesa la loro obrigagione, promettendo loro più volte il papa in piuvichi concestori di venire infra l’anno a Bologna fermamente. La quale promessa fu disimulata e infinta, e non s’attenne per lo papa, onde fu ripreso da tutti i Cristiani che ’l seppono, che già promessa di papa non dee essere mendace sanza necessaria cagione, la quale non fu in lui. Ma la divina providenza non dimette la giustizia della sua pulizione a chi manca fede e con frode e inganno; che poco tempo apresso il sopradetto legato compiuto il detto castello, e quando più groliava e trionfava, la sua oste fu sconfitta a Ferrara, e i Bolognesi si rubellarono da la Chiesa, e lui cacciarono di Bologna, e il detto castello tutto disfeciono e abatterono, come innanzi faremo menzione.
CXCIX Come il legato fu fatto conte di Romagna ed ebbe libera la città di Forlì.
Nell’anno MCCCXXXII papa Giovanni fece conte di Romagna i·legato, e que’ di Forlì gli diedono liberamente la signoria de la terra, e entròvi dentro il detto legato con più di MVc cavalieri di sua gente a grande trionfo e onore, con intenzione di vicitare tutte le terre di Romagna, e poi andare ne la Marca; ma rimase, dubitando di Bologna per certe novità ch’aparvono in Lombardia, come poco apresso faremo menzione.
CC Come il Comune di Firenze ordinò di fare la terra di Firenzuola oltre alpe.
Nel detto anno, avendo i signori Ubaldini disensione e guerra insieme, ciascuna parte a gara mandando al Comune di Firenze di volere tornare a l’ubidienza e a la signoria del Comune, traendogli di bando, per gli Fiorentini fu accettato; ma ricordandosi che per molte volte s’erano riconciliati per simile modo col Comune di Firenze, e poi rubellatisi a·lloro posta e vantaggio, come si può trovare per adietro, si provide per lo detto Comune di fare una grossa e forte terra di là dal giogo dell’alpe in sul fiume del Santerno, acciò che i detti Ubaldini più non si potessono rubellare, e’ distrittuali contadini di Firenze d’oltre l’alpe fossono liberi e franchi, ch’erano servi e fedeli de’ detti Ubaldini; e chiamarono a fare fare la detta terra sei grandi popolani di Firenze con grande balìa intorno a·cciò. E essendo i detti uficiali in sul palazzo del popolo co’ signori priori insieme in grande contasto, come si dovesse nominare la detta terra, e chi dicea uno nome e chi un altro, noi autore di questa opera trovandone tra·lloro, dissi: «Io vi dirò uno nome molto bello e utole, e che si confà a la ’mpresa, però che questa fia terra nuova e nel cuore dell’alpe, e nella forza degli Ubaldini, e presso alle confini di Bologna e di Romagna; e s’ella nonn-ha nome che al Comune di Firenze ne caglia e abbiala cara, a’ tempi aversi di guerra che possono avenire, ella fia tolta e rubellata ispesso; ma se·lle porrete il nome ch’io vi dirò, il Comune ne sarà più geloso e più sollecito a la guardia: perch’io la nominerei, quando a voi piacesse, Firenzuola». A questo nome tutti inn-accordo sanza alcuno contasto furono contenti, e il confermarono, e per più aumentare e favorare il suo stato e potenza le diedono per insegna e gonfalone mezza l’arme del Comune, e mezza quella del popolo di Firenze; e ordinarono che la maggiore chiesa di quella terra, conseguendo al nome, si chiamasse San Firenze; e feciono franco chi l’abitasse X anni, recando tutte le genti vicine e ville d’intorno ad abitarla, e traendogli d’ogni bando di Comune; e ordinarvi mercato uno dì della semmana. E cominciossi a fondare al nome di Dio a dì VIII d’aprile del detto anno quasi alle VIII ore del dì, provedutamente per istrolagi, essendo ascendente il segno del Leone, acciò che·lla sua edificazione fosse più ferma e forte, e stabile e potente.
CCI Come i Turchi per mare guastarono gran parte di Grecia.
Nel detto anno, del mese di maggio e di giugno, i Turchi armarono CCCLXXX tra barche grosse e legni con più di XLm Turchi, e vennono per mare sopra Gostantinopoli, e combatterollo, e avrebbollo avuto, se non fosse l’aiuto de’ Latini e Genovesi e Viniziani. E poi guastarono più isole d’Arcipelago, e menarne in servaggio più di Xm Greci; e que’ di Negroponte per paura si feciono tributari, onde venne in ponente grande cramore al papa e al re di Francia e agli altri signori de’ Cristiani; per la qual cosa s’ordinò per loro che l’anno seguente si facesse armata sopra i Turchi, e così si fece.
CCII Come que’ della Scala tolsono al re Giovanni la città di Brescia e di Bergamo, e come s’ordinò lega da noi a’ Lombardi.
Nel detto anno, parendo a’ Guelfi della città di Brescia male stare sotto la signoria del re Giovanni, per l’antica nimistà avuta collo imperadore Arrigo suo padre, e per dispetto d’uno forte castello ch’egli avea fatto fare al disopra della terra per tenergli più suggetti, sì trattarono cospirazione e di dare la terra a’ signori della Scala da Verona, promettendo loro di mantenergli in loro stato, e di cacciarne la parte ghibellina, che teneano col re Giovanni, e così aseguiro: o che a dì XIIII del mese di giugno cavalcato là messer Mastino della Scala con XIIIIc di cavalieri e popolo grandissimo, e i Guelfi della terra cominciarono il romore con armata mano, gridando: «Muoiano i Ghibellini e il re Giovanni, e vivano i signori della Scala!»; e combattendo contra loro, apersono alcuna porta della terra ch’era in loro podere, e per quella vi misono messer Mastino e sua gente, e cacciarne i Ghibellini e la gente del re Giovanni; e assai ne furono presi e morti, salvo quegli che scamparono nel castello, o si fuggirono della terra. Al quale castello si puose l’assedio, e fu tutto affossato e steccato intorno, e tennesi per la gente del re Giovanni infino a dì IIII del mese di luglio, ch’aspettavano soccorso dal figliuolo del re Giovanni ch’era a Parma, il quale non s’ardì di venire sentendo la potenza di messer Mastino, e ch’egli avea la terra, per la qual cosa s’arenderono, salve le persone. E poi il detto messer Mastino il settembre vegnente per simile modo tolse la città di Bergamo a la gente del re Giovanni, e fecesi la lega già trattata da’ detti signori della Scala, e quello di Melano, e quello di Mantova, e’ marchesi da Ferrara col re Ruberto e col Comune di Firenze contra al Bavero e al re Giovanni, o chi gli desse aiuto o favore; e avere gli amici per amici, e’ nimici di ciascuno per nimici, non traendone imperio né Chiesa. La quale lega fu ordinata di IIIm cavalieri; VIc al re Ruberto e VIc cavalieri al Comune di Firenze, e VIIIc cavalieri a’ signori della Scala, e VIc cavalieri al signore di Milano, e CC cavalieri al signore di Mantova, e CC cavalieri a’ marchesi da Ferrara, e confermossi per ambasciadori e sindachi con solenni contratti e saramenti. E fu in patti che la lega aterebbe conquistare a messer Azzo di Milano la città di Chermona e ’l borgo a San Donnino, e a’ que’ della Scala la città di Parma, e al signore di Mantova la città di Reggio, e a’ marchesi da Ferrara la città di Modona, e a’ Fiorentini la città di Lucca. E nota, lettore, nuova mutazione di secolo, che il re Ruberto capo di parte di Chiesa e de’ Guelfi, e simile il Comune di Firenze, allegarsi in compagnia co’ maggiori tiranni e Ghibellini d’Italia, e spezialmente con messer Azzo Visconti di Milano, il quale fue al servigio di Castruccio a sconfiggere i Fiorentini ad Altopascio, e poi venire a oste infino a la città di Firenze, come adietro facemmo menzione: ma a·cciò condusse il re Ruberto e’ Fiorentini la dubitazione del Bavero e del re Giovanni, e lo sdegno preso col legato per la compagnia fatta col re Giovanni.
La quale lega da cui fu lodata e da cui biasimata, ma a·ccerto ella fu allora lo scampo della città di Firenze e la confusione del re Giovanni e del legato, come innanzi leggendo si troverrà.
CCIII D’una grande punga fatta sopra Barga, e come i Fiorentini la perdero.
Nel detto anno, essendo i Lucchesi colla gente del re Giovanni all’assedio di Barga in Carfagnana, la quale si tenea per gli Fiorentini, e aveavi intorno più battifolli e bastite con quantità di VIIIc cavalieri e popolo grandissimo, i Fiorentini sentendo ch’a quegli della terra falliva la vittuaglia, fecionvi cavalcare il loro capitano della guerra con tutta la loro cavalleria; e partirsi di Pistoia a dì VII di luglio, e cavalcarono per la via della montagna; e giunti sopra Barga in nulla guisa poterono fornire la terra per le tagliate e fortezze che v’aveano fatte intorno i Lucchesi, e tornarsene adietro con poco onore. Ma poi i Fiorentini volendo vincere la punga feciono compagnia con Ispinetta marchese, tutto fosse Ghibellino, ma nimico era di que’ di Lucca, e feciongli grandi vantaggi di moneta, e mandargli CC cavalieri, e egli ne menò di Lombardia da’ signori della Scala e di Mantova altri CC, sì che con IIIIc cavalieri e popolo assai giunse in Carfagnana sopra Barga dì XII di settembre, promettendo a’ Fiorentini di fornirla per forza. I Fiorentini d’altra parte si mossono di Pistoia a dì VII di settembre in quantità di VIIIc cavalieri e popolo assai, e presono il Cerruglio, e Vivinaia, e Montechiaro con intendimento che’ Lucchesi si levassono da Barga; e se a quegli fossono rimasi, e afforzatigli e forniti, a certo aveano vinta la guerra di Lucca, però che sono sì sopra a Lucca, che ogni dì gli poteano correre infino a le porte. Ma veggendo che’ Lucchesi non si partivano dall’assedio, anzi quello rinforzaro, e cavalcatovi messer Simone Filippi vicario del re Giovanni con tutta la forza rimasa in Lucca, e fatto venire cavalieri da Parma, i Fiorentini abandonarono il Cerruglio e quell’altre fortezze di sopra Lucca, e cavalcarono in Carfagnana al soccorso di Barga, e a quello pugnarono dall’una parte e Spinetta dall’altra con ogni forza e ingegno; e richeggendo di battaglia messer Simone Filippi, il quale colla sua gente era sì afforzato, che i Fiorentini né Spinetta si poteano loro apressare; e veggendo che·lla terra non si potea più tenere, non volle combattere, onde i Fiorentini perderono la punga, e partirsi e tornarsi a Pistoia, e Spinetta nelle sue terre, e Barga s’arendé a’ Lucchesi salve le persone a dì XV d’ottobre. Di questa impresa i Lucchesi montarono assai nella guerra, e’ Fiorentini ne calarono; e grande ripitio n’ebbe in Firenze contro a coloro che reggeano la terra; l’una che la ’mpresa fu folle a tenere terra così di lungi e con poco utile, e ispiacque infino al cominciamento a’ più de’ Fiorentini, e al principio si poteva fornire per ispesa di IIIc fiorini d’oro, e quegli ch’allora erano al priorato nol seppono fare; e poi costò al Comune di Firenze più di Cm fiorini d’oro sanza la vergogna. E nota che sempre è riuscito male al Comune di Firenze a fare le ’mprese isformate e da lungi; e leggendo questa per adietro si troverrà manifesto.
CCIV Come i Genovesi co·lloro armata corsono la Catalogna.
Nel detto anno, a dì XX d’agosto, si partirono di Genova L galee armate e VI legni di Genovesi per andare sopra i Catalani, per fare vendetta della venuta che feciono l’anno dinanzi sopra la riviera di Genova; e giunti in Catalogna la corsono tutta, le loro riviere, e simile l’isola di Maiolica e di Minorica, e feciono grandi guasti e ruberie in più parti sanza nullo contasto, e presono V galee di Catalani, le quali per paura percossono a terra, e gran parte de la gente lo scamparono, e le galee arsono, e tornarono a Genova sani e salvi a dì XV d’ottobre MCCCXXXII con grande onore.
CCV Come e perché il Comune di Firenze condannò il Comune di San Gimignano.
Nel detto anno, a dì X di settembre, avendo la podestà di San Gimignano con più gente della terra con bandiere levate corso sopra i loro usciti alla villa di Campo Urbiano del contado di Firenze, e quella villa combatterono e arsono, perché riteneano i loro usciti. Per la quale cosa indegnato il Comune di Firenze feciono citare la detta podestà, overo capitano, con più terrazzani di San Gimignano che furono nella detta cavalcata, e non comparirono; onde fu condannato in Firenze il Comune di San Gimignano in libbre Lm, e la detta podestà, ch’era di Siena, e CXLVII uomini di San Gimignano a essere arsi. E volendo il Comune di Firenze far fare l’eseguizione alle loro masnade, il Comune di San Gimignano chiesono misericordia e perdono, rimettendosi a la mercé del popolo e Comune di Firenze liberamente; per la qual cosa fu loro fatta grazia e perdonato a dì X d’ottobre, ribandendo i loro usciti, e rendendo i loro beni, e amendando a que’ di Campo Urbiano ogni loro dammaggio a·lloro stimo e degli ambasciadori di Firenze, ch’andarono a vedere il guasto; e così fu fatto.
CCVI Come il capitano di Milano ricominciò guerra al legato di Lombardia e al re Giovanni.
Nel detto anno, del mese d’ottobre, messer Azzo di Milano avendo trattato d’avere la città di Chermona, che si tenea per la Chiesa, e cavalcatavi sua gente, ed entratine parte dentro a la terra per una porta ch’a·lloro fu data per gli traditori, per forza combattendo, dalle masnade della Chiesa che v’erano ne furono cacciati fuori, e rimasonne presi e morti. E poi per questa cagione messer Azzo col signore di Mantova con più di MVc cavalieri venne sopra la città di Modona, e istettevi intorno per XX dì guastandola d’intorno. Per la qual cosa in Bologna ebbe gran paura e sospetto, e il legato ch’era in Romagna per andare nella Marca tornò con sua gente a Bologna in grande fretta, e con grande gelosia e paura di perdere Bologna.
CCVII Di più fuochi apresi nella città di Firenze.
Nel detto anno, a dì XIII di novembre, s’apprese fuoco da San Martino nella via che va in Orto San Michele, e arsono III case e la torre overo palazzo de’ Giugni con grande danno di lanaiuoli, che in quelle aveano loro botteghe, e morirvi IIII tra uomini e garzoni. E la sera apresso s’aprese Oltrarno da casa i Bardi, e arsono II case. E quella medesima sera s’apprese al canto di Borgo San Lorenzo, ma poco arse. E poi a dì XVIIII di novembre s’apprese al borgo al Ciriegio, e arse una casa. E a dì XXVI di gennaio di mezzodì s’apprese fuoco contra il campanile vecchio di Santa Reparata da la via di Balla, e arse una casa. E nota che bene si mostra in Firenze la ’nfruenza del pianeto di Mars, che in quella ha potenza, che essendo nel segno del Leone sua tripicitade, è segno di fuoco, che in poco più d’uno anno tanti fuochi s’accesono nella nostra cittade, come appare qui, e poco adietro e innanzi; overo che s’appresono per mala provedenza e guardia; e a questo si dee dare più fede. E non vi maravigliate perché in questo nostro trattato facciamo ricordo d’ogni fuoco apreso nella città di Firenze, che all’altre novità paiono piccolo fatto; ma niuna volta vi s’aprende fuoco, che tutta la città non si commuova, e tutta gente sia sotto l’arme e in grande guardia.
CCVIII Come l’oste de’ marchesi da Ferrara fu sconfitta dal figliuolo del re Giovanni a San Filice.
Nel detto anno, essendo a oste la gente de’ marchesi da Ferrara coll’aiuto della lega di Lombardia in quantità di MC cavalieri e popolo assai sopra il castello di San Filice nel contado di Modona, della quale oste era capitano messer Giovanni da Campo Sampiero di Padova, e avendo il detto castello molto stretto con battifolli, Carlo figliuolo del re Giovanni si partì di Parma con sua gente, e venne a Modona per soccorrere il detto castello, e il legato da Bologna mandò la sua cavalleria intorno di VIIIc cavalieri alle frontiere di Modona, comandando loro che a richiesta del detto Carlo fossono contra i marchesi. Il detto Carlo avendo novelle come l’oste de’ marchesi era molto sparta e male ordinata, come franco duca, sanza attendere l’aiuto dalla gente del legato, ma tuttora gliene crebbe vigore e baldanza, uscì di Modona con VIIIIc cavalieri molto buona cavalleria e con tutto il popolo di Modona; e giunto all’oste de’ nimici subitamente gli assalì, e durò la battaglia dalla nona infino passato vespro molto ritenuta. A la fine la gente de·re Giovanni ebbono la vittoria, e di que’ della lega de’ Lombardi vi rimasono tra morti e presi più di Vc cavalieri e popolo assai; e rimasevi preso il detto messer Giovanni e molti conostaboli; e ciò fu a dì XXV di novembre del detto anno; onde montò molto la grandezza del re Giovanni, e ancora i·legato ne prese vigore; e perché disamava i marchesi, perché liberamente non gli vollono dare la signoria di Ferrara, e incontanente fece loro muovere guerra, e ardere la villa di Consandoli; e’ marchesi, tutto fossono sconfitti, corsono in sul bolognese, e arsono la villa di Cierie.
CCIX Come messer Azzo Visconti tolse la città di Pavia al re Giovanni.
Nel detto anno, a l’uscita di novembre, messer Azzo Visconti capitano di Milano prese la città di Pavia che gli fu data da certa parte de’ cittadini, la quale tenea la gente del re Giovanni, e corsa la terra combattendo, le masnade del re Giovanni non poterono risistere per la grande potenza di que’ di Melano, si ridussono nel forte castello il quale avea fatto fare messer Maffeo Visconti anticamente quando signoreggiava Pavia, e quello tennono francamente più di IIII mesi, attendendo soccorso da Piagenza e da Parma dal figliuolo del re Giovanni e da la gente della Chiesa, e ancora la venuta del re Giovanni in Lombardia, come aveano promesso. Ma il detto castello era tutto affossato e steccato al di fuori per que’ di Milano, e con forti battifolli e bastite forniti di grande cavalleria e grandissimo popolo. Ma venuto il re Giovanni in Lombardia con grande potenza di cavalleria, come innanzi faremo menzione, venne all’entrata di marzo con più di MD cavalieri al soccorso del detto castello, e per forza d’arme ruppe alcuno battifolle e isteccato, ma per la forza del luogo pochissima quantità di vittuaglia vi poté mettere dentro. E lui partito, poco tempo appresso fallì a quegli del castello la vivanda; per la qual cosa uno conte tedesco che v’era dentro per lo re Giovanni s’arendé possendosi partire sano e salvo con sue genti; e così fece. Della detta punga molto esaltò il capitano di Milano, e ’l re Giovanni n’abassò.
CCX Come il re Giovanni andò a Vignone a papa Giovanni.
Nel detto anno, del mese di novembre, il re Giovanni venne di Francia a Vignone in Proenza per parlamentare con papa Giovanni, e in sua compagnia menò più baroni e signori di Valdirodano per farsi fare salvocondotto, perché dubitava di venire nelle terre del re Ruberto; e bisognavagli bene, che per contastare la sua venuta il siniscalco di Proenza, messer Filippo di Sangineto, raunò in Vignone più di VI cavalieri gentili uomini di Proenza, e que’ di Vignone erano aparecchiati in arme a suo comandamento; ma il papa a priego de’ detti signori gli diè licenzia del venire sicuro, e comandò al siniscalco che non gli dovesse offendere. E venuto il re Giovanni in Vignone dinanzi al papa, il papa gli fece grande asalto di parole e minacce, riprendendolo delle sue imprese delle terre di Lombardia e di Lucca, ch’aparteneano alla Chiesa; ma tutto fu opera disimulata, però che tutte sue imprese erano con ordine del re di Francia e del legato di Bologna per abattere i tiranni di Lombardia, e perché il re di Francia per sé, overo per messer Carlotto suo fratello, il quale era sanza reame, cercavano sagretamente col papa d’essere l’uno di loro re in Italia. Il re Giovanni con infinte scuse si rimise a la mercé del papa, e riconciliollo il papa con seco com’era ordinato, e ristette in corte più di XV dì, ciascuno giorno a consiglio sagreto col papa, ove ordinarono più cose segrete, che poco tempo apresso partorirono, e le congiure ordinate furono palesi, come innanzi leggendo faremo menzione. E partitosi il re Giovanni di corte, se n’andò in Francia per seguire la traccia. Lasceremo alquanto degli andamenti del re Giovanni per dire d’altre novità di Toscana, ma tosto torneremo a sua materia, ch’assai ne cresce tra mano.
CCXI Come i Sanesi sconfissono i Pisani, e poi i Pisani gli cavalcarono infino presso a Siena.
Nel detto anno, avendo i Pisani tolta la signoria di Massa in Maremma, come addietro facemmo menzione, i Sanesi co·lloro capitano, in quantità di IIIc cavalieri e popolo assai, cavalcarono al soccorso d’uno castello che’ Pisani co’ Massetani aveano assediato, ond’era capitano messer Dino della Rocca di Maremma con CC cavalieri e M pedoni. Trovandogli i Sanesi male ordinati, sì gli sconfissono a dì XVI di dicembre nel detto anno co·lloro grande danno, e furonne assai presi e morti, e fu preso il detto capitano. E poi i Sanesi corsono la Valdera infino a Folcole con grande danno de’ Pisani. Per la quale sconfitta i Pisani adirati mandarono per soccorso a Lucca e a Parma, e soldarono quanta gente poterono avere, onde in poco tempo ebbono VIIIc buoni cavalieri oltramontani, e feciono loro capitano di guerra Ciupo degli Scolari uscito di Firenze, il quale del mese di febbraio vegnente cavalcò in sul contado di Siena infino al piano di Filetta, guastando e ardendo quanto innanzi si trovarono sanza nullo contasto, e arsono il bagno a Macereto, e poi tornarono in Valle di Strova e a la badia a Spugnole, e in quelle contrade feciono il somigliante, e gli scorridori corsono infino a Camposanto presso a due miglia a Siena, levando grandi prede e faccendo danno assai; e più avrebbono fatto, se non che i Fiorentini mandarono delle loro masnade CC cavalieri a la guardia del castello di Colle, onde i Pisani dubitando si ritrassono, e tornarsi a Pisa con grande onore. I Sanesi richiesono i Fiorentini d’aiuto, e ch’eglino mandassono a Siena le loro masnade per volere combattere co’ Pisani quand’erano sopra loro. I Fiorentini nol vollono loro dare per non rompere pace a’ Pisani, e per dubbio de’ Fiorentini e di loro mercatantie ch’erano in Pisa; onde i Sanesi presono grande isdegno contra i Fiorentini, e tutta l’onta e vergogna e danno ricevuto da’ Pisani si riputarono avere ricevuto da’ Fiorentini, perché non gli aveano soccorsi.
CCXII Come il figliuolo del re Giovanni venne a Lucca, e come il detto re Giovanni tornò in Lombardia.
Nel detto anno, in calen di gennaio, Carlo figliuolo del re Giovanni venne di Parma a Lucca, e da’ Lucchesi gli fu fatto grande onore sì come a·re e a·lloro signore, ma poco vi dimorò in Lucca: ma innanzi ch’egli si partisse volle da’ Lucchesi XLm fiorini d’oro, ma a la fine con grande fatica e renzione de’ cittadini n’ebbe XXVm; sì che la festa che’ Lucchesi feciono della sua venuta tornò loro in amarore e danno. E ciò fatto, il detto Carlo si tornò in Lombardia per vedere il re Giovanni suo padre, il quale tornava di Francia, ed era venuto a Torino all’uscita di gennaio col conastabole del re di Francia, e col conte d’Armignacca, e con quello di Forese, e col maliscalco di Mirapesce, e più altri signori e baroni, e con un fioretto di VIIIc cavalieri eletti di Francia e di Borgogna e di Valdirodano. E dissesi ch’avea avuto da·re di Francia o in dono overo in presto Cm fiorini d’oro. E giunse in Parma a dì XXVI di febbraio, e là si trovò col figliuolo con più di IIm buoni cavalieri, sanza Vc che di sua gente avea nella città di Lucca. E per soccorrere il castello di Pavia e ricoverare la terra si partì di Parma a dì X di marzo con MD cavalieri, e fece la punga a Pavia per lo modo che dicemmo adietro nel capitolo della perdita ch’egli fece della città di Pavia. E non potendo fornire suo intendimento cavalcò in sul contado di Milano, e poi in su quello di Bergamo, faccendo grande dammaggio; ma però il capitano di Milano non si volle partire da oste dal castello di Pavia, né afrontarsi a battaglia col re Giovanni, il quale non potendo avere battaglia si tornò a Parma a dì XXVII di marzo.
CCXIII Come il legato mandò a’ Fiorentini che·ssi partissono dalla lega de’ Lombardi.
Nel detto anno, dì primo di febbraio, vennono in Firenze ambasciadori del legato, pregando il nostro Comune che si dovessono partire dalla lega de’ signori di Lombardia, dicendo ch’erano tiranni e suoi nimici e di santa Chiesa, e allegando molte autorità e ragioni, che la nostra città co·lloro non era né convenevole né bella compagnia, e ch’egli erano stati co’ nostri nimici a sconfiggerne. Fu loro risposto che ciò non poteva essere che la lega rimanesse, però ch’ell’era fatta con asentimento di papa Giovanni e del re Ruberto, e contro al Bavero e contro al re Giovanni nostri nimici e di santa Chiesa; e che il legato non facea bene a tenere lega o conversazione col re Giovanni. E per la detta richesta del legato maggiormente si confermò la detta lega per l’avenimento del re Giovanni, con tanta forza di cavalleria quanta menava d’oltramonti, avendo di lui e del legato grande sospetto; e videsi per opera, come per gli seguenti capitoli seguirà. E di certo, se·lla detta lega non fosse fatta e mantenuta, la nostra città portava grande pericolo, però che il legato col re Giovanni aveano ordinato di cominciar guerra da più parti per sottomettere a·lloro la nostra repubblica, ch’a certo la maggiore volontà che·legato avesse era che’ Fiorentini gli si dessono come i Bolognesi, e ciò ch’egli adoperava col re Giovanni era a questo fine: e ciò si trovò veramente per lettere trovate, e per gli loro osordi e trattati; e però non fu follia se’ Fiorentini s’allegarono col minore nimico per contastare al maggiore e più possente.
CCXIV Come l’oste del legato sconfissono i marchesi a Consandoli, e poi puosono l’oste a Ferrara, e Fiorentini vi mandarono soccorso.
Nel detto anno, a dì VI di febbraio, la cavalleria e gente del legato ch’era in Argenta subitamente cavalcarono a Consandoli, ov’era la gente de’ marchesi, e coloro virilmente assalirono e sconfissono, e presono la villa e il porto e tutto il loro navilio; e fu preso Niccolò marchese con XL buoni uomini caporali con grande dammaggio e perdita de’ marchesi. Per la quale sconfitta molto abassò lo stato de’ marchesi, e montò la signoria e potenzia del legato in tale modo, che di presente sanza indugio, per comandamento del legato, la sua cavalleria, in quantità di MD cavalieri e popolo e navilio grandissimo, si puose ad oste sopra la città di Ferrara. E di presente presono il borgo di contro e l’isola di San Giosso, e poi di giorno in giorno crebbe l’oste; e mandòvi il legato tutti i caporali di Romagna, e al continovo erano nella detta oste i due quartieri del popolo di Bologna e tutta la loro cavalleria; e aveano compreso e quasi chiusa la città di Ferrara e di qua e di là da Po, sì che sanza grande pericolo non vi potea entrare né uscire persona. Onde a’ marchesi e a que’ della terra di Ferrara parea male stare, e molto isbigottirono per lo sùbito improviso assedio, che non s’erano forniti e non si credeano avere guerra dal legato, e per la sconfitta ricevuta a San Filice erano molto afieboliti. Ed era per perdersi la terra certamente, se non che mandarono per soccorso a’ signori di Lombardia ch’erano tenuti alla lega, e al Comune di Firenze. Per la qual cosa i Fiorentini vi mandarono IIIIc cavalieri della migliore cavalleria ch’egli avessono, onde feciono capitano messer Francesco degli Strozzi, e Ugo degli Scali colla ’nsegna del Comune di Firenze, il campo bianco e ’l giglio vermiglio, e di sopra l’arme del re Ruberto. E partirono di Firenze a dì II di marzo, e convenne che facessono per necessità, non potendo andare né da Parma, né da Bologna, né per Romagna, la via per mare a Genova con grande fatica e ispendio, e poi da Genova a Milano, e poi a Verona; e là furono ricevuti da que’ signori a grande onore. E la parte de’ cavalieri che toccavano della taglia al re Ruberto, per non andare contro a le ’nsegne della Chiesa e del legato, per grazia rimasono a le frontiere da noi a Lucca.
CCXV Come il re Giovanni venne in Bologna al legato.
Nell’anno MCCCXXXIII, a dì III d’aprile, il re Giovanni venne in Bologna al legato, e pasquò co·llui con grande festa; de la quale venuta in Bologna del re Giovanni molto si turbarono i Bolognesi, e male ne parve loro; ma ciò non poterono riparare contro la volontà del legato, anzi convenne loro pagare per comandamento del legato al detto re Giovanni contro a·loro volere fiorini XVm d’oro. E promise al legato d’andare con sua cavalleria nell’oste di Ferrara, sentendo che la lega venia al soccorso e mandòvi innanzi il conte d’Armignacca con IIIc de’ suoi cavalieri e le sue insegne, e tornò a Parma per ordinare sua mossa. I Fiorentini veggendo scopertamente la lega fatta tra·re Giovanni e il legato, mandarono sagretamente a’ loro cavalieri che non si guardasse per loro reverenza del legato, che l’aveano per loro nimico, dapoi ch’era venuto il re Giovanni a Bologna, e presi gaggi da·llui, e mandata sua gente e sue insegne nell’oste a Ferrara.
CCXVI Come l’oste del legato ch’era all’assedio di Ferrara fu sconfitta.
Essendo l’oste del legato intorno a Ferrara molto ingrossata, e più era per essere giugnendovi il re Giovanni colle sue forze come dovea, quegli della lega di Lombardia dubitando che·lla terra non si perdesse per loro indugio del soccorso, diliberarono di soccorrerla innanzi che vi venisse il re Giovanni; e mandarvi subitamente XVIIc di cavalieri, VIc de’ signori della Scala, Vc cavalieri di que’ di Milano, CC cavalieri del signore di Mantova, e XXV gazzarre armate in Po, e IIIIc cavalieri del Comune di Firenze. E venuta la detta cavalleria in Ferrara quasi sagreta a que’ dell’oste, subitamente presono consiglio d’assalire l’oste; ma quella essendo molto afforzata di fossi e di palizzi, ciascuna masnada rifiutava d’assalire da quella parte, e in ciò ebbe tra·lloro grande contesa. A la fine i capitani che v’erano per gli Fiorentini francamente promisono di fare la ’mpresa coll’avogaro di Trevigi e Spinetta marchese, insieme con uno fioretto di CL cavalieri delle masnade de’ signori della Scala, intra’ quali avea più di XL usciti di Firenze gentili uomini, i quali tutti di grande e buono volere sotto la bandiera del nostro Comune si ridussono, e non lasciando, perché in quella fosse al di sopra il rastrello e l’arme del re Ruberto. E uscirono per la porta che va a Francolino, per assalire l’oste da la parte ov’era più forte di fossi e di steccati. Tutta l’altra gente della terra a cavallo e a piè uscirono per la porta del Leone, a uno cenno di campana, e simile il navilio per Po per assalire il ponte da San Gioso. L’asalto fu forte e sùbito, ma niente aprodava per le barre e tagliate e fosse ch’erano tra la terra e l’oste, se non che la gente de’ Fiorentini cogli altri detti di sopra assalirono al di dietro dell’oste, e per forza di spianatori feciono uno stretto valico al fosso e ruppono alquanto dello steccato; il quale per lo sùbito e improviso assalto da tante parti con grida e suono di campane e di stormenti, e quasi come isbalorditi que’ dell’oste, male fu difeso, sì che con grande affanno quasi uno innanzi altro salirono in su lo spianato del campo, i quali schierati in sul detto campo trovarono ivi presso il conte d’Armignacca, con quasi tutta la cavalleria di Linguadoco e colle insegne del re Giovanni in quantità di VIc cavalieri, i quali francamente i nostri gli asalirono; e ’l conte e sua gente si difesono e sostennono vigorosamente con ritenuta battaglia più di spazio d’una ora, non sappiendo qual parte s’avesse il migliore; e in tutta la detta oste non ebbe altra gente che punto reggesse o combattesse. Alla fine per la nostra buona gente e buoni capitani, i quali ciascuno fece il dì maraviglia in arme, ebbono la vittoria, e que’ dell’oste della schiera del conte furono sconfitti e rotti. E ciò fatto, tutta l’altra oste si mise in volta e in fugga; ma poco valse il fuggire, che per lo fiume del Po, e per le gazzarre e legni armati che v’erano all’asalto, quasi non ne scamparono se non pochi che si misono a nuoto, che tutti furono o presi o morti o annegati in Po; e cadde il ponte di San Gioso per lo carico grande della gente che fuggia, onde molti n’anegarono, e rimasevi preso il conte d’Armignacca, e l’abate di Granselva, e tutti i baroni di Linguadoco, e’ signori di Romagna, e la cavalleria di Bologna, che non furono morti a la battaglia.
La detta dolorosa sconfitta fu a dì XIIII d’aprile MCCCXXXIII, per la quale isconfitta molto abassò la potenzia e signoria del legato, e lo stato de·re Giovanni molto n’afiebolìo. E’ signori di Ferrara e le masnade della lega tutti furono ricchi di pregioni e di preda. Ma pochi dì apresso i marchesi per avere l’amore de’ Bolognesi lasciarono tutti i popolani di Bologna, e poco apresso la cavalleria e’ signori di Romagna, per recarglisi ad amici e torgli al legato.
CCXVII Di fuochi e altre novità state nella città di Firenze.
Nel detto anno MCCCXXXIII s’apprese fuoco in Firenze dì XVIIII d’aprile di notte da la porta dell’alloro da Santa Maria Maggiore, e arsevi una casa. E poi a dì XVII di luglio s’apprese in Parione, e arsene un’altra. E in questo anno si cominciò a fondare la grande porta da San Friano, overo da Verzaia, e fu molto isformata a comparazione dell’altre della città; e furonne assai ripresi gli uficiali che·lla feciono cominciare. E in questo anno, uno mese innanzi la festa di san Giovanni, sì feciono in Firenze due brigate d’artefici, l’una nella via Ghibellina, tutti vestiti a giallo, e furono bene CCC; e nel Corso de’ Tintori dal ponte Rubaconte fu l’altra brigata vestiti a bianco, e furono da Vc. E durò da uno mese continuo giuochi e sollazzi per la città, andando a due a due per la terra con trombe e più stormenti, e colle ghirlande in capo danzando, col loro re molto onorevolemente coronato e con drappo ad oro sopra capo, e alla loro corte faccendo al continuo e cene e desinari con grandi e belle spese. Ma la detta allegrezza poco tempo apresso tornò in pianto e dolore, spezialmente in quelle contrade, per cagione del diluvio che venne in Firenze, e più gravò là che in altra parte della città, come innanzi faremo menzione; e parve segno per contrario della futura aversità, sì come le più volte aviene delle false e fallaci felicità temporali, che dopo la soperchia allegrezza segue soperchio amarore. E ciò è bene da notare per assempro di noi e di chi apresso di noi verrà.
CCXVIII Di certi andamenti del re Giovanni a Bologna a richesta del legato.
Nel detto anno, a dì XV di maggio, dopo la detta sconfitta da Ferrara il legato dubitando di suo stato mandò per lo re Giovanni, il quale venne di Parma a Bologna a parlamentare co·llui con poca compagnia, e tosto si partì con moneta ch’ebbe dal legato. Ma poi a dì VIII di giugno ritornò a Bologna con IIm cavalieri per andare in Romagna, e fare soccorrere il castello di Mercatello in Massa Tribara ch’era assediato dagli Aretini. Della quale venuta i Bolognesi ebbono grande paura e sospetto, che ’l re Giovanni non gli volesse signoreggiare, e rimettervi i Ghibellini. Ma dimorando lui in Bologna, gli Aretini ebbono per patti il detto castello per lo ’ndugio del soccorso del re Giovanni; e dissesi palese che ’l re Giovanni sì come amico degli Aretini, e a·lloro preghiera e per animo di parte ghibellina, indugiò il soccorso. Per la qual cosa il legato s’indegnò co·llui, e partissi da Bologna sanza suo congio a dì XV di giugno, e tornossi in Parma. E poi a dì XVI di luglio il detto re Giovanni venne alla città di Lucca, e fecevi fare a’ Lucchesi una imposta di XVm fiorini d’oro per pagare sua gente; e quella ricolta, a dì XIII d’agosto si partì di Lucca egli e ’l figliuolo, e andonne a Parma.
CCXIX Come furono morti il conte dell’Anguillara e Bertoldo degli Orsini da’ Colonnesi.
Nel detto anno, a dì VI di maggio, essendo stata lungamente briga tra’ Colonnesi e gli Orsini di Roma, essendo il conte dall’Anguillara con Bertoldo di messer... degli Orsini suo cognato, vegnendo per certo trattato d’accordo per accozzarsi con messer Stefano della Colonna e con gli altri, Stefanuccio di Sciarra della Colonna con sua compagnia di gente d’arme a cavallo mise uno aguato fuori del castello di Cesaro, e improviso assalirono i detti Bertoldo Orsini e il detto conte, i quali di ciò non si guardavano ed erano meno gente di loro. Veggendosi assalire si difesono vigorosamente, ma per lo soperchio furono rotti, e’ detti Bertoldo e il conte morti, il quale Bertoldo era il più ridottato uomo di Roma e il più valentre; e di lui fu grande danno, e molto ne furono ripresi i Colonnesi, sì per lo tradimento, e ancora perché per quante guerre erano state tra gli Orsini e’ Colonnesi insieme, mai in loro persone non s’erano né morti né fediti, e questo fu cominciamento di molto male; e però n’avemo fatta menzione.
CCXX Come i Saracini presono il forte castello di Giubeltaro in Ispagna.
Nel detto anno, del mese di giugno, i Saracini di Morrocco e quegli di Granata, sentendo che ’l forte castello di Giubeltaro in Ispagna, che anticamente fu loro, era male fornito di vittuaglia e per la carestia ch’era al paese, e per certo trattato subitamente con grande navilio e esercito di gente a cavallo e a piè vi vennono per mare e per terra, e quello in pochi giorni per tradimento del castellano ebbono a patti per molti danari gli diedono; tutto fosse mal fornito, si potea tenere tanto che fosse soccorso. Come il re di Spagna il seppe, incontanente v’andò a oste con tutto suo podere, e avrebbelo riavuto assai tosto, perché ancora non era bene fornito per lo sùbito soccorso del re di Spagna, se non che, come piacque a Dio, per fortuna di mare il navilio del re di Spagna partito di Sibilia col foraggio e fornimento dell’oste soprastette più giorni, onde l’oste de’ Cristiani ebbe grande soffratta di vittuaglia, e per necessità gli convenne partire; e se i Saracini di Granata l’avessono saputo, non ne campava uomo, che non fosse morto o preso. E partita la detta oste, III dì appresso vi giunse il detto navilio col fornimento, ma il soccorso fu invano. E così aviene sovente de’ casi della guerra, come dispone Idio per le peccata.
CCXXI Come il re Adoardo il giovane sconfisse gli Scotti a Vervicche.
Nel detto anno, a dì XVIIII di luglio, essendo il re Adoardo il giovane d’Inghilterra con grande oste d’Inghilesi e d’altra gente sopra la città, overo terra, di Vervicche, ch’è a’ confini tra l’Inghilterra e la Scozia, gli Scotti per soccorrere la terra vi vennono col loro re, ch’avea nome Davit, figliuolo che fu del valente Ruberto di Brus re di Scozia, onde adietro è fatta menzione, e con tutto loro isforzo degli Scotti, i quali sanza indugio s’affrontarono a battaglia con gl’Inghilesi. E per la buona cavalleria ch’avea il re d’Inghilterra, e di Fiandra e di Brabante e d’Analdo, onde fu capitano messer Amerigo di Bielmonte, mise gli Scotti in isconfitta; e rimasonvi tra morti e presi più di XXVm uomini, ch’erano quasi tutti a piè. E avuta il re d’Inghilterra la detta vittoria, pochi dì apresso gli s’arendé la terra di Vervicche liberamente. La detta guerra ricominciò in questo modo, come facemmo menzione, al tempo del buono Adoardo il vecchio, avolo di questo giovane Adoardo: grandi guerre e battaglia furono intra·llui e ’l re Ruberto di Brus, onde poi fu pace; e morto il re Ruberto di Brus rimase suo figliuolo il detto Davit piccolo fanciullo; e lui cresciuto in età, il detto Adoardo il giovane gli diede per moglie la serocchia, e coronollo del reame di Scozia faccendolo ugnere re, che mai più niuno in Iscozia fu unto e sagrato, riconoscendo da·llui il reame con certo omaggio. Il detto Davit per suduzione di Filippo di Valos re di Francia si rubellò dal re d’Inghilterra, e colla moglie passò in Francia; per la qual cosa si rinovellò l’antica guerra tra gl’Inghilesi e gli Scotti; onde il re d’Inghilterra cassò il detto Davit de·reame di Scozia, e fecelo suo ribello, ed elesse e coronò per re di Scozia Ruberto di Bagliuolo consorto per nazione di Ruberto di Brus, e imprese la detta guerra, onde nacque la detta sconfitta. E tutto che ’l re d’Inghilterra avesse la vittoria nella detta guerra, morirono il conte d’Eriforte e due altri suoi cugini e più altri grandi baroni d’Inghilterra. Avemo steso la detta ricominciata guerra, perché ne surse e nacque poi la grande guerra tra ’l re di Francia e d’Inghilterra, come innanzi farà menzione.
CCXXII Come il Dalfino di Vienna fu morto dalla gente del conte di Savoia.
Nel detto anno, all’uscita del mese di luglio, essendo il Dalfino di Vienna ad assedio dell’Amperiera, castello del conte di Savoia, con MVc cavalieri tra di sua gente e d’amici, volendo il detto Dalfino fare dare battaglia al detto castello, e andando in persona disarmato proveggendo intorno a quello, gli venne uno quadrello di balestro grosso per tale modo che, lui recato al padiglione e sferrato, passò di questa vita. E però è follia a’ prencipi di mettersi a sì fatte cerche disarmati, che mettono a pericolo loro e tutta loro oste. Ma per la morte del Dalfino i suoi baroni e cavalieri non abandonarono l’assedio, ma come franchi e valenti, tanto vi stettono ch’ebbono il castelletto per forza, e quanti dentro vi trovarono tutti gli manganarono fuori delle mura; e poi corsono il paese e terre di Savoia sanza contasto niuno. Apresso lui fu fatto Dalfino messer Uberto suo fratello, il quale era a Napoli col re Ruberto suo zio, il quale venuto in suo paese per consiglio di papa Giovanni e del re Ruberto, per cagione che ’l re di Francia domandava al papa di volere il reame di Vienna e d’Arli, sì si pacificò col conte di Savoia, perché il re di Francia non gli signoreggiasse.
CCXXIII Come il re d’Ungheria venne a Napoli, e il figliuolo isposò la figlia del duca di Calavra.
Nel detto anno, l’ultimo dì di luglio, Carlo Umberto re d’Ungheria con Andreas suo secondo figliuolo con molta baronia arrivaro alla terra di Bestia in Puglia, e loro venuti a Manfredonia, da messer Gianni duca di Durazzo e fratello del re Ruberto con molta baronia furono ricevuti a grande onore, e conviati infino a Napoli; e là vegnendo, il re Ruberto gli si fece incontro infino a’ prati di Nola, basciandosi in bocca con grandi acoglienze, e ordinovisi e fecesi fare per lo re una chiesa a onore di nostra Donna per perpetua memoria di loro congiunzione. E poi giunti in Napoli, si cominciò la festa grande, e fu molto onorato il re d’Ungheria dal re Ruberto, il quale era suo nipote, figliuolo che fu di Carlo Martello primogenito del re Carlo secondo, il quale per molti si dicea ch’a·llui succedea il reame di Cicilla e di Puglia; e per questa cagione parendone al re Ruberto avere coscienza, e ancora perch’era morto il duca di Calavra figliuolo del re Ruberto; e nonn-era rimaso di lui altro che due figliuole femmine, né·re Ruberto non avea altro figliuolo maschio, innanzi che ’l reame tornasse ad altro lignaggio sì volle il re Ruberto che dopo lui succedesse il reame al figliuolo del detto re d’Ungheria suo nipote. E per dispensagione e volontà di papa Giovanni e di suoi cardinali sì fece sposare al detto Andreas, ch’era d’età di VII anni, la figliuola maggiore che fu del duca di Calavra, ch’era d’età di V anni, e lui fece duca di Calavra a dì XXVI di settembre del detto anno con grande festa, a la quale il Comune di Firenze mandò VIII ambasciadori de’ maggiori cavalieri e popolani di Firenze, con L famigliari tutti vestiti d’una assisa per fare onore a’ detti re, i quali molto gradiro. E compiuta la detta festa, poco apresso si partì il re d’Ungheria e tornò in suo paese, e lasciò a Napoli il figliuolo co la moglie alla guardia del re Ruberto con ricca compagnia.
CCXXIV Come fu fatta pace tra’ Pisani e’ Sanesi.
Nel detto anno, a dì II di settembre, essendo stato lungo trattato d’accordo da’ Pisani a’ Sanesi della guerra avuta insieme per cagione della città di Massa, menato per lo Comune e vescovo di Firenze, i quali in ciò molto s’adoperaro, vi si diè compimento nella città di Firenze, ov’era grande ambasceria dell’uno Comune e dell’altro in questo modo: che Massa rimanesse libera rimettendo dentro ogni parte che n’era fuori, e non v’avessono affare né Pisani né Sanesi, ma che il detto vescovo di Firenze vi mettesse la signoria per tre anni a sua volontà, il quale al continuo vi mettea signoria di Firenze; di questa pace furono mallevadori per l’uno Comune e per l’altro il Comune di Firenze, con pena di diecimila marchi d’argento a pagare per la parte che·lla pace rompesse a l’altra. La quale pace poco tempo s’attenne per gli Sanesi, come innanzi farà menzione.
CCXXV Come la città di Forlì e quella d’Arimino e di Cesena in Romagna si rubellarono al legato.
Nel detto anno MCCCXXXIII, domenica a dì XVIIII di settembre, Francesco di Sinibaldo Ordilaffi, il quale era cacciato di Forlì per lo legato, entrò in Forlì nascosamente in uno carro di fieno; e come fu nella città mandò per tutti i suoi amici, caporali della terra, da’ quali molto era amato per li suoi antichi; e saputa la sua venuta, furono molto allegri, perché parea loro male stare alla signoria de’ Caorsini e di Linguadoco. E incontanente feciono armare tutto il popolo, e corsono a la piazza gridando: «Viva Francesco, e muoia il legato, e chi è di Linguadoco!», e corsono la terra, e rubarono gli uficiali del legato, e alquanti ne furono morti, e gli altri che scamparono si fuggirono a Faenza. E poi il mercoledì apresso, a dì XXII di settembre, messer Malatesta d’Arimino con suoi seguaci entrò in Rimino con CC cavalieri e pedoni assai per una porta che gli fu data da que’ della terra, e corse la terra, e uccisono e rubarono e presono quanta gente v’avea dentro del legato, ch’erano più di cinquecento tra a cavallo e a piè, che non ne poté fuggire alcuno. E simile in que’ dì si rubellò la città di Cesena per gli cittadini medesimi, salvo il castello ch’era molto forte; in quello si ridussono le masnade del legato, ma quello assediato d’entro e di fuori per que’ di Cesena e per gli altri Romagnuoli, afossandolo e steccandolo d’intorno, il quale non avendo soccorso dal legato, s’arrenderono poi all’entrante di gennaio, salve le persone. E nota che non fu sanza cagione la detta rubellazione; intra·ll’altre maggiori fu perché tutti i signori e caporali di Romagna furono presi alla sconfitta di Ferrara in servigio della Chiesa e del legato, e convennonsi ricomperare, e per loro redenzione il legato come ingrato signore non li volle sovenire di niente, né solamente prestare loro di sua moneta.
CCXXVI Come i figliuoli che furono di Castruccio vollono torre Lucca al re Giovanni e come egli si partì d’Italia, e lasciò Lucca a’ Rossi di Parma.
Nel detto anno avendo il re Giovanni di Buem intendimento di partirsi d’Italia, veggendo che·lle sue imprese non gli riuscivano prospere come s’avisava, essendo in Parma cercò per più trattati di vendere la città di Lucca, e co’ Fiorentini e co’ Pisani e con altri. Ma alla fine parendogli vergogna di ciò fare, non vi diede compimento. Sentendo questo i figliuoli che furono di Castruccio, dubitando di non perdere loro stato, i quali il re Giovanni tenea seco istadichi in Parma per sospetto di loro, nascosamente si partirono di Parma e vennono in Carfagnana, e co·lloro seguaci di Lucca e di fuori ordinarono di torre e rubellare la città di Lucca al re Giovanni. E a dì XXV di settembre del detto anno la notte entrarono in Lucca con grande séguito di gente a·ccavallo e a·ppiè, e corsono la terra, e furonne signori quello dì e·ll’altro seguente, salvo del castello dell’Agosta, nel quale si ridussono le masnade del re Giovanni ch’erano in Lucca. Sentendo il re Giovanni la partita de’ figliuoli di Castruccio e·lla detta cospirazione, subitamente si partì di Parma con parte di sua gente, e in meno di due dì fu venuto a·lLucca; cioè fu lunedì sera a dì XXVII di settembre; e per lo sùbito avenimento di lui, ch’a pena si potea credere per gli Lucchesi se non quando il vidono, e giunto in Lucca, la sua gente corsono la terra; e·lla notte medesima i figliuoli di Castruccio e·lloro seguaci si partirono di Lucca e andarne in Carfagnana; i quali il re Giovanni fece isbandire come traditori. E alquanti giorni apresso dimorò in Lucca; ma innanzi si partisse trasse da’ Lucchesi quanta moneta poté avere, e·ppoi lasciò a’ Rossi di Parma la guardia e·lla signoria della città di Lucca, e impegnolla loro per XXXVm di fiorini d’oro ch’ebbe da·lloro contanti, e tornato in Parma, incontanente si partì col figliuolo e con certi caporali di sua gente a dì XV d’ottobre del detto anno, e andossene nella Magna lasciando Parma e·lLucca alla signoria de’ Rossi, e Reggio alla signoria di quegli da Fogliano, e Modona alla signoria di que’ di casa i Pigli, e da ciascuno ebbe moneta assai. Tale e così onorevole fu la partita di Lombardia e di Toscana del re Giovanni, ch’al cominciamento ch’egli venne in Italia ebbe dalla fallace fortuna tanta prosperità con poca fatica, avendo ferma speranza d’essere in poco di tempo al tutto re e·ssignore d’Italia coll’aiuto della Chiesa e del suo legato, e col favore del re di Francia, la quale al tutto gli tornò in vano.
CCXXVII D’una grande quistione che mosse papa Giovanni che l’anime beate non poteano vedere Iddio perfettamente infino al dì del giudicio.
Nel detto anno MCCCXXXIII si piuvicò per papa Giovanni apo Vignone, con tutto che più di due anni dinanzi l’avesse conceputo e trovato, l’opinione della visione dell’anime quando sono passate di questa vita, cioè ch’egli sermonò in piuvico concestoro per più volte dinanzi a tutti suoi cardinali e prelati di corte che niuno santo, eziandio santa Maria, non può perfettamente vedere la beata speme, cioè Iddio in trinitade, la qual’è la vera deitade, ma dicea che·ssolo possono vedere l’umanità di Cristo la quale prese della vergine Maria; e·lla detta visione imperfetta dicie che durerebbe infino al chiamare dell’angelica tromba, ciò fia quando il figliuolo di Dio verrà a giudicare i vivi e’ morti, dicendo a’ beati: «Venite benedicti patris mei, percipite regnum, etc.»; e de converso, cioè a’ dannati: «Ite maladetti in ignem etternum»; d’allora inanzi per gli beati perfettamente sarà in loro la visione chiara della vera e infinita deità; e così sarà il contradio delle pene de’ dannati, che sì come per lo merito del bene fare infino al detto giorno la loro beatitudine fia imperfetta e non compiuta, così dicie e s’intendea del male avere fatto la pulizione e·lla pena e ’l supplicio essere imperfetti. Onde nota che non mostrava per lo suo oppinione che inferno sia infino al dire della parola «Ite maladitti etc.». Questo suo oppenione provava e argumentava per molte autorità e detti di santi; la quale quistione dispiaceva alla maggiore parte de’ cardinali; nondimeno e’ comandò loro e a tutti i maestri e prelati di corte sotto pena di scomunicazione che ciascuno studiasse sopra la detta quistione della visione de’ santi, e facessene a·llui relazione, secondo che ciascuno sentisse o del pro o del contro, tuttora protestando che infino allora nonn-avea diterminato ad alcuna delle parti, ma ciò che-nne dicea e proponea era per via di disputazione e d’esercizio di trovare il vero. Ma con tutte le sue protestagioni di certo si dicea e vedea per opera ch’egli sentiva e credeva al detto oppinione; però che qualunque maestro o prelato gli recava alcuna autorità o detto di santi che in alcuna parte favorasse il detto suo oppinione, il vedea volentieri, e gli faceva grazia d’alcuno benificio. Il quale oppinione sermonandolo a Parigi il ministro generale de’ frati minori, il quale era del paese del papa e sua criatura, fu riprovato per tutti i maestri di divinità di Parigi, e per gli frati predicatori e romitani e carmelliti, e per lo re Filippo di Francia il detto ministro fu forte ripreso dicendogli ch’egli era eretico, e che s’egli non si riconoscesse del detto errore, il farebbe morire come paterino, però che suo reame non sostenea nulla resia; ed eziandio se ’l papa medesimo ch’avea mosso il detto falso oppinione il volesse sostenere, il riproverebbe per eretico, dicendo laicamente, come fedele Cristiano, che invano si pregherebbono i santi, o avrebbesi speranza di salute per gli loro meriti, se nostra Donna santa Maria e santo Giovanni e santo Piero e Paolo e gli altri santi non potessono vedere la deità infino al dì del giudicio, e avere perfetta beatitudine in vita etterna; e che per quella oppinione ogni indulgenza e perdonanza data per antico per santa Chiesa, o che si desse, era vana; la qual cosa sarebbe grande errore e guastamento della fede cattolica. E convenne che innanzi si partisse il detto ministro sermonasse il contradio, dicendo che ciò ch’avea detto era in quistionando, ma la sua credenza era quella che santa Chiesa era consueta di credere e predicare. E sopra ciò il re di Francia e lo re Ruberto ne scrissono a papa Giovanni riprendendolo cortesemente, che con tutto che ’l detto oppinione sostenesse in quistionando per trovare il vero, non si convenia a papa di muovere le quistioni sospette contra la fede cattolica, ma chi le movesse dicidere e istirpare. Della qual cosa molto furono contenti la maggiore parte de’ cardinali, i quali ripugnavano il detto oppinione. E per questa cagione il re di Francia prese grande audacia sopra papa Giovanni e no·llo richiedea di quella grazia o cosa ch’egli domandasse, ch’egli osasse disdire. E fu grande cagione perché papa Giovanni condiscese al re di Francia in dargli intendimento della signoria d’Italia e dello imperio di Roma per gli trattati mossi per lo re Giovanni, come in alcuna parte avemo fatta menzione, e faremo per lo ’nanzi. Il sopradetto oppinione si quistionò in corte mentre che papa Giovanni vivette, e poi per più d’uno anno; alla fine si dichiarò e fu riprovato, come innanzi leggendo si potrà trovare. Lasceremo della detta quistione, ch’assai n’avemo detto, e torneremo a nostra materia de’ fatti della nostra città di Firenze per contare d’una grande aversità e pericolo di diluvio d’acqua che venne in quegli tempi in quella, la quale è bene da farne distesa memoria, che fu delle maggiori novità e pericolo che mai ricevesse la città di Firenze dapoi ch’ella fu rifatta. E però cominceremo in raccontando quello diluvio il XII libro, però che ne pare che si convenga, però che fu quasi uno rimutamento di secolo della nostra città.