Nuova Cronica/Libro nono

Libro nono

../Libro ottavo ../Libro decimo IncludiIntestazione 30 luglio 2010 75% storia

Libro ottavo Libro decimo

I Qui comincia il VIIII libro: conta come nella città di Firenze fu fatto il secondo popolo, e più grandi mutazioni che per cagione di quello furono poi in Firenze, seguendo dell’altre novitadi universali che furono in que’ tempi.

Negli anni di Cristo MCCLXXXXII, in calen di febbraio, essendo la città di Firenze in grande e possente stato e felice in tutte cose, e’ cittadini di quella grassi e ricchi, e per soperchio tranquillo, il quale naturalmente genera superbia e novità, sì erano i cittadini tra·lloro invidiosi e insuperbiti, e molti micidii e fedite e oltraggi facea l’uno cittadino all’altro, e massimamente i nobili detti grandi e possenti, contra i popolani e impotenti, così in contado come in città faceano forze e violenze nelle persone e ne’ beni altrui, occupando. Per la qual cosa certi buoni uomini mercatanti e artefici di Firenze che voleano bene vivere si pensarono di mettere rimedio e riparo alla detta pestilenzia; e di ciò fu de’ caporali intra gli altri uno valente uomo, antico e nobile popolano, e ricco e possente, ch’avea nome Giano della Bella, del popolo di Sa·Martino, con séguito e consiglio d’altri savi e possenti popolani. E faccendosi in Firenze ordine d’arbitrato in correggere gli statuti e le nostre leggi, sì come per gli nostri ordini consueto era di fare per antico, sì ordinarono certe leggi e statuti molto forti e gravi contro a’ grandi e possenti che facessono forze o violenze contro a’ popolari, radoppiando le pene comuni diversamente, e che fosse tenuto l’uno consorto de’ grandi per l’altro, e si potessono provare i malificii per due testimoni di pubblica voce e fama, e che·ssi ritrovassono le ragioni del Comune: e quelle leggi chiamarono gli ordinamenti della giustizia. E acciò che fossono conservati e messi ad esecuzione, sì ordinarono che oltre al novero de’ VI priori i quali governavano la città fosse uno gonfaloniere di giustizia di sesto in sesto, mutando di II in II mesi, come si fanno i priori, e sonando le campane a martello, e congregandosi il popolo a dare il gonfalone della giustizia nella chiesa di San Piero Scheraggio, che prima non s’usava. E ordinarono che niuno de’ priori potesse essere di casa de’ nobili detti grandi, che ’mprima ve n’avea sovente de’ buoni uomini mercatanti, tutto fossono de’ potenti. E la ’nsegna del detto popolo e gonfalone fu ordinato il campo bianco e la croce vermiglia. E furono eletti M cittadini partiti per sesti con certi banderai per contrade, con L pedoni per bandiera, i quali dovessono essere armati, e ciascuno con soprasberga e scudo della ’nsegna della croce, e trarre ad ogni romore e richesta del gonfaloniere a casa, o a palazzo, de’ priori, e per fare esecuzione contro a’ grandi; e poi crebbe il numero de’ pedoni eletti in MM, e poi in IIIIm. E simile ordine di gente d’arme per lo popolo e colla detta insegna s’ordinò in contado e distretto di Firenze, che·ssi chiamavano le leghe del popolo. E ’l primo de’ detti gonfalonieri fu uno Baldo de’ Ruffoli di porte del Duomo; e al suo tempo uscì fuori gonfalone con arme a disfare i beni d’uno casato detti Galli di porte Sante Marie, per uno micidio che uno di loro avea fatto nel reame di Francia nella persona d’uno popolano. Questa novità di popolo e mutazione di stato fu molto grande alla città di Firenze, e ebbe poi molte e diverse sequele in male e in bene del nostro Comune, come innanzi per gli tempi faremo menzione. E questa novità e cominciamento del popolo non sarebbe venuta fatta a’ popolani per la potenzia de’ grandi, se non fosse che in que’ tempi i grandi di Firenze non furono tra·lloro in tante brighe e discordie, poi che’ Guelfi tornarono in Firenze, com’erano allora ch’egli avea grande guerra tra gli Adimari e’ Tosinghi, e tra i Rossi e’ Tornaquinci, e tra i Bardi e’ Mozzi, e tra i Gherardini e’ Manieri, e tra i Cavalcanti e’ Bondelmonti, e tra certi de’ Bondelmonti e’ Giandonati, e tra’ Visdomini e’ Falconieri, e tra i Bostichi e’ Foraboschi, e tra’ Foraboschi e’ Malispini, e tra’ Frescobaldi insieme, e tra la casa de’ Donati insieme, e più altri casati.

II Come il popolo di Firenze feciono pace co’ Pisani, e molte altre notabili cose.

L’anno seguente MCCLXXXXIII quegli che reggeano il popolo di Firenze per fortificare loro stato di popolo e affiebolire il podere de’ grandi e de’ possenti, i quali molte volte acrescono e vivono delle guerre, richesti da’ Pisani di pace, i quali per le guerre erano molto affieboliti e abbassati, il popolo di Firenze non guardando a·cciò, alla detta pace assentirono, mandandone i Pisani il conte Guido da Montefeltro loro capitano, e disfaccendo il castello del Ponte ad Era, e avendo i Fiorentini libera franchigia in Pisa sanza pagare niente di loro mercatantie. E alla detta pace furono i Lucchesi, e’ Sanesi, e tutte le terre della lega di parte guelfa di Toscana. E nota che infino a questo tempo, e più addietro, era tanto il tranquillo stato di Firenze, che di notte non si serravano porte alla città, né avea gabelle in Firenze; e per bisogno di moneta, per non fare libbra, si venderono le mura vecchie, e’ terreni d’entro e di fuori a chi v’era acostato. E per l’ordine del popolo molte giuridizioni si raquistarono per lo Comune, che Poggibonizzi si recò tutto all’obedienza del Comune, ch’avea giuridizione per sé, e Certaldo, e Gambassi, e Catignano; e tolsesi a’ Conti la giuridizione di Viesca e del Terraio, e Ganghereta, e Moncione, e Barbischio, e ’l castello di Lori, e casa Guicciardi; e in Mugello molte possesioni le quali aveano occupate i Conti, e gli Ubaldini, e altri gentili uomini; e raquistossi lo spedale di San Sebbio, ch’era del Comune, occupato per grandi uomini. E sopra queste cose fu caporale uno valente e leale popolano d’Oltrarno chiamato Caruccio del Verre. Sì che nel cominciamento del popolo si fece molto di bene comune, e a ciascuno a cui fosse per addietro occupata possesione per gli potenti, di fatto fu renduta. In questo tempo che ’l popolo di Firenze era fiero e in caldo e signoria, essendo fatto in Firenze uno eccesso e malificio, e quello cotale che ’l fece si fuggì e stava nella terra di Prato, per lo Comune di Firenze fu mandato a quello Comune che rimandasse lo sbandito. Eglino per mantenere loro libertà nol vollono fare; per la quale cosa il Comune di Prato fu condannato per lo Comune di Firenze in libbre Xm, e rendessono il malifattore, mandandovi uno messo solamente con una lettera. I Pratesi disubbidienti, si bandì l’oste per guastare Prato; e già mossa la camera dell’arme del Comune, e le masnade a cavallo e a piè, i Pratesi recarono i danari, e menarono il malfattore, e pagarono la condannagione; e così di fatto facea le cose l’acceso popolo di Firenze.

III D’uno grande fuoco che fu in Firenze nella contrada di Torcicoda.

Nel detto anno del MCCLXXXXIII s’apprese uno grande fuoco in Firenze nella contrada detta Torcicoda, tra San Piero Maggiore e San Simone, e arsonvi più di XXX case con grande dammaggio, ma non vi morì persona. E nel detto tempo si feciono intorno a San Giovanni i pilastri de’ gheroni di marmi bianchi e neri per l’arte di Calimala, che prima erano di macigni, e levarsi tutti i monumenti e sepolture e arche di marmo ch’erano intorno a San Giovanni per più bellezza della chiesa.

IV Come si cominciò la guerra intra il re di Francia e quello d’Inghilterra.

Nel detto anno MCCLXXXXIII, avendo avuta battaglia e ruberia in mare tra’ Guasconi ch’erano uomini del re d’Inghilterra e’ Normandi che sono sotto il re di Francia, della quale i Normandi ebbono il peggiore, e vegnendosi a dolere della ingiuria e dammaggio ricevuto da’ Guasconi al loro re di Francia, lo re fece richiedere il re Adoardo d’Inghilterra, il quale per risorto tenea la Guascogna dovendone fare omaggio al re di Francia, che dovesse fare fare l’amenda alle sue genti, e venire personalmente a·ffare omaggio della detta Guascogna al re di Francia, e se ciò non facesse a certo termine a·llui dato, il re di Francia col suo consiglio de’ XII peri il privava del ducato di Guascogna. Per la qual cosa il re Adoardo, il quale era di grande cuore e prodezza, e per suo senno e valore fatte di grandi cose oltremare e di qua, isdegnò di non volere fare personalmente il detto omaggio, ma mandò in Francia messer Amondo suo fratello, che facesse per lui, e soddisfacesse il dammaggio ricevuto per la gente del re di Francia. Ma per l’orgoglio e covidigia de’ Franceschi, il re Filippo di Francia nol volle accettare, per avere cagione di torre al re d’Inghilterra la Guascogna lungamente conceputa e disiderata. Per la qual cosa si cominciò aspra e dura guerra tra’ Franceschi e gl’Inghilesi in terra e in mare, onde molta gente morirono, e furono presi e diserti dall’una parte e dall’altra, come innanzi per gli tempi faremo menzione. E ’l seguente anno il re Filippo di Francia mandò in Guascogna messere Carlo di Valos suo fratello con grande cavalleria, e prese Bordello e molte terre e castella sopra il re d’Inghilterra, e in mare mise grande navilio in corso sopra gl’Inghilesi.

V Come fu eletto e fatto papa Cilestino quinto, e come rifiutò il papato.

Negli anni di Cristo MCCLXXXXIIII, del mese di luglio, essendo stata vacata la Chiesa di Roma dopo la morte di papa Niccola d’Ascoli più di due anni, per discordia de’ cardinali ch’erano partiti, e ciascuna setta volea papa uno di loro, essendo i cardinali in Perugia, e costretti aspramente da’ Perugini perché eleggessono papa, come piacque a·dDio, furono in concordia di non chiamare niuno di loro collegio, e elessono uno santo uomo ch’avea nome frate Piero dal Morrone d’Abruzzi. Questi era romito e d’aspra vita e penitenzia, e per lasciare la vanità de·mondo, ordinati più santi monisterii di suo ordine, sì se n’andò a·ffare penitenzia nella montagna del Morrone, la quale è sopra Sermona. Questi eletto e fatto venire e coronato papa, per riformare la Chiesa fece di settembre vegnente XII cardinali, grande parte oltramontani, a·ppetizione e per consiglio del re Carlo re di Cicilia e di Puglia; e ciò fatto, n’andò colla corte a Napoli, il quale dal re Carlo fu ricevuto graziosamente e con grande onore; ma perch’egli era semplice e non litterato, e delle pompe del mondo non si travagliava volentieri, i cardinali il pregiavano poco, e parea loro che a utile e stato della Chiesa avere fatta mala elezione. Il detto santo padre aveggendosi di ciò, e non sentendosi sofficiente al governamento della Chiesa, come quegli che più amava di servire a·dDio e l’utile di sua anima che l’onore mondano, cercava ogni via come potesse rinunziare il papato. Intra gli altri cardinali della corte era uno messer Benedetto Guatani d’Alagna molto savio di scrittura, e delle cose del mondo molto pratico e sagace, il quale aveva grande volontà di pervenire alla dignità papale, e quello con ordine avea cercato e procacciato col re Carlo e co’ cardinali, e già da·lloro la promessa, la quale poi gli venne fatta. Questi si mise dinanzi al santo padre, sentendo ch’egli avea voglia di rinunziare il papato, ch’egli facesse una nuova decretale, che per utilità della sua anima ciascuno papa potesse il papato rinunziare, mostrandoli assemplo di santo Clemente, che quando santo Pietro venne a morte lasciò ch’apresso a·llui fosse papa; e quegli per utile di sua anima non volle essere, e fu in luogo di lui in prima santo Lino, e poi santo Cleto papa; e così come il consigliò il detto cardinale, fece papa Cilestino il detto decreto; e ciò fatto, il dì di santa Lucia di dicembre vegnente, fatto concestoro di tutti i cardinali, in loro presenza si trasse la corona e il manto papale, e rinunziò il papato, e partissi della corte, e tornossi ad essere eremita, e a·ffare sua penitenzia. E così regnò nel papato V mesi e VIIII dì papa Cilestino. Ma poi il suo successore messer Benedetto Guatani detto di sopra, il quale fu poi papa Bonifazio, si dice, e fu vero, il fece prendere a la montagna di Santo Angiolo in Puglia di sopra a Bestia, ove s’era ridotto a·ffare penitenzia, e chi dice ne voleva ire in Ischiavonia, e privatamente nella rocca di Fummone in Campagna il fece tenere in cortese pregione, acciò che·llui vivendo non si potesse apporre alla sua lezione, però che molti Cristiani teneano Cilestino per diritto e vero papa, nonostante la sua rinunziazione, opponendo che sì fatta dignità come il papato per niuno decreto non si potea rinunziare, e perché santo Clemente rifiutasse la prima volta il papato, i fedeli il pur teneano per padre, e convenne poi che pur fosse papa dopo santo Cleto. Ma ritenuto preso Cilestino, come avemo detto, in Fummone, nel detto luogo poco vivette; e quivi morto, fu soppellito in una piccola chiesa di fuori di Fummone dell’ordine di suoi frati poveramente, e messo sotterra più di X braccia, acciò che ’l suo corpo non si ritrovasse. Ma alla sua vita, e dopo la sua morte, fece Iddio molti miracoli per lui, onde molta gente aveano in lui grande devozione; e poi a·ccerto tempo appresso dalla Chiesa di Roma e da papa Giovanni XXII fu canonizzato, e chiamato santo Piero di Morrone, come innanzi al detto tempo fareno menzione.

VI Come fu eletto e fatto papa Bonifazio ottavo.

Nel detto anno MCCLXXXXIIII messer Benedetto Guatani cardinale, avendo per suo senno e segacità adoperato che papa Celestino avea rifiutato il papato, come adietro nel passato capitolo avemo fatta menzione, seguì la sua impresa, e tanto adoperò co’ cardinali e col procaccio del re Carlo, il quale avea l’amistà di molti cardinali, spezialmente di XII nuovi eletti per Celestino, e istando in questa cerca, una sera di notte isconosciuto con poca compagnia andòe al re Carlo, e dissegli: «Re, il tuo papa Celestino t’ha voluto e potuto servire nella tua guerra di Cicilia, ma nonn-ha saputo; ma se tu adoperi co’ tuoi amici cardinali ch’io sia eletto papa, io saprò, e vorrò, e potrò»; promettendogli per sua fede e saramento di mettervi tutto il podere della Chiesa. Allora lo re fidandosi in lui, gli promise e ordinò co’ suoi XII cardinali che gli dessero le loro boci. E essendo alla lezione messer Matteo Rosso e messer Iacopo della Colonna, ch’erano capo delle sette de’ cardinali, s’accorsono di ciò, incontanente gli diedono le loro, ma prima messer Matteo Rosso Orsini; e per questo modo fu eletto papa nella città di Napoli la vilia della Natività di Cristo del detto anno; e incontanente che fue eletto si volle partire di Napoli colla corte, e venne a Roma, e là si fece coronare con grande solennità e onore in mezzo gennaio. E ciò fatto, la prima provisione che fece, sentendo che grande guerra era cominciata tra ’l re Filippo di Francia e·re Adoardo d’Inghilterra per la quistione di Guascogna, sì mandò oltre i monti due legati cardinali, perché gli pacificassono insieme; ma poco v’adoperarono, che’ detti signori rimasono in maggiore guerra che di prima. Questo papa Bonifazio fue della città d’Alagna, assai gentile uomo di sua terra, figliuolo di messer Lifredi Guatani, e di sua nazione Ghibellino; e mentre fu cardinale, protettore di loro, spezialmente de’ Todini; ma poi che fu fatto papa molto si fece Guelfo, e molto fece per lo re Carlo nella guerra di Cicilia, con tutto che per molti savi si disse ch’egli fu partitore della parte guelfa, sotto l’ombra di mostrarsi molto Guelfo, come innanzi ne’ suoi processi manifestamente si potrà comprendere per chi fia buono intenditore. Molto fu magnanimo e signorile, e volle molto onore, e seppe bene mantenere e avanzare le ragioni della Chiesa, e per lo suo savere e podere molto fu ridottato e temuto; pecunioso fu molto per agrandire la Chiesa e’ suoi parenti, non faccendo coscienza di guadagno, che tutto dicea gli era licito quello ch’era della Chiesa. E come fu fatto papa anullò tutte le grazie de’ vacanti fatte per papa Celestino, chi non avesse la possesione; fece fare il nipote al re Carlo conte di Caserta, e due figliuoli del detto suo nipote, l’uno conte di Fondi e l’altro conte di Palazzo. Comperò il castello delle Milizie di Roma, che fu il palazzo d’Attaviano imperadore, e quello crescere e reedificare con grande spendio, e più altre forti e belle castella in Campagna e in Maremma. E sempre la sua stanza fue il verno in Roma, e la state a la prima in Rieti e Orbivieto, ma poi il più in Alagna per agrandire la sua cittade. Lasceremo alquanto di dire del detto papa, seguendo di tempo in tempo delle novità dell’altre parti del mondo, e massimamente di quelle di Firenze, onde molto ne cresce materia.

VII Quando si cominciò a fondare la nuova chiesa di Santa Croce di Firenze.

Negli anni di Cristo MCCLXXXXIIII, il dì di santa Croce di maggio, si fondò la grande chiesa nuova de’ frati minori di Firenze detta Santa Croce, e a la consegrazione della prima pietra che si mise ne’ fondamenti, vi furono molti vescovi e parlati e cherici e religiosi, e la podestà, e ’l capitano, e’ priori, e tutta la buona gente di Firenze, uomini e donne, con grande festa e solennitade. E cominciarsi i fondamenti prima da la parte di dietro ove sono le cappelle, però che prima v’era la chiesa vecchia, e rimase all’oficio de’ frati infino che furono murate le cappelle nuove.

VIII Come fu cacciato di Firenze il grande popolare Giano della Bella.

Nel detto anno MCCLXXXXIIII, del mese di gennaio, essendo di nuovo entrato in signoria de la podesteria di Firenze messer Giovanni da Luccino da Commo, avendo dinanzi uno processo d’una accusa contro a messer Corso de’ Donati, nobile e possente cittadino de’ più di Firenze, per cagione che ’l detto messer Corso dovea avere morto uno popolano, famigliare di messer Simone Galastrone suo consorto, a una mischia e fedite le quali aveano avute insieme, e quello famigliare era stato morto; onde messer Corso Donati era andato dinanzi con sicurtà della detta podestà, a’ prieghi d’amici e signori, onde il popolo di Firenze attendea che la detta podestà il condannasse. E già era tratto fuori il gonfalone della giustizia per fare l’esecuzione, e egli l’asolvette; per la qual cosa in sul palagio della podestà letta la detta prosciogligione, e condannato messer Simone Galastrone delle fedite, il popolo minuto gridò: «Muoia la podestà!»; e uscendo a corsa di palagio, gridando: «A l’arme a l’arme, e viva il popolo!», gran parte del popolo fu in arme, e spezialmente il popolo minuto; e trassono a casa Giano de la Bella loro caporale; e elli, si dice, gli mandò col suo fratello al palagio de’ priori a seguire il gonfaloniere della giustizia; ma ciò non feciono, anzi vennero pure al palagio della podestà, il quale popolo a furore con arme e balestra assaliro il detto palagio, e con fuoco misono nelle porte, e arsolle, e entrarono dentro, e presono e rubarono la detta podestà e sua famiglia vituperosamente. Ma messer Corso per tema di sua persona si fuggì di palagio di tetto in tetto, ch’allora non era così murato; de la quale furia i priori, ch’erano assai vicini al palagio della podestà, dispiacque, ma per lo isfrenato popolo nol poterono riparare. Ma racquetato il romore, alquanti dì appresso i grandi uomini che non dormivano in pensare d’abattere Giano de la Bella, imperciò ch’egli era stato de’ caporali e cominciatori degli ordini della giustizia, e oltre a·cciò, per abassare i grandi, volle torre a’ capitani di parte guelfa il suggello e ’l mobile della parte, ch’era assai, e recarlo in Comune, non perch’egli non fosse Guelfo e di nazione Guelfo, ma per abassare la potenzia de’ grandi; i quali grandi vedendosi così trattare, s’acostarono in setta col consiglio del collegio de’ giudici e de’ notari, i quali si teneano gravati da·llui, come addietro facemmo menzione, e con altri popolani grassi, amici e parenti de’ grandi, che non amavano che Giano de la Bella fosse in Comune maggiore di loro, ordinarono di fare uno gagliardo uficio de’ priori; e venne loro fatto, e trassesi fuori prima che ’l tempo usato. E ciò fatto, come furono all’uficio, sì ordinarono col capitano del popolo, e feciono formare una notificagione e inquisizione contro al detto Giano de la Bella e altri suoi consorti e seguaci, e di quegli che furono caporali a mettere fuoco nel palagio, opponendo com’egli aveano messa la terra a romore, e turbato il pacifico stato, e assalita la podestà contro agli ordini della giustizia; per la qual cosa il popolo minuto molto sì conturbò, e andavano a casa Giano della Bella, e proffereagli d’esser co·llui in arme a difenderlo, o combattere la terra. E il suo fratello trasse in Orto Sammichele uno gonfalone dell’arme del popolo; ma Giano ch’era uno savio uomo, se non ch’era alquanto presuntuoso, veggendosi tradito e ingannato da coloro medesimi ch’erano stati co·llui affare il popolo, e veggendo che·lla loro forza con quella de’ grandi era molto possente, e già raunati a casa i priori armati, non si volle mettere alla ventura della battaglia cittadinesca, e per non guastare la terra, e per tema di sua persona non volle ire dinanzi, ma cessossi, e partì di Firenze a dì V di marzo, isperando che ’l popolo i·rimetterebbe ancora in istato; onde per la detta accusa, overo notificagione, fu per contumace condannato nella persona e isbandito, e in esilio morì in Francia (ch’avea a·ffare di là, ed era compagno de’ Pazzi), e tutti i suoi beni disfatti, e certi altri popolani accusati co·llui; onde di lui fu grande danno alla nostra cittade, e massimamente al popolo, però ch’egli era il più leale e diritto popolano e amatore del bene comune che uomo di Firenze, e quegli che mettea in Comune e non ne traeva. Era presuntuoso e volea le sue vendette fare, e fecene alcuna contra gli Abati suoi vicini col braccio del Comune, e forse per gli detti peccati fu, per le sue medesime leggi fatte, a torto e sanza colpa da’ non giusti giudicato. E nota che questo è grande esemplo a que’ cittadini che sono a venire, di guardarsi di non volere essere signori di loro cittadini né troppo presuntuosi, ma istare contenti a la comune cittadinanza, che quegli medesimi che·ll’aveano aiutato a farlo grande per invidia il tradiranno e penseranno d’abattere; esse n’è veduta isperienza vera in Firenze per antico e per novello, che chiunque s’è fatto caporale di popolo o d’università è stato abattuto, però che·llo ’ngrato popolo mai non rende altri meriti. Di questa novitade ebbe grande turbazione e mutazione il popolo e la cittade di Firenze, e d’allora innanzi gli artefici e’ popolani minuti poco podere ebbono in Comune, ma rimase al governo de’ popolani grassi e possenti.

IX Quando si cominciò a fondare la chiesa maggiore di Santa Reparata.

Nel detto anno MCCLXXXXIIII, essendo la città di Firenze in assai tranquillo stato, essendo passate le fortune del popolo per le novità di Giano della Bella, i cittadini s’accordarono di rinnovare la chiesa maggiore di Firenze, la quale era molto di grossa forma e piccola a comparazione di sì fatta cittade, e ordinaro di crescerla, e di trarla addietro, e di farla tutta di marmi e con figure intagliate. E fondossi con grande solennitade il dì di santa Maria di settembre per lo legato del papa cardinale e più vescovi, e fuvi la podestà e capitano e’ priori, e tutte l’ordini delle signorie di Firenze, e consagrossi ad onore d’Iddio e di santa Maria, nominandola Santa Maria del Fiore, con tutto che mai no·lle si mutò il primo nome per l’universo popolo, Santa Reparata. E ordinossi per lo Comune a la fabbrica e lavorio de la detta chiesa una gabella di danari IIII per libbra di ciò che usciva della camera del Comune, e soldi II per capo d’uomo; e il legato e’ vescovi vi lasciarono grandi indulgenzie e perdonanze a chi vi facesse aiuto e limosina.

X Come messer Gianni di Celona venne in Toscana vicario d’imperio.

Nel detto anno MCCLXXXXIIII uno valente e gentile uomo della casa del conte di Borgogna, che·ssi chiamava messer Gianni di Celona, a sommossa della parte ghibellina di Toscana e col loro favore, impetrò da Alberto d’Osteric re de’ Romani d’essere vicario d’imperio in Toscana; e ciò fatto, passò in Italia con Vc Borgognoni e Tedeschi a cavallo, e arrivò nella città d’Arezzo; e in quella cogli Aretini, e’ Romagnuoli, e’ ribelli di Firenze, cominciò a·ffare guerra a’ Fiorentini e Sanesi, e stette bene uno anno. A la fine non piaccendo a’ Ghibellini perch’era di lingua francesca, furono in sospetto di lui; per la qual cosa poi per procaccio di papa Bonifazio, a petizione del Comune di Firenze e de’ Guelfi di Toscana, per accordo si partì con sua gente, e tornossi in Borgogna l’anno MCCLXXXXV, ed ebbe dal Comune di Firenze XXXm fiorini d’oro, e simile per rata da l’altre terre guelfe di Toscana, per mandarlo via. Nel detto anno MCCLXXXXIIII morì in Firenze uno valente cittadino il quale ebbe nome ser Brunetto Latini, il quale fu gran filosafo, e fue sommo maestro in rettorica, tanto in bene sapere dire come in bene dittare. E fu quegli che spuose la Rettorica di Tulio, e fece il buono e utile libro detto Tesoro, e il Tesoretto, e la Chiave del Tesoro, e più altri libri in filosofia, e de’ vizi e di virtù, e fu dittatore del nostro Comune. Fu mondano uomo, ma di lui avemo fatta menzione però ch’egli fue cominciatore e maestro in digrossare i Fiorentini, e farli scorti in bene parlare, e in sapere guidare e reggere la nostra repubblica secondo la Politica.

XI Come fu canonizzato santo Luis re che fu di Francia.

Nel detto anno MCCLXXXXIIII papa Bonifazio co’ suoi frati cardinali nella città d’Orbivieto canonizzò la memoria del buono Luis re di Francia, il quale morì per la Cristianitade sopra la città di Tunisi, trovando per vere testimonianze di lui sante opere a la sua vita e a la sua fine, e avendo Iddio mostrati di lui aperti miracoli.

XII Come i grandi di Firenze misono la città a romore per rompere il popolo.

A dì VI del mese di luglio, l’anno MCCLXXXXV, i grandi e possenti della città di Firenze veggendosi forte gravati di nuovi ordini de la giustizia fatti per lo popolo, e massimamente di quello ordine che dice che l’uno consorto sia tenuto per l’altro, e che·lla pruova della piuvica fama fosse per due testimoni; e avendo in sul priorato di loro amici, sì procacciarono di rompere gli ordini del popolo. E prima sì·ssi pacificarono insieme de’ grandi nimistà tra·lloro, spezialmente tra gli Adimari e’ Tosinghi, e tra’ Bardi e’ Mozzi; e ciò fatto, feciono a certo dì ordinato raunata di gente, e richiesono i priori che’ detti capitoli fossono corretti; onde della città di Firenze fu tutta gente a romore e a l’arme, i grandi per sé a cavalli coverti, e co·lloro séguito di contadini e d’altri masnadieri a piè in grande quantità; e schierarsi parte di loro nella piazza di Santo Giovanni, ond’ebbe la ’nsegna reale messer Forese degli Adimari; parte di loro a la piazza a Ponte, ond’ebbe la ’nsegna messer Vanni Mozzi; e parte in Mercato Nuovo, ond’ebbe la ’nsegna messer Geri Spini, per volere correre la terra. I popolani s’armarono tutti co’ loro ordini e insegne e bandiere, e furono in grande numero, e asserragliarono le vie della città in più parti, perché i cavalieri non potessono correre la terra, e raunarsi al palagio della podestà e a casa de’ priori, che stavano allora nella casa de’ Cerchi dietro a San Brocolo; e trovossi il popolo sì possente, e ordinati di forza e d’arme e di gente, e diedono compagnia a’ priori, perch’erano sospetti, de’ maggiori e de’ più possenti e savi popolani di Firenze, uno per sesto. Per la qual cosa i grandi non ebbono niuna forza né podere contra loro, ma il popolo avrebbe potuto vincere i grandi, ma per lo migliore e per non fare battaglia cittadinesca, avendo alcuno mezzo di frati di buona gente dall’una parte a l’altra, ciascuna parte si disarmò, e la cittade si racquetò sanza altra novità, rimagnendo il popolo in suo stato e signoria, salvo che, dove la pruova de la piuvica fama era per II testimoni, si mise fossono per III; e ciò feciono i priori contra volontà de’ popolani, ma poco appresso si rivocò e tornò al primo stato. Ma pur questa novitate fue la radice e cominciamento dello sconcio e male istato della città di Firenze che ne seguì apresso, che da indi innanzi i grandi mai non finarono di cercare modo d’abattere il popolo a·lloro podere; e’ caporali del popolo cercarono ogni via di fortificare il popolo e d’abassare i grandi, fortificando gli ordini della giustizia; e feciono torre a’ grandi le loro balestra grosse, e comperate per lo Comune; e molti casati che nonn erano tiranni e di non grande podere trassono del numero de’ grandi e misono nel popolo, per iscemare il podere de’ grandi e crescere quello del popolo. E quando i detti priori uscirono dell’uficio, fu loro picchiate le caviglie dietro, e gittati de’ sassi, perch’erano stati consenzienti a favorare i grandi; e per questo romore e novitadi si mutò nuovo stato di popolo in Firenze, onde furono capo Mancini, e Magalotti, Altoviti, Peruzzi, Acciaiuoli, e Cerretani, e più altri.

XIII Come lo re Carlo fece pace col re Giamo d’Araona.

Negli anni di Cristo MCCLXXXXV morì il re Anfus d’Araona, per la cui morte don Giamo suo fratello, il quale s’avea fatto coronare e tenea l’isola di Cicilia, cercò sua pace colla Chiesa e col re Carlo, e per mano di papa Bonifazio si fece in questo modo; che ’l detto don Giamo togliesse per moglie la figliuola del re Carlo, e rifiutasse la signoria di Cicilia, e lasciasse gli stadichi che ’l re Carlo avea lasciati in Aragona, ciò erano Ruberto e Ramondo e Giovanni suoi figliuoli con altri baroni e cavalieri provenzali; e ’l papa col re Carlo promise di fare rinunziare Carlo di Valos, fratello del re di Francia, il privilegio che papa Martino quarto gli avea fatto del reame d’Araona; e perché a·cciò consentisse, gli diè il re Carlo la contea d’Angiò e la figliuola per moglie. E per ciò fornire andò il re Carlo in Francia in persona, e lui tornando coll’accordo fatto e co’ suoi figliuoli, i quali avea diliberi di pregione, sì passò per la città di Firenze, ne la quale era già venuto da Napoli per farglisi incontro Carlo Martello re d’Ungheria suo figliuolo, e con sua compagnia CC cavalieri a sproni d’oro, Franceschi, e Provenzali, e del Regno, tutti giovani, vestiti col re d’una partita di scarlatto e verde bruno, e tutti con selle d’una assisa a palafreno rilevate d’ariento e d’oro, co l’arme a quartieri a gigli ad oro, e acerchiata rosso e d’argento, cioè l’arme d’Ungaria, che parea la più nobile e ricca compagnia che anche avesse uno giovane re con seco. E in Firenze stette più di XX dì, attendendo il re suo padre e’ frategli, e da’ Fiorentini gli fu fatto grande onore, e egli mostrò grande amore a’ Fiorentini, onde ebbe molto la grazia di tutti. E venuto il re Carlo, e Ruberto, e Ramondo, e Giovanni suoi figliuoli in Firenze col marchese di Monferrato, che dovea avere per moglie la figliuola del re, fatti in Firenze più cavalieri, e ricevuto molto onore e presenti da’ Fiorentini, il re con tutti i figliuoli si tornò a corte di papa e poi a Napoli. E ciò fatto, e messo a seguizione per lo papa e per lo re Carlo tutto il contratto della pace, don Giamo si partì di Cicilia e andossene in Araona, e del reame si fece coronare; ma di cui si fosse la colpa, o del papa o di don Giamo, il re Carlo si trovò ingannato, che dove lo re Carlo si credette riavere l’isola di Cicilia a queto, partitosene don Giamo, Federigo sequente suo fratello vi rimase signore, e a’ Ciciliani se ne fece coronare contra volontà della Chiesa dal vescovo di Cefalona, onde il papa mostrò grande turbazione contro al re d’Araona e Federigo suo fratello, e fecelo citare a corte, il quale re Giamo vi venne l’anno appresso, come innanzi faremo menzione.

XIV Come la parte guelfa furono per forza cacciati di Genova.

Nel detto anno si cominciò grande guerra tra’ cittadini di Genova, tra la parte guelfa, ond’erano capo i Grimaldi, e la parte ghibellina, ond’eran capo gli Ori e Spinoli; e ciò parve che si scoprisse per invidia tra·lloro, e per la signoria della terra: ché la state medesima aveano fatta la più grande e la più ricca armata in mare sopra i Viniziani che mai facesse Comune, che più di CLX galee furono, sanza gli altri legni grossi e sottili, che furono più di C, e ciascuna parte e casato armando a gara l’uno dell’altro si sforzaro; e allora fu Genova e il suo podere nel maggiore colmo ch’ella fosse mai, che poi sempre vennono calando. E parve che in quello stuolo si cominciasse la discordia, che non passarono più innanzi che Messina, ch’aveano ordinato d’andare infino a Vinegia; e tornati a Genova, cominciarono tra·lloro battaglia cittadinesca, la quale durò da L dì, saettandosi e combattendosi di dì e di notte, onde molti ne moriro d’una parte e d’altra, e in più parti de la città misono fuoco, e arse la Riva quasi tutta, e la chiesa maggiore di Santo Lorenzo, e più case e palazzi. A la fine quegli di casa d’Oria, e gli Spinoli, e’ loro seguaci, sotto trattato di triegua si fornirono di molta gente nuova di Lombardia e della riviera, e trovarsi sì forti, che per forza ne cacciarono i Grimaldi e’ loro seguaci guelfi; e ciò fu di gennaio nel MCCLXXXXV.

XV De’ fatti de’ Tarteri di Persia.

Nel detto anno essendo imperadore de’ Tarteri di Persia e del Turigi Baido Cane, fratello che fu d’Argon Cane, onde addietro in alcuna parte facemmo menzione; e se Argon amò i Cristiani, questo Baido fu cristianissimo e nimico de’ Saracini; per la qual cosa i Saracini di suo paese con certi signori di Tarteri feciono con ispendio e gran promesse che Casano suo nipote e figliuolo che fu d’Argon si rubellò da·llui, e venne in campo con grande oste de’ Tarteri e Saracini contro a·llui per combattere. Baido veggendosi da gran parte de’ suoi tradito, si mise a fuggire, il quale da Casano fue seguito, e sconfitto, e morto. E ’l detto Casano fatto signore colla forza de’ Saracini, come detto avemo, incontanente mutò condizione, e come prima avea amati i Saracini e odiati i Cristiani, così apresso fu amico de’ Cristiani e nimico de’ Saracini, e distrusse tutti coloro che·ll’aveano consigliato di fare male a’ Cristiani, e appresso fece molto di bene per la Cristianità per raquistare la Terrasanta, come innanzi al tempo faremo menzione.

XVI Come Maghinardo da Susinana isconfisse i Bolognesi, e prese la città d’Imola.

Negli anni di Cristo MCCLXXXXVI, in calen di aprile, Maghinardo da Susinana, onde addietro facemmo menzione, avendo guerra co’ Bolognesi per cagione della presa di Forlì e d’altre terre di Romagna, onde i Bolognesi aveano la signoria, e fatta lega col marchese Azzo da Ferrara, il quale simigliante avea guerra co’ Bolognesi, coll’aiuto di sua gente e de’ Ghibellini di Romagna, vegnendo con oste sopra la città d’Imola ov’erano i Bolognesi co·lloro forza, combattendo co·lloro gli sconfisse con grande danno de’ presi e de’ morti, e prese la detta città d’Imola con molti Bolognesi che v’erano dentro.

XVII Come il popolo di Firenze fece fare la terra di Castello San Giovanni e Castello Franco in Valdarno.

Nel detto anno essendo il Comune e popolo di Firenze in assai buono e felice stato, con tutto che i grandi avessono incominciato a contradiare il popolo, come detto avemo, il popolo per meglio fortificarsi in contado, e scemare la forza de’ nobili e de’ potenti del contado, e spezialmente quella de’ Pazzi di Valdarno e degli Ubertini ch’erano Ghibellini, si ordinò che nel nostro Valdarno di sopra si facessono due grandi terre e castella; l’uno era tra Fegghine e Montevarchi, e puosesi nome Castello Santo Giovanni, e l’altro in casa Uberti a lo ’ncontro passato l’Arno, e puosongli nome Castello Franco, e francarono tutti gli abitanti de’ detti castelli per X anni d’ogni fazzione e spese di Comune, onde molti fedeli de’ Pazzi e Ubertini, e di quegli da Ricasoli, e de’ Conti, e d’altri nobili, per esser franchi si feciono terrazzani de’ detti castelli; per la qual cosa in poco tempo crebbono e multiplicaro assai, e fecionsi buone e grosse terre.

XVIII Come lo re Giamo d’Araona venne a Roma, e papa Bonifazio gli privileggiò l’isola di Sardigna.

Nel detto anno alla richesta di papa Bonifazio il re Giamo d’Araona venne a Roma al detto papa, e menò seco la reina Gostanza sua madre e figliuola che fu del re Manfredi, e messer Ruggieri di Loria suo amiraglio, a’ quali il papa fece grande onore e ricomunicogli; e ’l detto re Giamo si scusò della ’mpresa che don Federigo suo fratello avea fatta della signoria di Cicilia, come non era essuta di sua saputa né di suo consentimento, giurando in mano del papa in presenza del re Carlo che a richiesta del re Carlo e’ sarebbe personalmente, e con sua gente e forza, contro a don Federigo suo fratello ad aiutare racquistare l’isola di Cicilia; e simile promessa e saramento fece fare a messer Ruggieri di Loria suo amiraglio. Per la quale cosa il papa fece il detto re Giamo ammiraglio e gonfaloniere della Chiesa in mare, quando si facesse il passaggio d’oltremare, e privileggiollo del reame dell’isola di Sardigna, conquistandolo sopra i Pisani o chi v’avesse signoria; e fece il detto papa che ’l re Carlo perdonò ogni offesa ricevuta da messere Ruggieri di Loria, e fecelo suo ammiraglio; per la qual cosa sappiendo don Federigo, gli tolse tutte sue rendite e onori ch’avea in Cicilia, e al nipote, opponendogli tradigione, fece tagliare la testa.

XIX Come il conte di Fiandra e quello di Bari si rubellarono al re di Francia.

Nel detto anno il conte Guido di Fiandra e il conte di Bari genero del re d’Inghilterra si rubellarono dal re di Francia per oltraggi ricevuti dal re e da sua gente, e allegarsi col re Adoardo d’Inghilterra. E intr’altre principali cagioni della rubellazione del conte di Fiandra si fu perch’egli avea maritata la figliuola al figliuolo del re d’Inghilterra sanza consentimento del re; onde non piaccendo al re, mandò per lo conte e per la contessa di Fiandra, e poi per la figliuola; e quando furono a Parigi, lo re fece ritenere la detta donzella in cortese pregione, perché non fosse moglie del suo nimico, e poco tempo appresso ella morì; e dissesi che fu fatta morire di veleno. Il conte vedendo ritenuta sua figlia, e egli da·re in leggere guardia lasciato, si partì privatamente di Parigi e fuggìsi in Fiandra, e dolendosi a’ figliuoli e a la sua gente del torto che gli facea il re di sua figlia, fece le sue terre rubellare al re; e in Lilla mise a guardia Ruberto suo primo figliuolo, e a Doai Guiglielmo secondo figliuolo, e a Coltrai messere Gianni di Namurro suo figliuolo; e il conte rimase a la guardia di Bruggia, e ’l duca di Brabante suo nipote a la guardia di Guanto. Per la qual cosa il re di Francia con grande oste andòe in Fiandra con la maggiore parte di sua baronia, e con più di Xm cavalieri e popolo innumerabile, e puosesi a oste a Lilla, ne la quale era messer Ruberto di Fiandra e ’l siri di Falcamonte de la Magna con più soldati tedeschi, i quali difendeano la terra francamente. In questa stanza il conte d’Artese isconfisse i Fiaminghi a Fornes, e lo re d’Inghilterra arrivò in Fiandra, come si tratterà nel seguente capitolo; per la qual cosa, e ancora perché la villa di Lilla non era bene proveduta né fornita di vittuaglia, s’arrendéo la terra al re di Francia, andandone sano e salvo messer Ruberto di Fiandra con tutti i soldati tedeschi. E avuta il re di Francia Lilla, prese la sua gente Bettona e più altre ville di Fiandra, e fece poi lo re di Francia cavalcare le terre del conte di Bari, e ardere e guastare.

XX Come il conte d’Artese isconfisse i Fiamminghi a Fornes, e come il re d’Inghilterra passò in Fiandra.

Nel seguente anno MCCLXXXXVII, essendo cresciuta la guerra al re di Francia per lo re d’Inghilterra, e per la rubellazione del conte di Fiandra e di quello di Bari, come detto avemo di sopra, sì feciono lega ancora contro a·llui col re Attaulfo d’Alamagna, e mandogli il re d’Inghilterra XXXm marchi di sterlini, acciò che venisse con suo isforzo in Fiandra per assalire il reame di Francia; e così promise e giurò, e lo re d’Inghilterra promise di venirvi in persona; e vennero alquanti cavalieri tedeschi in Fiandra al soldo de’ Fiamminghi, i quali volendo co’ Fiamminghi insieme assalire la contea d’Artese, il conte d’Artese con grande cavalleria di Franceschi tornato di Guascogna in Artese per la detta guerra cominciata per gli Fiamminghi, essendo al conte d’Artese già renduta la villa di Berghe a la marina, si fece loro incontro a Fornes in Fiandra, e quivi combattendo insieme, onde i Fiamminghi e’ Tedeschi furono sconfitti, e morìvi il conte Guiglielmo di Giulieri, e Arrigo conte dal Bemonte, e ’l siri di Gaura, e più altri baroni e cavalieri tedeschi e fiamminghi con più di IIIm tra a piè e a cavallo vi furono morti e presi. E dopo la detta sconfitta il conte d’Artese prese Fornes, e feciono le comandamenta tutte le terre della marina e la valle di Cassella. In questo il re Adoardo d’Inghilterra con grande navilio, e con M e più buoni cavalieri e con gente d’arme a piè assai, e arrivò in Fiandra al porto della Stuna, sì come avea promesso per la lega fatta col re d’Alamagna e col conte di Fiandra, e prese la villa di Bruggia, la quale fue abandonata da’ Franceschi, però che non v’avea fortezza né di muro né di fossi; e poi n’andò a Guanto, però che Bruggia non era forte, e gli grandi borgesi di Bruggia eran tutti della parte del re, onde non si fidava di stare in Bruggia. A Guanto era il conte di Fiandra per attendere il re d’Alamagna, il quale per più moneta, si disse, ch’ebbe dal re di Francia, non venne, come avea promesso e giurato; e chi disse che il detto re d’Alamagna rimase per guerra che ’l re di Francia per suoi danari e promessa di parentado gli fece muovere al duca d’Osteric; e a questo diamo più fede. Onde il re Adoardo veggendosi ingannato e tradito, overo fallito dal re d’Alamagna, e sentendo il grande podere del re di Francia, e com’era già mosso con tutta sua baronia, avuta Lilla, per venire contro a·llui a Guanto, e già era a Coltrai in Fiandra; per la qual cosa il re d’Inghilterra non s’affidò di dimorare in Fiandra, però che venuto il re di Francia con sua oste, il convenia essere soppreso o assediato in Bruggia o in Guanto, o venire a battaglia co·llui; e dapoi che non era venuto il re d’Alamagna con sua gente, non avea podere d’uscire a campo contro al re di Francia, e però si partì di Fiandra in grande fretta, e tornossi con sua gente inn-Inghilterra, e lasciò il conte di Fiandra in Guanto in male stato e da tutti abandonato. Lo re di Francia perché s’appressava il verno, e avea novelle come il re Carlo di Puglia venia in Francia in servigio del re d’Inghilterra, e per commessione del papa, per mettere accordo intra·llui e·re Adoardo, suoi congiunti, parenti, e amici, sì·ssi tornò in Francia con tutta sua oste, lasciando grande guernigione di gente d’arme a cavallo e a piè ne le dette terre, e fece fare a Lilla e a Coltrai forti castelli. E tornato in Francia, il re Carlo ordinò dal re di Francia al re Adoardo d’Inghilterra e ’l conte di Fiandra triegue per due anni, rimanendo al re di Francia per patti Bruggia, e Lilla, e Coltrai, e altre ville, le quali terre di Fiandra erano già all’obedienzia e guadagnate per lo re di Francia; e per dispensagione del papa il re d’Inghilterra prese per moglie la serocchia del re di Francia, e accordogli di pace insieme.

XXI Come papa Bonifazio privò del cardinalato messer Iacopo e messer Piero della Colonna.

Negli anni di Cristo MCCLXXXXVII, a dì XIII del mese di maggio, tenendosi papa Bonifazio molto gravato da’ signori Colonnesi di Roma, perché in più cose l’aveano contastato per isdegno di loro maggioranza, ma più si tenea il papa gravato, perché messer Iacopo e messer Piero de la Colonna cardinali gli erano stati contradi a la sua lezione, mai non pensò se non di mettergli al niente. E in questo avenne che Sciarra de la Colonna loro nipote, vegnendo al mutare della corte di... a le some degli arnesi e tesoro de la Chiesa, le rubò e prese, e menolle in... Per la qual cagione agiugnendovi la mala volontade conceputa per adietro, il detto papa contro a·lloro fece processo in questo modo: che’ detti messer Iacopo e messer Piero de la Colonna diacani cardinali del cardinalato e di molti altri benifici ch’aveano da la Chiesa gli dispuose e privò; e per simile modo condannò e privò tutti quegli de la casa de’ Colonnesi, cherici e laici, d’ogni beneficio ecclesiastico e secolare, e scomunicolli, che mai non potessono avere beneficio; e fece disfare le case e’ palazzi loro di Roma, onde parve molto male a’ loro amici romani; ma non poterono contradire per la forza del papa e degli Orsini loro contrari; per la quale cosa si rubellarono al tutto dal papa e cominciarono guerra, però ch’egli erano molto possenti, e aveano gran séguito in Roma, e era loro la forte città di Pilestrino, e quella di Nepi, e la Colonna, e più altre castella. Per la qual cosa il papa diede la indulgenza di colpa e pene chi prendesse la croce contro a·lloro, e fece fare oste sopra la città di Nepi, e il Comune di Firenze vi mandò in servigio del papa VIc tra balestrieri e pavesari crociati co le sopransegne del Comune di Firenze; e tanto stette l’oste a l’assedio, che la città s’arendé al papa a patti, ma molta gente vi morì e amalò per corruzzione d’aria ch’ebbe nella detta oste.

XXII Come Alberto d’Osteric sconfisse e uccise Ataulfo re d’Alamagna, e com’egli fue eletto re de’ Romani.

Negli anni di Cristo MCCLXXXXVIII, del mese di giugno, avendo i prencipi d’Alamagna privato Ataulfo della lezione dello ’mperio per cagione della sua dislealtà, e perché s’era legato col re di Francia per sua moneta, e tradito il re d’Inghilterra e il conte di Fiandra, come addietro avemo fatta menzione, e ancora per procaccio d’Alberto dogio d’Osteric, figliuolo che fu del re Ridolfo, per avere la lezione con ordine e trattato del re Adoardo, e con molta sua moneta data al detto Alberto per fare vendetta del tradimento commesso per lo detto Ataulfo re d’Alamagna; e ciò fatto, il detto dogio Alberto con sua potenzia di gente d’arme venne contro al detto Ataulfo, e in campo combatté co·llui, e sconfisselo, e rimase il detto Ataulfo morto nella detta battaglia con molta di sua gente; e avuta Alberto la detta vittoria, si fece eleggere re de’ Romani, e poi confermare a papa Bonifazio.

XXIII Come i Colonnesi vennero a la misericordia del papa, e poi si rubellarono un’altra volta.

Nel detto anno, del mese di settembre, essendo trattato d’accordo da papa Bonifazio a’ Colonnesi, i detti Colonnesi, cherici e laici, vennero a Rieti ov’era la corte, e gittarsi a piè del detto papa a la misericordia, il quale perdonò loro, e assolvetteli della scomunicazione, e volle gli rendessono la città di Penestrino; e così feciono, promettendo loro di ristituirgli in loro stato e dignità, la qual cosa non attenne loro, ma fece disfare la detta città di Penestrino del poggio e fortezze ov’era, e fecene rifare una terra al piano, a la quale puose nome Civita Papale; e tutto questo trattato falso e frodolente fece il papa per consiglio del conte da Montefeltro, allora frate minore, ove gli disse la mala parola: «Lunga promessa coll’attendere corto etc.». I detti Colonnesi trovandosi ingannati di ciò ch’era loro promesso, e disfatta sotto il detto inganno la nobile fortezza di Penestrino, innanzi che compiesse l’anno si rubellarono dal papa e da la Chiesa, e ’l papa gli scomunicò da capo con aspri processi; e per tema di nonn esser presi o morti, per la persecuzione del detto papa, si partirono di terra di Roma, e isparsonsi chi di loro in Cicilia, e chi in Francia, e in altre parti, nascondendosi di luogo in luogo per non esser conosciuti, e di non dare di loro posta ferma, spezialmente messer Iacopo e messer Piero ch’erano stati cardinali; e così stettono inn-esilio mentre vivette il detto papa.

XXIV Come i Genovesi sconfissono i Viniziani in mare.

Nel detto anno, a dì VIII di settembre, essendo grande guerra in mare tra i Genovesi e’ Viniziani, ciascuno fece armata, i Genovesi di CX galee, e’ Viniziani di CXX galee; e’ detti Genovesi, ond’era capitano e amiraglio messer Lamba d’Oria, passarono la Cicilia e misonsi nel golfo, con intendimento d’andare infino a la città di Vinegia, se in altro luogo non trovassono i Viniziani; ma come furono in Ischiavonia, trovarono l’armata de’ detti Viniziani a l’isola de la Scolcola, ov’ebbe tra’ due stuoli aspra e dura battaglia; a la fine furono sconfitti i Viniziani, e molti ne furono morti e presi, e LXX corpi di loro galee ne furono menate co’ pregioni in Genova.

XXV De’ grandi tremuoti che furono in certe città d’Italia.

Nel detto anno furono molti tremuoti in Italia, spezialmente nella città di Rieti e in quella di Spuleto, e in Toscana nella città di Pistoia, ne le quali cittadi caddono molte case, e palazzi, e torri, e chiese, e fu segno del giudicio di Dio, del futuro pericolo, e aversitadi, che poco appresso si cominciò in più parti d’Italia, e spezialmente nelle dette nominate cittadi, come innanzi per gli tempi faremo menzione.

XXVI Quando si cominciò il palazzo del popolo di Firenze ove abitano i priori.

Nel detto anno MCCLXXXXVIII si cominciò a fondare il palagio de’ priori per lo Comune e popolo di Firenze, per le novità cominciate tra ’l popolo e’ grandi, che ispesso era la terra in gelosia e in commozione, a la riformazione del priorato di due in due mesi, per le sette già cominciate, e i priori che reggeano il popolo e tutta la repubblica non parea loro essere sicuri ove abitavano innanzi, ch’era ne la casa de’ Cerchi bianchi dietro a la chiesa di San Brocolo. E colà dove puosono il detto palazzo furono anticamente le case degli Uberti, ribelli di Firenze e Ghibellini; e di que’ loro casolari feciono piazza, acciò che mai non si rifacessono. E perché il detto palazzo non si ponesse in sul terreno de’ detti Uberti coloro che·ll’ebbono a far fare il puosono musso, che fu grande difalta a lasciare però di non farlo quadro, e più discostato da la chiesa di San Piero Scheraggio.

XXVII Come fu fatta pace tra ’l Comune di Genova e quello di Vinegia.

Negli anni di Cristo MCCLXXXXVIIII, del mese di maggio, pace fu tra’ Genovesi e’ Viniziani, e ciascuno riebbe i suoi pregioni con que’ patti che piacquero a’ Genovesi. Intra gli altri vollono che infra XIII anni niuno Viniziano non navicasse nel mare Maggiore di là da Gostantinopoli e nella Soria con galee armate, onde i Genovesi ebbono grande onore, e rimasono in grande potenza e felice stato, e più che Comune o signore del mondo ridottati in mare.

XXVIII Come fu fatta pace tra ’l Comune di Bologna e ’l marchese da Esti e Maghinardo da Susinana per gli Fiorentini

Nel detto tempo e anno essendo stata lunga e grande guerra tra ’l Comune di Bologna e’ suoi usciti, e col marchese Azzo da Esti, il quale signoreggiava la città di Ferrara, e quella di Reggio, e quella di Modona, e con Maghinardo da Susinana grande signore in Romagna, i quali erano a una lega contro a’ Bolognesi, per procaccio e industria de’ Fiorentini, amici dell’una parte e dell’altra, pace fu fatta, e basciarsi insieme i sindachi de le parti ne la città di Firenze; e i Fiorentini furono promettitori e mallevadori a la detta pace per l’una parte e per l’altra, con solenni carte e promessioni.

XXIX Come il re Giamo d’Araona con Ruggieri di Loria e con l’armata del re Carlo sconfissono i Ciciliani a capo Orlando.

Nel detto anno avendo lo re Carlo fatta sua armata per andare sopra l’isola di Cicilia di XL galee, ond’era ammiraglio messer Ruggieri di Loria, e richesto per papa Bonifazio e per lo re Carlo il re Giamo d’Araona che aseguisse la promessa per lui fatta per li patti della pace, come adietro facemmo menzione, venne di Catalogna con XXX galee armate, e accozzatosi a Napoli coll’armata del re Carlo, e con Ruggieri di Loria loro ammiraglio, tutti insieme n’andarono verso Cicilia. Don Federigo co’ suoi Ciciliani sentendo il detto apparecchiamento, fece suo isforzo, e armò LX galee, e col suo ammiraglio messer Federigo d’Oria si misono in mare. E a capo Orlando in Cicilia s’accozzaro in mare le dette armate a dì IIII del mese di luglio, e dopo la grande e aspra battaglia l’armata de’ Ciciliani fue sconfitta, e tra morti e presi più di VIm uomini e XXII corpi di galee; per la qual cosa si mostrò palesemente che ’l detto re Giamo e Ruggieri di Loria furono fedeli e leali a la promessa fatta al papa e al re Carlo. Bene si disse che se lo re Giamo avesse voluto, don Federigo suo fratello rimanea preso in quella battaglia, però che·lla sua galea fue nelle sue mani, e era finita la guerra di Cicilia; o che fosse di sua volontà o di sua gente catalana, il lasciarono fuggire e scampare.

XXX Come fu fatta pace tra’ Genovesi e’ Pisani.

Nel detto anno, del mese d’agosto, fu fatta pace tra’ Genovesi e’ Pisani, la qual guerra era durata XVII anni e più, onde i Pisani molto erano abassati e venuti a piccolo podere; e quasi come gente ricreduta feciono a’ Genovesi ogni patto che seppono domandare, dando loro parte in Sardigna, e la terra di Bonifazio in Corsica, e che’ Pisani non dovessono navicare con galee armate infra XV anni, e de’ pregioni che vennero in Genova de’ Pisani, quando furono lasciati, non erano vivi che apena il X.

XXXI Quando di prima si cominciarono le nuove mura de la città di Firenze.

Nel detto anno, a dì XXVIIII di novembre, si cominciarono a fondare le nuove e terze mura della città di Firenze nel Prato d’Ognesanti; e furono a benedire e fondare la prima pietra il vescovo di Firenze, e quello di Fiesole, e quello di Pistoia, e tutti i prelati e riligiosi, e tutte le signorie e ordini di Firenze con innumerabile popolo. E murarsi allora da la torre sopra la gora infino a la porta del Prato, la qual porta era prima cominciata insino l’anno MCCLXXXIIII, coll’altre porte mastre di qua da l’Arno, insieme, come adietro facemmo menzione; ma per molte averse novità che furono appresso stette buono tempo che non vi si murò più innanzi che quelle mura de la fronte del Prato.

XXXII Come il re di Francia ebbe a queto tutta Fiandra, e in pregione il conte e’ figliuoli.

Nel detto anno MCCLXXXXVIIII, fallite le triegue dal re di Francia e ’l conte di Fiandra, lo re mandò in Fiandra messer Carlo di Valos suo fratello con grande oste e cavalleria, il quale giunto a Bruggia cominciò guerra al conte ch’era in Guanto, e a tutte le terre della marina che teneano col conte, e con più battaglie in più parti vinte per la gente di messer Carlo contra i Fiamminghi s’arenderono a messer Carlo, salvo Guanto, ov’era il conte cogli suoi figliuoli messer Ruberto e messer Guiglielmo, abandonati dagli amici e da’ signori, e eziandio da’ loro borgesi. Per la qual cosa trattato ebbono con messer Carlo di fare onore al re di rendersi a·llui, promettendo messer Carlo sopra sé di guarentirgli e rimettergli in amore del re, e in loro stato e signoria. E compiuto il trattato, renderono Guanto, ch’è de le più forti terre del mondo, e le loro persone a messer Carlo; il quale entrato in Guanto, il conte Guido e messer Ruberto e messer Guiglielmo suoi figliuoli tradì, e gli mandò presi a Parigi. La qual cosa per l’universo mondo fu tenuta grande dislealtà a sì fatto signore. E ciò fatto per messere Carlo, e avuta tutta a queto la contea di Fiandra, lasciò messer Giache, fratello del conte di San Polo, al tutto signore in Fiandra per lo re con grande cavalleria, e messer Carlo si tornò in Francia. E il detto messer Giache cominciò in Fiandra aspra signoria, e radoppiare sopra il popolo assise, e gabelle, e male tolte, onde il popolo forte si tenea gravato. Avenne che per la Pasqua di Risoresso vegnente lo re di Francia andòe a suo diletto in Fiandra per provedere il suo conquisto e fare festa; e giunto in Bruggia, gli fu fatto grande onore, e simile a Guanto, e Ipro, e l’altre buone terre; e tutti si vestirono di nuovo ad arte e mestieri d’una assisa, faccendo più diversi giuochi e feste, e per lo re e sua baronia giostre; e la tavola ritonda si fece a Guidendalla, maniere del conte, onde d’Alamagna e d’Inghilterra vi vennono più baroni e cavalieri a giostrare. Ma questa festa fu fine di tutte quelle de’ Franceschi a’ nostri tempi, ché come la fortuna si mostrò al re di Francia e a’ suoi allegra e felice, così poco tempo appresso volse sua ruota nel contrario, come innanzi al tempo faremo menzione. E l’originale cagione, oltre al peccato per lo re e suo consiglio commesso ne la presura e morte della innocente damigella di Fiandra, e poi il tradimento fatto contro al conte Guido e’ suoi figliuoli presi, si fu che al partire che ’l re fece di Fiandra gli artefici e popolo minuto gli domandarono grazia, che fossono alleggiati delle importabili gravezze che messer Giache di San Polo e’ suoi faceano loro, e oltre a·cciò i grandi borgesi delle ville, che tutti gli mangiavano; non furono uditi dal re, se non come il popolo d’Israel dal re Roboam, ma maggiormente tormentati da’ borgesi e dagli uficiali del re, onde appresso seguì il giudicio di Dio quasi improviso, come al tempo intenderete.

XXXIII Come il re di Francia s’imparentò col re Alberto d’Alamagna.

Nel detto anno MCCLXXXXVIIII dopo il conquisto che ’l re di Francia fece di Fiandra Alberto d’Osteric re de’ Romani fece parentado col re Filippo di Francia, e diede per moglie al figliuolo primogenito la figliuola del detto re di Francia; e ciò fu per l’amistà cominciata, e servigio fatto al re di Francia per lo re Alberto contro Ataulfo re de’ Romani, come adietro è fatta menzione.

XXXIV Come il prenze di Taranto fu sconfitto in Cicilia.

Nel detto anno, in calen di dicembre, Filippo prenze di Taranto e figliuolo del re Carlo secondo, essendo passato in su l’isola di Cicilia con VIc cavalieri e con XL galee armate, la maggiore parte Napoletani e gente del Regno, per guerreggiare l’isola, ed era all’assedio a la città di Trapali; e don Federigo d’Araona che tenea Cicilia era con sua gente, de la quale era capitano don Brasco d’Araona, e stavano in su ’l monte di Trapali, veggendo il male reggimento del detto prenze e di sua gente, a loro posta scesono del detto monte, e co·lloro vantaggio presono la battaglia, ne la quale il detto prenze fu sconfitto, e preso egli e grande parte di sua gente.

XXXV Come Casano signore de’ Tartari sconfisse il soldano de’ Saracini, e prese la Terrasanta in Soria.

Nel detto anno, del mese di gennaio, Casano imperadore de’ Tartari venne in Soria sopra il soldano de’ Saracini, e menò seco CCm tra Tarteri e Cristiani a cavallo e a piè per condotta del re d’Erminia e di quello di Giorgia, cristianissimi e nimici de’ Saracini, per racquistare la Terrasanta. Il soldano sentendo loro venuta, venne d’Egitto in Soria con più di Cm Saracini a cavallo, sanza l’altra sua oste di Soria ch’era infinita; e scontrarsi insieme i detti eserciti, e la battaglia fu grande e terribile. A la fine per senno e valentia del detto Casano, il quale si tenne a piede con grande parte de la sua buona gente infino che’ Saracini ebbono tanto saettato, ch’egli ebbono voti i loro turcassi di saette, e acciò che’ Saracini non potessono risaettare sopra i suoi le loro saette, ordinò che tutte quelle di sua gente fossono sanza cocca, e le corde di suoi archi con pallottiera, che poteano saettare le loro e quelle de Saracini. E ciò fatto, con ordine, a certo suo segno fatto montarono a cavallo, e aspramente assalirono i Saracini per modo che assai tosto gli mise in isconfitta e in fugga; ma molti Saracini vi furono morti e presi, e lasciarono tutto il loro campo e arnesi di grande ricchezza. E ciò fatto, quasi tutte le terre di Soria e di Gerusalem si renderono al detto Casano, e divotamente andò a visitare il santo Sepolcro; e ciò fatto, non potendo guari dimorare in Soria, convenendogli tornare in Persia al Turigi, per guerra che gli era cominciata da altri signori de’ Tartari, sì mandò suoi ambasciadori in ponente a papa Bonifazio VIII, e al re di Francia, e agli altri re cristiani, che mandassono de’ signori e gente cristiana a ritenere le città e terre di Soria e della Terrasanta ch’egli avea conquistate; la quale ambasciata fue intesa, ma male messa a seguizione, perché per lo papa e per gli altri signori de’ Cristiani s’intendea più alle singulari guerre e quistioni tra·lloro, ch’al bene comune della Cristianità; che con poca gente e piccola spesa si racquistava e tenea per gli Cristiani la Terrasanta conquistata per Casano, la quale con grande vergogna, e non sanza merito di pena, per gli Cristiani s’abandonò. Onde partito di Soria il detto Casano, poco tempo appresso i Saracini si ripresono Gerusalem e l’altre terre di Soria. Il detto Casano fue figliuolo d’Argon Cane, onde addietro in alcuna parte facemmo menzione. Questi fu piccolo e isparuto di sua persona, ma virtudioso fu molto, e savio, e pro’ di sua persona, e aveduto in guerra, cortesissimo e largo donatore, amico grandissimo de’ Cristiani, e elli e molti di sua buona gente si fece per la fede di Cristo battezzare. E la cagione perché Casano divenne Cristiano nonn-è da tacere, ma da farne notabile memoria in questo nostro trattato a deficazione della nostra fede, per lo bello miracolo ch’avenne. Quando Casano fu fatto imperadore, si fece cercare per avere moglie per la più bella femmina che si trovasse, non guardandosi per tesoro o per altro, e però mandò suoi ambasciadori per tutto levante; e trovandosi la più bella la figliuola del re d’Erminia, e quella adimandata, il padre l’acettò, in quanto piacesse a la pulcella. Quella molto savia rispuose ch’era contenta al piacere del padre, salvo ch’ella volea essere libera di potere adorare e coltivare il nostro signore Gesù Cristo, bene che ’l marito fosse pagano; e così fu promesso e accettato per gli ambasciadori di Casano. Il re d’Erminia mandò la figliuola con frate Aiton suo fratello, e con altri frati e religiosi, e con ricca compagnia di cavalieri, e donne, e damigelle; e venuta a Casano, molto gli piacque, e fu in sua grazia e amore, e assai tosto concepette di lui, e al tempo debito partorìo, come piacque a·dDio, la più orda e orribile creatura che mai fosse veduta, e quasi per poco nonn-avea forma umana. Casano contristato di ciò, tenne consiglio co’ suoi savi, per gli quali fu diliberato che la donna avea commesso avolterio, e fu giudicata ch’ella colla sua creatura fosse arsa. E apparecchiato il fuoco in presenza di Casano, a cui molto ne doleva, e di tutto il popolo della città, la donna chiese grazia di volere sua confessione e comunione, sì come fedele Cristiana, e la creatura battezzare e fare Cristiano. Fu conceduta la grazia, e come la creatura fu battezzata nel nome del Padre, e del Filio, e del santo Spirito, in presenza del padre e di tutto il popolo, incontanente il fanciullo divenne il più bello e grazioso che mai fosse veduto. Del detto miracolo Casano fu molto allegro, e con gran festa la ’mperadrice e ’l figliuolo furono diliberi da morte; e Casano e tutto il popolo si battezzarono e feciono Cristiani. E non voglio che tu lettore ti maravigli perché scriviamo che Casano fosse quasi con CCm Tartari a cavallo, che il vero fu così, e ciò sapemmo da uno nostro Fiorentino e vicino di casa i Bastari, nudrito infino piccolo fanciullo in sua corte, e di qua per lui al papa e a’ re de’ Cristiani venne per ambasciadore con altri de’ Tarteri, che ciò testimonò e a noi disse. E nonn-è da maravigliare però, però che quasi tutti i Tarteri vanno a cavallo e nonne a piè; e’ loro cavagli sono piccoli, e mai non bisogna loro ferro in piè, né orzo né altra biada, ma vivono d’erbaggio e di fieno, lasciandogli pascere come pecore; e uno de’ Tarteri ne mena seco X o XX o più de’ detti cavagli, secondo ch’è possente; e va l’uno dietro a l’altro sanza altra guida; e sono con sottili briglie sanza freno, e povera sella d’una bardella e piccole scaglie incamutate. Armati sono di cuoio cotto e d’archi e saette; e vivonsi di carne cruda o poco cotta, e di pesce, e di sangue di bestie, e latte e burro con poco pane, e le più volte sanza pane; e quando hanno sete e non trovassono acqua, segnano l’uno de’ loro cavagli e beonsi il sangue, e ispesso l’uccidono e ’l si mangiano; e giacciono e dormono sanza letto, se non il tappeto sopra la terra, e sempre stanno a campo, e molto sono obbedienti e fedeli al loro signore, e fieri e crudeli in arme, sì che al signore de’ Tarteri è più leggere di menare seco in oste CCm de’ Tarteri a cavallo, che non sarebbe al re di Francia Xm. Avemo sì lungo detto de’ costumi de’ Tarteri per trarre d’ignoranza coloro che di loro fatti non sanno; ma chi più ne vorrà sapere legga il trattato di frate Aiton d’Erminia e i·libro del Milione di Vinegia, come in altra parte in questo libro avemo detto.

XXXVI Come papa Bonifazio VIII diè perdono a tutti i Cristiani ch’andassono a Roma l’anno del giubileo MCCC.

Negli anni di Cristo MCCC, secondo la Nativitade di Cristo, con ciò fosse cosa che si dicesse per molti che per adietro ogni centesimo d’anni della Natività di Cristo il papa ch’era in que’ tempi facie grande indulgenza, papa Bonifazio VIII, che allora era appostolico, nel detto anno a reverenza della Natività di Cristo fece somma e grande indulgenza in questo modo: che qualunque Romano visitasse infra tutto il detto anno, continuando XXX dì, le chiese de’ beati appostoli santo Pietro e santo Paolo, e per XV dì l’altra universale gente che non fossono Romani, a tutti fece piena e intera perdonanza di tutti gli suoi peccati, essendo confesso o si confessasse, di colpa e di pena. E per consolazione de’ Cristiani pellegrini ogni venerdì o dì solenne di festa si mostrava in Santo Piero la Veronica del sudario di Cristo. Per la qual cosa gran parte de’ Cristiani ch’allora viveano feciono il detto pellegrinaggio così femmine come uomini, di lontani e diversi paesi, e di lungi e d’apresso. E fue la più mirabile cosa che mai si vedesse, ch’al continuo in tutto l’anno durante avea in Roma oltre al popolo romano CCm pellegrini, sanza quegli ch’erano per gli cammini andando e tornando, e tutti erano forniti e contenti di vittuaglia giustamente, così i cavagli come le persone, e con molta pazienza, e sanza romori o zuffe: ed io il posso testimonare, che vi fui presente e vidi. E de la offerta fatta per gli pellegrini molto tesoro ne crebbe a la Chiesa e a’ Romani: per le loro derrate furono tutti ricchi. E trovandomi io in quello benedetto pellegrinaggio ne la santa città di Roma, veggendo le grandi e antiche cose di quella, e leggendo le storie e’ grandi fatti de’ Romani, scritti per Virgilio, e per Salustio, e Lucano, e Paulo Orosio, e Valerio, e Tito Livio, e altri maestri d’istorie, li quali così le piccole cose come le grandi de le geste e fatti de’ Romani scrissono, e eziandio degli strani dell’universo mondo, per dare memoria e esemplo a quelli che sono a venire presi lo stile e forma da·lloro, tutto sì come piccolo discepolo non fossi degno a tanta opera fare. Ma considerando che la nostra città di Firenze, figliuola e fattura di Roma, era nel suo montare e a seguire grandi cose, sì come Roma nel suo calare, mi parve convenevole di recare in questo volume e nuova cronica tutti i fatti e cominciamenti della città di Firenze, in quanto m’è istato possibile a ricogliere, e ritrovare, e seguire per innanzi istesamente in fatti de’ Fiorentini e dell’altre notabili cose dell’universo in brieve, infino che fia piacere di Dio, a la cui speranza per la sua grazia feci la detta impresa, più che per la mia povera scienza. E così negli anni MCCC tornato da Roma, cominciai a compilare questo libro a reverenza di Dio e del beato Giovanni, e commendazione della nostra città di Firenze.

XXXVII Come il conte Guido di Fiandra con due suoi figliuoli s’arendeo al re di Francia. e come furono ingannati e messi in pregione.

Nel detto anno, del mese di maggio, essendo ad oste sopra Fiandra messer Carlo di Valos, fratello del re Filippo di Francia, il conte Guido di Fiandra molto anziano e vecchio, fece trattato co·llui di venire con due suoi maggiori figliuoli a la misericordia del re di Francia, rendendoli paceficamente il rimanente della terra di Fiandra ch’egli tenea. Il detto messer Carlo promise che se ciò facesse di fargli fare grazia, e rendere la pace dal re, e ristituirlo in suo stato; il quale conte s’affidòe a·llui, e gli rendé Bruggia e Guanto e l’altre terre di Fiandra, e con Ruberto e Guiglielmo suoi figliuoli vennero col detto messer Carlo a Parigi, e gittarsi a la misericordia, e a’ piè del re; il quale re per malvagio consiglio, non asseguendo cosa che a·lloro fosse promessa, sanza nulla grazia gli fece mettere in pregione. Per lo quale tradimento e dislealtà grande male ne venne a la casa di Francia e a’ Franceschi in brieve tempo appresso, come Innanzi la nostra storia de’ fatti di Fiandra farà menzione.

XXXVIII Come si cominciò parte nera e bianca prima nella città di Pistoia.

In questi tempi essendo la città di Pistoia in felice e grande e buono stato secondo il suo essere, e intra gli altri cittadini v’avea uno lignaggio di nobili e possenti che si chiamavano i Cancellieri, non però di grande antichità, nati d’uno ser Cancelliere, il quale fu mercatante e guadagnò moneta assai, e di due mogli ebbe più figliuoli, i quali per la loro ricchezza tutti furono cavalieri, e uomini di valore e da bene; e di loro nacquero molti figliuoli e nipoti, sì che in questo tempo erano più di C uomini d’arme, ricchi e possenti e di grande affare, sicché non solamente i maggiori di Pistoia, ma de’ più possenti legnaggi di Toscana. Nacque tra·lloro per la soperchia grassezza, e per susidio del diavolo, isdegno e nimistà tra ’l lato di quelli ch’erano nati d’una donna a quelli dell’altra; e l’una parte si puosono nome i Cancellieri neri, e l’altra i bianchi. E crebbe tanto che si fedirono insieme, non però di cosa innorma, e fedito uno di que’ del lato de’ cancellieri bianchi, que’ del lato de’ Cancellieri neri per avere pace e concordia co·lloro mandarono quegli ch’avea fatta l’offesa a la misericordia di coloro che·ll’aveano ricevuta, che ne prendessono l’amenda e vendetta a·lloro volontà; i quali del lato de’ Cancellieri bianchi ingrati e superbi, non avendo in loro pietà né carità, la mano dal braccio tagliaro in su una mangiatoia a quegli ch’era venuto a la misericordia. Per lo quale cominciamento e peccato non solamente si divise la casa de’ Cancellieri, ma più micidi ne nacquero tra·lloro, e tutta la città di Pistoia se ne divise, che l’uno tenea coll’una parte e l’altro coll’altra, e chiamavansi parte bianca e nera, dimenticata tra·lloro parte guelfa e ghibellina; e più battaglie cittadine, con molti pericoli e micidi, ne nacquero e furono in Pistoia; e non solamente in Pistoia, ma poi la città di Firenze e tutta Italia contaminaro le dette parti, come innanzi potrete intendere e sapere. I Fiorentini per tema che per le dette parti di Pistoia non surgesse rubellazione de la terra a sconcio di parte guelfa, s’intramisono d’aconciargli insieme, e presono la signoria della terra, e l’una parte e l’altra de’ Cancellieri trassono di Pistoia, e mandarono a’ confini in Firenze. La parte de’ Neri si ridussono a casa de’ Frescobaldi Oltrarno, e la parte de’ Bianchi si ridussono a casa i Cerchi nel Garbo, per parentadi ch’aveano tra·lloro. Ma come l’una pecora malata corrompe tutta la greggia, così questo maladetto seme uscito di Pistoia, istando in Firenze corruppono tutti i Fiorentini e partiro, che prima tutte le schiatte e’ casati de’ nobili, l’una parte tenea e favorava l’una parte, e gli altri l’altra, e appresso tutti i popolari. Per la qual cosa e gara cominciata, non che i Cancellieri per gli Fiorentini si racconciassono insieme, ma i Fiorentini per loro furono divisi e partiti, multiplicando di male in peggio, come seguirà appresso il nostro trattato.

XXXIX Come la città di Firenze si partì e si sconciò per le dette parti bianca e nera.

Nel detto tempo essendo la nostra città di Firenze nel maggiore stato e più felice che mai fosse stata dapoi ch’ella fu redificata, o prima, sì di grandezza e potenza, e sì di numero di genti, che più di XXXm cittadini avea nella cittade, e più di LXXm distrittuali d’arme avea in contado, e di nobilità di buona cavalleria e di franco popolo e di ricchezze grandi, signoreggiando quasi tutta Toscana; il peccato della ingratitudine, col susidio del nimico dell’umana generazione, de la detta grassezza fece partorire superba corruzzione, per la quale furono finite le feste e l’alegrezze de’ Fiorentini, che infino a que’ tempi stavano in molte delizie, e morbidezze, e tranquillo, e sempre in conviti, e ogn’anno quasi per tutta la città per lo calen di maggio si faceano le brigate e le compagnie d’uomini e di donne, di sollazzi e balli. Avenne che per le ’nvidie si cominciarono tra’ cittadini le sette; e una principale e maggiore s’incominciò nel sesto dello scandalo di porte San Piero, tra quegli della casa de’ Cerchi e quegli de’ Donati, l’una parte per invidia, e l’altra per salvatica ingratitudine. De la casa de’ Cerchi era capo messer Vieri de’ Cerchi, e egli e quegli di sua casa erano di grande affare, e possenti, e di grandi parentadi, ricchissimi mercatanti, che la loro compagnia era de le maggiori del mondo; uomini erano morbidi e innocenti, salvatichi e ingrati, siccome genti venuti di piccolo tempo in grande stato e podere. Della casa de’ Donati era capo messer Corso Donati, e egli e quelli di sua casa erano gentili uomini e guerrieri, e di non soperchia ricchezza, ma per motto erano chiamati Malefami. Vicini erano in Firenze e in contado, e per la conversazione de la loro invidia co la bizzarra salvatichezza nacque il superbio isdegno tra·lloro, e maggiormente si raccese per lo mal seme venuto di Pistoia di parte bianca e nera come nel lasciato capitolo facemmo menzione. E’ detti Cerchi furono in Firenze capo della parte bianca, e co·lloro tennero della casa degli Adimari quasi tutti, se non se il lato de’ Cavicciuli; tutta la casa degli Abati, la quale era allora molto possente, e parte di loro erano Guelfi e parte Ghibellini; grande parte de’ Tosinghi, ispezialmente il lato del Baschiera; parte di casa i Bardi, e parte de’ Rossi, e così de’ Frescobaldi, e parte de’ Nerli e de’ Mannelli, e tutti i Mozzi, ch’allora erano molto possenti di ricchezza e di stato, tutti quegli della casa degli Scali, e la maggiore parte de’ Gherardini, tutti i Malispini, e gran parte de’ Bostichi, e Giandonati, de’ Pigli, e de’ Vecchietti, e Arrigucci, e quasi tutti i Cavalcanti, ch’erano una grande possente casa, e tutti i Falconieri, ch’erano una possente casa di popolo. E co·lloro s’accostarono molte case e schiatte di popolani e artefici minuti, e tutti i grandi e popolani ghibellini; e per lo séguito grande ch’aveano i Cerchi il reggimento della città era quasi tutto in loro podere. De la parte nera furono tutti quegli della casa de’ Pazzi quasi principali co’ Donati, e tutti i Visdomini, e tutti i Manieri, e’ Bagnesi, e tutti i Tornaquinci, e gli Spini, e’ Bondelmonti, e’ Gianfigliazzi, Agli, e Brunelleschi, e Cavicciuoli, e l’altra parte de’ Tosinghi, e tutto il rimanente; e parte di tutte le case guelfe nominate di sopra, ché quegli che non furono co’ Bianchi per contrario furono co’ Neri. E così de le dette due parti tutta la città di Firenze e ’l contado ne fu partita e contaminata. Per la qual cagione la parte guelfa, per tema che le dette parti non tornassono in favore de’ Ghibellini, sì mandarono a corte a papa Bonifazio, che·cci mettesse rimedio. Per la qual cosa il detto papa mandò per messer Vieri de’ Cerchi, e come fue dinanzi a·llui, sì ’l pregò che facesse pace con messer Corso Donati e colla sua parte, rimettendo in lui le differenze, e promettendoli di mettere lui e’ suoi in grande e buono stato, e di fargli grazie spirituali come sapesse domandare. Messere Vieri tutto fosse nell’altre cose savio cavaliere, in questo fu poco savio, e troppo duro e bizzarro, che della richesta del papa nulla volse fare, dicendo che non avea guerra con niuno; onde si tornò in Firenze, e ’l papa rimase molto isdegnato contro a·llui e contro a sua parte. Avenne poco appresso che andando a cavallo dell’una setta e dell’altra per la città armati e in riguardo, che con parte de’ giovani de’ Cerchi era Baldinaccio degli Adimari, e Baschiera de’ Tosinghi, e Naldo de’ Gherardini, e Giovanni Giacotti Malispini co·lloro seguaci più di XXX a cavallo; e cogli giovani de’ Donati erano de’ Pazzi, e Spini, e altri loro masnadieri; la sera di calen di maggio, anno MCCC, veggendo uno ballo di donne che si facea nella piazza di Santa Trinita, l’una parte contra l’altra si cominciarono a sdegnare, e a pignere l’uno contro a l’altro i cavagli, onde si cominciò una grande zuffa e mislea, ov’ebbe più fedite, e a Ricoverino di messer Ricovero de’ Cerchi per disaventura fu tagliato il naso dal volto; e per la detta zuffa la sera tutta la città fu per gelosia sotto l’arme. Questo fue il cominciamento dello scandalo e partimento della nostra città di Firenze e di parte guelfa, onde molti mali e pericoli ne seguiro appresso, come per gli tempi faremo menzione. E però avemo raccontato così stesamente l’origine di questo cominciamento de le maladette parti bianca e nera, per le grandi e male sequele che ne seguiro a parte guelfa e a’ Ghibellini, e a tutta la città di Firenze, eziandio a tutta Italia: e come la morte di messer Bondelmonte il vecchio fu cominciamento di parte guelfa e ghibellina, così questo fue il cominciamento di grande rovina di parte guelfa e della nostra città. E nota che l’anno dinanzi a queste novitadi erano fatte le case del Comune, che cominciano a piè del ponte Vecchio sopra l’Arno verso il castello Altrafonte, e per ciò fare si fece il pilastro a piè del ponte, e convenne si rimovesse la statua di Marte; e dove guardava prima verso levante, fu rivolta verso tramontana, onde per l’agurio degli antichi fu detto: «Piaccia a·dDio che la nostra città non abbia grande mutazione».

XL Come il cardinale d’Acquasparta venne per legato del papa per racconciare Firenze, e non lo potéo fare.

Per le sopradette novitadi e sette di parte bianca e nera, i capitani della parte guelfa e il loro consiglio, temendo che per le dette sette e brighe parte ghibellina non esaltasse in Firenze, che sotto titolo di buono reggimento già ne facea il sembiante, e molti Ghibellini tenuti buoni uomini erano cominciati a mettere in su gli ufici, e ancora quegli che teneano parte nera, per ricoverare loro stato, sì mandarono ambasciadori a corte a papa Bonifazio a pregarlo che per bene della cittade e di parte di Chiesa vi mettesse consiglio. Per la qual cosa incontanente il papa fece legato a·cciò seguire frate Matteo d’Acquasparta, suo cardinale Portuense, dell’ordine de’ minori, e mandollo a Firenze, il quale giunse in Firenze del seguente mese di giugno del detto anno MCCC, e da’ Fiorentini fu ricevuto a grande onore. E lui riposato in Firenze, richiese balìa al Comune di pacificare insieme i Fiorentini; e per levare via le dette parti bianca e nera volle riformare la terra, e raccomunare gli ufici, e quegli dell’una parte e dell’altra ch’erano degni d’essere priori mettere in sacchetti a sesto a sesto, e trargli di due in due mesi, come venisse la ventura; che per le gelosie de le parti e sette incominciate non si facea lezione de’ priori per le capitudini dell’arti, che quasi la città non si commovesse a sobuglio, e talora con grande apparecchiamento d’arme. Quegli della parte bianca che guidavano la signoria de la terra, per tema di non perdere loro stato e d’essere ingannati dal papa e dal legato per la detta riformazione, presono il peggiore consiglio e non vollono ubbidire; per la qual cosa il detto legato prese isdegno, e tornossi a corte, e lasciò la città di Firenze scomunicata e interdetta.

XLI De’ mali e de’ pericoli che seguirono a la nostra città appresso.

Partito il legato di Firenze, la città rimase in grande gelosia e in male stato. Avenne che del mese di dicembre seguente, andando messer Corso Donati e’ suoi seguaci e que’ della casa de’ Cerchi e’ loro seguaci armati a una morta di casa i Frescobaldi, isguardandosi insieme l’una parte e l’altra, si vollono assalire, onde tutta la gente ch’era a la morta si levarono a romore; e così fuggendo e tornando ciascuno a casa sua, tutta la città fu ad arme, faccendo l’una parte e l’altra grande raunata a casa loro; messer Gentile de’ Cerchi, Guido Cavalcanti, Baldinaccio e Corso degli Adimari, Baschiera della Tosa, e Naldo de’ Gherardini con loro consorti e seguaci a cavallo e a piè, corsono a porte San Piero a casa i Donati, e non trovandogli a porte San Piero, corsono a San Piero Maggiore, ov’era messer Corso co’ suoi consorti e raunata, da’ quali furono riparati, e rincacciati, e fediti con onta e vergogna de’ Cerchi e de’ loro seguaci; e di ciò furono condannati l’una parte e l’altra dal Comune. Poi poco appresso essendo certi de’ Cerchi in contado a Nepozzano e Pugliano, e in quelle loro contrade e poderi, volendo tornare a Firenze, que’ della casa de’ Donati raunata loro amistà a Remole, contesono il passo, e ebbevi fedite e assalti d’una parte e d’altra; per la qual cosa l’una parte e l’altra furono accusati e condannati della raunata e assalti; e quegli di casa i Donati la maggior parte per non potere pagare andarono dinanzi, e furono messi in pregione. Que’ de’ Cerchi volendo fare a·lloro esemplo, dicendo messer Torrigiano di Cerchio: «Per questo non ci vinceranno, come feciono i Tedaldini, che gli consumarono per pagare le condannagioni»; sì fece andare gli suoi dinanzi, e sostenuti in pregione contra volere di messer Vieri de’ Cerchi e degli altri savi della casa, che conosceano la complessione e morbidezza de’ loro giovani; avenne che uno maladetto ser Neri degli Abati soprastante di quella pregione, mangiando co·lloro, fece venire uno presente d’uno migliaccio avelenato, del quale mangiarono, onde poco appresso in due dì morirono due de’ Cerchi bianchi, e due de’ Neri, e Piggello Portinari, e Ferraino de’ Bronci, e di ciò non fue nulla vendetta.

XLII Di quello medesimo.

Essendo la città di Firenze in tanto bollore e pericoli di sette e di nimistà, onde molto sovente la terra era a romore e ad arme, messer Corso Donati, Ispini, Pazzi, e parte de’ Tosinghi, e Cavicciuli, e loro seguaci, grandi e popolani di loro setta di parte nera, co’ capitani di parte guelfa ch’allora erano al loro senno e volere si raunarono nella chiesa di Santa Trinita, e ivi feciono consiglio e congiura di mandare ambasciadori a corte a papa Bonifazio, acciò che commovesse alcuno signore della casa di Francia, che gli rimettesse in istato, e abattesse il popolo e parte bianca, e in ciò spendere ciò che potessono fare; e così misono a seguizione; onde sappiendosi per la città per alcuna spirazione, il Comune e ’l popolo si turbò forte, e fune fatta inquisizione per la signoria, onde messer Corso Donati che n’era capo fu condannato nell’avere e persona, e gli altri caporali che furono a·cciò in più di XXm libbre, e pagarle. E ciò fatto, furono mandati a’ confini Sinibaldo fratello di messer Corso, e de’ suoi, e messer Rosso, e messer Rossellino della Tosa, e degli altri loro consorti; e messer Giachinotto e messer Pazzino de’ Pazzi e di loro giovani, e messer Geri Spini e de’ suoi al castello della Pieve. E per levare ogni sospetto il popolo mandò i caporali dell’altra parte a’ confini a Serrezzano: ciò fu messer Gentile, e messer Torrigiano, e Carbone de’ Cerchi, e di loro consorti, Baschiera de la Tosa e de’ suoi, Baldinaccio degli Adimari e de’ suoi, Naldo de’ Gherardini e de’ suoi, Guido Cavalcanti e de’ suoi, e Giovanni Giacotti Malespini. Ma questa parte vi stette meno a’ confini, che furono revocati per lo ’nfermo luogo, e tornonne malato Guido Cavalcanti, onde morìo, e di lui fue grande dammaggio, perciò ch’era come filosafo, virtudioso uomo in più cose, se non ch’era troppo tenero e stizzoso. In questo modo si guidava la nostra città fortuneggiando.

XLIII Come papa Bonifazio mandò in Francia per messer Carlo di Valos.

Tornato a corte di papa il legato frate Matteo d’Acquasparta, e informato papa Bonifazio del male stato e dubitoso della città di Firenze, e poi per le novità seguite dopo la partita del legato, come detto avemo, e per infestagione e spendio de’ capitani di parte guelfa e de’ detti confinati, ch’erano al castello della Pieve presso a la corte, e di messer Geri Spini (ch’egli e la sua compagnia erano mercatanti di papa Bonifazio, e del tutto guidatori) co·lloro procaccio e studio, e di messer Corso Donati che seguiva la corte, sì prese per consiglio il detto papa Bonifazio di mandare per messer Carlo di Valos fratello del re di Francia, per doppio intendimento; principalmente per aiuto del re Carlo per la guerra di Cicilia, dando intendimento al re di Francia e al detto messer Carlo di farlo eleggere imperadore de’ Romani, e di confermarlo, o almeno per autorità papale e di santa Chiesa di farlo luogotenente d’imperio per la Chiesa, per la ragione ch’ha la Chiesa vacante imperio; e oltre a questo gli diè titolo di paciario in Toscana, per recare co la sua forza la città di Firenze al suo intendimento. E mandato in Francia per lo detto messer Carlo suo legato, il detto messer Carlo con volontà del re suo fratello venne, come innanzi faremo menzione, colla speranza d’essere imperadore per le promesse del papa, come detto avemo.

XLIV Come i Guelfi furono cacciati d’Agobbio, e poi come ricoveraro la terra, e cacciarne i Ghibellini.

Nel detto anno, del mese di maggio, la parte ghibellina d’Agobbio colla forza degli Aretini e de’ Ghibellini de la Marca, per tradimento ordinato ne la terra, cacciarono i Guelfi d’Agobbio e uccisonne assai; ma poi, a dì XXIIII di giugno vegnente, i Guelfi usciti d’Agobbio colla forza de’ Perugini entrarono in Agobbio, e ricoverarono loro stato, e cacciarne i Ghibellini con grande danno e uccisione di loro.

XLV Come la parte nera furono cacciati di Pistoia.

Negli anni di Cristo MCCCI, del mese di maggio, la parte bianca di Pistoia coll’aiuto e favore de’ Bianchi che governavano la città di Firenze ne cacciarono la parte nera, e disfeciono le loro case, palazzi, e possessioni, intra l’altre una forte e ricca possessione de’ palazzi e torri ch’erano de’ Cancellieri neri, che si chiamava Dammiata.

XLVI Come gl’Interminelli e’ loro seguaci furono cacciati di Lucca.

Nel detto anno, e in quello tempo, essendo la città di Lucca molto insollita per la mutazione di Pistoia, e per le parti bianca e nera, la casa degl’Interminelli di Lucca co·lloro seguaci Mordicastelli, e que’ del Fondo, e altri di loro setta, i quali teneano parte bianca, e s’accostavano co’ Ghibellini e’ Pisani, credendo fare così in Lucca come i Cancellieri bianchi in Pistoia, sì uccisono messer Obizzo degli Obizzi giudice. Per la qual cosa la città di Lucca corse ad arme, e trovandosi la parte nera e’ Guelfi di Lucca più possenti, sì ne cacciarono di Lucca combattendo gl’Interminelli e’ loro seguaci, e disfeciono le loro possessioni, e misono fuoco nella contrada che si chiamava il fondo di porta San Cervagio, e arsonvi più di C case. E così si venne spandendo la maladetta parte per Toscana.

XLVII Come i Guelfi usciti di Genova per pace furono rimessi in Genova.

Nel detto anno i Genovesi feciono pace co’ Grimaldi e gli altri loro usciti guelfi e col re Carlo, e rimisorgli in Genova, e riebbono il castello di Monaco che ’l teneano gli usciti, e colla forza del re Carlo faceano grande guerra a’ Genovesi. Nel detto anno fu guerra e battaglia tra i Veronesi e ’l vescovo di Trento, onde i Veronesi ebbono il peggiore e furono sconfitti. E nel detto anno poco appresso morì messer Alberto de la Scala capitano e signore di Verona, e grande tiranno in Lombardia, e appresso di lui rimasono signori messer Cane e gli altri figliuoli del detto messer Alberto, tutto fossono assai di piccola etade; ma innanzi che morisse fece cavalieri VII tra’ suoi figliuoli e nipoti, ch’avea il maggiore meno di XII anni.

XLVIII Come aparve in cielo una stella commata.

Nel detto anno, del mese di settembre, apparve in cielo una stella commata con grandi raggi di fummo dietro, apparendo la sera di verso il ponente, e durò infino al gennaio, de la quale i savi astrolagi dissono grandi significazioni di futuri pericoli e danni a la provincia d’Italia, e a la città di Firenze, e massimamente perché la pianeta di Saturno e quella di Marti in quello anno s’erano congiunte due volte insieme nel mese di gennaio e di maggio nel segno del Leone, e la luna scurata del detto mese di gennaio similemente nel segno del Leone, il quale s’atribuisce a la provincia d’Italia. E bene asseguì la significazione, come innanzi leggendo potrete comprendere; ma singularmente si disse che la detta commeta significò l’avento di messer Carlo di Valos, per la cui venuta molte rivolture ebbe la provincia d’Italia e la nostra città di Firenze.

XLIX Come messer Carlo di Valos di Francia venne a papa Bonifazio, e poi venne in Firenze e caccionne la parte bianca.

Nel detto anno MCCCI, del mese di settembre, giunse ne la città d’Anagna in Campagna, ov’era papa Bonifazio co la sua corte, messer Carlo conte di Valos e fratello del re di Francia con più conti e baroni, e da Vc cavalieri franceschi in sua compagnia, avendo fatta la via da Lucca ad Anagna sanza entrare in Firenze, perché n’era sospetto; il quale messer Carlo dal papa e da’ suoi cardinali fu ricevuto onorevolemente; e venne ad Anagna lo re Carlo e’ suoi figliuoli a parlamentare co·llui e a onorarlo; e ’l papa il fece conte di Romagna. E trattato e messo in assetto col papa e co·re Carlo il passaggio di Cicilia a la primavera vegnente, per la principale cagione perch’era mosso di Francia, il papa non dimenticato lo sdegno preso contro a la parte bianca di Firenze, non volle che soggiornasse e vernasse invano, e per infestamento de’ Guelfi di Firenze, sì gli diede il titolo di paciaro in Toscana, e ordinò che tornasse a la città di Firenze. E così fece, colla sua gente, e con molti altri Fiorentini e Toscani e Romagnuoli, usciti e confinati di loro terra per parte guelfa e nera. E venuto a Siena e poi a Staggia, que’ che governavano la città di Firenze, avendo sospetto di sua venuta, tennero più consigli di lasciarlo entrare nella città o no. E mandandogli ambasciadori, e egli con belle e amichevoli parole rispondendo come venia per loro bene e stato, e per mettergli in pace insieme; per la qual cosa quegli che reggeano la terra, tutto fossono a parte bianca, si vocavano e voleansi tenere Guelfi, presono partito di lasciarlo venire. E così il dì d’Ognesanti MCCCI entrò messer Carlo in Firenze, disarmata sua gente, faccendogli i Fiorentini grande onore, vegnendogli incontro a processione, e con molti armeggiatori con bandiere, e coverti i cavagli di zendadi. E lui riposato e soggiornato in Firenze alquanti dì, sì richiese il Comune di volere la signoria e guardia de la cittade, e balìa di potere pacificare i Guelfi insieme. E ciò fu asentito per lo Comune, e a dì V di novembre nella chiesa di Santa Maria Novella, essendosi raunati podestà, e capitano, e’ priori, e tutti i consiglieri, e il vescovo, e tutta la buona gente di Firenze, e della sua domanda fatta proposta e diliberata, e rimessa in lui la signoria e la guardia della città. E messer Carlo dopo la sposizione del suo aguzzetta di sua bocca accettò e giurò, e come figliuolo di re promise di conservare la città in pacifico e buono stato; e io scrittore a queste cose fui presente. Incontanente per lui e per sua gente fu fatto il contradio, che per consiglio di messer Musciatto Franzesi, il quale infino di Francia era venuto per suo pedoto, sì come era ordinato per gli Guelfi neri, fece armare sua gente, e innanzi che messer Carlo fosse tornato a casa, ch’albergava in casa i Frescobaldi Oltrarno; onde per la detta novitade di vedere i cittadini la sua gente a cavallo armata, la città fu tutta in gelosia e sospetto, e a l’arme grandi e popolani, ciascuno a casa de’ suoi amici secondo suo podere, abarrandosi la città in più parti. Ma a casa i priori pochi si raunarono, e quasi il popolo fue sanza capo, veggendosi traditi e ingannati i priori e coloro che reggeano il Comune. In questo romore messer Corso de’ Donati, il qual era isbandito e rubello, com’era ordinato, il dì medesimo venne in Firenze da Peretola con alquanto séguito di certi suoi amici e masnadieri a piè, e sentendo la sua venuta i priori e’ Cerchi suoi nemici, vegnendo a·lloro messer Schiatta de’ Cancellieri, ch’era in Firenze capitano per lo Comune di CCC cavalieri soldati, e volea andare contro al detto messer Corso per prenderlo e per offenderlo, messer Vieri caporale de’ Cerchi non aconsentì, dicendo: «Lasciatelo venire», confidandosi nella vana speranza del popolo, che ’l punisse. Per la qual cosa il detto messer Corso entrò ne’ borghi della cittade, e trovando le porte de le cerchie vecchie serrate, e non potendo entrare, sì se ne venne a la postierla da Pinti, ch’era di costa a San Piero Maggiore tra le sue case e quelle degli Uccellini, e quella trovando serrata cominciòe a tagliare, e dentro per gli suoi amici fu fatto il somigliante, sì che sanza contasto fu messa in terra. E lui entrato dentro schierato in su la piazza di San Piero Maggiore, gli crebbe genti e séguito di suoi amici, gridando: «Viva messere Corso e ’l barone!», ciò era messer Corso, che così il nomavano; ed egli veggendosi crescere forza e séguito, la prima cosa che fece, andòe a le carcere del Comune, ch’erano nelle case de’ Bastari nella ruga del palagio, e quelle per forza aperse e diliberò i pregioni; e ciò fatto, il simile fece al palazzo de la podestà, e poi a’ priori, faccendogli per paura lasciare la signoria e tornarsi a·lloro case. E con tutto questo stracciamento di cittade, messer Carlo di Valos né sua gente non mise consiglio né riparo, né atenne saramento o cosa promessa per lui. Per la qual cosa i tiranni e malfattori e isbanditi ch’erano nella cittade, presa baldanza, e essendo la città sciolta e sanza signoria, cominciarono a rubare i fondachi e botteghe, e le case a chi era di parte bianca, o chi avea poco podere, con molti micidii, e fedite faccendo ne le persone di più buoni uomini di parte bianca. E durò questa pestilenzia in città per V dì continui con grande ruina della terra. E poi seguì in contado, andando le gualdane rubando e ardendo le case per più di VIII dì, onde in grande numero di belle e ricche possessioni furono guaste e arse. E cessata la detta ruina e incendio, messer Carlo col suo consiglio riformarono la terra e la signoria del priorato di popolani di parte nera. E in quello medesimo mese di novembre venne in Firenze il sopradetto legato del papa, messer Matteo d’Acquasparta cardinale, per pacificare i cittadini insieme, e fece fare la pace tra que’ della casa de’ Cerchi e gli Adimari e’ loro seguaci di parte bianca co’ Donati e’ Pazzi e’ loro seguaci di parte nera, ordinando matrimoni tra·lloro; e volendo raccomunare gli ufici, quegli di parte nera co la forza di messer Carlo non lasciarono, onde il legato turbato si tornò a corte, e lasciòe interdetta la cittade. E la detta pace poco durò, che avenne il dì di pasqua di Natale presente, andando messer Niccola de’ Cerchi bianchi al suo podere e molina con suoi compagni a cavallo, passando per la piazza di Santa Croce, che vi si facea il predicare, Simone di messer Corso Donati, nipote per madre del detto messer Niccola, sospinto e confortato di mal fare, con suoi compagni e masnadieri seguì a cavallo il detto messer Niccola, e giugnendolo al ponte ad Africo l’assalì combattendo; per la qual cosa il detto messer Niccola sanza colpa o cagione, né guardandosi di Simone, dal detto suo nipote fu morto e atterrato da cavallo. Ma come piacque a·dDio, la pena fu apparecchiata a la colpa, che fedito il detto Simone dal detto messer Niccola per lo fianco, la notte presente morìo; onde tutto fosse giusto giudicio, fu tenuto grande danno, che ’l detto Simone era il più compiuto e virtudioso donzello di Firenze, e da venire in maggiore pregio e stato, ed era tutta la speranza del suo padre messer Corso, il quale della sua allegra tornata e vittoria ebbe in brieve tempo doloroso principio di suo futuro abbassamento. In questo tempo poco appresso, non possendo la città di Firenze posare, essendo pregna dentro del veleno della setta de’ Bianchi e Neri, convenne che partorisse doloroso fine; onde avenne che·ll’aprile vegnente con ordine e con trattato fatto per gli Neri uno barone di messer Carlo, ch’avea nome messer Piero Ferrante di Linguadoco, cercò cospirazione co’ detti della casa de’ Cerchi, e con Baldinaccio degli Adimari, e Baschiera de’ Tosinghi, e Naldo Gherardini, e altri loro seguaci di parte bianca, di volergli con suo séguito e di sua gente rimettere in istato, e tradire messer Carlo, con grandi impromesse di pecunia; onde lettere e co·lloro suggelli furono fatte, overo falsificate, le quali per lo detto messer Piero Ferrante, com’era ordinato, furono portate a messer Carlo. Per la qual cosa i detti caporali di parte bianca, ciò furono tutti quegli della casa de’ Cerchi bianchi da porte San Piero, Baldinaccio e Corso degli Adimari, con quasi tutto il lato de’ Bellincioni, Naldo de’ Gherardini col suo lato della casa, Baschiera de’ Tosinghi col suo lato de la detta casa, alquanti di casa i Cavalcanti, Giovanni Giacotto Malispini e’ suoi consorti, questi furono i caporali che furono citati, e non comparendo, o per tema del malificio commesso, o per tema di non perdere le persone sotto il detto inganno, si partiro de la città, acompagnati da’ loro aversari; e chi n’andò a Pisa, e chi ad Arezzo e Pistoia, accompagnandosi co’ Ghibellini e nimici de’ Fiorentini. Per la qual cosa furono condannati per messer Carlo come ribelli, e disfatti i loro palazzi e beni in città e in contado, e così di molti loro seguaci grandi e popolani. E per questo modo fue abattuta e cacciata di Firenze la ’ngrata e superba parte de’ Bianchi, con séguito di molti Ghibellini di Firenze, per messer Carlo di Valos di Francia per la commessione di papa Bonifazio, a dì IIII d’aprile MCCCII, onde a la nostra città di Firenze seguirono molte rovine e pericoli, come innanzi per gli tempi potremo leggendo comprendere.

L Come messer Carlo di Valos passò in Cicilia per fare guerra per lo re Carlo, e fece ontosa pace.

Nel detto anno MCCCII, del mese d’aprile, messer Carlo di Valos fornito in Firenze quello perché era venuto, cioè sotto trattato di pace cacciata la parte bianca di Firenze, si partì, e andonne a corte, e poi a Napoli; e là trovato lo stuolo e apparecchiamento fatto per lo re Carlo di più di cento tra galee e uscieri e legni grossi, sanza i sottili, per passare in Cicilia, sì si ricolse in mare, e in sua compagnia Ruberto duca di Calavra figliuolo del re Carlo con più di MD cavalieri. E apportato in Cicilia al porto di..., scese in terra per guerreggiare l’isola, ma don Federigo di Raona signore di Cicilia, non possendo resistere né comparire a la forza di messer Carlo in mare né in terra, con suoi Catalani si mise a fare guerra guerriata a messer Carlo, andandoli fuggendo innanzi di luogo in luogo, e talora di dietro a impedirgli la vittuaglia, per modo che in poco tempo sanza acquistare terra neuna di rinomo, se non Termole, messer Carlo e sua gente furono per malatia di loro e de’ cavagli, per difalta di vittuaglia, quasi straccati. Per la qual cosa per necessitade convenne che si partisse con suo poco onore. E veggendo che altro non potea, messer Carlo sanza saputa del re Carlo ordinò una dissimulata pace con don Federigo, cioè ch’egli prendesse per moglie la figliuola del re Carlo detta Alienora, e che, quando la Chiesa e ’l re Carlo gli atassono acquistare altro reame, ch’egli lascerebbe a queto al re Carlo l’isola di Cicilia; e se non, sì·lla dovesse tenere per dote della moglie tutta sua vita, e appresso la sua morte i suoi figliuoli lasciare l’isola al re Carlo e a sue rede, dando loro Cm once d’oro. La qual cosa fatta, e promessa e giurata per le parti, e tornato messer Carlo coll’armata a Napoli, e mandatagli la figliuola del re Carlo, sì la sposò; ma poi di promessa fatta nulla s’aseguìo: e così per contradio si disse per motto: «Messer Carlo venne in Toscana per paciaro, e lasciòe il paese in guerra; e andòe in Cicilia per fare guerra, e reconne vergognosa pace». Il quale il novembre vegnente si tornò in Francia, scemata e consumata sua gente e con poco onore.

LI Come si cominciò la compagna di Romania.

Nel detto anno MCCCII, partito messer Carlo di Cicilia e rimasa l’isola in pace, una grande gente di soldati catalani, genovesi, e altri italiani istati in Cicilia a la detta guerra per l’una parte e per l’altra, si partirono di Cicilia con XX galee e altri legni, onde feciono loro capitano uno frate Ruggieri dell’ordine de’ Tempieri, uomo dissoluto, e di sangue, e crudele, e passarono in Romania per conquistare terra, e puosonsi nel reame di Salome e quello distrussono, e guastarono la Grecia infino in Gostantinopoli, e crescendo il loro podere d’ogni colletta di gente latina, fuggitivi, dissoluti, e paterini, e d’ogni setta scacciati, vivendo illibitamente fuori d’ogni legge, si chiamaro la Compagna, stando e vivendo in corso e in guerra a la roba d’ogni uomo; e ciò ch’aquistavano era comune, distruggendo e rubando ciò che trovavano, sanza ritenere città, o castella, o casale che prendessono, ma quelle rubate ardendo e guastando. E così durò la detta dissoluta compagna più di XII anni, uccidendo più loro signori, e rimutandoli in poco tempo chi più avea séguito o podere. A la fine tornaro sopra le terre del dispoto, cioè il reame di Macedonia, e quelle distrussono; e poi ne vennero nel ducato d’Atena, e rubellarsi dal conte di Brenna ch’era duca d’Atena, e loro capitano e signore, e per quistioni da·llui a·lloro si combatterono insieme, e sconfissono il detto duca loro signore, e a·llui tagliarono la testa, e presono le terre sue, e di quelle della Morea; e quegli signoraggi tra·lloro si partirono; e disabitarono e distrussono gli antichi fii de’ Franceschi, che que’ signoraggi teneano, e le loro donne e figliuole che a·lloro piacquero ritennero e le presono per mogli, e rimasono abitanti e paesani della terra. E così le delizie de’ Latini, acquistate anticamente per gli Franceschi, i quali erano i più morbidi e meglio stanti che in nullo paese del mondo, per così dissoluta gente furono distrutte e guaste. Lasceremo de’ fatti di Romania e di Cicilia, e torneremo a le novità che sursono in Firenze e in Toscana per la cacciata de’ Bianchi di Firenze.

LII Come i Fiorentini e’ Lucchesi feciono oste sopra la città di Pistoia, e come ebbono per assedio il castello di Serravalle.

Nel detto anno MCCCII, del mese di maggio, essendo la città di Pistoia ribellata a’ Fiorentini e a’ Lucchesi per la cacciata de’ Bianchi di Firenze e degl’Interminelli di Lucca, e parte di loro detti usciti ridotti in Pistoia per fare guerra, il Comune di Firenze e quello di Lucca di concordia feciono oste a la città di Pistoia, e furonvi di Firenze tra cavallate e soldati M cavalieri e VIm pedoni, e di Lucca più di VIc cavalieri e bene Xm pedoni; e la città di Pistoia guastarono intorno intorno, istandovi ad assedio per XXIII dì. Dentro a Pistoia era messer Tosolato degli Uberti loro capitano di guerra con IIIc cavalieri, e guardò e difese bene la cittade. A la fine veggendo i Lucchesi che la stanza di Pistoia era speranza vana di potere per forza o per assedio avere la città, s’accordaro di ritrarsi adietro co·lloro oste, e di porsi all’assedio del castello di Serravalle, ch’era de’ Pistolesi ed era molto forte; e così fu fatto. E al detto assedio rimasono le due sestora delle cavallate di Firenze, rimutandosi a tempo a tempo con parte di loro soldati e gente a piè assai, tenendo i Fiorentini il loro campo di verso Pistoia. E quello castello combattuto, e con più difici grossi che gittavano dentro macerato, ma per tutto ciò non s’arendea, però che dentro v’avea più di IIIIc de’ maggiori e de’ migliori cittadini di Pistoia, i quali difendeano il castello, e al continuo assalivano il campo vigorosamente, a la fine per mala provisione di vittuaglia a tanta gente, quanta avea dentro tra Pistolesi e terrazzani e forestieri, ch’era più di MCC uomini, sanza le femmine e’ fanciulli, fallì loro; per la qual cosa per necessità di vivanda s’arrenderono pregioni al Comune di Lucca a dì VI di settembre del detto anno; onde più di CCC Pistolesi n’andarono legati pregioni a la città di Lucca, e gli altri terrazzani rimasono fedeli de’ Lucchesi, i quali Lucchesi vi feciono una nuova e forte rocca da la parte loro di Valdinievole, e uno grosso muro da la rocca vecchia di qua ov’è la pieve a la Nuova, per tenere meglio il detto castello a·lloro ubbidienza, recandogli a loro contado.

LIII Come i Fiorentini ebbono il castello di Piano di Trevigne e più altre castella ch’aveano rubellate i Bianchi.

Nella stanza del detto assedio di Pistoia si rubellò a’ Fiorentini il castello di Piano di Trevigne in Valdarno per Carlino de’ Pazzi di Valdarno, e in quello col detto Carlino si rinchiusono de’ migliori nuovi usciti Ghibellini e Bianchi di Firenze, grandi e popolani, e faceano grande guerra nel Valdarno; per la qual cosa fu cagione di levarsi l’oste da Pistoia, lasciando i Fiorentini il terzo della loro gente all’assedio di Serravalle in servigio de’ Lucchesi, come detto avemo, e tutta l’altra oste tornata in Firenze, sanza soggiorno n’andarono del mese di giugno in Valdarno e al detto castello di Piano, e a quello istettono, e assediarono per XXVIIII dì. A la fine per tradimento del sopradetto Carlino e per moneta che n’ebbe i Fiorentini ebbono il castello. Essendo il detto Carlino di fuori, fece a’ suoi fedeli dare l’entrata del castello, onde molti vi furono morti e presi, pure de’ migliori usciti di Firenze. E ciò fatto, tornati a Firenze con questa vittoria, sanza soggiorno andarono popolo e cavalieri di Firenze in Mugello sopra i signori Ubaldini, i quali co’ Bianchi e co’ Ghibellini s’erano rubellati al Comune di Firenze, e guastarono i loro beni di qua da l’alpe e di là. E tornati in Firenze, la state medesima cavalcarono in Valdigrieve sopra il castello di Monte Agliari e di Monte Aguto, i quali aveano rubellati que’ della casa de’ Gherardini, ch’erano di parte bianca, e quelle due castella s’arrenderono a patti, salve le persone, al Comune di Firenze, le quali il Comune di Firenze fece disfare. E nel detto anno i Fiorentini ebbono gran vittoria in ogni loro oste e cavalcata che feciono, bene aventurosamente perseguitando in ogni parte gli usciti bianchi e’ ghibellini con loro distruzzione.

LIV Come l’isola d’Ischia gittò maraviglioso fuoco.

Nel detto anno MCCCII l’isola d’Ischia, la quale è presso a Napoli, gittò grandissimo fuoco per la sua solfaneria, per modo che gran parte dell’isola consumò, e guastò infino al girone d’Ischia; e molte genti, e bestiame, e la terra medesima per quella pestilenzia morirono e si guastarono. E molti per iscampare fuggirono a l’isola di Procita e a quella di Capri, e a terra ferma a Napoli, e a Baia, e a Pozzuolo, e in quelle contrade; e durò la detta pestilenzia più di due mesi. Lasceremo alquanto de’ nostri fatti di Firenze e di que’ d’Italia, e faremo incidenza e disgressione per raccontare grandi e maravigliose novitadi che a questo tempo avennero ne·reame di Francia, cioè nelle parti di Fiandra, le quali sono bene da notare e da farne ordinata memoria nel nostro trattato.

LV Come il popolo minuto di Bruggia si rubellò dal re di Francia, e uccisono i Franceschi.

Come noi lasciammo adietro nel capitolo, che ’l re di Francia ebbe al tutto la signoria di Fiandra, e in sua pregione il conte e due suoi figliuoli l’anno MCCLXXXXVIIII, e lasciato guernito di sua gente e di suoi balii il paese, e che gli artefici minuti di Bruggia, come sono tesserandoli e foloni di drappi, e beccari, e calzolai, e altri, fossono uditi a ragione per la loro petizione data a lo re, e adirizzati di loro pagamenti per gli loro lavorii, e dell’assise de la terra, le quali erano loro incomportabili; la detta gente de la Comune non fu udita né adirizzati; ma i balii del re a preghiera de’ grandi borgesi e per loro moneta i caporali de’ detti artefici e popolo minuto, i quali erano i principali Piero le Roi tesserandolo e Giambrida beccaio, con più di XXX de’ maggiori di loro mestieri e arti misono in pregione in Bruggia. E nota che ’l detto Piero le Roi fu il capo e commovitore de la Comune, e per sua franchezza fu sopranominato Piero le Roi, e in fiammingo Connicheroi, cioè Piero lo re. Questo Piero era tessitore di panni povero uomo, e era piccolo di persona e sparuto, e cieco dell’uno occhio, e d’età di più di LX anni; lingua francesca né latina non sapea, ma in sua lingua fiamminga parlava meglio, e più ardito e stagliato che nullo di Fiandra e per lo suo parlare commosse tutto il paese a le grandi cose che poi seguiro, e però è bene ragione di fare di lui memoria. E per la presa di lui e de’ suoi compagni il popolo minuto di Bruggia corsono la terra e combatterono il borgo, cioè il castello ove stanno gli schiavini e’ rettori della terra, e uccisono de’ borgesi, e per forza trassono di pregione i loro caporali. E ciò fatto, di questa querela si fece triegua e appello a Parigi dinanzi al re, e durò bene uno anno la quistione; e a la fine per moneta spesa per gli grandi borgesi di Fiandra intorno a la corte del re il popolo minuto ebbono la sentenzia incontro; onde venuta la novella a Bruggia, que’ de la Comuna si levarono da capo a romore e ad arme; ma per paura delle masnade e de’ grandi borgesi si partirono di Bruggia, e andarne a la terra del Damo ivi presso a III miglia, e quella corsono, e uccisono il balio e’ sergenti che v’erano per lo re, e rubarono i grandi borgesi de la terra, e uccisorne; e ciò fatto, come genti disperati e in furia, vennero a la terra d’Andiborgo e feciono il somigliante; e poi ne vennero al maniere del conte che si chiama Mala, presso a Bruggia a tre miglia, che v’era dentro il balio di Bruggia e da LX sergenti del re, e quella fortezza per forza presono, e sanza misericordia o redenzione quanti Franceschi dentro avea misero a morte. I grandi borgesi di Bruggia veggendo così adoperare e crescere la forza al minuto popolo, temettono di loro e de la terra; incontanente mandarono in Francia per soccorso; per la qual cosa lo re incontanente vi mandò messer Giacomo di San Polo sovrano balio di tutta Fiandra, con MD cavalieri franceschi, e con sergenti assai; e giunti a Bruggia, presono e fornirono i palagi de l’Alle del Comune e tutte le fortezze de la terra con guernigione di loro genti d’arme, istando la terra di Bruggia in grande sospetto e guardia. E crescendo la forza e l’ardire al minuto popolo, come piacque a·dDio, per pulire il peccato de la superbia e avarizia de’ grandi borgesi e abattere l’orgoglio de’ Franceschi, quegli artefici e popolo minuto ch’erano rimasi in Bruggia feciono tra·lloro giura e cospirazione di disperarsi per uccidere i Franceschi e’ grandi borgesi, e mandarono per gli loro isfuggiti a la terra del Damo e quella d’Andiborgo, ond’erano loro capi e maestri Piero le Roi e Giambrida, che venissono a Bruggia, li quali cresciuti in baldanza per la vittoria e uccisione per loro cominciata contro a’ Franceschi, a bandiere levate, e le femmine come gli uomini, vennero in Bruggia la notte di... com’era ordinato; e poteallo fare, però che lo re avea fatti abattere i fossi e porte di Bruggia. E giunti nella terra, dandosi nome con que d’entro, e gridando in loro linguaggio fiamingo, che da’ Franceschi nonn-erano intesi; «Viva la Comune, e a la morte de’ Franceschi!», abarraro le rughe de la terra. Per la qual cosa si cominciò la dolorosa pestilenzia e morte de’ Franceschi, per modo che qualunque Fiammingo avea in sua casa nullo Francesco, o l’uccidea, o ’l menava preso a la piazza dell’Alla, ove la Comune era raunata e armata, e là giugnendo i presi, come tonnina in pezzi erano tagliati e morti. Sentendo i Franceschi levato il romore, e armandosi per raunarsi insieme, si trovavano da’ loro osti tolti i freni, e le selle de’ cavalli nascose. E più ne faceano le femmine che gli uomini; e chi era montato a cavallo trovava le rughe abarrate, e gittati loro i sassi da le finestre, e morti per le vie. E così durò tutto il giorno la detta persecuzione, ove morirono, che con ferri, e che di sassi, e d’esser gittati gli uomini dalle finestre delle torri e palazzi dell’Alle, ov’erano in fortezze più di MCC Franceschi a cavallo e più di MM sergenti a piede, onde tutte le rughe e piazze di Bruggia erano piene di corpi morti, e di sangue e carogna de’ Franceschi, che più di tre dì gli penarono a sotterrare, portandogli in carra fuori della terra, e gittandogli in fosse a’ campi; e de’ grandi borgesi assai vi furono morti, e tutte loro case rubate. Messer Giache di San Polo con pochi fuggendo scampò, perch’abitava presso all’uscita della terra; e questa pestilenzia fu uno... del mese di..., gli anni di Cristo MCCCI.

LVI De la grande e disaventurosa sconfitta che’ Franceschi ebbono a Coltrai da’ Fiaminghi.

Dopo la detta rubellazione di Bruggia e morte de’ Franceschi i maestri e’ capitani della Comune di Bruggia, parendo loro avere fatte e cominciate grandi imprese, e grande misfatto contro a·re di Francia e sua gente, e considerando di non potere per loro medesimi sostenere sì gran fascio, essendo sanza il loro signore e sanza altro aiuto, sì mandarono in Brabante per lo giovane Guiglielmo di Giulieri, fratello dell’altro messer Guiglielmo di Giulieri che morì per la sconfitta di Fornes ad Arazzo in pregione del conte d’Artese, come adietro facemmo menzione. Questo Guiglielmo era nato per madre della figliuola del vecchio conte Guido di Fiandra, e figliuolo del conte di Giulieri di Valdireno, ed era gran cherico. Sì tosto come fu richesto da que’ di Bruggia, per vendicare il suo fratello da’ Franceschi, lasciò la chericia e venne in Fiandra, e da que’ di Bruggia fu ricevuto a grande onore, e fatto loro signore. Incontanente fece gridare oste sopra la villa e terra di Guanto, che si tenea per lo re; ma la terra era forte de le più del mondo per sito e per mura, fossi, e riviere, e paduli, sicché il loro assalto fue invano; onde si partirono e andarono a le terre del Franco di Bruggia de le marine di Fiandra, e quelle quasi tutte con poca fatica recaro in loro signoria, come fu le Schiuse, Nuovoporto, Berghe, e Fornes, e Gravalingua, e più altre ville; onde gran popolo crebbe a que’ di Bruggia. E ciò sentendo il giovane Guido figliuolo del conte di Fiandra della seconda donna, nato della contessa di Namurro, venne in Fiandra, e accozzossi con Guiglielmo di Giulieri suo nipote, e furono insieme fatti signori e guidatori del popolo di Fiandra ribello del re di Francia; e tornando da le terre delle marine, ebbono a patti Guidendalla, il ricco maniere del conte, ove avea più di Vc Franceschi. E ciò fatto, venne messer Guido a oste sopra Coltrai con XVm di Fiaminghi a piè, e ebbe la terra, salvo il castello del re, ch’era molto forte e guernito de’ Franceschi a cavallo e a piè. Guiglielmo di Giulieri andòe all’assedio al castello di Cassella con parte dell’oste, e in questa istanza quegli della terra d’Ipro e di Camua di loro volontà s’arendero a messer Guido di Fiandra, onde crebbe gran podere a’ Fiaminghi, e ingrossossi l’oste a Coltrai. Quegli del castello che v’erano per lo re, si difendeano francamente, e co·lloro ingegni e difici disfeciono e arsono gran parte della terra di Coltrai; ma per lo improviso assedio de’ Fiamminghi non erano guerniti di vittuaglia quanto bisognava loro; e però mandarono in Francia al re per soccorso tostano, onde il re sanza indugio vi mandò il buono conte d’Artese suo zio e de la casa di Francia, con più di VIIm cavalieri gentili uomini, conti, e duchi, e castellani, e banderesi, onde de’ caporali fareno menzione, e con XLm sergenti a piè, de’ quali erano più di Xm balestrieri. E giunti sopra il colle il quale è di contro a Coltrai, verso la via che va a Tornai, in su quello s’acamparono, presso del castello a mezzo miglio. E per fornire le spese della cominciata guerra di Fiandra lo re di Francia, per male consiglio di messer Biccio e Musciatto Franzesi nostri contadini, sì fece peggiorare e falsificare la sua moneta, onde traeva grande entrata, però che ella venne peggiorando di tempo in tempo, sì che la recò a la valuta del terzo, onde molto ne fu abominato e maldetto per tutti i Cristiani; e molti mercatanti e prestatori di nostro paese ch’erano co·lloro moneta in Francia ne rimasono diserti. Il buono e valente giovane messer Guido di Fiandra, veggendo l’esercito de’ Franceschi a cavallo e a piè che gli erano venuti adosso, e conoscendo ch’egli non potea schifare la battaglia, o abandonare la terra di Coltrai e l’assedio del castello, e lasciandolo e tornando a Bruggia col suo popolo era morto e confuso, sì mando per messer Guiglielmo di Giulieri ch’era all’assedio di Cassella che lasciasse l’assedio, e colla sua oste venisse a·llui, e così fu fatto; e trovarsi insieme con XXm uomini a piè, che nullo v’avea cavallo per cavalcare se non i signori. E diliberato al nome di Dio e di messer san Giorgio di prendere la battaglia, uscirono della terra di Coltrai, e levarono il loro campo, ch’era di là dal fiume de la Liscia, e passarono in su uno rispianato poco di fuori della terra, per lo cammino che va a Guanto, e quivi si schieraro incontro a’ Franceschi; ma segacemente presono vantaggio, che a traverso di quella pianura corre uno fosso che raccoglie l’acque della contrada e mette nella Liscia, il quale è largo il più V braccia e profondo III, e sanza rilevato che si paia di lungi, che prima v’è altri su, che quasi s’acorga che v’abbia fossato. In su quello fosso dal loro lato si schieraro a modo d’una luna come andava il fosso, e nullo rimase a cavallo, ma ciascuno a piè, così i signori e’ cavalieri come la comune gente, per difendersi da la percossa delle schiere de’ cavalli de’ Franceschi, e ordinarsi uno con lancia (che l’usano ferrate, tegnendole a guisa che si tiene lo spiedo a la caccia del porco salvatico), e uno con uno grande bastone noderuto come manica di spiedo, e dal capo grosso ferrato e puntaguto, legato con anello di ferro da ferire e da forare; e questa salvaggia e grossa armadura chiamano godendac, cioè in nostra lingua buono giorno. E così aringati uno ad uno, che altre poche armadure aveano da offendere o da difendere, come genti povere e non usi in guerra, come disperati di salute, considerando il grande podere de’ loro nimici, si vollono innanzi conducere a morire al campo, che fuggire e essere presi e per diversi tormenti giudicati: feciono venire per tutto il campo uno prete parato col corpo di Cristo, sì che ciascuno il vide, e in luogo di comunicarsi, ciascuno prese uno poco di terra e si mise in bocca. Messer Guido di Fiandra e messer Guiglielmo di Giulleri andavano dinanzi a le schiere confortandogli e amonendo di ben fare, ricordando loro l’orgoglio e superbia de’ Franceschi, e ’l torto che faceano a’ loro signori e a·lloro, e a quello che verrebbono per le cose fatte per loro, se’ Franceschi fossono vincitori; e mostrando loro ch’essi combatteano per giusta causa, e per iscampare loro vita e di loro figliuoli, e che francamente dovessero principalmente intendere pure amazzare e fedire i cavalli. E messer Guido di sua mano in su ’l campo fece cavaliere il valente Piero le Roi con più di XL de la Comune, promettendo, se vincessono, a ciascuno dare retaggio di cavaliere. Il conte d’Artese capitano e duca dell’oste de’ Franceschi, veggendo i Fiamminghi usciti a campo, fece stendere il campo suo, e scese più al piano contro a’ nemici, e ordinò i suoi in X schiere in questo modo: che de la prima fece guidatore messer Gianni di Barlas con MCCCC cavalieri soldati, Provenzali, Guasconi, Navarresi, Spagnuoli, e Lombardi, molto buona gente; de la seconda fece conduttore messere Rinaldo d’Itria valente cavaliere con Vc cavalieri; la terza schiera fu di VIIc cavalieri, onde fu capitano messer Rau di Niella, conestabile di Francia; la quarta battaglia fu di VIIIc cavalieri, la quale guidava messer Luis di Chiermonte della casa di Francia; la quinta, il conte d’Artese generale capitano con M cavalieri; la sesta, il conte di San Polo con VIIc cavalieri; la settima, il conte d’Albamala, e il conte di Du, e il ciamberlano di Francavilla con M cavalieri; l’ottava, messer Ferri figliuolo del duca de·Loreno, e il conte di Sassona con VIIIc cavalieri; la nona battaglia guidava messer Gottifredi fratello del duca di Brabante, e messer Gianni figliuolo del conte d’Analdo con Vc cavalieri brabanzoni e anoieri; la decima fu di CC cavalieri e di Xm balestrieri, la quale guidava messere Giache di san Polo con messer Simone di Piemonte e Bonifazio di Mantova, con più d’altri XXXm sergenti d’arme a piè, Lombardi, Franceschi, e Provenzali, e Navarresi, detti bidali, con giavellotti. Questa fu la più nobile oste di buona gente che mai facesse il detto re di Francia, dov’era il fiore de la baronia e baccelleria de’ cavalieri de·reame di Francia, di Brabante, d’Analdo, e di Valdireno. Essendo aringate le battaglie dell’una parte e dell’altra per combattere, messer Gian di Burlas, e messer Simone di Piemonte, e Bonifazio, capitani di soldati e balestrieri forestieri, molto savi e costumati di guerra, furono al conastabole e dissono: «Sire, per Dio lasciamo vincere questa disperata gente e popolo di Fiaminghi sanza volere mettere a pericolo il fiore della cavalleria del mondo. Noi conosciamo i costumi de’ Fiaminghi: e’ sono usciti di Coltrai come disperati d’ogni salute, o per combattere o per fuggirsi, e sono acampati di fuori, e lasciato nella terra i loro poveri arnesi e vivanda. Voi starete schierati co la vostra cavalleria, e noi co’ nostri soldati che sono usi di fare assalti e correrie, e co’ nostri balestrieri, e cogli altri pedoni, che n’avemo due cotanti di loro, enterremo tra loro e la terra di Coltrai, e gli assaliremo da più parti, e terregli in badalucchi e scheremugi gran parte del dì. I Fiaminghi sono di grande pasto, e tutto dì sono usi di mangiare e di bere; tegnendoli noi in bistento e digiuni, gli straccheremo, e non potranno durare, perché non si potranno rinfrescare; si partiranno del campo a rotta da·lloro schiere, e come voi vedrete ciò, spronate loro adosso con vostra cavalleria, e avrete la vittoria sanza periglio di vostra gente». E di certo così veniva fatto, ma a cui Idio vuole male gli toglie il senno, e per le peccata commesse si mostra il giudicio di Dio; e intra gli altri peccati il conte d’Artese avea dispregiate le lettere di papa Bonifazio, e con tutte le bolle gittate nel fuoco. Udito questo consiglio il conastabole, sì gli piacque e parve buono, e venne co’ detti conostaboli al conte d’Artese, e dissegli il consiglio, e come gli parea il migliore. Il conte d’Artese rispuose per rimproccio: «Pru diable, ce sont de guiglie di Lombars, e vos conostable aves ancore du pol del lu»; cioè volle dire ch’e’ non fosse leale al re, perché la figliuola era moglie di messer Guiglielmo di Fiandra. Allora il conestabole irato per lo rimproccio udito, disse al conte: «Sire, se vos verres u gie irai vos ires bene avant». E come disperato, stimandosi d’andare a la morte, fece muovere sue bandiere, e brocciò a·ffedire francamente, non prendendosi guardia, né sappiendo del fosso a traverso dov’erano schierati i Fiamminghi, come adietro facemmo menzione. E giugnendo sopra il detto fosso, i Fiamminghi ch’erano dall’una parte e dall’altra cominciarono a fedire di loro bastoni detti godendac a le teste de’ destrieri, e facevagli rivertire e ergere adietro. Il conte Artese e l’altre schiere e battaglie de’ Franceschi, veggendo mosso a fedire il conastabole con sua gente, il seguiro l’uno appresso l’altro a sproni battuti, credendo per forza de’ petti de’ loro cavalli rompere e partire la schiera de’ Fiamminghi; a·lloro avenne tutto per contrario, che per lo pingere e urtare, i cavagli dell’altre schiere per forza pinsono il conostabole, e il conte Artese, e sua schiera a traboccare nel detto fosso l’uno sopra l’altro; e ’l polverio era grande, che que’ di dietro non poteano vedere, né per lo romore de’ colpi e grida intendere i·loro fallo, né·lla dolorosa isventura di loro feditori; anzi credendo ben fare pignevano pure innanzi urtando i loro cavagli, per modo ch’eglino medesimi per l’ergere e cadere di loro cavagli l’uno sopra l’altro s’afollavano, e faceano affogare e morire gran parte, o i più, sanza colpo di ferri, o di lance, o di spade. I Fiamminghi ch’erano aserrati e forti in su la proda del fosso, veggendo traboccare i Franceschi e’ loro cavagli, non intendeano ad altro che amazzare i cavalieri, e’ loro cavagli isfondare e isbudellare, sicché in poco d’ora non solamente fu ripieno il fosso d’uomini e di cavagli, ma fatto gran monte di carogna di quegli. Ed era sì fatto giudicio, che’ Franceschi non poteano dare colpo a’ loro nemici, ma eglino medesimi afollavano, e uccideano l’uno l’altro per lo pignere che faceano, credendo per urtare rompere i Fiaminghi. Quando i Franceschi furono quasi tutte loro schiere radossati l’uno sopra l’altro, e confusi per modo che per loro medesimi convenia o che traboccassono co’ loro cavagli, o fossono sì stretti e annodati a schiera che non si poteano reggere, né andare innanzi né tornare adietro, i Fiaminghi ch’erano freschi, e poco travagliati i capi de’ corni de la loro schiera, onde dell’uno era capitano messer Guido di Fiandra, e dell’altro messer Guiglielmo di Giulieri, gli quali in quello giorno feciono maraviglie d’arme di loro mano, essendo a piè, passaro il fosso, e rinchiusono i Franceschi, per modo che uno vile villano era signore di segare la gola a’ più gentili uomini. E per questo modo furono sconfitti e morti i Franceschi, che di tutta la sopradetta nobile cavalleria non iscampò se non messer Luis di Chiermonte, e il conte di San Polo, e quello di Bologna con pochi, perché si disse che non si strinsono al fedire; onde sempre portarono poi grande onta e rimproccio in Francia. Tutti gli altri duchi, conti, e baroni, e cavalieri furono morti in su il campo, e alquanti fuggendo per le fosse e maresi morti furono; in somma più di VIm cavalieri, e di pedoni a piè sanza numero, rimasono morti a la detta battaglia sanza menarne nullo a pregione. E questa dolorosa e sventurata sconfitta de’ Franceschi fue il dì di santo Benedetto, a dì XI di luglio, gli anni di Cristo MCCCII; e non sanza grande giudicio divino, però che fu quasi uno impossibile avenimento. E bene ci cade la parola che Dio disse al popolo suo d’Israel, quando la potenzia e moltitudine di loro nimici venia loro adosso, i quali erano con piccola forza a·lloro comparazione, e temendo di combattere, disse: «Combattete francamente, ché la forza della battaglia nonn-è solo ne la moltitudine de le genti, anzi è in mia mano, però ch’io sono lo Idio Sabaoth, cioè lo Idio dell’oste». Di questa sconfitta abassò molto l’onore, e lo stato, e fama de l’antica nobilità e prodezza de’ Franceschi, essendo il fiore della cavalleria del mondo isconfitta e abbassata da’ loro fedeli, e la più vile gente che fosse al mondo, tesserandi, e folloni, e d’altre vili arti e mestieri, e non mai usi di guerra, che per dispetto e loro viltade da tutte le nazioni del mondo i Fiaminghi erano chiamati conigli pieni di burro; e per queste vittorie salirono in tanta fama e ardire, ch’uno Fiamingo a piè con uno godendac in mano avrebbe atteso due cavalieri franceschi.

LVII Di quale lignaggio furono i presenti conti e signori di Fiandra.

Dapoi ch’avemo innarrato le grandi novità e battaglie cominciate tra ’l re di Francia e ’l conte di Fiandra e’ suoi, e seguiranno appresso per gli tempi, ne pare convenevole di raccontare dell’esser e legnaggio de’ detti conti, però che feciono grandi cose, e di loro furono valenti signori. Questi conti non sono per lignaggio mascolino dello stocco degli antichi conti di Fiandra, onde fue il buono primo imperadore Baldovino che conquistò Gostantinopoli, e ’l valente conte Ferrante, il quale si combatté collo imperadore Otto insieme col buono re Filippo il Bornio, come adietro facemmo menzione; e fu suo non solamente Fiandra, ma la contea d’Analdo, e Vermandois, e Tiracia infino presso a Compigno. E quegli primi conti portarono l’arme agheronata gialla e nera; ma questi d’oggi ne nacquero per femmina in questo modo. Quando morì il detto conte Ferrante, di lui non rimase figliuolo maschio, ma solo una piccola figlia femmina chiamata Margherita. Questa rimase a guardia e tuteria d’uno savio cherico, ch’avea nome messer Gian d’Avenes, figliuolo del signore di Don piero in Borgogna, overo Campagna, e per suo senno avea guidato il conte Ferrante e tutto il suo paese. Questi ritenne la signoria per la fanciulla; e quand’ella fue in età, si giacque co·llei, e ebbene uno figliuolo chiamato Gianni; e per coprire la vergogna di lui e della damigella lasciòe la chericia, e sposò la contessa Margherita a moglie, e poi n’ebbe uno figliuolo, e questi fue il presente valente e buono Guido conte di Fiandra; e poco apresso morìo messer Gian d’Avenes, e rimase la detta contessa Margherita co’ detti due suoi figliuoli, e non riprese marito; e guidava molto saviamente sua terra e paese, e quando bisognò, andò in arme com’uno cavaliere, e fu molto savia e ridottata donna, e fece molte buone leggi e costume in Fiandra che ancora s’oservano. Avenne, quando Gianni e Guido suoi figliuoli furono cavalieri, ciascuno volea esser conte di Fiandra, onde piato ne nacque ne la corte del re di Francia, e convenne ne fosse sentenzia; e citata la contessa Margherita al giudicio innanzi al re, disse che Guido era degno d’essere conte di Fiandra, però ch’egli era nato di matrimonio, e Gianni no; onde crucciato Gianni, ch’era il maggiore, inanzi al re di Francia e suo consiglio in presenza della madre disse: «Dunque sono io figliuolo della più ricca puttana del mondo?». La contessa, come savia, si gabbò delle parole, e rispuose a Gianni: «Io non ti posso torre Analdo di tuo retaggio, ma io ti voglio torre che a la tua arme, ch’è il campo ad oro e leone nero, a·leone tu non facci mai unghioni né lingua, perché la tua è stata villana; e Guido voglio il porti tutto intero». E così fu giudicato e confermato per lo re di Francia e per gli dodici peri. Onde di messer Gianni sono discesi i conti d’Analdo, e di messer Guido conte di Fiandra messere Ruberto di Bettona, e messer Guiglielmo e messer Filippo della sua prima donna avogada di Bettona; e della seconda donna figliuola del conte di Luzzimborgo e contessa di Namurro, la quale contea fece comperare per gli figliuoli al conte di Fiandra, sì nacquero messer Gianni conte di Namurro, e il buono messer Guidone, e messer Arrigo di Fiandra; del quale Guidone la nostra storia ha parlato ne la detta sconfitta di Coltrai, e parlerà ancora in più parti di loro prodezze e valentie, e però ne paiono degni di loro nazione avere voluto fare memoria.

LVIII Come lo re di Francia rifece sua oste, e con tutto suo podere venne sopra i Fiaminghi; e tornossi in Francia con poco onore.

Dopo la detta sconfitta di Coltrai incontanente s’arrendero a messer Guido di Fiandra quegli di Guanto, e que’ di Lilla, e Doai, e Cassella, sì che non rimase terra né villa piccola né grande in Fiandra, che non tornasse a le comandamenta di messer Guido; e per la detta vittoria la Comuna d’ogni terra di Fiandra presono ardire e signoria, e cacciarne i loro grandi borgesi, perché amavano i Franceschi; e non tanto in Fiandra, simile avenne in Brabante, e in Analdo, e in tutte loro circustanzie, per lo favore della Comuna di Fiandra. Come in Francia fue la dolorosa novella della detta sconfitta, nonn-è da domandare se v’ebbe dolore e lamento, che non v’ebbe villa, castello, maniero, o signoraggio, che per gli cavalieri e scudieri che rimasono morti a Coltrai non v’avesse dame e damigelle vedove. Lo re di Francia, passato il dolore, fece come valente signore, che incontanente fece bandire oste generale per tutto il reame; e per fornire sua guerra sì fece falsificare le sue monete; e la buona moneta del tornese grosso, ch’era a XI once e mezzo di fine, tanto il fece peggiorare, che tornò quasi a metade, e simile la moneta prima; e così quelle dell’oro, che di XXIII e mezzo carati le recò a men di XX, faccendole correre per più assai che non valeano: onde il re avanzava ogni dì libbre VIm di parigini e più, ma guastò e disertò il paese, che la sua moneta non tornò a la valuta del terzo. E fornito lo re, e apparecchiata la sua grande e ricca oste, si mosse da Parigi, e del mese di settembre presente del detto anno MCCCII, fue ad Arazzo in Artese con più di Xm cavalieri, e con più di LXm pedoni; e in Italia mandò per messer Carlo di Valos suo fratello, che rimossa ogni cagione dovesse tornare in Francia; e così fece poco appresso. I Fiaminghi sentendo l’apparecchio e venuta del re di Francia, mandaro in Namurro per lo conte messer Gianni figliuolo del conte di Fiandra, e maggiore di messer Guido, il quale era molto savio e valente; e lui venuto, il feciono loro generale capitano dell’oste, e come gente calda, e baldanzosa della vittoria da Coltrai, s’apparecchiaro di tende, e padiglioni, e trabacche, con tutto che assai aveano di quelle de’ Franceschi; e ciascuna terra e villa per sé si soprasegnaro di soprasberghe e d’arme, e ciascuno mestiere per sé, e raunarsi a Doai, e furono più di LXXXm uomini a piè bene armati e soprasegnati, e con tanto carreggio che portava il loro arnese, che copria tutto il paese, e in somma era a vedere la più bella e ricca oste di gente a piè, che mai fosse tra’ Cristiani. Lo re di Francia colla sua grande e nobile oste uscì fuori d’Arazzo per entrare in Fiandra, e acampossi a una villa che si chiama Vetri, tra Doai e Arazzo, e era sì grande, che tenea di giro più di X miglia. I Fiaminghi come franca gente, e bene guidati e condotti, non attesero l’oste a Doai, ma uscirono di Doai, e s’afrontarono incontro a l’oste del re, gridando dì e notte: «Battaglia, battaglia!», e innanimati di combattere, e sovente aveano insieme scarmugi e badalucchi, e non v’avea Fiammingo a piè con suo godendac in mano che non attendesse il cavaliere francesco, per la baldanza presa sopra loro, e’ Franceschi per contradio inviliti. E ciò fu del mese d’ottobre, nel quale cominciò grandi piogge, e ’l paese è pieno di paduli e di fosse, e sempre terreno che mai non si puote osteggiare il verno; onde il carreggio del re ch’aducea la vivanda all’oste per li fondati cammini non poteano venire, né i cavalieri co·lloro cavalli apena uscire del campo. Per la quale confusione l’oste del re venne in tanti difetti, e di vittuaglia e d’altro, che non poterono più tenere campo, e convenne che di necessità si levasse da oste, con sua grande onta e vergogna, faccendo triegua per uno anno: e tornossi addietro ad Arazzo, e poi a Parigi, con grande spendio, e con grande mortalità de’ suoi cavagli. Alcuno disse in Francia che intra l’altre cagioni della partita dell’oste del re fu per inganno del re Adoardo d’Inghilterra, il quale amava i Fiaminghi, e per favoragli disse a la moglie, la quale era serocchia del re di Francia, in segreto segacemente e con frode: «Io temo che ’l re di Francia non riceva vergogna e pericolo in questa oste, ch’io sento che vi sarà tradito da certi suoi baroni medesimi». La reina prese a vero la parola, e incontanente la significò al re di Francia suo fratello, ond’egli entrò in sospetto e gelosia de’ suoi baroni, ma non sapea di cui, e partissi per lo modo che detto avemo con onta e vergogna: e potrebbe esser stata l’una cagione e l’altra della sua partita. E partita l’oste del re, i Fiaminghi si tornarono in loro terre con grande festa e allegrezza. Avemo sì distesamente innarrate queste storie di Fiandra, perché furono nuove e maravigliose, e noi ci trovammo in quegli tempi nel paese, che con oculata fede vedemmo e sapemmo la veritade. Lasceremo alquanto di questa materia, infino che verranno i tempi del termine e fine di questa guerra tra ’l re di Francia e’ Fiaminghi, che fu assai piccolo tempo appresso, e torneremo a nostra materia a raccontare le novità d’Italia e della nostra città di Firenze che furono in quegli tempi, seguendo nostro trattato.

LIX Come Folcieri da Calvoli podestà di Firenze fece tagliare la testa a certi cittadini di parte bianca.

Nel detto anno MCCCII, essendo fatto podestà di Firenze Folcieri da Calvoli di Romagna, uomo feroce e crudele, a posta de’ caporali di parte nera, i quali viveano in grande gelosia, perché sentivano molto possente in Firenze la parte bianca e ghibellina, e gli usciti iscriveano tutto dì, e trattavano con quegli ch’erano loro amici rimasi in Firenze, il detto Folcieri fece subitamente pigliare certi cittadini di parte bianca e Ghibellini; ciò furono messer Betto Gherardini, e Masino de’ Cavalcanti, e Donato e Tegghia suo fratello di Finiguerra da Sammartino, e Nuccio Coderini de’ Galigai, il quale era quasi un mentacatto, e Tignoso de’ Macci; e a petizione di messer Musciatto Franzesi, ch’era de’ signori della terra, volloro essere presi certi caporali di casa gli Abati suoi nimici, i quali sentendo ciò si fuggiro e partiro di Firenze, e mai poi non ne furono cittadini; e uno massaio de le Calze fu de’ presi, oppognendo loro che trattavano tradimento nella città co’ Bianchi usciti. O colpa o non colpa, per martorio gli fece confessare che doveano tradire la terra e dare certe porte a’ Bianchi e Ghibellini; ma il detto Tignoso de’ Macci per gravezza di carni morì in su la colla. Tutti gli altri sopradetti presi gli giudicò, e fece loro tagliare le teste, e tutti quegli di casa gli Abati condannare per ribelli, e disfare i loro beni, onde grande turbazione n’ebbe la città, e poi ne seguì molti mali e scandali. E nel detto anno fue gran caro di vittuaglia, e valse lo staio del grano in Firenze a la rasa soldi XXII di soldi... il fiorino d’oro.

LX Come la parte bianca e’ Ghibellini usciti di Firenze vennero a Pulicciano, e partirsene in isconfitta.

Nel detto anno, del mese di marzo, i Ghibellini e’ Bianchi usciti di Firenze co la forza de’ Bolognesi che si reggeano a parte bianca, e coll’aiuto de’ Ghibellini di Romagna e degli Ubaldini, vennero in Mugello con VIIIc cavalieri e VIm pedoni, ond’era capitano Scarpetta degli Ordilaffi da Forlì, e presono sanza contasto il borgo e poggio di Pulicciano, e assediarono una fortezza che vi teneano i Fiorentini, credendo ivi fare capo grosso, e recare il Mugello sotto loro obbedienza, e poi stendersi co·lloro forza a la città di Firenze. Saputa la novella in Firenze, subitamente cavalcaro in Mugello popolo e cavalieri con tutta la forza de la cittade; e giunti al borgo, e venuti i Lucchesi e l’altra amistà, e di là uscendo ischierati e messi in ordine per andare a’ nemici, i cavalieri di Bologna sentendo la sùbita venuta de’ Fiorentini, e trovandosi ingannati da’ Bianchi usciti di Firenze ch’aveano loro fatto intendere che’ Fiorentini per tema di loro amici rimasi dentro non ardirebbono d’uscire della terra, si tennono traditi, e con paura grande sanza niuno ordine si partiro da Pulicciano di Mugello, e andarsene a Bologna, onde i Bianchi e’ Ghibellini usciti rimasono rotti e scerrati, e partirsi una notte sanza colpo di spada come sconfitti, lasciando tutti i loro arnesi, e più di loro gittarono l’arme, e rimasonvi de’ morti e presi de’ migliori per certi iscorridori iti innanzi. Intra gli altri notabili e orrevoli cittadini e antichi Guelfi e fattisi Bianchi vi fu preso messer Donato Alberti giudice, e Nanni di Ruffoli da le porte del vescovo. Nanni vegnendo preso, fu morto da uno de’ Tosinghi, e a messer Donato Alberti tagliato il capo, per quella legge medesima ch’egli avea fatta e messa in ordine di giustizia quando egli regnava ed era priore. E col detto messer Donato Alberti furono menati presi e tagliate le teste a due de’ Caponsacchi, e uno degli Scolari, e Lapo de’ Cipriani, e a Nerlo degli Adimari, e altri intorno di X di piccolo affare; per la quale rotta i Bianchi e’ Ghibellini usciti molto abassaro.

LXI Incidenza, contando come messer Maffeo Visconti fu cacciato di Melano.

Nel detto anno MCCCII, a dì XVI di giugno, messer Maffeo Visconti capitano di Milano fu cacciato della signoria. La cagione fue ch’egli e’ figliuoli al tutto voleano la signoria di Milano, e a messer Piero Visconti, e gli altri suoi consorti, e agli altri cattani e varvassori non participava nullo onore. Per la qual cosa scandalo nacque in Milano, e’ signori de la Torre colla forza del patriarca d’Aquilea, con grande oste vennero sopra Milano, e co·lloro messer Alberto Scotti di Piagenza, e il conte Filippone da Pavia, e messer Antonio da Fosseraco di Lodi. Messer Maffeo uscì contro a·lloro, ma per la quistione ch’avea co’ suoi fue male seguito, e non avea podere contro a’ nemici; onde messer Alberto Scotti si fece mezzano per fare accordo, e ingannò e tradì messer Maffeo, che rimessosi in lui, gli tolse la signoria del capitanato, onde messer Maffeo per onta non volle tornare in Milano; ma sanza battaglia si tornarono in Milano i signori della Torre, e rimasono signori di Milano messer Mosca e messer Guidetto di messer Nappo della Torre. E poco appresso morto messer Mosca, il detto messer Guidetto si fece fare capitano di Milano, e menò aspramente la sua signoria, e fue molto temuto e ridottato, e perseguitò molto il detto messer Maffeo e’ figliuoli, sì che gli recò quasi a niente, e convenia s’andassono tapinando in diversi luoghi e paesi, e a la fine per loro sicurtà si ridussono a uno piccolo castello in ferrarese, ch’era de’ marchesi da Esti suoi parenti, che Galasso suo figliuolo avea per moglie la serocchia del marchese. E sappiendolo messere Guidetto de la Torre, capitano di Milano e suo nimico, sì volle sapere novelle di lui e di suo stato, e disse a uno accorto e savio uomo di corte: «Se tu vuogli guadagnare uno palafreno e una roba vaia, andrai in tal parte ov’è messer Maffeo Visconti, e espia di suo stato». E per ischernirlo li disse: «Quando tu se’ per prendere commiato da·llui, faragli due questioni: la prima, che tu il domandi come gli pare stare, e che vita è la sua; la seconda, quand’e’ crede potere tornare in Milano». Il ministriere entrò in cammino e venne a messer Maffeo, e trovollo in assai povero abito secondo suo antico stato; e al dipartirsi da·llui, il pregò che gli facesse guadagnare uno palafreno e una roba vaia; rispuose che volentieri, ma non da·llui, che non l’avea; disse: «Da voi no·lla voglio io, ma rispondetemi a due questioni ch’io vi farò»; e dissele come gli furono imposte. Il savio intese da cui venieno, e rispuose subito molto saviamente; a la prima disse: «Parmi stare bene, però ch’io so vivere secondo il tempo». A la seconda rispuose, e disse: «Dirai al tuo signore, messer Guidetto, che quando i suoi peccati soperchieranno i miei io tornerò in Milano». Tornato l’uomo di corte a messer Guidetto, e rapportata la risposta, disse: «Bene hai guadagnato il palafreno e la roba, che bene sono parole del savio uomo messer Maffeo».

LXII Come si cominciò la quistione e nimistà tra papa Bonifazio e ’l re Filippo di Francia.

Nel detto tempo, benché fosse cominciato assai dinanzi la sconfitta di Coltrai lo sdegno del re di Francia contro a papa Bonifazio, per cagione che la promessa che ’l detto papa avea fatta al re e a messer Carlo di Valos suo fratello di farlo essere imperadore quando mandò per lui, come addietro facemmo menzione, la qual cosa non attenne, quale che si fosse la cagione, anzi nel detto anno medesimo avea confermato a re de’ Romani Alberto d’Osteric figliuolo che fu del re Ridolfo; per la qual cosa il re di Francia forte si tenne ingannato e tradito da·llui, e per suo dispetto ritenea e facea onore a Stefano della Colonna suo nimico, il quale era in Francia sentendo la discordia mossa, e lo re favorava lui e’ suoi a suo podere. E oltre a·cciò il re fece pigliare il vescovo di Palmia in Carcascese, opponendogli ch’era paterino, e ogni vescovado vacante del reame godeva i beni, e voleva fare le ’nvestiture. Onde papa Bonifazio, il quale era superbo e dispettoso, e ardito di fare ogni gran cosa, come magnanimo e possente ch’egli era e si tenea, veggendosi fare quegli oltraggi al re, mescolò lo sdegno co la mala volontà, e fecesi al tutto nimico del re di Francia. E in prima per giustificare sue ragioni fece richiedere tutti i grandi parlati di Francia che dovessono venire a corte; ma il re di Francia contradisse, e non gli lasciò partire, onde il papa maggiormente s’inanimò contro al re, e trovò per sue ragioni e decreti che ’l re di Francia, come gli altri signori cristiani, dovea riconoscere da la sedia appostolica la signoria del temporale, come dello spirituale: e per questo mandò in Francia per suo legato uno cherico romano arcidiacano di Nerbona, che protestasse e amonisse lo re sotto pena di scomunicazione di ciò fare, e di riconoscere da·llui, e se ciò non facesse, lo scomunicasse, e lasciasse lo ’nterdetto. E ’l detto legato vegnendo nella città di Parigi, il re non gli lasciò piuvicare le sue lettere e privilegi, anzi gliele tolse la gente del re, e accomiatarlo del reame. E venute le dette lettere papali innanzi al re e suoi baroni al tempio, il conte d’Artese, ch’allora vivea, per dispetto le gittò nel fuoco e arsele, onde grande giudicio glie n’avenne, e lo re ordinò di fare guardare tutti i passi di suo reame, che messo o lettere di papa non entrasse in Francia. Sentendo ciò papa Bonifazio, iscomunicò per sentenzia il detto Filippo re di Francia. E lo re di Francia per giustificare sé, e per fare suo appello, fece in Parigi uno grande concilio di cherici e prelati e di tutti i suoi baroni, discusando sé, e opponendo a papa Bonifazio più accuse con più articoli di resia, e simonia, e omicidia, ed altri villani peccati, onde di ragione dovea esser disposto del papato. Ma l’abate di Cestella non volle consentire all’apello, anzi si partì, e tornossi in Borgogna, male del re di Francia: e per così fatto modo si cominciò la discordia da papa Bonifazio al re di Francia, la quale ebbe poi male fine; onde poi nacque grande discordia tra·lloro, e seguìne molto male, come appresso faremo menzione. In questi tempi avenne in Firenze una cosa bene notabile, che avendo papa Bonifazio presentato al Comune di Firenze uno giovane e bello leone, ed essendo nella corte del palagio de’ priori legato con una catena, essendovi venuto uno asino carico di legne, veggendo il detto leone, o per paura che n’avesse, o per lo miracolo, incontanente assalì ferocemente il leone; con calci tanto il percosse, che l’uccise, non valendoli l’aiuto di molti uomini ch’erano presenti. Fu tenuto segno di grande mutazione e cose a venire, ch’assai n’avennero in questi tempi alla nostra città. Ma certi alletterati dissono ch’era adempiuta la profezia di Sibilla, ove disse: «Quando la bestia mansueta ucciderà il re delle bestie, allora comincerà la disoluzione della Chiesa etc.»; e tosto si mostrò in papa Bonifazio medesimo, come si troverrà nel seguente capitolo.

LXIII Come il re di Francia fece prendere papa Bonifazio in Anagna a Sciarra della Colonna, onde morì il detto papa pochi dì appresso.

Dopo la detta discordia nata tra papa Bonifazio e il re Filippo di Francia ciascuno di loro procacciò d’abattere l’uno l’altro per ogni via e modo che potesse: il papa d’agravare il re di Francia di scomuniche e altri processi per privarlo del reame; e con questo favorava i Fiamminghi suoi ribelli, e tenea trattato col re Alberto della Magna, e studiandolo che passasse a Roma per la benedizione imperiale, e per fare levare il regno al re Carlo suo consorto, e al re di Francia fare muovere guerra a’ confini di suo reame da la parte d’Alamagna. Lo re di Francia da l’altra parte non dormia, ma con grande sollecitudine, e consiglio di Stefano della Colonna e d’altri savi Italiani e di suo reame, mandò uno messer Guiglielmo di Lungreto di Proenza, savio cherico e sottile, con messer Musciatto de’ Franzesi in Toscana, forniti di molti danari contanti, e a ricevere da la compagnia de’ Peruzzi, allora suoi mercatanti, quanti danari bisognasse, non sappiendo eglino perché. E arrivati al castello di Staggia, ch’era del detto messere Musciatto, ivi stettono più tempo, mandando ambasciadori, e messi, e lettere, e faccendo venire le genti a·lloro di sagreto, faccendo intendente al palese che v’erano per trattare accordo dal papa al re di Francia, e perciò aveano la detta moneta recata: e sotto questo colore menarono il trattato segreto di fare pigliare in Anagna papa Bonifazio, ispendendone molta moneta, corrompendo i baroni del paese e’ cittadini d’Anagna; e come fu trattato venne fatto: che essendo papa Bonifazio co’ suoi cardinali e con tutta la corte ne la città d’Anagna in Campagna, ond’era nato e in casa sua, non pensando né sentendo questo trattato, né prendendosi guardia, e s’alcuna cosa ne sentì, per suo grande cuore il mise a non calere, o forse, come piacque a Dio, per gli suoi grandi peccati, del mese di settembre MCCCIII, Sciarra della Colonna con genti a cavallo in numero di CCC, e a piè di sua amistà assai, soldata de’ danari del re di Francia, colla forza de’ signori da Ceccano, e da Supino, e d’altri baroni di Campagna, e de’ figliuoli di messer Maffio d’Anagna, e dissesi co l’assento d’alcuno de’ cardinali che teneano al trattato, e una mattina per tempo entrò in Anagna colle insegne e bandiere del re di Francia, gridando: «Muoia papa Bonifazio, e viva il re di Francia!»; e corsono la terra sanza contasto niuno, anzi quasi tutto lo ’ngrato popolo d’Anagna seguì le bandiere e la rubellazione; e giunti al palazzo papale, sanza riparo vi saliro e preso lo palazzo, però che ’l presente assalto fu improviso al papa e a’ suoi, e non prendeano guardia. Papa Bonifazio sentendo il romore, e veggendosi abandonato da tutti i cardinali, fuggiti e nascosi per paura o chi da mala parte, e quasi da’ più de’ suoi famigliari, e veggendo che’ suoi nimici aveano presa la terra e il palazzo ove egli era, si cusò morto, ma come magnanimo e valente, disse: «Da che per tradimento, come Gesù Cristo, voglio esser preso e mi conviene morire, almeno voglio morire come papa»; e di presente si fece parare dell’amanto di san Piero, e colla corona di Gostantino in capo, e colle chiavi e croce in mano, in su la sedia papale si puose a sedere. E giunto a·llui Sciarra e gli altri suoi nimici, con villane parole lo scherniro, e arrestarono lui e la sua famiglia, che co·llui erano rimasi: intra gli altri lo schernì messer Guiglielmo di Lunghereto, che per lo re di Francia avea menato il trattato, dond’era preso, e minacciollo di menarlo legato a Leone sopra Rodano, e quivi in generale concilio il farebbe disporre e condannare. Il magnanimo papa gli rispuose ch’era contento d’essere condannato e disposto per gli paterini com’era egli, e ’l padre e·lla madre arsi per paterini; onde messer Guiglielmo rimase confuso e vergognato. Ma poi, come piacque a Dio, per conservare la santa dignità papale, niuno ebbe ardire o non piacque loro di porgli mano adosso, ma lasciarlo parato sotto cortese guardia, e intesono a rubare il tesoro del papa e della Chiesa. In questo dolore, vergogna e tormento istette il valente papa Bonifazio preso per gli suoi nimici per III dì; ma come Cristo al terzo dì risucitò, così piacque a·llui che papa Bonifazio fosse dilibero, che sanza priego o altro procaccio, se non per opera divina, il popolo d’Anagna raveduti del loro errore, e usciti de la loro cieca ingratitudine, subitamente si levaro a l’arme, gridando: «Viva il papa, e muoiano i traditori!»; e correndo la terra ne cacciarono Sciarra della Colonna e’ suoi seguaci, con danno di loro di presi e de’ morti, e liberato il papa e sua famiglia. Papa Bonifazio vedendosi libero e cacciati i suoi nimici, per ciò non si rallegrò niente, però ch’avea conceputo e addurato nell’animo il dolore della sua aversità: incontanente si partì d’Anagna con tutta la corte, e venne a Roma a Santo Pietro per fare concilio, con intendimento di sua offesa e di santa Chiesa fare grandissima vendetta contra il re di Francia, e chi offeso l’avea; ma come piacque a Dio, il dolore impetrato nel cuore di papa Bonifazio per la ’ngiuria ricevuta gli surse, giunto in Roma, diversa malatia, che tutto si rodea come rabbioso, e in questo stato passò di questa vita a dì XII d’ottobre, gli anni di Cristo MCCCIII, e nella chiesa di San Piero a l’entrare delle porte, in una ricca cappella fattasi fare a sua vita, onorevolemente fue soppellito.

LXIV Ancora diremo de’ morali ch’ebbe in sé papa Bonifazio.

Questo papa Bonifazio fu savissimo di scrittura e di senno naturale, e uomo molto aveduto e pratico, e di grande conoscenza e memoria; molto fu altiero, e superbo, e crudele contro a’ suoi nimici e aversari, e fue di grande cuore, e molto temuto da tutta gente, e alzò e agrandì molto lo stato e ragioni di santa Chiesa, e fece fare a messer Guiglielmo da Bergamo, e a messer Ricciardo di Siena cardinali, e a messer Dino Rosoni di Mugello, sommi maestri in legge e decretali, e egli co·lloro insieme, ch’era grande maestro in decreto e in divinità, il sesto libro delle decretali, il quale è quasi lume di tutte le leggi e decreti. Magnanimo e largo fu a gente che gli piacesse, e che fossono valorosi, vago molto della pompa mondana secondo suo stato, e fu molto pecunioso, non guardando né faccendosi grande né stretta coscienza d’ogni guadagno, per agrandire la Chiesa e’ suoi nipoti. Fece al suo tempo più cardinali suoi amici e confidenti, intra gli altri due suoi nipoti molto giovani, e uno suo zio fratello che fue della madre, e XX tra vescovi e arcivescovi suoi parenti e amici della piccola città d’Anagna di ricchi vescovadi, e l’altro suo nipote e’ figliuoli, ch’erano conti, come adietro facemmo menzione, lasciò loro quasi infinito tesoro; e dopo la morte di papa Bonifazio loro zio furono franchi e valenti in guerra, faccendo vendetta di tutti i loro vicini e nimici, ch’aveano tradito e offeso a papa Bonifazio, spendendo largamente, e tegnendo al loro propio soldo CCC buoni cavalieri catalani, per la cui forza domarono quasi tutta Campagna e terra di Roma. E se papa Bonifazio vivendo avesse creduto che fossono così pro’ d’arme e valorosi in guerra, di certo gli avrebbe fatti re o gran signori. E nota che quando papa Bonifazio fu preso la novella fu mandata al re di Francia per più corrieri in pochi giorni, per grande allegrezza, e capitando i primi corrieri ad Ansiona di là da la montagna di Briga, il vescovo d’Ansiona, il quale allora era uomo d’onesta e santa vita, udendo la novella quasi stupì, istando uno pezzo in silenzio contemplando, per l’amirazione che gli parve della presura del papa, e tornando in sé, disse palese dinanzi a più buona gente: «Il re di Francia farà di questa novella grande allegrezza, ma i’ ho per ispirazione divina che per questo peccato n’è condannato da Dio; e grandi e diversi pericoli e aversità con vergogna di lui e di suo lignaggio gli averranno assai tosto; e egli e’ figliuoli rimarranno diretati del reame». E questo sapemmo poco tempo appresso passando per Ansiona da persone degne di fede che vi furono presenti a udire. La quale sentenzia fu profezia in tutte le sue parti, come appresso per gli tempi, raccontando de’ fatti del detto re di Francia e de’ figliuoli, si potrà trovare il vero. E nonn-è da maravigliare della sentenzia di Dio, che, con tutto che papa Bonifazio fosse più mondano che non richiedea alla sua dignità, e fatte avea assai delle cose a dispiacere di Dio, Idio fece pulire lui per lo modo che detto avemo, e poi l’offenditore di lui pulì, non tanto per l’offesa della persona di papa Bonifazio, ma per lo peccato commesso contro a la maestà divina, il cui cospetto rappresentava in terra. Lasceremo di questa materia, ch’ha avuto sua fine, e torneremo alquanto adietro a raccontare de’ fatti di Firenze e di Toscana, che furono ne’ detti tempi assai grandi.

LXV Come i Fiorentini ebbono il castello del Montale, e come feciono oste a Pistoia co’ Lucchesi insieme.

Nell’anno di Cristo MCCCIII, del mese di maggio, i Fiorentini ebbono il castello del Montale presso di Pistoia a quattro miglia, cavalcandovi una notte subitamente, e fu loro dato per tradimento di certi terrazzani, che n’ebbono IIIm fiorini d’oro, per trattato di messer Pazzino de’ Pazzi, che v’era vicino per la sua posessione di Palugiano. Il quale castello era molto forte di sito, e di mura, e di torri; e come i Fiorentini l’ebbono, il feciono abattere e disfare infino nelle fondamenta, e la campana di quello Comune, ch’era molto buona, la feciono venire in Firenze, e puosesi in su la torre del palagio della podestà per campana de’ messi, e chiamossi la Montanina. E disfatto il Montale, del detto mese medesimo i Fiorentini dall’una parte e’ Lucchesi da l’altra feciono oste a la città di Pistoia, e guastarla intorno intorno, e furono MD cavalieri e VIm pedoni, e tornarsi a casa sanza contasto niuno. In questo anno morì a Bologna il savio e valente uomo messer Dino Rosoni di Mugello, nostro cittadino, il quale fu il maggiore e il più savio legista che fosse infino al suo tempo. E in questo medesimo tempo morì in Bologna maestro Taddeo detto da Bologna, ma era stato per suo matrimonio nostro cittadino, il quale fue sommo fisiziano sopra tutti quegli de’ Cristiani.

LXVI Come fu eletto papa Benedetto XI.

Dopo la morte di papa Bonifazio il collegio de’ cardinali raunati insieme per eleggere nuovo papa, come piacque a Dio, in pochi dì furono in concordia, e chiamarono papa Benedetto XI, a dì XXII d’ottobre nel detto anno MCCCIII. Questi fu di Trevigi di piccola nazione, che quasi non si trovò parente, e nudrìsi in Vinegia, quand’era giovane cherico, a insegnare a’ fanciugli de’ signori da ca’ Corino; poi fu frate predicatore, uomo savio e di santa vita, e per la sua bontà e onesta vita per papa Bonifazio fu fatto cardinale, e poi papa. Ma vivette in su ’l papato mesi otto e mezzo; ma in questo piccolo tempo cominciò assai buone cose, e mostrò gran volere di pacificare i Cristiani. E prima fece accordo dalla Chiesa al re di Francia, e ricomunicò il detto re, e confermò ciò che papa Bonifazio avea fatto, e mandò a Firenze frate Niccolaio da Prato cardinale ostiense per legato, per pacificare i Fiorentini co’ loro usciti, come innanzi faremo menzione.

LXVII Come il re Adoardo d’Inghilterra riebbe Guascogna, e sconfisse gli Scotti.

In questo anno Aduardo re d’Inghilterra fece accordo col re Filippo di Francia, e riebbe la Guascogna faccendonegli omaggio, e ciò assentì lo re di Francia, per la tenza ch’avea colla Chiesa per la presura che fece fare di papa Bonifazio, e per la guerra de’ Fiaminghi, acciò che ’l detto re d’Inghilterra non gli fosse contro. E in questo anno medesimo il detto re Aduardo essendo malato, gli Scotti corsono inn-Inghilterra; per la qual cosa il re si fece portare in bara, e andò ad oste sopra gli Scotti, e sconfissegli, e quasi ebbe in sua signoria tutte le terre di Scozia, se non quelle de’ maresi e d’aspre montagne, ove rifuggiro i ribelli scotti col loro re, il quale avea nome Ruberto di Bosco, di piccolo lignaggio fattosi re.

LXVIII Come in Firenze ebbe grande novità e battaglia cittadina, per volere rivedere le ragioni del Comune.

Nel detto anno MCCCIII, del mese di febbraio, i Fiorentini tra·lloro furono in grande discordia, per cagione che messer Corso Donati non gli parea esser così grande in Comune come volea, e gli pareva esser degno; e gli altri grandi e popolani possenti di sua parte nera aveano presa più signoria in Comune che a·llui non parea, e già preso isdegno co·lloro, o per superbia, o per invidia, o per volere essere signore, sì fece di nuovo una sua setta acostandosi co’ Cavalcanti, che i più di loro erano Bianchi, dicendo che voleva si rivedessono le ragioni del Comune, di coloro ch’aveano avuti gli ufici e la moneta del Comune a minestrare; e feciono capo di loro messer Lottieri vescovo di Firenze, ch’era de’ figliuoli della Tosa del lato bianco, con certi grandi contra i priori e ’l popolo; e combattési la città in più parti e più dì, e armarsi più torri e fortezze de la città al modo antico per gittarsi e saettarsi insieme; e in su la torre del vescovado si rizzò una manganella gittando a’ suoi contradi vicini. I priori s’aforzaro di gente d’arme di città e di contado, e difesono francamente il palagio, che più assalti e battaglie furono loro date; e col popolo tennero la casa de’ Gherardini con grande séguito di loro amici di contado, e la casa de’ Pazzi e quella degli Spini, e messer Tegghia Frescobaldi col suo lato; e furono uno grande soccorso al popolo, e morinne messer Lotteringo de’ Gherardini d’uno quadrello a una battaglia ch’era in porte Sante Marie. Altra casa de’ grandi non tenne col popolo, ma chi era col vescovo e con messer Corso, e chi non gli amava si stava di mezzo. Per la quale disensione e battaglia cittadina molto male si commise in città e contado di micidii, e d’arsioni, e ruberie, sì come in città sciolta e rotta, sanza niuno ordine di signoria, se non chi più potea far male l’uno a l’altro; e era la città tutta piena di sbanditi, e di forestieri, e contadini, ciascuna casa colla sua raunata; e era la terra per guastarsi al tutto, se non fossono i Lucchesi che vennero a Firenze a richiesta del Comune con grande gente di popolo e cavalieri, e vollono in mano la quistione e la guardia della città; e così fu loro data per necessità balìa generale, sì che XVI dì signoreggiarono liberamente la terra, mandando il bando da loro parte. E andando il bando per la città da parte del Comune di Lucca, a molti Fiorentini ne parve male, e grande oltraggio e soperchio, onde uno Ponciardo de’ Ponci di Vacchereccia diede d’una spada nel volto al banditore di Lucca quando bandiva, onde poi non feciono più bandire da·lloro parte, ma adoperarono sì, ch’a la fine racquetaro il romore, e ciascuna parte feciono disarmare, e misono in quieto la terra, chiamando nuovi priori di concordia, rimanendo il popolo in suo stato e libertade, sanza fare nulla punizione di misfatti commessi, se non chi ebbe il male s’ebbe il danno. E per arrota alla detta pestilenzia fu l’anno gran fame, e valse lo staio del grano a la rasa più di soldi XXVI di soldi LII il fiorino d’oro in Firenze, e se non che ’l Comune e que’ che governavano la città si providono dinanzi, e aveano fatto venire per mano di Genovesi di Cicilia e di Puglia bene XXVIm di moggia di grano, gli cittadini e’ contadini non sarebbono scampati di fame: e questo traffico del grano fue coll’altre una delle cagioni di volere rivedere la ragione del Comune per la molta moneta che vi corse; e certi, a diritto o a torto, ne furono calonniati e infamati. E questa aversità e pericolo della nostra città non fu sanza giudicio di Dio, per molti peccati commessi per la superbia, invidia e avarizia de’ nostri allora viventi cittadini, che allora guidavano la terra, e così di ribelli di quella come di coloro che·lla governavano, ch’assai erano peccatori; e non ebbe fine a questo, come innanzi per gli tempi si potrà trovare.

LXIX Come il papa mandò in Firenze per legato il cardinale da Prato per fare pace, e come se ne partì con onta e con vergogna.

Nella detta discordia tra’ Fiorentini papa Benedetto con buona intenzione mandò a Firenze il cardinale da Prato per legato per pacificare i Fiorentini tra·lloro, e simile co’ loro usciti e tutta la provincia di Toscana; e venne in Firenze a dì X del mese di marzo MCCCIII, e da’ Fiorentini fu ricevuto a grande onore e con grande reverenza, come coloro che parea esser partiti e in male stato, e coloro ch’aveano stato e volontà di ben vivere amavano la pace e la concordia, e era converso per gli altri. Questo messer Niccolao cardinale della terra di Prato era frate predicatore, molto savio di Scrittura e di senno naturale, sottile, e sagace, e aveduto, e grande pratico, e di progenia de’ Ghibellini era nato, e mostrossi poi che molto gli favorò, con tutto ch’a la prima mostrò d’avere buona intenzione e comune. Come fu in Firenze, in piuvico sermone e predica nella piazza di San Giovanni mostrò i privilegi de la sua legazione, ed ispuose il suo intendimento ch’avea, per comandamento del papa, di pacificare i Fiorentini insieme. I buoni uomini popolani che reggeano la terra, parendo loro stare male per le novità e romori e battaglie ch’aveano in que’ tempi mosse e fatte i grandi contro al popolo per disfarlo e abattere, sì·ss’acostarono col cardinale a volere pace, e per riformagione degli opportuni consigli gli diedono piena e libera balìa di fare pace tra’ cittadini d’entro e’ loro usciti di fuori, e di fare i priori e’ gonfalonieri e signorie de la terra a sua volontà. E ciò fatto, intese a procedere e a fare fare pace tra’ cittadini, e rinnovò l’ordine di XVIIII gonfalonieri de le compagnie al modo dell’antico popolo vecchio, e chiamò i gonfalonieri, e diè loro i gonfaloni al modo e insegne che sono oggi, sanza rastrello della ’nsegna del re di sopra; per la quale nuova informazione del cardinale il popolo si riscaldò e raforzò molto, e’ grandi n’abassaro, e mai non finaro di cercare novitadi e opporre al cardinale per isturbare la pace, perché i Bianchi e’ Ghibellini non avessono stato né podere di tornare in Firenze, e per potere godere i beni loro messi in Comune per ribelli, e in città e in contado. Per tutto questo il cardinale non lasciò di procedere a la pace, per l’aiuto e favore ch’avea dal popolo, e fece venire in Firenze XII sindachi degli usciti, due per sesto, uno de’ maggiori Bianchi e uno Ghibellino, i nomi de’ quali sono questi [...] e fecegli albergare nel borgo di San Niccolò, e·legato albergava ne’ palazzi de’ Mozzi da San Grigorio, e sovente gli avea a consiglio co’ caporali guelfi e neri di Firenze, per trovare i modi e sicurtà de la pace, e ordinare parentadi tra gli usciti e’ grandi d’entro. In questi trattati, a’ possenti Guelfi e Neri parea a·lloro guisa che ’l cardinale sostenesse troppo la parte de’ Bianchi e de’ Ghibellini; ordinarono sottilmente per iscompigliare il trattato di mandare una lettera contrafatta col suggello del cardinale a Bologna e in Romagna agli amici suoi Bianchi e Ghibellini, che rimossa ogni cagione e indugio, dovessono venire a·fFirenze con gente d’arme a cavallo e a piè in suo aiuto; e chi disse pure, che fue vero, che ’l cardinale vi mandò; onde di quella gente venne infino a Crespino, e di tali in Mugello. Per la quale venuta in Firenze n’ebbe grande sombuglio e gelosia, e·legato ne fu molto ripreso e infamato: o avesse colpa o no, se ne disdisse al popolo. Per questa gelosia, e ancora per tema ch’ebbono d’essere offesi i XII sindachi bianchi e ghibellini, si partirono di Firenze, e andarsene ad Arezzo, e la gente che veniva al legato per suo comandamento si tornarono adietro a Bologna e in Romagna, e raquetarono la gelosia alquanto in Firenze. Coloro che guidavano la terra consigliarono il cardinale per levare sospetto ch’egli se n’andasse a Prato, e acconciasse i Pratesi insieme, e simile i Pistolesi, e intanto si piglierebbe modo in Firenze de la generale pace degli usciti. Il cardinale non possendo altro, così fece, e in buona fe’ o no ch’avesse intenzione, se n’andò a Prato, e richiese i Pratesi che si rimettessono in lui, e che gli voleva pacificare. I caporali di parte nera e’ Guelfi di Firenze veggendo le vestigie del cardinale, ch’egli favorava molto i Ghibellini e’ Bianchi per rimettergli in Firenze, e vedeano che con questo il popolo il seguiva, avendo sospetto che non tornasse a pericolo di parte guelfa, ordinarono co’ Guazzalotri da Prato, possente casa e di parte nera e molto Guelfi, di fare cominciare in Prato scisma e riotta contra ’l cardinale, e levare romore nella terra; onde il cardinale veggendo i Pratesi male disposti, e temendo di sua persona, sì si parti di Prato, e iscomunicò i Pratesi, e interdisse la terra, e vennesene a Firenze, e fece bandire oste sopra Prato, e diede perdonanza di colpa e di pena chi andasse sopra i Pratesi, e molti cittadini se n’aparecchiaro per andarvi a cavallo e a piè, gente ch’erano in fede e più Ghibellini che Guelfi, e andarono infino a Campi. In questa ordine dell’oste gente assai si raunaro in Firenze di contadini e forestieri, e cominciò a crescere il sospetto e gelosia a’ Guelfi, onde molti ch’a la prima aveano tenuti col cardinale, si furono rivolti per gli sdegni che vedeano, e i grandi di parte nera, e simile quegli che piaggiavano col cardinale, si guernirono d’arme e di gente, e la città fu tutta scompigliata e per combattersi insieme. I·legato cardinale veggendo che non potea fornire suo intendimento di fare oste a Prato, e la città di Firenze disposta a battaglia cittadina tra·lloro, e di quegli ch’aveano tenuto co·llui fattisi contradi, prese sospetto e paura, e subitamente si partì di Firenze a dì IIII di giugno MCCCIIII, dicendo a’ Fiorentini: «Dapoi che volete essere in guerra e in maladizione, e non volete udire né ubbidire il messo del vicaro di Dio, né avere riposo né pace tra voi, rimanete colla maladizione di Dio e con quella di santa Chiesa», scomunicando i cittadini, e lasciando interdetta la cittade, onde si tenne che per quella maladizione, o giusta o ingiusta, non fosse sentenzia e gran pericolo della nostra cittade per l’aversità e pericoli che·ll’avennero poco appresso, come innanzi faremo menzione.

LXX Come cadde il ponte alla Carraia, e morivvi molta gente.

In questo medesimo tempo che ’l cardinale da Prato era in Firenze, ed era in amore del popolo e de’ cittadini, sperando che mettesse buona pace tra·lloro, per lo calen di maggio MCCCIIII, come al buono tempo passato del tranquillo e buono stato di Firenze, s’usavano le compagnie e brigate di sollazzi per la cittade, per fare allegrezza e festa, si rinnovarono e fecionsene in più parti de la città, a gara l’una contrada dell’altra, ciascuno chi meglio sapea e potea. Infra l’altre, come per antico aveano per costume quegli di borgo San Friano di fare più nuovi e diversi giuochi, sì mandarono un bando che chiunque volesse sapere novelle dell’altro mondo dovesse essere il dì di calen di maggio in su ’l ponte alla Carraia, e d’intorno a l’Arno; e ordinarono in Arno sopra barche e navicelle palchi, e fecionvi la somiglianza e figura dello ’nferno con fuochi e altre pene e martori, e uomini contrafatti a demonia, orriboli a vedere, e altri i quali aveano figure d’anime ignude, che pareano persone, e mettevangli in quegli diversi tormenti con grandissime grida, e strida, e tempesta, la quale parea idiosa e spaventevole a udire e a vedere; e per lo nuovo giuoco vi trassono a vedere molti cittadini; e ’l ponte alla Carraia, il quale era allora di legname da pila a pila, si caricò sì di gente che rovinò in più parti, e cadde colla gente che v’era suso; onde molte genti vi morirono e annegarono, e molti se ne guastarono le persone, sì che il giuoco da beffe avenne col vero, e com’era ito il bando, molti n’andarono per morte a sapere novelle dell’altro mondo, con grande pianto e dolore a tutta la cittade, che ciascuno vi credea avere perduto il figliuolo o ’l fratello; e fu questo segno del futuro danno che in corto tempo dovea venire a la nostra cittade per lo soperchio delle peccata de’ cittadini, sì come appresso faremo menzione.

LXXI Come fu messo fuoco in Firenze, e arsene una buona parte della cittade.

Partito il cardinale da Prato di Firenze per lo modo che detto avemo adietro, la città rimase in male stato e in grande scompiglio, ché·lla setta che teneva col cardinale, ond’erano caporali i Cavalcanti e’ Gherardini, Pulci e’ Cerchi bianchi del Garbo, ch’erano mercatanti di papa Benedetto, con séguito di più case di popolo, per tema che’ grandi non rompessono il popolo, s’avessono la signoria, e ciò furono delle maggiori case e famiglie de’ popolani di Firenze, com’erano Magalotti, e Mancini, Peruzzi, Antellesi, e Baroncelli, e Acciaiuoli, e Alberti, Strozzi, Ricci, e Albizzi, e più altri, ed erano molto guerniti di fanti e gente d’arme. I contradi erano di parte nera, i principali, messer Rosso della Tosa col suo lato de’ Neri, messer Pazzino de’ Pazzi con tutti i suoi, la parte degli Adimari che si chiamano Cavicciuli, e messer Geri Spini e’ suoi consorti, e messer Betto Brunelleschi; messer Corso Donati si stava di mezzo, perch’era infermo di gotte, e per lo sdegno preso con questi caporali di parte nera; e quasi tutti gli altri grandi si stavano di mezzo, e’ popolani, salvo i Medici e’ Giugni, ch’al tutto erano co’ Neri. E cominciossi la battaglia tra’ Cerchi bianchi e’ Giugni alle loro case del Garbo, e combattevisi di dì e di notte. A la fine si difesono i Cerchi coll’aiuto de’ Cavalcanti e Antellesi, e crebbe tanto la forza de’ Cavalcanti e Gherardini, che co’ loro seguaci corsono la terra infino in Mercato Vecchio, e da Orto Sa·Michele infino a la piazza di San Giovanni sanza contasto o riparo niuno, però ch’a·lloro crescea forza di città e di contado; però che·lla più gente di popolo gli seguivano, e’ Ghibellini s’acostavano a·lloro; e venieno in loro soccorso que’ da Volognano con loro amici con più di M fanti, e già erano in Bisarno. E di certo in quello giorno eglino avrebbono vinta la terra, e cacciatone i sopradetti caporali di parte guelfa e nera, i quali aveano per loro nemici, perché si disse ch’aveano fatta tagliare la testa a messer Betto Gherardini, e a Masino Cavalcanti, e agli altri, come addietro facemmo menzione. E come erano in sul fiorire e vincere in più parti della terra ove si combatteva i loro nimici, avenne, come piacque a Dio, o per fuggire maggiore male, o permise per pulire i peccati de’ Fiorentini, che uno ser Neri Abati, cherico e priore di San Piero Scheraggio, uomo mondano e dissoluto, e ribello e nimico de’ suoi consorti, con fuoco temperato in prima mise fuoco in casa i suoi consorti in Orto Sammichele, e poi in Calimala fiorentina in casa i Caponsacchi presso a la bocca di Mercato Vecchio. E fu sì empito e furioso il maladetto fuoco col conforto del vento a tramontana che traeva forte, che in quello giorno arse le case degli Abati e de’ Macci, e tutta la loggia d’Orto Sammichele, e casa gli Amieri, e Toschi, e Cipriani, e Lamberti, e Bachini, e Buiamonti, e tutta Calimala, e le case de’ Cavalcanti, e tutto intorno a Mercato Nuovo e Santa Cecilia, e tutta la ruga di porte Sante Marie infino al ponte Vecchio, e Vacchereccia, e dietro a San Piero Scheraggio, e le case de’ Gherardini, e de’ Pulci, e Amidei, e Lucardesi, e di tutte le vicinanze di luoghi nomati quasi infino ad Arno; e insomma arse tutto il midollo, e tuorlo, e cari luoghi della città di Firenze, e furono in quantità, tra palagi e torri e case, più di MVIIc. Il danno d’arnesi, tesauri, e mercatantie fu infinito, però che in que’ luoghi era quasi tutta la mercatantia e cose care di Firenze, e quella che non ardea, isgombrandosi, era rubata da’ malandrini, combattendosi tuttora la città in più parti, onde molte compagnie, e schiatte, e famiglie furono diserte, e vennono in povertade per la detta arsione e ruberia. Questa pistolenza avenne a la nostra città di Firenze a dì X di giugno, gli anni di Cristo MCCCIIII, e per questa cagione i Cavalcanti, i quali erano de le più possenti case di genti, e di posessioni, e d’avere di Firenze, e’ Gherardini grandissimi in contado, i quali erano caporali di quella setta, essendo le loro case e de’ loro vicini e seguaci arse, perdero il vigore e lo stato, e furono cacciati di Firenze come rubelli, e’ loro nemici raquistarono lo stato, e furono signori della terra. E allora si credette bene che i grandi rompessono gli ordini della giustizia del popolo, e avrebbollo fatto, se non che per le loro sette erano partiti e in discordia insieme, e ciascuna parte s’abracciò col popolo per non perdere istato. Convienne ancora lasciare alquanto a raccontare dell’altre novitadi che in questi tempi furono in più parti, perché ancora ne cresce materia dell’averse fortune della nostra città di Firenze.

LXXII Come i Bianchi e’ Ghibellini vennero a le porte di Firenze, e andarne in isconfitta.

Tornato il cardinale da Prato al papa ch’era a Perugia co la corte, sì·ssi dolfe molto di coloro che reggeano la città di Firenze, e molto gli abominò dinanzi al papa e al collegio de’ cardinali di più crimini e difetti, mostrandogli peccatori uomini, e nimici di Dio e di santa Chiesa, e raccontando il disinore e ’l tradimento ch’aveano fatto a santa Chiesa, volendogli porre in buono stato e pacefico; per la qual cosa il papa e’ suoi cardinali si turbarono forte contra i Fiorentini, e per consiglio del detto cardinale da Prato fece il papa citare XII de’ maggiori caporali di parte guelfa e nera che fossono in Firenze, i quali guidavano tutto lo stato della cittade, i nomi de’ quali furono questi: messer Rosso della Tosa, messer Corso Donati, messer Pazzino de’ Pazzi, messer Geri Spini, messer Betto Bruneleschi [...] che dovessono venire dinanzi a·llui sotto pena di scomunacazione e privazione di loro beni; i quali obbedienti incontanente v’andaro con grande compagnia di loro amici e famigliari molto onorevolemente, e furono più di CL a cavallo, per iscusarsi al papa di quello che ’l cardinale da Prato avea loro messo adosso. E in questa richesta e citazione di tanti caporali di Firenze il cardinale da Prato sagacemente si pensò uno grande tradimento contro a’ Fiorentini, che incontanente scrisse per sue lettere a Pisa, e a Bologna, e in Romagna, ad Arezzo, a Pistoia, e a tutti i caporali di parte ghibellina e bianca di Toscana e di Romagna, che si dovessono congregare con tutte le loro forze e degli amici a piè e a cavallo, e in uno dì nomato venire con armata mano a la città di Firenze, e prendere la terra, e cacciarne i Neri e coloro ch’erano stati contro a·llui, e che ciò era di coscienza e volontà del papa (la qual cosa era grande bugia e falsità, che ’l papa di ciò non seppe niente), confortando ciascuno che venissono securamente, perché la città era fiebole e aperta da più parti, e che per sua industria n’avea tratti, e fatti citare a corte tutti i caporali di parte nera, e dentro avea gran parte che risponderebbono loro, e darebbono la terra, e che facessono la loro raunata e venuta segreta, e tosto. I quali avute queste lettere furono molto allegri, e confortandosi del favore del papa, ciascuno a suo podere si guernì, e mosse a venire verso Firenze a la giornata ordinata. E prima due dì, per la grande volontade, tutta l’altra ragunata de’ Bianchi e Ghibellini vennero verso Firenze per modo sì segreto che furono a la Lastra sopra Montughi in quantità di MVIc cavalieri e di VIIIIm pedoni innanzi che in Firenze si credesse per la più gente, però ch’egli non lasciavano venire a·fFirenze niuno messo che ciò anunziasse; e se fossono scesi a la città il dì dinanzi, sanza dubbio aveano la terra, però che non v’avea nulla provedenza, né guernigione d’arme né difesa. Ma egli s’arestarono la notte ad albergo a la Lastra e a Trespiano infino a Fontebuona per attendere messer Tolosato degli Uberti capitano di Pistoia, il quale facea la via a traverso dell’alpe con CCC cavalieri pistolesi e soldati, e con molti a piede; e veggendo la mattina che non venia, gli usciti di Firenze si vollono studiare di venire a la terra, credendolasi avere sanza colpo di spada; e così feciono, lasciando i Bolognesi a la Lastra, che per loro viltà, o forse perché a’ Guelfi ch’erano tra·lloro non piacea la ’mpresa: vegnendo l’altra gente, entraro nel borgo di San Gallo sanza nulla contasto, che allora non erano a la città le cerchie delle mura nuove, né’ fossi, e le vecchie mura erano schiuse e rotte in più parti. E entrati dentro a’ borghi, ruppono uno serraglio di legname con porta fatto nel borgo, il quale fue abandonato da’ nostri e non difeso, del quale gli Aretini trassono il chiavistello della detta porta, e per dispetto de’ Fiorentini il portarono ad Arezzo, e puosollo nella loro chiesa maggiore di Santo Donato. E venuti i detti nemici giù per le borgora verso la cittade, si schieraro in su ’l Cafaggio di costa a’ Servi, e furono più di XIIc di cavalieri e popolo grandissimo, per molti contadini seguitigli, e di que’ d’entro Ghibellini e Bianchi usciti a·lloro aiuto; la quale fu per loro mala capitaneria, come diremo appresso, che si puosono in luogo sanza acqua; ché se si fossono schierati in su la piazza di Santa Croce, aveano il fiume e l’acqua per loro e per gli cavagli, e la Città Rossa d’intorno fuori delle mura vecchie, ch’era tutta acasata da starvi al sicuro ogni grande oste, ma a cui Iddio vuole male gli toglie il senno e l’accorgimento. Come la sera dinanzi si seppe la novella, in Firenze ebbe grande tremore e sospetto di tradimento, e tutta la notte si guardò la terra; ma per lo sospetto chi andava qua, e chi là, sanza ordine niuno, isgombrando ciascuno le sue case. E di vero si disse che delle maggiori e migliori case di Firenze di grandi, e de’ popolani, e’ Guelfi seppono il detto trattato, e promesso aveano di dare la terra; ma sentendo la gran forza de’ Ghibellini di Toscana e nimici del nostro Comune, i quali erano venuti co’ nostri usciti, temettono forte di loro medesimi, e d’esserne poi cacciati e rubati, sì rimossono proposito, e intesono a la difensa cogli altri insieme. Certi de’ nostri caporali usciti con parte della gente, si partirono di Cafaggio dalla schiera, e vennero a la porta delli Spadari, e quella combattero e vinsono, e entraro delle loro insegne e di loro infino presso a la piazza di San Giovanni; e se la schiera grossa ch’era in Cafaggio fosse venuta appresso verso la terra, e assalita alcuna altra porta, di certo non aveano riparo. Ne la piazza di San Giovanni erano raunati tutti i valenti uomini e’ Guelfi che intendeano a la difensione della città, non però grande quantità, forse CC cavalieri e Vc pedoni, e con forza delle balestra grosse ripinsono i nimici fuori della porta, e con danno d’alquanti presi e morti. La novella andò a la Lastra a’ Bolognesi per loro spie, e rapportarono che i loro erano rozzi e sconfitti, incontanente, sanza saperne il certo, che non era però vero, si misono in via, chi meglio potéo fuggire; e scontrandogli messer Tosolato con sua gente in Mugello, che venia e sapea il vero, gli volle ritenere e rimenare indietro. Non ebbe luogo né per prieghi né per minacce. Quelli de la loro schiera grossa del Cafaggio, avuta la novella da la Lastra, come i Bolognesi s’erano partiti in rotta, come piacque a·dDio, incontanente impauriro, e per lo disagio di stare infino dopo nona a schiera a la fersa del sole, e gran caldo ch’era, e non aveano acqua a sofficienza per loro e per loro cavalli, cominciarono a partirsi e andare via in fugga, gittando l’armi sanza asalto o caccia di cittadini, che quasi e’ non uscirono loro dietro, se non certi masnadieri di volontà; onde molti de’ nimici ne morirono per ferri e per traffelare, e rubati l’arme e’ cavalli, e certi presi furono impiccati nella piazza di San Gallo, e per la via in su gli alberi. Ma di certo si disse che con tutta la partita de’ Bolognesi, e fossono stati fermi insino a la venuta di messer Tosolato, che ’l poteano sicuramente fare per lo piccolo podere de’ cavalieri difenditori ch’avea in Firenze, ancora avrebbono vinta la terra. Ma parve opera e volontà di Dio, e che fossono amaliati, perché la nostra città di Firenze non fosse al tutto diserta, rubata, e guasta. Questa non proveduta vittoria e scampamento della città di Firenze fue il dì di santa Margherita, a dì XX del mese di luglio, gli anni di Cristo MCCCIIII. Avenne fatta sì stesa memoria, perché a·cciò fummo presenti, e per lo grande rischio e pericolo di che Dio iscampò la città di Firenze, e perché i nostri discendenti ne prendano esemplo e guardia.

LXXIII Come gli Aretini ripresono il castello di Laterino, che ’l teneano i Fiorentini.

Nel detto anno MCCCIIII, a dì XXV del mese di luglio, essendo la città di Firenze in tante aversitadi e fortune, gli Aretini cogli Ubertini e’ Pazzi di Valdarno vennero con tutto loro podere di gente d’arme a cavallo e a piede al castello di Laterino, il quale teneano i Fiorentini, e aveano tenuto lungo tempo per forza, e quello coll’aiuto de’ terrazzani fu loro dato; e la rocca la quale aveano fatta fare i Fiorentini, l’avea in guardia messere Gualterotto de’ Bardi, perch’era venuto a Firenze per le novitadi che v’erano state, convenne s’arrendesse pochi dì appresso, però ch’era rimasa mal fornita, e per le novità di Firenze non aspettavano soccorso. E alcuno disse che gli Ubertini suoi parenti il ne tradiro e ingannaro, e chi disse che lo ’nganno fu fatto al Comune. De la quale perdita del castello spiacque molto a’ Fiorentini, però ch’era molto forte, e in una contrada che tenea molto a freno gli Aretini.

LXXIV Ancora di novitadi che furono in Firenze ne’ detti tempi.

Nel detto anno, a dì V d’agosto, essendo preso nel palagio del Comune di Firenze Talano di messer Boccaccio Cavicciuli degli Adimari per malificio commesso, onde dovea essere condannato, i suoi consorti, tornando la podestade con sua famiglia da casa i priori, l’asaliro con arme, e fedirono malamente, e di sua famiglia furono morti e fediti assai; e’ detti Cavicciuli entrarono in palagio, e per forza ne trassono il detto Talano sanza contasto niuno, e di questo malificio non fu giustizia né punizione niuna; in sì corrotto stato era allora la città di Firenze. E la podestà, ch’aveva nome messer..., per isdegno si partìo, e tornossi a casa sua co la detta vergogna, e la città rimase sanza rettore; ma per necessità i Fiorentini feciono in luogo di podestà XII cittadini, due per sesto, uno grande e uno popolano, i quali si chiamarono le XII podestadi, e ressono la cittade infino a tanto che venne la nuova podestade.

LXXV Come i Fiorentini feciono oste e presono il castello delle Stinche e Montecalvi, che ’l teneano i Bianchi.

Nel detto anno e mese d’agosto, essendo la città di Firenze retta per le XII podestadi, ordinarono oste per perseguitare i Bianchi e’ Ghibellini, i quali aveano rubellate più fortezze e castella nel contado di Firenze, e intra gli altri era rubellato il castello delle Stinche in Valdigrieve a petizione de’ Cavalcanti, al quale andò la detta oste, e puoservi l’assedio, e combatterlo, e per patti s’arrendero pregioni, e ’l castello fu disfatto, e’ pregioni ne furono menati in Firenze, e messi nella nuova pregione fatta per lo Comune su ’l terreno degli Uberti di costa a San Simone; e per lo nome di que’ pregioni venuti dalle Stinche, che furono i primi che vi furono messi, la detta pregione ebbe nome le Stinche. E disfatto il castello, e partita la detta oste, ne venne in Valdipesa, e assediaro Montecalvi, il quale aveano rubellato i Cavalcanti, e quello assediato e combattuto, s’arenderono salve le persone; ma uscendone uno figliuolo di messer Banco Cavalcanti, per uno de’ figliuoli della Tosa fu morto, onde ebbono grande biasimo per la sicurtà data per lo Comune, e nulla giustizia per lo Comune ne fu. Lascereno alquanto de le nostre averse novità di Firenze, e faremo incidenza, tornando alquanto di tempo adietro per raccontare la fine della guerra dal re di Francia a’ Fiaminghi, la quale lasciammo adietro.

LXXVI Incidenza, tornando alquanto adietro a racontare delle storie de’ Fiaminghi.

Negli anni di Cristo MCCCIII i Fiamminghi co·lloro oste grandissima corsono il paese d’Artese faccendo grande dammaggio, e arsono il borgo d’Arches fuori di Santo Mieri, e puosonsi a campo nel bosco di là dal fiume de la Liscia. I Franceschi ch’erano in Santo Mieri, più di IIIIm uomini a cavallo e gente a piede assai col maliscalco di Francia, saviamente ingannarono i Fiamminghi, che parte di loro al di lungi dell’oste si misono in guato una notte, e l’altra cavalleria e gente de’ Franceschi assalirono i Fiaminghi da la parte del borgo d’Artese. I Fiaminghi vigorosamente tutti si misono a la ’ncontra de’ Franceschi, e cominciarono la zuffa; gli altri Franceschi ch’erano nell’aguato uscirono al di dietro sopra i Fiamminghi, i quali veggendosi assalire improviso, si misono in isconfitta, e rimasorne morti più di IIIm, gli altri si fuggirono al poggio di Casella. In questo medesimo anno e tempo il buono messer Guido di Fiandra, il quale per retaggio della madre v’usava ragione sopra la contea d’Olanda e d’Isilanda, la quale tenea il conte d’Analdo suo cugino, prima coll’aiuto e forza de’ Fiaminghi corse parte della contea d’Analdo, e poi con grande oste e navilio passò in Isilanda, e prese la terra di Midelborgo, e quasi tutto il paese e quelle isole d’intorno, salvo la terra di Silisea, la quale era molto forte e bene guernita. In questo anno venne di Puglia in Fiandra messer Filippo figliuolo del conte Guido di Fiandra, e lasciò e rifiutò al re Carlo di Puglia il contado di Tieti, di Lanciano, e de la Guardia in Abruzzi, il quale egli tenea in fio dal re e per dote de la moglie, per soccorrere il padre e’ frategli e il suo paese di Fiandra, e amò meglio d’essere povero cavaliere sanza terra, per aiutare e soccorrere la sua patria e avere onore, che rimanere in Puglia ricco signore. Incontanente che fue in Fiandra da’ Fiamminghi fu fatto signore e capitano di guerra, il quale usò in Italia e in Toscana e in Cicilia a le nostre guerre; fu molto sollecito e franco, però che alquanto era di testa, e coll’oste de’ Fiamminghi andò sopra Santo Mieri, e corse e distrussono gran parte del paese infino a la marina; e poi assediò la guasta terra dell’antica città di Ternana in Artese, però ch’era sanza mura, pur cinta di fosse, e dentro v’erano in guardia CC cavalieri lombardi, e MD pedoni toscani e lombardi e romagnuoli con lance lunghe e tutti bene armati a la nostra guisa, onde i paesani di là si maravigliavano molto, e di loro aveano grande spavento; i quali avea fatti venire di Lombardia messer Musciatto Franzesi e messer Alberto Scotti di Piagenza, la quale era una buona masnada e valente, e d’onde i Fiaminghi più temeano. E credendogli i Fiaminghi avere presi in Ternana, però che per moltitudine di loro, ch’erano più di cinquantamilia, aveano presa per forza la porta, e valico il fosso, i Lombardi e’ Toscani faccendo serragli e sbarre ne la ruga de la terra, ritegnendo e combattendo co’ Fiamminghi, sì gli risistettono tutto il giorno; ma crescendo la potenza de’ Fiamminghi per la moltitudine loro, compresono tutta la terra d’intorno, salvo da la parte del fiume, e credendosi avere circondati e presi tutti i Lombardi sanza riparo; ma i Lombardi e’ Toscani, come savi e maestri di guerra, feciono uno bello e sùbito argomento al loro scampo, e a ingannare i Fiaminghi; ciò che ch’eglino stiparono due case l’una incontro a l’altra, le quali erano in capo del ponte del fiume de la Liscia che correa di costa a la terra, e vegnendo ritegnendo la battaglia manesca co’ Fiaminghi, lasciandosi perdere di serraglio in serraglio al loro scampo e ritratta, come furono presso al ponte misono fuoco nelle dette case stipate, e valicarono il ponte sani e salvi, e di là dal fiume stavano schierati sonando loro stormenti, e faccendo schernie de’ Fiaminghi, e saettando loro; e poi ricolti tutti, se n’andarono a la terra d’Aria in Artese, e poi a la città di Tornai. I Fiaminghi per la forza del gran fuoco non ebbono podere di seguirgli, onde rimasono con onta e vergogna scornati dello ’nganno de’ Lombardi, e per cruccio misono fuoco, e guastarono e arsono tutta la città di Ternana; e poi sanza soggiorno se n’andarono per Artese guastando il paese, e puosonsi ad oste a la forte e ricca città di Tornai quasi intorno intorno con loro grande esercito, e crescendo loro oste. Ma la città era bene guernita di buona cavalleria e de le masnade de’ Lombardi e Toscani, che poco o niente gli curavano; ma di continuo le dette masnade uscivano fuori della terra, e assalivano l’oste de’ Fiaminghi di dì e di notte, dando loro molto affanno e sollecitudine, e faccendo romire la grandissima oste; e com’erano cacciati da’ Fiaminghi, si riduceano in su i fossi di fuori sotto la guardia de le torri de la città e de’ loro balestrieri ordinati in su le mura; e nulla altra gente facie guerra a’ Fiaminghi, e di cui più temessono; e per questo modo sovente gabbavano i Fiaminghi. In questa stanza dell’asedio di Tornai lo re di Francia molto straccato di spendio, per trattato del conte di Savoia si presono triegue per uno anno da·llui a’ Fiaminghi, e levossi l’assedio da Tornai; e ’l conte Guido di Fiandra fu lasciato di pregione sotto sicurtà di saramento e di stadichi, e di ritornare in pregione infra certo tempo; e andò così vecchio com’era in Fiandra con grande allegrezza per vedere suo paese libero da la signoria de’ Franceschi, e fare festa a’ suoi discendenti e buona gente del paese. E ciò fatto, disse ch’omai non curava di morire, quando a·dDio piacesse; e per lo saramento si tornò in pregione a Compigno, e poco stante si morì e rendé l’anima a·dDio in aggio di più di LXXX anni, come valente e savio uomo, e buono signore; e lui morto, il corpo suo fu recato in Fiandra, e soppellito a grande onore.

LXXVII Come fu sconfitto e preso in mare messer Guido di Fiandra colla sua armata da l’amiraglio del re di Francia.

Fallite le triegue dal re di Francia a’ Fiaminghi l’anno appresso MCCCIIII, lo re di Francia fece uno grande apparecchiamento di molti baroni per andare in Fiandra, con più di XIIm buoni cavalieri gentili uomini, e con più di Lm pedoni; e col detto esercito e con grande fornimento passò in Fiandra. In mare fece suo amiraglio messer Rinieri de’ Grimaldi di Genova, valente e franco uomo e bene aventuroso in guerra di mare, il quale da Genova venne nel mare di Fiandra con XVI galee bene armate al soldo del re per guerreggiare per terra e per mare i Fiaminghi, per levare l’assedio da la terra di Cirigea in Fiandra, a la quale era il buono e valente messer Guido di Fiandra con più di XVm Fiaminghi sanza quegli del paese di sua parte. E corseggiarono, e fatta gran guerra a le terre marine di Fiandra, e preso molto navilio con mercatantia di Fiamminghi per lo detto amiraglio sì andò per soccorrere Sirisea con XX navi armate a Calese, e colle dette XVI galee. Messer Guido di Fiandra veggendolo venire, lasciò fornito in terra l’asedio a Silisea con Xm Fiaminghi, e armò LXXX navi, overo cocche, al modo di quello mare, fornite con castella per battaglia, e in ciascuna il meno C uomini fiaminghi e del paese, e egli in persona con molta buona gente salì in su la detta armata e navilio, avendo il detto messer Rinieri Grimaldi e’ Genovesi per niente, per lo poco navile ch’avea a comparazione del suo; ma non istimava quello che portavano in mare le galee de’ Genovesi armate. Sì s’afrontarono insieme, e l’asalto fu grande e forte e furioso del navilio di messer Guido per gli Fiaminghi, per lo soprastare che le sue navi colle castella armate faceano a le galee dell’amiraglio. Ma messer Rinieri conoscendo il modo del combattere di quelle navi, e de la marea e ritratta che fae quello mare per lo fiotto, sì si ritrasse adietro a·rremi colle sue galee, e lasciò le sue navi per abandonate, le quali erano armate di genti di quella marina; onde la maggiore parte furono prese e isbarattate, e credevasi messer Guido e’ Fiaminghi avere vittoria de’ suoi nemici, e messo l’amiraglio in fugga. Ma il savio amiraglio attese colle sue galee tanto che tornò il fiotto co la piena marea, com’è costume di quello mare; e la sua gente rinfrescata venne con forte rema de le sue galee come cavagli correnti, e con molti balestrieri a moschetti in su ciascuna galea assalendo e saettando le cocche e navi de’ Fiaminghi, onde molti furono fediti e morti. I Fiaminghi non costumati di sì fatto assalto e battaglia, e non potendo per forza di vele tornare adietro né ire innanzi, isbigottirono molto. I Genovesi co·lloro navilio mescolandosi tra ’l navilio de’ Fiaminghi, sì si misono IIII galee co l’amiraglio a combattere la grande cocca dello stendale ov’era messer Guido di Fiandra co’ suoi baroni, e quella per forza di saettamento e per prestezza di genti co le spade in mano sagliendo da più parti in su la cocca, quella presono con molti fediti e morti da ciascuna parte, e messer Guido, tra gli altri ch’erano rimasi, s’arendero pregioni. E presa la nave di messer Guido, l’altre furono tutte sconfitte, e la maggiore parte prese. E per abondante la gente de’ Fiaminghi ch’erano all’assedio della terra di Sirisea furono assediati eglino, e per difetto di vittuaglia chi fuggì a pericolo di morte, e chi s’arrendéo pregione; e messer Guido con molti altri ne fu menato preso in Francia e a Parigi. Questa pericolosa e grande sconfitta ebbono i Fiaminghi a l’uscita del mese d’agosto, gli anni di Cristo MCCCIIII. In questo medesimo tempo certi di Baiona in Guascogna co·lloro navi, le quali chiamano cocche, passarono per lo stretto di Sibilia, e vennero in questo nostro mare corseggiando, e feciono danno assai; e d’allora innanzi i Genovesi e’ Viniziani e’ Catalani usaro di navicare co le cocche, e lasciarono il navicare delle navi grosse per più sicuro navicare, e che sono di meno spesa: e questo fue in queste nostre marine grande mutazione di navilio.

LXXVIII Come lo re di Francia sconfisse i Fiaminghi a Monsimpeveri.

Ne la detta state, innanzi la sopradetta sconfitta di messere Guido di Fiandra, i Fiaminghi sentendo la venuta del re di Francia facea sopra loro, feciono grande apparecchiamento d’oste, e furono più di LXm, e co’ loro signori e capitani, messer Filippo di Fiandra, e messer Gianni conte di Namurro, e messer Arrigo suo fratello, e messer Guiglielmo di Giulieri, cogli altri baroni di Fiandra, e di Namurro, e d’Alamagna, e altri loro amici vennero co·lloro oste a Lilla e a le frontiere per contradiare al re e a sua gente l’entrata in Fiandra. La gente del re vegnendo da la parte di Tornai, feciono una grande punga al passo del ponte a Guandino in su la Liscia per passare il fiume, e fuvi morto il valente cavaliere messer Gianni Buttafuoco di que’ di Gianville con più altri cavalieri franceschi, ma a la fine i Franceschi furono vincitori del passo, e valicò il re con tutta sua oste, e acampossi tra Lilla e Doagio nella valle del luogo detto Monsimpevero. I signori di Fiandra co·lloro oste scesono di Monsimpevero ov’erano acampati, e stesono loro alberghi e tende, e acamparsi nella piaggia sanza dirizzare tende o trabacche, con intenzione di venire a la battaglia incontanente, per le novelle ch’aveano già della sconfitta d’Isilanda di messer Guido; e puosonsi a la rincontra del re di Francia e di sua oste, e scesono tutti a piè, chi avea cavallo, apparecchiati di combattere; e aveano tanto carreggio, che di loro carri per loro fortezza e sicurtade si chiusono intorno intorno tutta loro oste, che girava più di III miglia, e lasciarono al campo V uscite. Ma intanto feciono mala capitaneria di guerra, che quando istesono i loro padiglioni e trabacche levandosi dal poggio di Monsimpeveri, tutto torciarono e caricarono co’ loro arnesa e vittuaglia in su le loro carra, e quasi eglino medesimi s’assediarono e aseccarono; onde i Franceschi assalendogli al continuo in quella giornata con XIIII battaglie, ciò sono schiere, ch’aveano fatte di loro cavalleria, che di ciascuna era guidatore e capitano uno de’ maggiori signori di Francia, tegnendoli a badalucchi e agirandogli d’intorno co·lloro schiere ordinate, sonando trombe e nacchere al continuo, molto gli affannavano; e eglino rinchiusi nel carrino, poco si poteano aiutare e offendere i Franceschi. E oltre a questo, faccendo venire i Franceschi i loro pedoni, e spezialmente i bidali, ciò sono Navarresi, Guasconi, e Provenzali, e con altri di Linguadoco, leggeri d’arme, con balestra e co’ loro dardi e giavellotti a fusone, e con pietre pugnerecce conce a scarpelli a Tornai, onde il re avea fatti venire in su più carra, assaliro il carreggio de’ Fiaminghi, e in più parti lo ’ntorniaro e rubaro, e istando in su’ carri de’ Fiaminghi saettando e gittando pietre e dardi alle schiere, onde molto forte affriggeano il popolo di Fiandra; e massimamente perché ’l tempo era caldissimo, e il fornimento di bere e di mangiare di Fiaminghi, che poco possono stare digiuni, era loro malagevole, e non ordinato da potere avere, però ch’era in su’ carri, onde molto furono confusi. E stando in questo tormento infino presso al vespro, non potendo più durare, quasi come disperati di salute, alquanti di loro co’ loro signori e capitani ordinarono d’uscire della bastita de’ carri, e assalire l’oste de’ Franceschi; e il buono messer Guiglielmo di Giulleri con certi eletti di Bruggia e del Franco di Bruggia fue una schiera, e messer Filippo di Fiandra con certi di quegli di Guanto e del paese un’altra schiera, e messer Gianni conte di Namurro con certi di quegli d’Ipro e de la marina furono un’altra schiera. E subitamente, non prendendosi guardia di ciò i Franceschi, uscirono a uno segno e grido del loro campo da tre parti, con gran furia e romore assalendo i Franceschi; e fue sì grande e forte l’assalto de’ Fiaminghi, che messer Carlo di Valos, e il conte di San Polo, e più altre schiere furono rotte, e misonsi in volta. In buono messer Guiglielmo di Giulleri con que’ di Bruggia e del Franco se n’andarono diritto al padiglione e logge del re di Francia con sì gran furia, uccidendo chiunque si parava loro innanzi, sì che non ebbono quasi nullo contrasto; sì furono al padiglione del re, trovando gli arosti e la vivanda della cena de’ Franceschi a fuoco, e quelle tutte rubaro e mangiarono, e andando cercando la persona del re, il trovarono isproveduto e quasi disarmato, a piè, che indosso non avea arme, se non uno ghiazzerino; e perché nol trovarono coll’armi reali indosso, nol conobbono, che di certo morto l’avrebbono, che n’aveano il podere, e avrebbono finita la loro guerra, se Idio l’avesse asentito; e pur così sconosciuto, ebbe lo re troppo affare a montare a cavallo; e furongli morti a’ piè parecchi grandi borgesi di Parigi, ch’aveano l’uficio di metterlo a cavallo. Ma come fu montato, cominciò a sgridare i suoi e dare loro conforto, e di suo corpo fare maraviglie d’arme, come quegli ch’era forte, e di fazzione di corpo il meglio fornito che nullo Cristiano che al suo tempo vivesse; sicché in poca d’ora ebbe sì riscosso da’ nemici, e messigli in volta, e ricoverato il campo. E messer Carlo suo fratello e gli altri baroni che co·lloro schiere de’ cavalieri fuggieno, sentendo che il re con sua schiera tenea campo, tornaro adietro e ingrossaro la battaglia del re, e fu sì possente, che mise in rotta e in isconfitta i Fiamminghi. E in quella punga rimase morto il buono messer Guiglielmo di Giulieri con più cavalieri, e baroni, e buoni borgesi ch’erano co·llui, ma non sanza grande dammaggio de’ Franceschi, e che in quello assalto morìo il conte d’Alzurro, e ’l conte di Sansurro, e messer Gianni figliuolo del duca di Borgogna, e più altri baroni e cavalieri in quantità di MD e più, e di Fiaminghi vi rimasono morti più di VIm, e lasciaro tutto il loro carrino e arnese; e durò l’aspra battaglia infino a la notte con torchi accesi. E di certo per virtù solo della persona del re i Franceschi vinsono e ebbono vittoria della detta battaglia: e messer Filippo di Fiandra con gran parte de’ Fiaminghi si fuggiro, e ricoverarono la notte in Lilla, e messer Gian di Namurro e messer Arrigo suo fratello fuggirono la notte a Ipro, e rimaso lo re co’ Franceschi vincitori in su ’l campo. L’altro dì appresso ordinò che’ Franceschi morti fossono soppelliti, e così fu fatto in una badia la quale è ivi di costa al piano ove fu la battaglia, e fece decreto e gridare sotto pena del cuore e d’avere ch’a nullo corpo de’ Fiaminghi fosse data sepoltura, ad asemplo e perpetuale memoria. E io scrittore ciò posso testimoniare di vero, che a pochi dì appresso fui in su ’l campo dove fue la battaglia, e vidi tutti i corpi morti ancora non intaminati. E la detta battaglia fu all’uscita del mese di settembre, gli anni di Cristo MCCCIIII.

LXXIX Come poco appresso la sconfitta di Monsimpevero i Fiaminghi tornaro per combattere col re di Francia, e ebbono buona pace.

L’altro dì appresso che ’l re di Francia ebbe la vittoria de’ Fiaminghi sì si partì di quello luogo ove fue la battaglia, e con tutta sua oste si puose all’asedio a la terra di Lilla, ov’era rinchiuso e rimaso messer Filippo di Fiandra con certa buona gente d’arme per difendere la terra; e quella tutta circundata, sì che nullo ne potea uscire né entrare; e girava l’oste del re più di VI miglia, e fece rizzare molti difici e torri di legname per combattere la terra e ’l castello, il quale era molto forte e bello, fatto per lo re a la prima guerra; e di certo sanza lungo dimoro si credea lo re avere la villa e ’l castello per forza o per fame. In questo stante avenne grande maraviglia, e bene da farne nota e ricordanza; che tornato messer Gianni di Namurro a Bruggia, e richesti quelli del paese al soccorso di Lilla, non isbigottiti né ispaurati de le due grandi sconfitte ricevute così di corto a Sirisea in mare né a Monsimpevero, ma con grande ardire e buono volere tutti quelli del paese lasciando ogni loro arte e mestiere s’apparecchiarono di venire a l’oste; e in tre settimane dopo la sconfitta ebbono rifatti i padiglioni e trabacche; e chi non ebbe panno lino, sì le fece di buone bianche d’Ipro e di Guanto. E raunaro di tutto il paese il carreggio e tutti i fornimenti d’oste, e armossi nobilemente, e tutti per compagnie d’arti e di mestieri, con soprasberghe nuove di fini drappi divisata l’una compagnia da l’altra; e furono bene Lm d’uomini d’arme, e tutti si giurarono insieme di mai non tornare a·lloro casa, ch’egli avrebbono buona pace dal re, o di combattersi co·llui e con sua gente, però che meglio amavano di morire a la battaglia che vivere in servaggio. E così caldi e disperati ne vennero al ponte a Guarestona sopra la Liscia presso di Lilla, e acamparsi incontro all’oste del re di Francia; e per loro araldi (ciò sono uomini di corte) feciono richiedere lo re di battaglia. Quando lo re vide venuto così grande esercito de’ Fiaminghi in così poco di tempo, e così disposti a battaglia, si maravigliò molto, e temette forte, avendo assaggiato a Monsimpevero la loro disperata furia; e richiese suo consiglio de’ suoi baroni, de’ quali non v’ebbe niuno sì ardito che non avesse temenza, dicendo al re: «Bene che Idio ci desse di loro la vittoria, non sarebbe sanza grande pericolo de la nostra gente e cara baronia, però che si combatteranno come gente disperata». Per la qual cosa il duca di Brabante, ch’era venuto come mezzano nell’oste del re col conte di Savoia insieme, si tramisono d’acordo e pace dal re e’ Fiamminghi; e come piacque a·dDio, e per la tema de’ Franceschi, la pace fue fatta e confermata in questo modo: che’ Fiaminghi rimarrebbono in loro franchigia e libertà per lo modo antico e consueto, e ch’eglino riavrebbono i loro signori liberi delle carcere de·re di Francia, ciò era messer Ruberto di Bettona primogenito del conte Guido di Fiandra, e che succedea a essere conte, e messer Guiglielmo di Fiandra, e messer Guido di Namurro suoi fratelli, e più altri baroni e cavalieri e borgesi fiaminghi presi; e che il re ristituirebbe al conte d’Universa, figliuolo del detto messere Ruberto conte di Fiandra, la contea d’Universa e quella di Rastrello, le quali il re di Francia per la guerra gli avea tolte e levate. D’altra parte i Fiaminghi, per patti della pace e amenda al re, lasciavano a queto tutta la parte di Fiandra dal fiume della Liscia verso Francia che parlano piccardo, cioè Lilla, Doai, e Orci, e Bettona, con più villette; e oltre a·cciò pagare al re in certi termini libbre CCm di buoni parigini. E così fu giurata e promessa, e messa a seguizione, e in questo modo ebbe fine la dura e aspra guerra da·re di Francia a’ Fiaminghi. Lasceremo di questa materia, ch’hae avuto suo fine, e torneremo a nostra, a dire de’ fatti d’Italia e de la nostra città di Firenze, ch’assai novità vi furono in questi tempi. E prima de la morte di papa Benedetto, e di quelli che succedette appresso.

LXXX Come morì papa Benedetto, e de la nuova lezione di papa Clemento quinto.

Negli anni di Cristo MCCCIIII, a dì XXVII del mese di luglio, morì papa Benedetto nella città di Perugia, e dissesi di veleno; che stando egli a sua mensa a mangiare, gli venne uno giovane vestito e velato in abito di femmina servigiale delle monache di Santa Petornella di Perugia, con un bacino d’argento, iv’entro molti begli fichi fiori, e presentogli al papa da parte della badessa di quello monestero sua devota. Il papa gli ricevette a gran festa, e perché gli mangiava volentieri, e sanza farne fare saggio, perch’era presentato da femmina, ne mangiò assai, onde incontanente cadde malato, e in pochi dì morìo, e fu soppellito a grande onore a’ frati predicatori, ch’era di quello ordine, in Santo Arcolano di Perugia. Questi fue buono uomo, e onesto e giusto, e di santa e religiosa vita, e avea voglia di fare ogni bene, e per invidia di certi de’ suoi frati cardinali, si disse, il feciono per lo detto modo morire; onde Idio ne rendé loro, se colpa v’ebbono, assai in brieve giusta e aperta vendetta, come si mostrerrà appresso. Ché dopo la morte del detto papa nacque scisma, e fue grande discordia infra ’l collegio de’ cardinali d’eleggere papa, e per loro sette erano divisi in due parti quasi iguali; dell’una era capo messere Matteo Rosso degli Orsini con messer Francesco Guatani nipote che fu di papa Bonifazio, e dell’altra erano caporali messer Nepoleone degli Orsini dal Monte e ’l cardinale da Prato, per rimettere i loro parenti e amici Colonnesi inn-istato, e erano amici del re di Francia, e pendeano in animo ghibellino. E essendo stati per tempo di più di nove mesi rinchiusi e costretti per gli Perugini perché chiamassono papa, e non poteano avere concordia, a la fine trovandosi il cardinale da Prato con messer Francesco cardinale de’ Guatani in segreto luogo, disse: «Noi facciamo grande male e guastamento della Chiesa a non chiamare papa». E messer Francesco disse: «E non rimane per me». Quello da Prato rispuose: «E s’io ci trovassi buono mezzo, saresti contento?». Rispuose di sì; e così ragionando insieme vennero a questa concordia, per industria e sagacità del cardinale da Prato, trattando col detto messer Francesco Guatani in questo modo gli diede il partito che l’uno collegio per levare ogni sospetto eleggesse tre oltramontani, sofficienti uomini al papato, cui a·lloro piacesse, e l’altro collegio infra XL dì prendesse l’uno di que’ tre, cui a·lloro piacesse, e quegli fosse papa. Per la parte di messer Francesco Guatani fu preso di fare la lezione, credendosi prendere il vantaggio, e elesse tre arcivescovi oltramontani, fatti e criati per papa Bonifazio suo zio, molto suoi amici e confidenti, e nemici del re di Francia loro aversaro, confidandosi, che l’altra parte prendesse, d’avere papa a·lloro senno e loro amico; infra quegli tre fu l’arcivescovo di Bordello il primo più confidente. Il savio e proveduto cardinale da Prato si pensò che meglio si potea fornire il loro intendimento a prendere messer Ramondo del Gotto arcivescovo di Bordello, che nullo degli altri, con tutto che fosse creatura del papa Bonifazio, e non amico del re di Francia, per offese fatte a’ suoi nella guerra di Guascogna per messer Carlo di Valos; ma conoscendolo uomo vago d’onore e di signoria, e ch’era Guascone, che naturalmente sono cupidi, che di leggeri si potea pacificare col re di Francia; e così presono il partito segretamente, e per saramento egli e la sua parte del collegio, e ferme dall’uno collegio all’altro le carte e cautele de le dette convenenze e patti, per sue lettere propie e degli altri cardinali di sua parte scrissono al re di Francia, e inchiuse dentro sotto loro suggelli i patti e convenenze e commessione da·lloro a l’altra parte del collegio, e per fidati e buoni corrieri ordinati per gli loro mercatanti (non sentendone nulla l’altra parte) mandarono da Perugia a Parigi in XI dì, amonendo e pregando il re di Francia per lo tinore delle loro lettere che s’egli volesse racquistare suo stato in santa Chiesa, e rilevare i suoi amici Colonnesi, che ’l nimico si facesse ad amico, ciò era messer Ramondo del Gotto arcivescovo di Bordello, l’uno de’ tre eletti più confidenti dell’altra parte, cercando e trattando co·llui patti larghi per sé e per gli amici suoi, però che in sua mano era rimessa la lezione dell’uno di que’ tre cui a·llui piacesse. Lo re di Francia avute le dette lettere e commessioni, fu molto allegro e sollicito a la ’mpresa. In prima mandate lettere amichevoli per messi in Guascogna a messer Ramondo del Gotto arcivescovo di Bordello, che gli si facesse incontro, che gli volea parlare; e infra i presenti VI dì fu il re personalmente con poca compagnia e segreta conferito col detto arcivescovo di Bordello, in una foresta badia nella contrada di San Giovanni Angiolini; e udita insieme la messa, e giurata in su l’altare credenza, lo re parlamentò co·llui, e con belle parole, di riconciliarlo con messer Carlo, e poi sì gli disse: «Vedi arcivescovo, i’ ho in mia mano di poterti fare papa s’io voglio, e però sono venuto a te: e perciò, se tu mi prometterai di farmi sei grazie ch’io ti domanderò, io ti farò questo onore; e acciò che tu sie certo ch’io n’ho il podere», trasse fuori e mostrogli le lettere e le commessioni dell’uno collegio de’ cardinali e dell’altro. Il Guascone covidoso della dignità papale, veggendo così di subito come nel re era al tutto di poterlo fare papa, quasi stupefatto de l’alegrezza gli si gittò a’ piedi, e disse: «Signore mio, ora conosco che m’ami più che uomo che sia, e vuomi rendere bene per male: tu hai a comandare e io a ubidire, e sempre sarò così disposto». Lo re il rilevò suso, e basciollo in bocca, e poi gli disse: «Le sei speziali grazie ch’io voglio da te sono queste. La prima, che tu mi riconcilii perfettamente colla Chiesa, e facci perdonare del misfatto ch’io commisi de la presura di papa Bonifazio. Il secondo, di ricomunicare me e’ miei seguagi. Il terzo articolo, che mi concedi tutte le decime del reame per V anni, aiuto a le mie spese ch’i’ ho fatte per la guerra di Fiandra. Il quarto, che tu mi prometti di disfare e anullare la memoria di papa Bonifazio. Il quinto, che tu rendi l’onore del cardinalato a messer Iacopo e a messer Piero de la Colonna, e rimettigli in istato, e fai co·lloro insieme certi miei amici cardinali. La sesta grazia e promessa mi riservo a luogo e a tempo, ch’è segreta e grande». L’arcivescovo promise tutto per saramento in sul Corpus Domini, e oltre a·cciò gli diè per istadichi il fratello e due suoi nipoti; e lo re giurò a·llui e promise di farlo eleggere papa. E ciò fatto, con grande amore e festa si partiro, menandone i detti stadichi sotto coverta d’amore e di riconciliargli con messer Carlo, e tornossi lo re a Parigi; e incontanente riscrisse al cardinale da Prato e agli altri di suo collegio ciò ch’avea fatto, e che sicuramente eleggessono papa messer Ramondo del Gotto arcivescovo di Bordello, siccome confidente e perfetto amico. E come piacque a Dio, la bisogna fue sì sollecita, che in XXXV dì fu tornata la risposta del detto mandato a la città di Perugia molto segreta. E avuta il cardinale da Prato la detta risposta, la manifestò al segreto al suo collegio, e richiese cautamente l’altro collegio che quando a·lloro piacesse, si congregassono in uno, ch’eglino voleano oservare i patti, e così fu fatto di presente. E raunati insieme i detti collegi, e come fu bisogno a retificare e confermare l’ordine de’ detti patti con vallate carte e saramenti fu fatto solennemente. E ciò fatto, per lo detto cardinale da Prato proposta saviamente una autorità de la santa Scrittura, che a·cciò si confacea, e per l’autorità a·llui commessa per lo modo detto, elesse papa il sopradetto messer Ramondo dal Gotto arcivescovo di Bordello; e quivi con grande allegrezza da ciascuna parte fue accettato e confermato, e cantato con grandi voci Te Deum laudamus etc., non sappiendo la parte di que’ di papa Bonifazio lo ’nganno e ’l tranello com’era andato, anzi si credeano avere per papa quello uomo di cui più si confidavano: e gittate fuori le polizze della lezione, gran contasto e zuffe ebbe tra·lle loro famiglie, che ciascuno dicea ch’era amico di sua parte. E ciò fatto, e usciti i cardinali di là ov’erano inchiusi, incontanente ordinaro di mandargli la lezione e decreto oltre i monti là dov’egli era. Questa lezione fu fatta a dì V di giugno, gli anni di Cristo MCCCV, ed era stata vacata la sedia appostolica X mesi e XXVIII dì. Avemo fatta sì lunga menzione di questa lezione del papa per lo sottile e bello inganno come fatta fue, e per esemplo del futuro, e però che gran cose ne seguirono appresso, come per inanzi faremo al tempo del suo papato e del successore memoria. E questa lezione fu cagione perché il papato rivenne agli oltramontani e la corte n’andò oltre i monti, sicché del peccato commesso per gli cardinali italiani della morte di papa Benedetto, se colpa v’ebbono, e della frodolente lezione furono bene gastigati da’ Guasconi, come diremo appresso.

LXXXI De la coronazione di papa Clemento quinto, e de’ cardinali che fece.

Portata la lezione e ’l decreto a l’eletto papa arcivescovo di Bordello infino in Guascogna dov’egli era, accettò il papato allegramente, e fecesi nominare papa Clemento quinto, e incontanente mandò per sue lettere citando tutti i cardinali, che sanza indugio venissono a la sua coronazione a Leone sopra il Rodano in Borgogna, e simile richiese il re di Francia, e ’l re d’Inghilterra, e quello d’Araona, e tutti i nomanati baroni di là da’ monti, che fossono a la sua coronazione. De la quale richesta e citazione la maggiore parte de’ cardinali italiani si tennero gravati e forte ingannati, credendosi che avuto il decreto venisse a Roma a coronarsi; e messer Matteo Rosso degli Orsini, ch’era il priore de’ cardinali e il più atempato, e che più malvolentieri si partiva da Roma, avedutosi dello inganno ch’egli e la sua parte aveano avuto di questa lezione, disse al cardinale da Prato: «Venuto se’ a la tua di conducerne oltre i monti, ma tardi ritornerà la Chiesa in Italia, sì conosco fatti i Guasconi». E venuto il papa e’ suoi cardinali a·lLeone sopra Rodano, fue consecrato e coronato papa il dì di santo Mattino a dì XI di novembre, gli anni di Cristo MCCCV, in presenza del re Filippo di Francia, e di messer Carlo di Valos, e di molti baroni, il quale, come promesso gli avea, il ricomunicò e ristituì in ogni onore e grazia di santa Chiesa, la quale gli aveva levata papa Bonifazio, e donogli le decime di tutto il suo reame per V anni; e a richesta del detto re per le presenti digiune, a dì XVII del mese di dicembre, fece XII cardinali tra Guasconi e Franceschi, amici e uficiali del re, intra’ quali, come promesso avea, fece cardinali messer Iacopo e messer Piero de la Colonna, e ristituigli in ogni grazia ch’avea loro tolta e levata papa Bonifazio; e confermò al re Giamo d’Araona il privilegio che gli avea dato papa Bonifazio del reame di Sardigna. E ciò fatto, se n’andò con suoi cardinali e con tutta la corte a la sua città di Bordello, ove tutti gl’Italiani, così bene i cardinali come gli altri, furono male veduti e trattati, secondo il grado de la loro dignità, però che tutto guidavano i cardinali guasconi e franceschi. Nel detto verno fue grandissimo freddo per tutto, e spezialmente oltre i monti, che ghiacciò il Rodano, sì che su vi si potea passare a piè e a cavallo, e tutti i grandi fiumi, e il Reno, e la Mosa, e Senna, e l’Era, e lo Scalto ad Anguersa; e eziandio ghiacciò il mare di Fiandra, ed a le marme d’Olanda e Silanda e Danesmarce più di tre leghe infra mare, che fu gran maraviglia. Lasceremo alquanto de’ fatti del papa al presente, e torneremo a nostra materia de’ fatti di Firenze.

LXXXII Come i Fiorentini e’ Lucchesi assediarono e vinsono la città di Pistoia.

Negli anni di Cristo MCCCV, avendo i Fiorentini avute le mutazioni dette adietro de la cacciata de’ Bianchi a le porte, e quella parte bianca e ghibellina scacciata e vinta in tutte parti quasi di Toscana, salvo de la città di Pistoia, la quale si tenea per parte bianca col favore de’ Pisani, e degli Aretini, e eziandio de’ Bolognesi, i quali si reggeano a parte bianca, si dubitaro che non crescesse la loro potenzia sostegnendo Pistoia, sì·ssi providono e chiamaro loro capitano di guerra Ruberto duca di Calavra, figliuolo e primogenito rimaso del re Carlo secondo, il quale venne in Firenze del mese d’aprile del detto anno con una masnada di CCC cavalieri araonesi e catalani, e molti mugaveri a piè, la quale fu molto bella gente, e avea tra·lloro di valenti e rinomati uomini di guerra; il quale da’ Fiorentini fu ricevuto a modo di re molto onorevolemente. E riposato alquanto in Firenze, s’ordinò l’oste sopra la città di Pistoia per gli Fiorentini e Lucchesi e gli altri della compagnia di parte guelfa di Toscana: e mossono bene aventurosamente col detto duca loro capitano a dì XX del presente mese di maggio; e’ Lucchesi e l’altra amistà vennero da l’altra parte, e circundarono la città intorno intorno co le dette osti, e guastarla d’intorno; e poco tempo appresso l’afossaro e steccaro al di fuori con più battifolli, sì che nullo vi potea entrare né uscire; dentro v’erano tutti i Pistolesi bianchi e ghibellini, e messer Tosolato degli Uberti con masnada di CCC cavalieri e pedoni assai, soldati per gli Bianchi e Ghibellini di Toscana. E stando i Fiorentini nella detta oste intorno a Pistoia, si teneano un’altra piccola oste in Valdarno di sopra a l’assedio del castello d’Ostina, il quale aveano fatto rubellare i Bianchi; e quello ebbono a patti i Fiorentini del presente mese di giugno, e feciongli disfare le mura e le fortezze. Per la detta oste ch’era sopra la città di Pistoia messer Nepoleone degli Orsini cardinale e ’l cardinale da Prato, a petizione de’ Bianchi e Ghibellini, richiesono papa Chimento ch’egli si dovesse interporre di mettere pace tra’ Fiorentini e’ loro usciti, com’avea cominciato il suo antecessoro papa Benedetto per bene del paese d’Italia, e ch’egli facesse levare l’oste da Pistoia: onde il detto papa mandò due suoi legati cherici guasconi, e del mese di settembre furono in Firenze e nell’oste; e comandarono al Comune, e simile al duca Ruberto, e a’ Lucchesi, e agli altri capitani dell’oste, che si dovessono levare da l’assedio di Pistoia sotto pena di scomunicazione. Al quale comandamento i Fiorentini e’ Lucchesi furono disubidienti e non si partirono dall’assedio di Pistoia; per la qual cosa i detti legati iscomunicaro i rettori de la cittade e’ capitani dell’oste e puosono lo ’nterdetto a la città di Firenze e al contado. Il duca Ruberto per non disubbidire al papa si partì dell’oste con sua privata famiglia, e andonne a corte a Bordello, e lasciò nell’oste il suo maliscalco, messer Dego de la Ratta catalano, e tutti i cavalieri i quali v’avea menati al servigio de’ Fiorentini e al loro soldo; e’ Fiorentini e’ Lucchesi, ricrescendo l’assedio al continuo, e’ convenia che tutti i cittadini v’andassono o mandassono come toccava per vicenda, o pagassono una imposta per capo d’uomo com’era tassato, la quale si chiamò la Sega. Nel detto assedio ebbe molti assalti e badalucchi a cavallo e a piè, e dammaggio dell’una parte e dell’altra, però che dentro avea franche masnade; e chiunque era preso che n’uscisse, a l’uomo era tagliato il piè, e a la femmina il naso, e ripinto adietro nella città per uno ser Lando d’Agobbio, crudele e dispietato oficiale, il quale per gli Fiorentini fu sopranomato Longino. E così istette e durò la detta oste tutta la vernata, non lasciando per nevi né per piove né ghiacci. A la fine vegnendo a que’ d’entro meno la vivanda, e sentendo che di Bologna era cacciata la parte bianca, avendo perduta ogni speranza di soccorso, sì s’arendero salve le persone, e tennonsi insino a tanto che nulla vi rimase a mangiare, avendo mangiati i cavagli, e pane di saggina e di semola, nero come mora e duro come ismalto, e quello ancora fallito; e ciò fu a dì X del mese d’aprile, gli anni di Cristo MCCCVI. E renduta la terra, se n’uscirono le masnade e’ caporali de’ Bianchi e Ghibellini. E avuta la detta vittoria di Pistoia, i Fiorentini e’ Lucchesi feciono tagliare le mura della città e gli steccati, e rovinare ne’ fossi; e più torri e fortezze feciono disfare; e il contado di Pistoia partiro per metade, e la parte di verso levante e del monte di sotto con tutte le castella e ’l piano infino presso a la città ebbono in parte i Fiorentini, privileggiandolsi a perpetuo. E feciono disfare la rocca di Carmignano per levarlasi da la vista di Firenze, la quale i Fiorentini aveano comperata da messer Musciatto Franzesi, che gliel’avea data messer Carlo di Valos, quando fue paciaro in Toscana. E’ Lucchesi ebbono da la parte di ponente da la città in là verso Serravalle, e tutta la montagna di sopra; e la signoria della città di Pistoia rimase a’ Fiorentini e Lucchesi, dell’uno podestà, e dell’altro capitano. E per questo modo fue abattuta la superbia e grandezza de’ Pistolesi, e puliti de’ loro peccati, e recati a tanto servaggio. E ciò fatto, tornarono i Fiorentini in Firenze con grande allegrezza e trionfo; e a messer Bino Gabrielli d’Agobbio, allora podestà di Firenze e capitano dell’oste, entrando in Firenze, gli fu recato sopra capo il palio di drappo ad oro per gli cavalieri di Firenze a piede a modo di re; e per simile modo feciono i Lucchesi a la loro tornata in Lucca. Nel detto anno dell’asedio di Pistoia fu grande caro in Toscana, e valse in Firenze lo staio del grano a la misura rasa mezzo fiorino d’oro.

LXXXIII Come la città di Modena e di Reggio si rubellarono al marchese da Esti, e come furono cacciati i Bianchi e’ Ghibellini di Bologna.

Nel detto anno MCCCV, del mese di febbraio, si rubellaro al marchese Azzo da Esti la città di Modona e quella di Reggio, le quali per lungo tempo l’avea tenute e signoreggiate tirannescamente, e ressonsi a Comune, e in loro libertade. E nel detto anno, in calen di marzo, reggendosi la città di Bologna a parte bianca, e avendo compagnia co’ Bianchi e’ Ghibellini di Toscana e di Romagna, il popolo di Bologna, il quale naturalmente è guelfo, non piacendo loro sì fatto reggimento e compagnia co’ Ghibellini di Toscana e di Romagna loro antichi nemici, e per conforto e soducimento de’ Guelfi di Firenze, levaro la città a romore, con armata mano cacciarono de la città e del contado i caporali di parte bianca, e’ Ghibellini tutti, e usciti di Firenze, e isbandirli per ribelli; e ordinaro che neuno Bianco o Ghibellino si lasciasse trovare in Bologna, o nel distretto, sotto pena dell’avere e della persona, andandoli cercando e uccidendo co·lloro bargello, diputato per lo popolo sopra·cciò con gran séguito di masnadieri. E feciono i Bolognesi incontanente lega e compagnia co’ Fiorentini e co’ Lucchesi e cogli altri Guelfi di Toscana.

LXXXIV Come si levò in Lombardia un fra Dolcino con grande compagnia d’eretici, e furono arsi.

Nel detto anno MCCCV nel contado di Noara in Lombardia uno frate Dolcino, il quale non era frate di regola ordinata, ma fraticello sanza ordine, con errore si levò con grande compagnia d’eretici, uomini e femmine di contado e di montagne di piccolo affare, proponendo e predicando il detto frate Dolcino sé essere vero appostolo di Cristo, e che ogni cosa dovea essere in carità comune, e simile le femmine esser comuni, e usandole non era peccato. E più altri sozzi articoli di resia predicava, e opponeva che ’l papa, e cardinali, e gli altri rettori di santa Chiesa non oservavano quello che doveano né la vita vangelica, e ch’egli dovea esser degno papa. E era con séguito di più di IIIm uomini e femmine, standosi in su le montagne vivendo a comune a guisa di bestie; e quando falliva loro vittuaglia, prendevano e rubavano dovunque ne trovavano; e così regnò per due anni. A la fine rincrescendo a quegli che ’l seguivano la detta dissoluta vita, molto scemò sua setta, e per difetto di vivanda, e per le nevi ch’erano, fu preso per gli Noaresi e arso con Margherita sua compagna, e con più altri uomini e femmine che co·llui si trovaro in quelli errori.

LXXXV Come papa Clemento fece legato in Italia messer Nepoleone degli Orsini cardinale, e come fue male ricevuto.

Ne l’anno MCCCVI, avendo rapporto papa Clemento da’ legati ch’egli mandò in Firenze come i suoi comandamenti non erano ubiditi di levare l’oste da Pistoia, sì·ssi indegnò contro a’ Fiorentini, e per sodducimento e consiglio del cardinale da Prato sì fece legato e paciaro generale in Italia messer Nepoleone degli Orsini dal Monte, cardinale, e diegli grandi privilegi e autoritadi: il quale si partì da Leone sopra Rodano, e passò i monti, e mandando a’ Fiorentini che voleva venire in Firenze per fare pace e concordia da loro e i loro usciti, e quegli che reggeano la città per sospetto di lui nol vollono ricevere; onde da capo gli riscomunicò, e confermò lo ’nterdetto, e andonne a la città di Bologna del mese di maggio, e volea somigliantemente pacificare i Bolognesi insieme, e rimettere in Bologna i loro usciti bianchi e ghibellini. Quegli che reggeano la terra, avendo preso sospetto di lui, perché parea che favorasse i Bianchi e’ Ghibellini, e per sodducimento de’ Fiorentini, di Bologna villanamente l’acommiataro, minacciato per lo bargello de la persona se non votasse la terra. Il quale sanza indugio si partì, e andonne a la città d’Imola in Romagna, che si tenea per gli Bianchi e’ Ghibellini; e andandone per lo contado di Bologna, gli furono rubati e tolti molti de’ suoi arnesi e some; per la qual cosa il detto legato aspramente procedette contro a·lloro per iscomunica e interdetto de la terra, e privogli dello Studio, e scomunicò qualunque scolaio andasse allo Studio a Bologna.

LXXXVI Come i Fiorentini assediaro e ebbono il forte castello di Monte Accenico e disfeciollo, e feciono fare la Scarperia.

Nel detto anno, del mese di maggio, i Fiorentini andarono ad oste sopra ’l castello di Monte Accenico in Mugello, e puosonvi l’assedio; il quale castello era de’ signori Ubaldini, e era molto bello e ricco, e fortissimo di sito e di doppie mura, però che·ll’avea loro fatto edeficare con grande spendio e diligenzia il cardinale Ottaviano loro consorto; nel quale castello s’erano ridotti gran parte degli Ubaldini, e quasi tutti i ribelli bianchi e ghibellini usciti di Firenze, e faceano guerra e soggiogavano tutto il Mugello e infino all’Uccellatoio. E al detto castello stette l’oste infino a l’agosto, gittandovi difici e faccendovi cave; ma tutto era invano, se non che gli Ubaldini tra·lloro vennero in discordia, e il lato di messer Ugolino da senno il patteggiaro co’ Fiorentini per mano di messer Geri Spini loro parente, e diedollo per promessa di XVm fiorini d’oro, onde di gran parte n’ebbono male pagamento. E quegli che v’erano dentro l’abandonaro, e andarne sani e salvi; e ’l castello fue tutto abattuto e disfatto per gli Fiorentini, che non vi rimase casa né pietra sopra pietra. E feciono fare i Fiorentini giuso al piano di Mugello, nel luogo detto la Scarperia, una terra per fare battifolle agli Ubaldini, e torre i loro fedeli, e feciolli franchi, acciò che Monte Accenico mai non si potesse riporre. E cominciossi la detta terra a edificare a dì VII di settembre, gli anni di Cristo MCCCVI, e puosolle nome Santo Barnaba. E ciò fatto, del mese d’ottobre vegnente i Fiorentini cavalcarono co·lloro oste oltre l’alpe, e guastarono tutte le terre degli Ubaldini, perch’aveano fatta guerra e ritenuti i Bianchi e’ Ghibellini.

LXXXVII Come i Fiorentini rafortificaro il popolo, e feciono il primo esecutore degli ordini de la giustizia.

Nel detto anno MCCCVI, del mese di dicembre, parendo a’ popolani di Firenze che i loro grandi e possenti avessero presa forza e baldanza per la guerra fatta e vittorie avute contra i Bianchi e’ Ghibellini usciti di Firenze, sì vollono riformare il popolo di Firenze, e chiamarono XVIIII gonfalonieri de le compagnie, e che tutti i popolani per contrade com’erano ordinati, quando bisogno fosse, traessono con arme a loro gonfalone, e a l’oferta della festa di santo Giovanni andassono co’ detti gonfaloni; che in prima s’andava ciascuno de le XXI arti per loro, e sotto il loro gonfalone de la detta arte. E ciò ordinato e messo in ordine di giustizia, e’ diedono loro XVIIII gonfaloni al modo d’insegne de l’antico popolo vecchio, e poi al tempo che ’l cardinale da Prato venne in Firenze, erano rinovellati. Bene erano al suo tempo XX gonfaloni, che n’era uno balzano in San Piero Scheraggio, che lasciaro; e dove al tempo de·legato da Prato nonn-avea ne’ gonfaloni null’altra insegna se non dell’arme delle compagnie e del popolo, sì vi s’agiunse sopra ciascuno gonfalone il rastrello dell’arme del re Carlo, e chiamossi il buono popolo guelfo. E del mese di marzo vegnente per fortificamento di popolo feciono venire in Firenze l’essecutore degli ordinamenti de la giustizia, il quale dovesse inchiedere e procedere contro a’ grandi che offendessono i popolani. E il primo esecutore che venne in Firenze ebbe nome Matteo, e fue della città d’Amelia di terra di Roma, e fu valente uomo e molto temuto da’ grandi, e fatto cavaliere per lo popolo; de le quali novitadi e reformazione di popolo i grandi si tennero forte gravati.

LXXXVIII Di grande guerra che si cominciò al marchese da Ferrara, e come morìo.

Nel detto anno MCCCVI i Veronesi, Mantovani, e Bresciani feciono lega insieme, e grande guerra mossono al marchese Azzo da Esti ch’era signore di Ferrara, per sospetto preso di lui, ch’egli non volesse esser signore di Lombardia, perch’avea presa per moglie una figliuola del re Carlo; e corsono la sua terra, e tolsongli più di sue castella. Ma l’anno appresso, fatto suo isforzo, e con aiuto de la gente di Piemonte del re Carlo, fece oste grande sopra loro, e corse le loro terre, e fece loro grande dammaggio. Ma poco tempo appresso amalò e si morì il detto marchese Azzo in grande miseria e istento; il quale era stato il più leggiadro e ridottato e possente tiranno che fosse in Lombardia, e di lui non rimase figliuolo neuno madornale, e la sua terra e signoria rimase in grande quistione tra frategli e nipoti, e uno suo figliolo bastardo ch’avea nome messer Francesco, il quale i Viniziani molto favoravano, perch’era nato di Vinegia; e molta briga e guerra con danno de’ Viniziani ne seguì appresso, come innanzi per gli tempi faremo menzione.

LXXXIX Come messer Nepoleone Orsini legato venne ad Arezzo, e dell’oste che Fiorentini feciono a Gargosa.

Negli anni di Cristo MCCCVII messer Nepoleone degli Orsini legato per la Chiesa si partì di Romagna, e passò in Toscana, e venne a la città d’Arezzo, e dagli Aretini fu ricevuto a grande onore; e stando in Arezzo raunò tutti i suoi amici e fedeli di terra di Roma, de la Marca, e del Ducato, e di Romagna, e gli usciti bianchi e ghibellini di Firenze e dell’altre terre di Toscana, in quantità di MDCC cavalieri e popolo grandissimo, per fare guerra a’ Fiorentini. I Fiorentini sentendo sua venuta e raunata, sì·ssi guernirono, e richiesono gli amici, e trovarsi nel torno di IIIm cavalieri e più di XVm pedoni, e partìsi di Firenze del mese di maggio, non attendendo che·legato e sua gente gli asalisse, e co·lloro oste n’andarono francamente in sul contado d’Arezzo, e tennero la via di Valdambra, guastando il paese; e presono più castella del Comune d’Arezzo e degli Ubertini, e feciolle disfare. E andando verso Arezzo, si puosono a oste al castello di Gargosa, e quello strinsono con battaglie e difici, e erano per averlo. Ma il legato per levarsi d’adosso la detta oste, con savio consiglio de’ buoni capitani di guerra ch’erano co·llui, si partì d’Arezzo con tutta sua cavalleria e gente, e fece la via da Bibbiena per lo Casentino, e venne infino al castello di Romena, mostrando di scendere l’alpe, e di venire a la città di Firenze, dando suono che gli dovea essere data la terra. I Fiorentini sentendo sua venuta, ebbono grande paura e gelosia, e feciono grande guardia nella terra, e rimandarono nell’oste a Gargosa per la loro cavalleria e gente; ma innanzi che i messi vi giugnessono, que’ dell’oste sentiro la partita che·legato fece d’Arezzo, e come facea la via del Casentino; temendo de la città di Firenze, incontanente si ricolsono, e la sera quasi di notte si partirono disordinatamente, e tutta la notte cavalcarono chi meglio ne potea venire. La quale partita de’ Fiorentini e di loro amici fue sanza alcuno danno, ma non sanza grande vergogna di mala condotta e di grande pericolo. Che se il legato avesse lasciati in Arezzo CCC cavalieri e M pedoni, e alla levata de’ Fiorentini gli avessono assaliti, ne tornavano sconfitti. E per lo detto modo chi prima e chi poi si tornarono in Firenze; e saputo ciò, il legato si tornò con sua gente inn-Arezzo. Dopo queste cose i·legato andò a Chiusi e al castello della Pieve, e più trattati d’accordo ebbe co’ Fiorentini, i quali mandaro a·llui loro ambasciadori, cercando di rimettere in Firenze i Bianchi e’ Ghibellini con certi patti, e pacificarli insieme. E dopo molte rivolture, i Fiorentini non fidandosi, e tegnendo il legato in vana speranza, tutto il trattato tornò in niente. Per la qual cosa il legato veggendosi non ubbidito e scemato il suo podere, con poco onore si partì di Toscana, e tornossi oltre i monti a la corte, lasciando i signori che reggeano Firenze scomunicati, e la città e ’l contado interdetta. E rimasi i Fiorentini male disposti, del presente mese di luglio del detto anno feciono sopra i cherici una grande e grave imposta; e perché non voleano pagare, più ingiurie furono fatte a’ cherici, e a’ loro osti e fittaiuoli, e pure convenne che pagassono. E la Badia di Firenze, andandovi l’uficiale isattore con sua famiglia, i monaci chiusono le porte, e sonarono le campane; per la qual cosa dal popolo minuto e da’ malandrini, con sospignimento di loro possenti vicini grandi e popolani che non gli amavano, furono corsi a furore, e tutti rubati. E poi il Comune, perch’aveano sonato, volea tagliare il campanile da piè, e disfecionne di sopra presso che la metade; la quale furia fue molto biasimata per la buona gente di Firenze.

XC Come morìo il buono re Adoardo d’Inghilterra.

Nel detto anno MCCCVII, del mese di giugno, morìo il buono e valente Adoardo re d’Inghilterra, il quale fue uno de’ valorosi signori e savio de’ Cristiani al suo tempo, e bene aventuroso in ogni sua impresa di là da mare contra i Saracini, e in suo paese contra gli Scotti, e in Guascogna contro a Franceschi, e al tutto fu signore dell’isola d’Irlanda e di tutte le buone terre di Scozia, salvo che ’l suo rubello Ruberto di Busto, fattosi re degli Scotti, si ridusse con suoi seguagi a’ boschi e montagne di Scozia, il quale dopo la morte del detto Adoardo fece gran cose contro agl’Inghilesi. Appresso la morte del buono re Adoardo, Adoardo suo primogenito prese per moglie Isabella figliuola del re Filippo di Francia; diedono compimento a l’accordo de la quistione di Guascogna, e isposata la detta donna del mese di gennaio presente, la quale era delle belle donne del mondo, e poi la Pasqua di Risoresso vegnente si fece coronare, egli e la reina, con grande festa e onore.

XCI Come il re di Francia andò a Pittieri a papa Chimento per fare condannare la memoria di papa Bonifazio.

Nel detto anno e mese di giugno MCCCVII, essendo papa Chimento venuto co la corte a petizione del re di Francia a la città di Pettieri, il detto re di Francia con tre suoi figliuoli, e con messer Carlo di Valos e messer Luisi suoi fratelli, e con molti altri baroni e cavalieri, e col conte di Fiandra e’ suoi figliuoli e fratelli vennero a Pittieri: e dato per lo papa compimento e fermezza a la pace del re di Francia al conte di Fiandra e’ Fiaminghi, il re di Francia richiese al papa la quinta cosa che s’aveva fatta promettere, quando il re gli promise di farlo fare papa, cioè ch’egli condannasse la memoria di papa Bonifazio, e facesse ardere le sue ossa e corpo; e fece opporre contra lui a’ suoi cherici e avogadi XLIII articoli di resia, profferendo di provagli; onde il papa e’ suoi cardinali furono in grande turbazione per la detta richesta, però che ’l re volea o per ragione o per forza fornire le pruove, e come detto è adietro, il papa gliel’avea promesso e giurato; e di ciò si pentea molto, ma non s’osava scoprire contra ’l volere del re, e torto e abassamento de la Chiesa gli parea fare, se l’asentisse, però che in papa Bonifazio di ragione non si trovava nulla memoria di resia, ma si trovava per lo VI libro de le decretali ch’egli fece comporre, molto cattolico e utile, e per papa Bonifazio si trovava molto esaltata la santa Chiesa e le sue ragioni; e ancora più, del collegio de’ cardinali v’avea di quegli ch’avea fatti papa Bonifazio, e ’l cardinale da Prato intra gli altri era uno di quegli; e se la memoria di papa Bonifazio fosse dannata, conveniva che fossono disposti del cardinalato. Per la qual cosa, così la setta de’ cardinali ch’aveano tenuto col re di Francia in questo caso erano contro a·llui, come quegli della setta del nipote di papa Bonifazio. E stando la Chiesa in questa contumacia e perseguizione fatta per lo re, il papa non sapea che si fare, che male gli parea a rompere il suo saramento e promessa fatta al re, e peggio gli parea a corrompere e guastare la Chiesa di Roma. A la fine strignendosi di ciò a segreto consiglio col savio cardinale da Prato, che sapea le sue segrete promesse, sì gli disse: «Qui nonn-ha che uno rimedio, cioè che ti conviene dissimulare col re, e che tu gli dichi che, perché quello ch’egli domanda di papa Bonifazio sia forte caso a passare per la Chiesa, e parte del collegio de’ cardinali non vi s’accordino, conviene di necessità, e ancora più acconcio del suo intendimento, e più abbominazione de la memoria di papa Bonifazio, che le pruove degli articoli ch’egli gli oppone si facciano in concilio generale, e fia più autentico e fermo. E per non avere contasto, sì metterai dinanzi al collegio che per più grandi e utili cose, in bene e istato di santa Chiesa e de’ Cristiani che bisogni si faccia in concilio generale; e che in quello farai pienamente quello che domanda. E ’l detto concilio ordina e componi a la città di Vienna, per più comune luogo a’ Franceschi, e Inghilesi, e Tedeschi, e Italiani, e a quegli di Linguadoco; e a questo non ti potrà opporre né contradiare: e ciò faccendo, tu e la Chiesa sarai in tua libertà; e partendoti di qui e andando a Vienna, sì sarai fuori de le sue forze e di suo reame». Al papa piacque molto il consiglio, e miselo a seguizione, e fece la risposta al re: onde il re si tenne forte gravato, ma non potendo il re a·cciò bene contradire, promettendogli il papa che bene il servirebbe, e faccendogli molte altre grazie e richeste, acconsentìe, credendosi sì adoperare al concilio a Vienna, che gli verrebbe fatto il suo intendimento. E così si tornò a Parigi, e mandò Luis suo primo figliuolo in Navarra con grande compagnia di baroni e cavalieri, e fecelo a la città di Pampalona coronare del reame di Navarra; e ’l papa piuvicato di fare concilio, e diterminatolo d’ivi a tre anni a Vienna, con tutta la corte poco tempo appresso uscì del reame di Francia, e venne a Vignone in Proenza nelle terre del re Ruberto.

XCII Come e per che modo fu distrutta l’ordine e magione del Tempio di Gerusalem per procaccio del re di Francia.

Nel detto anno MCCCVII, innanzi che ’l re di Francia si partisse da la corte a Pittieri, sì accusò e dinunziò al papa per sodducimento de’ suoi uficiali, e per cupidigia di guadagnare sopra loro, il maestro del Tempio e la magione di certi crimini ed errori che al re fu fatto intendente che’ Tempieri usavano. Il primo movimento fu per uno priore di Monfalcone di tolosana de la detta ordine, uomo di mala vita ed eretico, e per gli suoi difetti messo in Parigi in perpetuale carcere per lo suo maestro. E trovandovisi dentro con uno Noffo Dei nostro Fiorentino, pieno d’ogni magagne, sì come uomini disperati d’ogni salute, e maliziosi e rei, con trovare la detta falsa accusa, e per guadagnare e uscire di pregione per l’aiuto del re. Ma ciascuno di loro feciono mala fine poco appresso: Noffo impiccato, e ’l priore morto a ghiado. Per fare al re guadagnare la misono innanzi a’ suoi uficiali, e’ detti il misono dinanzi al re; onde per sua avarizia si mosse il re, e sì ordinò e fecesi promettere segretamente al papa di disfare l’ordine de’ Tempieri, opponendo contro a·lloro molti articoli di resia: ma più si dice che fu per trarre di loro molta moneta, e per isdegni presi col maestro del Tempio e colla magione. Il papa per levarsi d’adosso il re di Francia, per la richesta ch’egli avea fatta del condannare papa Bonifazio, come avemo detto dinanzi, o ragione o torto che fosse, per piacere al re gli asentì di ciò fare; e partito il re, in uno dì nomato per sue lettere, fece prendere tutti i Tempieri per l’universo mondo, e staggire tutte le loro chiese e magioni e possessioni, le quali erano quasi innumerabili di podere e ricchezze; e tutte quelle del reame di Francia fece occupare il re per la sua corte, e a Parigi fece prendere il maestro del Tempio, il quale avea nome fra Giache de’ signori da Mollai in Borgogna, con LX frieri cavalieri e gentili uomini, opponendo contro a·lloro certi articoli di resia, e certi villani peccati contra natura ch’usavano tra·lloro; e che alla loro professione giuravano d’atare la magione a diritto e a torto, e a uno modo quasi come idolari, e isputavano nella croce, e che quando il loro maestro si consegrava era di nascoso e privato, e non si sapea il modo; e opponendo che i loro anticessori per tradimento feciono perdere la Terrasanta, e prendere a la Monsura il re Luis e’ suoi. E sopra ciò fatte dare per lo re certe pruove, gli fece tormentare di diversi tormenti perché confessassono; e non si truova che niente volessono di ciò confessare né riconoscere. E tegnendoli più tempo in pregione a grande stento, e non sappiendo dare fine al loro processo, a la fine di fuori di Parigi da Santo Antonio, e parte a San Luis in Francia, in uno grande parco chiuso di legname, LVI de’ detti Tempieri fece legare ciascuno a uno palo, e cominciare a mettere loro il fuoco da’ piè e a le gambe a poco a poco, e l’uno innanzi a l’altro amonendogli che quale di loro volesse raconoscere l’errore e’ peccati loro opposti potesse scampare; e in su questo martorio confortati da’ loro parenti e amici che riconoscessono, e non si lasciassono così vilmente morire e guastare, niuno di loro il volle confessare; e con pianti e grida scusandosi com’erano innocenti e fedeli Cristiani, chiamando Cristo e santa Maria e gli altri santi, col detto martorio tutti ardendo e consumando finirono loro vita. E riserbato il maestro loro, e ’l fratello del Dalfino d’Alvernia, e fra Ugo di Paraldo, e un altro de’ maggiori de la magione, e istati uficiali e tesorieri del re di Francia, furono menati a Pittieri dinanzi al papa, e fuvi il re di Francia, e promesso loro grazia se riconoscessono il loro errore e peccato, alcuna cosa si dice ne confessaro; e tornati a Parigi, e venuti due legati cardinali per dare la sentenzia e condannare l’ordine sotto la detta confessione, e per dare alcuna disciplina al detto maestro e’ suoi compagni, essendo incontro a Nostra Dama di Parigi in su grandi pergami, e letto il processo, il detto maestro del Tempio si levò in piè gridando che fosse udito: e fatto silenzio per lo popolo, si disdisse che mai quelle resie e peccati loro opposti nonn-erano state vere, e che l’ordine di loro magione era santa e giusta e cattolica, ma ch’egli era ben degno di morte, e voleala sofferire in pace, però che per paura e per lusinghe del papa e del re, in alcuna parte l’aveano per inganno loro confessate. E rotto il sermone e non compiuto di dare sentenzia, si partiro i cardinali e gli altri parlati di quello luogo. E avuto consiglio col re, il detto maestro e suoi compagni in su l’Isola di Parigi dinanzi a la sala del re per lo modo degli altri loro frieri furono messi a martirio, ardendo il maestro a poco a poco, e sempre dicendo che la magione e loro religione era cattolica e giusta, accomandandosi a Dio e a santa Maria; e simile fece il fratello del Dalfino; fra Ugo di Paraldo e l’altro per paura del martorio confessaro e raffermaro quello ch’aveano detto dinanzi dal papa e al re, e scamparo, ma poi moriro miseramente. E per molti si disse che furono morti e distrutti a torto e a peccato, e per occupare i loro beni, i quali poi per lo papa furono privileggiati, e dati a la magione dello Spedale, ma convennegli loro ricogliere e ricomperare dal re di Francia e dagli altri prencipi e signori, e con tanta quantità di moneta, che cogli ’nteressi corsi poi la magione dello Spedale fu ed è più povera che non era prima del loro propio, o che Idio il dimostrasse per miracolo. E lo re di Francia e’ suoi figliuoli ebbono poi molte vergogne e aversitadi, e per questo peccato, e per quello della presura di papa Bonifazio, come innanzi si farà menzione. E nota che la notte appresso che’l detto maestro e’l compagno furono martorizzati, per frati e altri religiosi le loro corpora e ossa come relique sante furono ricolte, e portate via in sacri luoghi. In questo modo fu distrutta e messa a niente la ricca e possente magione del Tempio di Gerusalem gli anni di Cristo MCCCX. Lasceremo de’ fatti di Francia, e torneremo a’ nostri fatti d’Italia.

XCIII Di novitadi e sconfitte che furono in Romagna e in Lombardia.

Nel detto anno MCCCVII, del mese d’agosto, essendo i Guelfi a l’assedio a Brettinoro, la lega de’ Ghibellini di Romagna raunati insieme co·lloro amistà sconfissono li Guelfi; e furonne tra morti e presi più di MM tra piè e a cavallo. E l’aprile vegnente MCCCVIII il popolo de la città di Parma con trattato d’Orlando de’ Rossi e de’ suoi cacciarono di Parma messer Ghiberto da Coreggio, il quale n’era signore; per la qual cosa s’acompagnò co’ Mantovani e’ Veronesi, e imparentossi co’ signori della Scala; e del mese di giugno vegnente il detto messer Ghiberto venne verso Parma co la forza di messere Cane della Scala, e con quella de’ Mantovani e Parmigiani. I Parmigiani uscendo contro a·lloro furono sconfitti, e ’l detto messer Ghiberto tornò in Parma e funne signore, e caccionne i Rossi e’ suoi nemici, e fece mozzare la testa a XXVIIII popolani, i quali erano stati caporali a la sua cacciata.

XCIV Come fue morto il re Alberto de la Magna.

Nel detto anno MCCCVIII, in calen di maggio, lo re Alberto d’Alamagna, che s’attendea d’essere imperadore, fu morto a ghiado da uno suo nipote a tradigione a uno valicare d’uno fiume scendendo de la nave, per cagione che ’l detto re Alberto gli occupava il retaggio de la parte sua del ducato d’Osteric. Lasceremo alquanto delle cose de’ forestieri, e torneremo a raccontare de le novitadi che ne’ detti tempi furono nella nostra città di Firenze.

XCV Come una podestà di Firenze si fuggì col suggello dell’Ercore del Comune.

Nel detto anno MCCCVIII, essendo podestà di Firenze uno messer Carlo d’Amelia fratello del primo esecutore degli ordini della giustizia, avendo egli e sua famiglia fatte in Firenze molte baratterie, e guadagnerie, e pessime opere, e già di ciò molto scoperto, temendosi al suo sindicato esser condannato e ratenuto, la notte di santo Giovanni del mese di giugno furtivamente si fuggì con sua privata famiglia, onde fu condannato per baratteria. E per riavere pace e danari dal Comune sì ne portò seco il suggello del Comune, dov’era intagliata l’imagine dell’Ercore, e tennelo più tempo, istimandosi che ’l Comune il traesse di bando, e ricomperasselo molta moneta: onde il Comune il mise in abandono operando altro suggello e notificandolo in tutte parti, sì che non fosse data fede a quello suggello. A la fine il suo fratello gliele tolse, e rimandollo in Firenze, e d’allora innanzi s’ordinò che né podestà né priori tenessono suggello di Comune, ma fecionne cancelliere e guardiano i frati conversi di Settimo, che stanno nella camera dell’arme del palagio de’ priori.

XCVI Come fu morto il nobile e grande cittadino di Firenze messer Corso de’ Donati.

Nel detto anno MCCCVIII, essendo nella città di Firenze cresciuto scandolo tra’ nobili e potenti e popolani di parte nera che guidavano la città per invidia di stato e di signoria, come si cominciò al tempo del romore della ragione, come addietro facemo memoria; questo invidioso portato convenne che partorisse dolorosa fine, che per le peccata della superbia, e invidia, e avarizia, e altri che regnavano tra·lloro erano partiti in setta; e dell’una era capo messer Corso de’ Donati con séguito d’alquanti nobili e di certi popolani, e intra gli altri quegli della casa di Bordoni, e dell’altra erano capo messer Rosso della Tosa, messere Pazzino de’ Pazzi, e messer Geri Spini, e messer Betto Brunelleschi co’ loro consorti, e con quegli de’ Cavicciuli, e di più altri casati grandi e popolani, e la maggiore parte de la buona gente della cittade, i quali aveano gli ufici e ’l governamento de la terra e del popolo. Messer Corso e’ suoi seguagi parendo loro esser male trattati degli onori e ofici a·lloro guisa, parendogli essere più degni, però ch’erano stati i principali ricoveratori dello stato de’ Neri e cacciatori della parte bianca; ma per l’altra parte si disse che messer Corso volea essere signore della cittade e non compagnone; quale che si fosse il vero o la cagione, i detti, e quegli che reggeano il popolo, l’aveano in odio e a grande sospetto, dapoi s’era imparentato con Uguiccione della Faggiuola, Ghibellino e nimico de’ Fiorentini; e ancora il temeano per lo suo grande animo e podere e séguito, dubitando di lui che non togliesse loro lo stato e cacciasse de la terra, e massimamente perché trovarono che ’l detto messere Corso avea fatta lega e giura col detto Uguiccione da la Faggiuola suo suocero, e mandato per lui e per suo aiuto. Per la qual cosa, e per grande gelosia, subitamente si levò la cittade a romore, e sonarono i priori le campane a martello, e fu ad arme il popolo e’ grandi a piè e a cavallo, e le masnade de’ Catalani col maliscalco del re, ch’era a posta di coloro che guidavano la terra. E subitamente, com’era ordinato per gli sopradetti caporali, fu data una inquisizione overo accusa a la podestà, ch’era messer Piero de la Branca d’Agobbio, incontro al detto messer Corso, opponendogli come dovea e volea tradire il popolo, e sommettere lo stato della cittade, faccendo venire Uguiccione da Faggiuola co’ Ghibellini e nimici del Comune. E la richesta gli fu fatta, e poi il bando, e poi la condannagione: in meno d’una ora, sanza dargli più termine al processo, messer Corso fu condannato come rubello e traditore del suo Comune, e ancontanente mosso da casa i priori il gonfalone della giustizia con podestà, capitano, e esecutore, co·lloro famiglie e co’ gonfaloni de le compagnie, col popolo armato e le masnade a cavalio a grido di popolo per venire a le case dove abitava messer Corso da San Piero Maggiore per fare l’esecuzione. Messer Corso sentendo la persecuzione che gli era mossa e chi disse per esser forte a fornire il suo proponimento, attendendo Uguiccione de la Faggiuola con grande gente, che già n’era giunta a Remole - sì s’era aserragliato nel borgo di San Piero Maggiore a piè de le torri del Cicino, e in Torcicoda, e a la bocca che va verso le Stinche, e a la via di San Brocolo con forti isbarre, e con genti assai suoi consorti e amici armati, e con balestra, i quali erano rinchiusi nel serraglio al suo servigio. Il popolo cominciò a combattere i detti serragli da più parti, e messer Corso e’ suoi a difendere francamente: e duròe la battaglia gran parte del dì, e fue a tanto, che con tutto il podere del popolo, se i·rinfrescamento de la gente d’Uguiccione, e gli altri amici di contado invitati per messer Corso gli fossono giunti a tempo, il popolo di Firenze avea quello giorno assai a·ffare; ché, perché fossono assai, erano male in ordine e non molto inn-accordo, però ch’a parte di loro non piacea. Ma sentendo la gente d’Uguiccione come messer Corso era assalito dal popolo, si tornaro adietro, e’ cittadini ch’erano nel serraglio si cominciarono a partire, onde rimase molto sottile di genti, e certi del popolo ruppono il muro del giardino di contro alle Stinche, e entrarono dentro con grande gente d’arme. E veggendo ciò messer Corso e’ suoi, e che ’l soccorso d’Uguiccione e degli altri suoi amici gli era tardato e fallito, sì abandonò le case, e fuggìsi fuori de la terra, le quali case dal popolo incontanente furono rubate e disfatte, e messer Corso e’ suoi perseguiti per alquanti cittadini a cavallo e Catalani mandati in pruova che ’l pigliassono. E per Boccaccio Cavicciuli fu giunto Gherardo Bordoni in sull’Africo, e morto, e tagliatagli la mano, e recata nel corso degli Adimari, e confitta a l’uscio di messer Tedici degli Adimari suo consorto, per nimistade avuta tra·lloro. Messer Corso tutto solo andandosene, fue giunto e preso sopra a Rovezzano da certi Catalani a cavallo, e menandolne preso a Firenze, come fue di costa a San Salvi, pregando quegli che’l menavano, e promettendo loro molta moneta se lo scampassono, i detti volendolo pure menare a Firenze, sì com’era loro imposto da’ signori, messer Corso per paura di venire a le mani de’ suoi nemici e a essere giustiziato dal popolo, essendo compreso forte di gotte ne le mani e ne’ piedi, si lasciò cadere da cavallo. I detti Catalani veggendolo in terra, l’uno di loro gli diede d’una lancia per la gola d’uno colpo mortale, e lasciarollo per morto: i monaci del detto monistero il ne portaro ne la badia, e chi disse che inanzi che morisse si rimise ne le mani di loro in luogo di penitenzia, e chi disse che il trovar morto; e l’altra mattina fu soppellito in San Salvi con piccolo onore e poca gente, per tema del Comune. Questo messer Corso Donati fue de’ più savi, e valente cavaliere, e il più bello parlatore, e ’l meglio pratico, e di maggiore nominanza, e di grande ardire e imprese ch’al suo tempo fosse in Italia, e bello cavaliere di sua persona e grazioso, ma molto fu mondano, e di suo tempo fatte in Firenze molte congiurazioni e scandali per avere stato e signoria; e però avemo fatto de la sua fine sì lungo trattato, però che fu grande novità a la nostra cittade, e seguirne molte cose appresso per la sua morte, come per gl’intendenti si potrà comprendere, acciò che sia assempro a quegli che sono a venire.

XCVII Come arse la chiesa di Laterano di Roma.

Nel detto anno MCCCVIII, del mese di giugno, s’apprese il fuoco ne’ palagi papali di Santo Giovanni Laterano di Roma, e arsono tutte le case de’ calonaci, e tutta la chiesa e circuito, e non vi rimase ad ardere se non la piccola cappelletta in volte di Sancto Sanctorum, ove si dice ch’è la testa di santo Piero e quella di santo Paolo, e molte relique di santi: e ciò fu con grandissimo dammaggio di tesoro e d’arnesi, sanza lo ’nfinito danno della chiesa e palazzi e case. Poi sappiendolo papa Chimento, l’anno appresso, vi mandò suoi uficiali con grande quantità di moneta, e la detta chiesa fece ristorare, e rifare più bella e più ricca che non era prima, e simile i palazzi papali e le case de’ calonaci, e penarsi a·ffare parecchi anni, e costarono molto tesoro a la Chiesa.

XCVIII Come i grandi di Samminiato disfeciono il loro popolo.

Nel detto anno MCCCVIII, del mese d’agosto, i grandi di Samminiato del Tedesco, come sono Malpigli e Mangiadori, per soperchi ricevuti dal popolo di Samminiato, overo perché ’l popolo gli tenea corti, per modo che non poteano signoreggiare la terra a·lloro senno, sì s’accordaro insieme e feciono venire loro amistà di fuori, e con armata mano combattero col popolo e sconfissongli, e molti n’uccisono e presono, e a certi caporali feciono tagliare la testa, e tutti i loro ordini arsono, e la campana del popolo feciono sotterrare, e tennero poi il popolo in grande servaggio infino che le dette due case non ebbono discordia tra·lloro.

XCIX Come i Tarlati furono cacciati d’Arezzo, e rimessivi i Guelfi.

Nel detto anno MCCCVIII, del mese di gennaio, il popolo d’Arezzo con aiuto e favore d’Uguiccione da Faggiuola che badava d’esserne signore cacciarono de la cittade i signori di Pietramala, detti Tarlati, per soperchi e oltraggi che faceano a’ cittadini; e poco appresso vi rimisono la parte guelfa, che quegli di Pietramala n’aveano tenuti fuori per XXI anni; e quegli che signoreggiavano la cittade, ch’erano mischiati Guelfi e Ghibellini, si faceano chiamare la parte Verde; e mandarono loro ambasciadori a·fFirenze, e feciono pace co’ Fiorentini, come i Fiorentini la seppono divisare; ma poco tempo durò questo stato in Arezzo, ché vi tornarono i Tarlati.

C Come gli Ubaldini tornarono a ubidienza del Comune di Firenze.

In questo medesimo tempo i signori Ubaldini s’accordarono co’ Fiorentini, e vennero in Firenze a·ffare reverenza e le comandamenta del Comune, e sodaro la cittadinanza di tenere il passaggio de l’alpi sicuro per idonei mallevadori. E ’l Comune di Firenze dimise e perdonò loro ogni misfatto, e accettogli per cittadini e distrittuali, loro, e’ loro fedeli e terre, e che in ogni atto e fazioni dovessono fare al Comune come distrittuali e cittadini.

CI Per che modo fue eletto imperadore di Roma Arrigo conte di Luzzimborgo.

Nel detto anno MCCCVIII, essendo morto lo re Alberto de la Magna, come dicemmo addietro, per la cui morte vacava lo ’mperio, e i lettori de la Magna erano in grande discordia tra·lloro di fare la lezione, lo re di Francia, sentendo la detta vacazione, sì·ssi pensò che gli verrebbe fornito il suo intendimento con poca fatica per la sesta promessa che gli avea fatta papa Chimento segretamente, quando gli promise di farlo fare papa, come adietro facemmo menzione; e raunò suo segreto consiglio con messer Carlo di Valos suo fratello, e quivi scoperse il suo intendimento, e i·lungo disiderio ch’egli avea avuto di fare eleggere a la Chiesa di Roma a re de’ Romani messer Carlo di Valos, e eziandio vivendo Alberto re de la Magna, co la sua forza e podere e dispendio, e col podere del papa e de la Chiesa: ch’altre volte per antico avea rimossa la lezione de’ Greci ne’ Franceschi, e de’ Franceschi negli Italiani, e degl’Italiani negli Alamanni, ora maggiormente ci dee venire fatto, dapoi che vaca lo ’mperio, e massimamente per la detta promessa e saramento che gli avea fatta papa Clemento, quando il fece fare papa. E scoperse tutto il segreto contratto co·llui, e fatto ciò, domandò il loro consiglio e fece giurare credenza. A questa impresa fue lo re confortato per tutti gli suoi consiglieri, e che in ciò s’aoperasse tutto il podere de la corona e di suo reame, sì che venisse fatto, sì per l’onore di messer Carlo di Valos che n’era degno, e perché l’onore e dignità dello ’mperio tornasse a’ Franceschi, sì come fu per antico lungo tempo per gli loro anticessori, Carlo Magno e gli suoi successori. Inteso per lo re e per messer Carlo il conforto e buon volere del suo consiglio, sì furono molto allegri, e ordinaro che sanza indugio lo re e messer Carlo con grande forza di baroni e cavalieri d’arme andassono a Vignone al papa innanzi che gli Alamanni facessono altra lezione, mostrando e dando boce che la sua andata fosse per la richesta fatta contra la memoria di papa Bonifazio; e che quando il re fosse a corte, richiedesse al papa la sesta segreta promessa, cioè d’eleggere e confermare imperadore di Roma messer Carlo di Valos, e trovassesi sì forte di sua gente, che nullo cardinale né altri, né eziandio il papa, non l’ardisse a rifusare. E ciò ordinato, sì comandò a’ baroni e cavalieri che s’aparecchiassono d’arme e di cavagli a fare compagnia al re per andare a la corte a Vignone, e quegli del siniscalco di Proenza fossono apparecchiati, e doveano essere in numero di più di VIm cavalieri d’arme. Ma come piacque a Dio, per non volere che la Chiesa di Roma fosse al tutto sottoposta a la casa di Francia, questo apparecchiamento del re e il suo intendimento fu fatto segretamente assentire al papa per uno del segreto consiglio del re di Francia. Il papa temendo della venuta del re con tanta forza, e ricordandosi della sua promessa fatta, riconoscendo ch’era molto contraria a la libertà della Chiesa, sì ebbe segreto consiglio solamente con messer d’Ostia cardinale da Prato, che già aveano preso isdegno col re di Francia per le disordinate richeste, e perché se la Chiesa avesse condannata la memoria di papa Bonifazio, ciò ch’avea fatto era casso e annullato, e ’l cardinale di Prato fue per Bonifazio fatto cardinale con certi altri, come detto avemo in altra parte. Il detto cardinale udendo quello che sentia il papa della ’ntenzione e della venuta del re di Francia, sì disse: «Padre santo, qui nonn-ha che uno remedio, cioè che innanzi ti faccia la richesta il re, per te s’ordini co’ prencipi de la Magna segretamente e con istudio ch’eglino facciano lezione d’imperio». Al papa piacque il consiglio, ma disse: «Cui volemo per imperadore?». Allora il cardinale molto antiveduto, non tanto solamente per la libertà della Chiesa, quanto a sua propietà e di sua parte ghibellina rilevare in Italia, disse: «Io sento che ’l conte di Luzzimborgo è oggi il migliore uomo de la Magna, e il più leale e il più franco, e più cattolico, e non mi dubito, se viene per te a questa dignità, ch’egli non sia fedele e obbediente a te e a santa Chiesa, e uomo da venire a grandissime cose». Al papa piacque per la buona fama che sentia di lui; disse: «Questa lezione come si può fornire per noi segretamente, mandando lettere con nostra bolla, che nol senta il collegio de’ nostri frati cardinali?». Rispuose il cardinale: «Fa’ a·llui e a’ lettori tue lettere col piccolo e segreto suggello, e io scriverò loro per mie lettere più a pieno il tuo intendimento, e manderolle per mio famigliare»; e così fu fatto. E come piacque a·dDio, giunti i messaggi ne la Magna e presentate le lettere, in otto dì i prencipi de la Magna furono congregati a Midelborgo, e ivi sanza niuno discordante elessero a re de Romani Arrigo conte di Luzzimborgo; e ciò fu per la industria e studio del detto cardinale, che scrisse a’ prencipi infra l’altre parole: «Fate d’essere in accordo del tale, e sanza indugio, se non, io sento che la lezione e la signoria dello ’mperio tornerà a’ Franceschi». Fatto ciò, la lezione fu pubblicata in Francia e in corte di papa incontanente; non sappiendo il modo il re di Francia, che facea l’apparecchiamento per andare a corte, si tenne ingannato, e mai non fu poi amico del detto papa.

CII Come Arrigo imperadore fue confermato dal papa.

Nel detto anno, essendo fatta la lezione d’Arrigo di Luzzimborgo a re de’ Romani, sì mandò a Vignone a corte a papa Clemento per la sua confermazione il conte di Savoia suo cognato e messer Guido di Namurro fratello del conte di Fiandra suo cugino, i quali dal papa e da’ cardinali onorevolemente furono ricevuti, e del mese d’aprile MCCCVIIII, per lo papa il detto Arrigo fue confermato a imperadore, e ordinato che ’l cardinale dal Fiesco e ’l cardinale di Prato fossono legati in Italia e in sua compagnia quando venisse di qua da’ monti, comandando da parte de la Chiesa che da tutti fosse ubbidito. Incontanente che’ suo’ ambasciadori furono tornati co la confermagione del papa, se n’andò ad Asia la Cappella in Alamagna con tutta la baronia e prelati d’Alamagna, e fuvi il duca di Brabante, e ’l conte di Fiandra, e ’l conte d’Analdo, e più baroni di Francia, e ad Asia per l’arcivescovo di Cologna onorevolemente e sanza nullo contasto fu de la prima corona coronato il dì de la Epifania MCCCVIII a re de’ Romani.

CIII Come i Viniziani presono la città di Ferrara e poi la perdero.

Nel detto anno MCCCVIII, a dì X di gennaio, i Viniziani presono per forza di loro navilio la città di Ferrara, la quale era de la Chiesa di Roma, e cacciarne messer Francesco da Esti; per la qual cosa dal sopradetto papa furono scomunicati, e contra loro fatto gran processo, e a chi desse aiuto a la Chiesa fu fatta grande indulgenza per due legati del papa che vennero in Lombardia, i quali coll’aiuto de’ Bolognesi e della lega di Lombardia de la parte della Chiesa racquistarono Ferrara, salvo il Castello Tedaldo ch’era in capo della terra, molto forte e grande, che rimase a’ Viniziani; e in quello mese i Viniziani furono sconfitti a Francolino, ch’erano venuti per assediare Ferrara, per la gente della Chiesa.

CIV Come il maestro dello Spedale prese l’isola di Rodi.

Nell’anno MCCCVIII, del mese di febbraio, i frieri dello Spedale ebbono grandi privilegi dal detto papa Chimento di grandi perdonanze a chi facesse loro aiuto al conquisto d’oltremare, e per Italia andarono predicando, e raunarono moneta assai, e poi la state vegnente il loro maestro da Napoli fece suo passaggio, e presono l’isola di Rodi in Turchia con grande danno de’ Saracini e de’ Greci.

CV Come il re d’Araona s’apparecchiò di venire in Sardigna.

Nel detto anno e mese, apparecchiandosi il re d’Araona di venire a prendere Sardigna, e avea richesti i Fiorentini e’ Lucchesi e la taglia di Toscana di fare compagnia co·lloro a guerreggiare i Pisani, i detti Pisani gli mandarono loro ambasciadori in tre galee con molta moneta, onde il detto re si rimase de la detta impresa.

CVI Come i Guelfi furono cacciati di Prato, e poi lo racquistarono.

Nell’anno MCCCVIIII, a dì VI d’aprile, i Bianchi e’ Ghibellini di Prato ne cacciarono fuori i Guelfi e’ Neri; il seguente dì fu per loro ricoverato coll’aiuto de’ Fiorentini e de’ Pistolesi, e per gli Fiorentini vi fu messa la signoria.

CVII Come i Tarlati tornarono inn-Arezzo e cacciarne i Guelfi.

Nel detto anno, a dì XXIIII del mese d’aprile, i Tarlati d’Arezzo co·lloro parte ghibellina tornarono in Arezzo, e cacciarne fuori i Guelfi e’ Verdi, e uccisonne assai, e ruppono la pace ch’aveano co’ Fiorentini.

CVIII Quando morì il re Carlo secondo.

Nel detto anno, il dì di Pentecosta, a dì III di maggio, morì il re Carlo secondo, il quale fu uno de’ larghi e graziosi signori ch’al suo tempo vivesse, e nel suo regno fu chiamato il secondo Allessandro per la cortesia; ma per altre virtù fu di poco valore, e magagnato in sua vecchiezza disordinatamente in vizio carnale, e d’usare pulcelle, iscusandosi per certa malattia ch’avea di venire misello; e lui morto, a Napoli fu soppellito a grande onore.

CIX De’ segni ch’aparirono in aria.

Nel detto anno MCCCVIIII, a dì X di maggio, di notte, quasi al primo sonno, apparve in aria uno grandissimo fuoco, grande in quantità d’una grande galea, correndo da la parte d’aquilone verso il meriggio con grande chiarore, sì che quasi per tutta Italia fu veduto, e fu tenuto a grande maraviglia; e per gli più si disse che fu segno de la venuta dello ’mperadore.

CX Come i Fiorentini ricominciarono guerra ad Arezzo.

Nel detto anno, dì XXIII di maggio, cavalcarono i Fiorentini CC cavallate e certi pedoni, e la masnada de’ Catalani col maliscalco del duca al Monte San Savino, che si tenea per gli Fiorentini, e di là andaro in sul contado d’Arezzo ardendo e guastando, e furono infino a le porte d’Arezzo, e feciono dannaggio assai. Poi a dì VIII di giugno si tornarono in Firenze sani e salvi.

CXI Come i Lucchesi vollono disfare Pistoia, e’ Fiorentini furono contradianti.

Nel detto anno, in calen di giugno, i Lucchesi vennero a Serravalle, popolo e cavalieri, innanimati di disfare Pistoia al tutto, o almeno la loro metade; la qual cosa a’ Fiorentini non piacque, parendo loro spietata e crudel cosa. Diedono parola a’ Pistolesi che si difendessono, e a chi di Firenze gli volesse aiutare, sì che coll’aiuto di messer Lippo Vergellesi, che tenea il castello de la Sambuca, essendo i Lucchesi già a Pontelungo, gli ripararo con danno e vergogna di loro. Per la qual cosa i Fiorentini aconsentiro a’ Pistolesi che rifermassono la terra; i quali in due dì rimondarono i fossi e rifeciono gli steccati con bertesche intorno a la città, e a·cciò furono uomini, e donne, e preti, e fanciulli, che fu tenuto gran cosa. La quale benignità e pietà de’ Fiorentini tornò loro poi per più volte molto contradia, con grandi pericoli e spendii de’ Fiorentini, sì come innanzi per gli tempi si farà menzione, e più volte poi fu più commendata la furia de’ Lucchesi, che la piatà e astinenza de’ Fiorentini.

CXII Come il re Ruberto fu coronato del regno di Cicilia e di Puglia.

Anno MCCCVIIII, del mese di giugno, il duca Ruberto, allora primogenito del re Carlo, andò per mare da Napoli in Proenza a la corte con grande navilio di galee e grande compagnia, e fue coronato a re di Cicilia e di Puglia da papa Clemento il dì di santa Maria di settembre del detto anno, e aquetato di tutto il presto che la Chiesa avea fatto al padre e a l’avolo per la guerra di Cicilia, il quale si dice ch’erano più di CCC migliaia d’once d’oro. Nel detto mese e anno i Guelfi furono cacciati d’Amelia per la forza de’ Colonnesi.

CXIII Come gli Ancontani furono sconfitti dal conte Fedrigo.

Nel detto anno e mese di giugno il conte Fedrigo da Montefeltro con quegli da Iegi, e d’Osimo, ed altri Marchigiani ghibellini sconfissono gl’Ancontani ch’erano a oste sopra il contado di Iegi: furonne tra presi e morti, tra di cavallo e di piè, più di Vm.

CXIV Come messer Ubizzino Spinoli fu cacciato di Genova e sconfitto.

Nel detto anno MCCCVIIII, dì XI di giugno, essendo messer Ubizzino Spinoli signore di Genova, e cacciatine più tempo dinanzi i Guelfi, e poi gli Ori e loro séguito, e gli Spinoli suoi consorti da basso, e la terra tenea quasi a guisa di tiranno, i detti usciti, così i Guelfi come i Ghibellini, fatta lega e compagnia vennero co·lloro isforzo di gente a cavallo e a piè assai infino in Ponzevera per rientrare in Genova. Il detto messer Ubizzino con suo isforzo di gente a cavallo e popolo di Genova a piè si fece a lo ’ncontro, gli usciti vigorosamente assalendo il popolo di Genova, il quale era partito, e male seguiro messer Ubizzino, ma si misono in fugga, onde fu sconfitto con piccola mortalità di gente: si fuggì in Serravalle co’ suoi seguagi. Gli Ori, e’ Grimaldi, e gli altri usciti si rientraro in Genova sanza fare altra novità, se non che feciono disfare il castello di Luccoli ch’era in Genova, del detto messer Ubizzino.

CXV Come i Viniziani furono sconfitti a Ferrara.

Nel detto anno, a l’uscita di luglio, i Fiorentini mandarono cavalieri e pedoni in servigio de la Chiesa al cardinale Pelagrù nipote e legato del papa, il quale era al soccorso di Ferrara, che v’erano i Viniziani per comune ad oste per terra e per acqua, onde il detto legato ebbe a grande grado da’ Fiorentini, ch’erano interdetti da la Chiesa, e però non lasciaro il servigio. Poi il settembre vegnente la gente del legato co’ Fiorentini e Bolognesi combattero co’ Viniziani e sconfissongli a dì XXVII d’agosto prossimo, onde rimasono tra morti e presi e anegati in Po de’ Viniziani più di VIm uomini, e perdero al tutto Ferrara e ’l Castello Tedaldo. Poi l’anno appresso tornando il detto legato in Toscana, venne in Firenze, e per li Fiorentini gli fu fatto grande onore, e presentargli IIm fiorini d’oro, e ’l carroccio gli andò incontro con grande processione; per la qual cosa e servigio fatto il detto legato assolvette i Fiorentini de la ’nterdizione e scomunica, e riconciliogli colla Chiesa della discordia dove gli aveva messi messer Nepoleone, come adietro si fece menzione, e rendé l’oficio a’ Fiorentini a dì XXVI di settembre, anno detto.

CXVI De la guerra de’ Volterrani e que’ di San Gimignano.

Nel detto anno MCCCVIIII, del mese d’agosto, si cominciò grande guerra tra’ Volterrani e que’ di San Gimignano per quistione di loro confini; e ciascuno fece suo isforzo di più di VIIc cavalieri per parte, e durò la guerra più mesi con grande spendio e dammaggio dell’una parte e dell’altra, d’arsioni e di guasto e di più avisamenti. I Fiorentini e’ Sanesi assai si travagliaro d’aconciargli insieme; quando volea l’uno non volea l’altro, che si tenea soverchiato. A la fine i Fiorentini vi cavalcaro con grande isforzo, dicendo d’esser contra la parte che non volesse l’acordo. Quegli dibattuti di spese e della guerra, si rimisono ne’ Fiorentini; e per gli Fiorentini fue giudicata e terminata la quistione, e messi i termini a’ confini, e ciascuno a’ suoi termini fece una fortezza, e fu fatta la pace. E nel detto mese d’agosto, scurò tutta la luna; e po’ l’ultimo dì di gennaio scurò gran parte del sole, e ’l febbraio seguente ancora scurò la luna. Nel detto anno fu grande dovizia di pane e vino: valse lo staio del grano in Firenze soldi VIII, e ’l cogno del mosto in certe parti meno di soldi XL.

CXVII Come gli Orsini di Roma furono sconfitti da’ Colonnesi.

Nel detto anno, del mese d’ottobre, si riscontraro certi degli Orsini e di Colonnesi e di loro seguaci, in quantità di CCCC a cavallo, fuori di Roma, e combatterono insieme, e’ Colonnesi furono vincitori, e fuvi morto il conte dell’Anguillara, e presi VI degli Orsini, e messer Riccardo de la Rota degli Anibaldeschi ch’era in loro compagnia.

CXVIII Come gente d’Arezzo furono sconfitti dal maliscalco de’ Fiorentini.

Nel detto anno, di febbraio, il re Ruberto mandò in Firenze sua bandiera al suo maliscalco ch’era in Firenze con CCC cavalieri catalani, che in prima che fosse coronato a re, il suo detto maliscalco portava pure pennone della sopransegna del duca.

Il detto maliscalco per provare la bandiera e per andare in servigio di que’ de la Città di Castello, i quali aveano richesti i Fiorentini d’aiuto contra gli Aretini, con sua gente a cavallo e a piè, con III de’ maggiori di Firenze per sesto, e con certi pedoni eletti, si partiro di Firenze martidì a dì X di febbraio, e furono intorno di CCCL cavalieri e VIc pedoni. Feciono la via di Valdarno e poi per Vallelunga a l’olmo d’Arezzo, guastando per lo contado d’Arezzo. Gli Aretini, popolo e cavalieri, e usciti di Firenze, con Uguiccione da Faggiuola loro capitano sotto Cortona si pararono loro dinanzi credendogli avere sorpresi, gli assaliro per loro feditori, i quali dal detto maliscalco e Fiorentini furono rotti, e Uguiccione col popolo si fuggì ad Arezzo inn-isconfitta, e rimansovi morti Vanni de’ Tarlati, e Cione de’ Gherardini, e uno de’ Pazzi di Valdarno con più altri, e tre di loro bandiere ne vennero co’ pregioni a Firenze. Con tutta la vittoria, fue tenuta folle andata, perché si misono in forte passo e ne la forza de’ nimici.

CXIX Come i Fiorentini feciono oste ad Arezzo.

Nell’anno MCCCX, dì VIII di giugno, i Fiorentini co·lloro amistà in quantità di IIm cavalieri e popolo a piè grandissimo si partirono di Firenze per andare ad oste ad Arezzo. Prima si partissono vennono lettere e messi da Arrigo imperadore, comandando a’ Fiorentini che l’oste non andasse sopra Arezzo, con ciò sia cosa ch’ell’era sua terra, e ch’egli intendea di pacificargli insieme a la sua venuta in Italia. Per la qual cosa in Firenze n’ebbe quistione, che chi volea e chi non volea che l’oste v’andasse. A la fine il popolo pur vinse ch’ell’andasse, e andò infino al vescovado vecchio d’Arezzo; e quivi si fermò il campo guastando intorno la terra; e più battaglie si diedono a la terra; e gran parte degli steccati da quella parte per gli Fiorentini s’abattero; e dissesi per molti che la terra s’arebbe avuta per forza, però che gli Aretini erano in fiebole stato, se non che certi grandi di Firenze per nudrire la guerra e moneta che n’ebbono - se ’l vero fu - non l’assentirono. A la fine si partì l’oste, e lasciaro uno battifolle molto forte presso ad Arezzo a due miglia al poggio ch’è sopra l’olmo, fornito di genti cogli usciti d’Arezzo, il quale fece loro molta guerra; e’ Fiorentini tornarono in Firenze sani e salvi dì XXV di luglio, anno detto.

CXX Come gli ambasciadori d’Arrigo re de’ Romani vennero in Firenze.

Nel detto anno, dì III di luglio, vennero in Firenze messer Luis di Savoia eletto sanatore di Roma con II prelati cherici d’Alamagna e messer Simone Filippi da Pistoia, ambasciadori dello ’mperadore, richeggendo il Comune di Firenze che s’aparecchiassono di fargli onore a la sua coronazione, e che gli mandassero loro ambasciadori a Losanna; e richiesono e comandaro che l’oste ch’era ad Arezzo si dovesse partire. Fu per gli Fiorentini fatto un grande e bello consiglio, ove saviamente spuosero loro ambasciata. Risponditore fu fatto per lo Comune messer Betto Bruneleschi, il quale prima rispuose con parole superbe e disoneste, onde da’ savi fu biasimato; poi per messer Ugolino Tornaquinci saviamente risposto, e cortesemente. Contenti si partiro a dì XII di luglio, e andarono nell’oste de’ Fiorentini ad Arezzo, e feciono il somigliante comandamento si partisse l’oste; la quale non si partì per ciò. Rimasersi in Arezzo i detti ambasciadori assai indegnati contro a’ Fiorentini.

CXXI Di miracolosa gente che s’andarono battendo in Italia.

Nel detto anno apparì grande maraviglia, che si cominciò in Piemonte, e venne per Lombardia e per la riviera di Genova, e poi per Toscana, e poi quasi per tutta Italia, che molta gente minuta, uomini e femmine e fanciulli sanza numero, lasciavano i loro mestieri e bisogne, e colle croci innanzi s’andavano battendo di luogo in luogo, gridando misericordia, e faccendo fare l’uno a l’altro molte paci, tornando più genti a penitenzia. I Fiorentini e più altre città non gli lasciarono entrare in loro terre, ma gli scacciavano dicendo ch’era male segnale nella terra ove intrassero. E nel detto tempo, a di XII di maggio, il re di Francia fece a Parigi ardere il maestro del Tempio con LIIII suoi frieri de’ maggiori de la magione, opponendo loro resia; ma i più dissono che fu loro fatto torto per occupare le loro possesioni, e a la loro morte riconoscendosi e confessandosi buoni Cristiani.