Novellino/VII
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Uno signore di Grecia, lo quale possedea grandissimo reame et avea nome Aulix, avea uno suo giovane figliuolo, il quale facea nodrire et insegnarli le sette liberali arti, e faceali insegnare vita morale, cioè di be’ costumi.
Un giorno tolse questo re molto oro e diello a questo suo figliuolo e disse:
«Dispendilo come ti piace»; e comandò a’ baroni che neuno non li insegnasse spendere questo oro, ma sollicitamente avisassero il suo portamento e ’l modo che e’ ne tenesse.
I baroni seguitando questo giovane, un giorno stavano con lui alle finestre del palazzo. Il giovane stava pensoso. Vide passare per lo cammino gente che parea assai nobile secondo li arnesi e secondo le persone.
Il camino correa a piè del palagio. Comandò questo giovane che fossero tutte quelle genti menate dinanzi da·llui. Fue ubbidita la sua volontade: vennero i viandanti dinanzi dal giovane e da’ suoi baroni. L’uno ch’avea lo cuore più ardito e la fronte più allegra si fece avanti e disse:
«Messere, che ne domandi?».
Il giovane rispuose:
«Domandoti onde se’ e di che condizione».
E que’ rispose:
«Messere, io sono d’Italia, e mercatante sono molto ricco; e quella ricchezza ch’i’ ho no·ll’ho di mio patrimonio, ma tutta l’hoe guadagnata di mia sollicitudine».
E ’l giovane domandò il seguente, lo quale era di nobile fazione e stava con peritosa faccia, e disseli che si facesse avanti, acciò che stava più indietro che l’altro e non sì arditamente. Quelli disse:
«Messere, che mi domandi?».
Il giovane rispuose:
«Domandoti donde se’ e di che condizione».
Et elli rispuose:
«Io sono di Soria e sono re; et ho sì saputo fare, che li sudditi miei m’hanno cacciato».
Allora il giovane prese tutto l’oro e diello a questo scacciato re.
Il grido andò per lo palagio. I cavalieri e li baroni e l’altra gente tutta, di boce in boce, diciano:
«L’oro è dispenso!».
Chi dicea e chi domandava il come. Tutta la corte sonava solo di questo oro. Al padre furono racontate tutte queste novelle, e come il suo figliuolo avea dispensato tutto quello oro, e tutte le domande e tutte le risposte li furono raccontate a motto a motto.
Il re incominciò a parlare al figliuolo, udente molti baroni, e disse:
«Come dispensasti? Che pensiero ti mosse? Qual ragione ci mostri, che a colui che per sua bontà aveva guadagnato non desti, e a colui che avea perduto per sua colpa e follia, tutto donasti?».
E ’l giovane savio rispuose:
«Messere, non donai a chi non mi insegnoe; né a neuno donai, ma ciò ch’io feci fu guiderdone, e non dono. Il mercatante non mi insegnò neente: no·lli era neente tenuto; ma quelli ch’era di mia condizione, figliuolo di re, e che portava corona di re, il quale per la sua follia avea sì fatto che ’ sudditi suoi l’hanno cacciato, m’insegnò tanto che ’ sudditi miei non cacceranno me: onde picciolo guiderdone diedi a·llui di così ricco insegnamento».
Udita la sentenzia del giovane, il padre e·lli suoi baroni il commendaro di grande sapienzia, dicendo che grande speranza ricevea della sua giovinezza, che negli anni compiuti sia di grande valore.
Le lettere corsero per li paesi a’ signori et a’ baroni, e furonne grandi disputazioni tra ’ savi.