Novellino/LXXI
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Volendo Seneca consolare una donna a cui era morto un suo figliuolo, sì come si legge in libro «Di Consolazione», disse cotali parole:
«Se tu fossi femina sì come l’altre, io non ti parlerei co m’io farò; ma però che tu·sse’ femina et hai intelletto d’uomo, sì ti dirò così. Due donne furo in Roma: a ciascuna morì il figliuolo: l’uno era d’i cari figliuoli del mondo, e l’altro era vie più caro. L’una si diede a ricevere consolazione, e piacquele essere consolata; e l’altra si mise in uno canto della casa, e rifiutò ogni consolazione, e diessi tutta in pianto. Quale di queste due è il meglio? Se tu dirai quella che voll’essere consolata, dirai il vero. Dunque, perché piangi? Se mi di’: «Piango il figliuolo mio perché la sua bontà mi facea onore», dico che non piangi lui ma piangi lo tuo danno e, piangendo lo tuo danno, piangi te medesima: et assai è laida cosa piangere altri se stesso. E se tu vuoli dire: «Il cuor mio piange perché tanto l’amava», non è vero che meno l’ami tu morto che quando era vivo. E se per amore fosse tuo pianto: perché nol piangevi tu quand’era vivo, sappiendo che dovea morire? Onde non ti scusare: to’·ti dal pianto! Se ’l tuo figliuolo è morto, altro non può essere. Morto è secondo natura, dunque per convenevole modo: lo quale è di necessitade a tutti».
E così consoloe colei.
Ancora si legge di Seneca ch’essendo maestro di Nerone sì·llo batteo quand’era giovane, come suo scolaio; e, quando Nerone fu fatto imperadore, ricordossi di Seneca, delle battiture che·lli avea date: sì·llo fece pigliare e giudicollo a morte. Ma cotanto li fece di grazia, che li disse:
«Aleggiti di che morte vogli morire»; e Seneca chiese di farsi aprire tutte le vene in un bagno caldo.
E la moglie sì ’l piangea e dicea:
«Deh, signor mio, che doglia m’è che tu muori sanza colpa!».
E Seneca rispuose:
«Meglio m’è ch’io moia sanza colpa che con colpa: così sarebbe dunque scusato colui che m’uccide a torto».