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LXIV LXVI

A

Qui conta della reina Ysotta e di messer Tristano di Leonis

Amando messer Tristano di Cornovaglia Ysotta la bionda, la moglie del re Marco, si fecero tra loro un segnale d’amore di cotal guisa: che quando messere Tristano le volea parlare, si andava ad un giardino del re Marco, nel quale avea una fontana, e intorbidava il rigagnolo ch’ella facea, il quale passava per lo palazzo dove stava la detta Ysotta; e quando ella vedea l’acqua torbidata, si pensava che Tristano era alla fontana.

Or avenne c’uno malaventurato giardiniere se n’avide, di guisa che li due amanti neente il poteano credere. Quel giardiniere andò allo re Marco, e contolli ogni cosa com’era.

Lo re Marco si diede a crederlo; sì ordinò una caccia, e partissi da’ suoi cavalieri siccome si smarisse da·lloro. Li cavalieri lo cercavano erranti per la foresta, e lo re Marco n’andò in sul pino ch’era sopra la fontana ove messere Tristano parlava alla reina.

E, dimorando la notte lo re Marco in sul pino, e messere Tristano venne alla fontana e intorbidolla; e poco tardante la reina venne alla fontana, ed a ventura le venne un bel pensero: che guardò il pino, e vide l’ombra più spessa che non solea. Allora la reina dottò e, dottando, ristette, e parlò con Tristano in questa maniera e disse:

«Disleale cavaliere, io t’ho fatto qui venire per potermi compiagnere di tuo gran misfatto: ché giamai non fu cavalier con tanta dislealtade quanta tu hai per tue parole: ché m’hai unita, e lo tuo zio re Marco, che molto t’amava: ché tu se’ ito parlando di me intra·lli erranti cavalieri cose, che nello mio cuore non poriano mai discendere; — et inanzi darei me medesima al fuoco, ch’io unisse così nobile re com’è monsignor lo re Marco. Onde io ti diffido di tutta mia forza, siccome disleale cavaliere, sanza niun’altro rispetto».

Tristano, udendo queste parole, dubitò forte e disse:

«Madonna, se ’ malvagi cavalieri di Cornovaglia parlan di me, tutto primamente dico che giamai io di queste cose non fui colpevole. Merzé, donna, per Dio: elli hanno invidia di me, ch’io giamai non dissi né feci cosa che fosse disinore di voi, né del mio zio re Marco. Ma, dacché vi pur piace, ubbidirò a’ vostri comandamenti: andronne in altre parti a finire li miei giorni. E forse, avanti ch’io mora, li malvagi cavalieri di Cornovaglia avranno sofratta di me, siccome elli ebbero al tempo de l’Amoroldo, quand’io diliverai loro e lor terre di vile e di laido servaggio».

Allora si dipartiro, sanza più dire; e lo re Marco, ch’era sopra loro, quando udì questo, molto si rallegrò di grande allegrezza.

Quando venne la mattina, Tristano fe’ sembianti di cavalcare: fe’ ferrare cavalli e somieri; valletti vegnono di giù e di sù: chi ponta freni e chi selle: il tremuoto era grande.

Il re s’adira forte del partire di Tristano, e raunò ’ baroni e ’ suoi cavalieri, e mandò comandando a Tristano che, sotto pena del cuore, non si partisse sanza suo commiato. Tanto ordinò il re Marco, che·lla reina ordinò e mandolli a dire che non si partisse: — e così rimase Tristano a quel punto, e non si partì. E non fu sorpreso né ingannato per lo savio avedimento ch’ebbero intra·llor due.


B

Ora venne che uno malvagio cavaliere si n’avidde e contollo a lo re Marco. Lo re diede lo cuore a credere. Ordinò una caccia. Partisi dalli cavalieri, et ismarisi da loro. Li cavalieri lo cercavano per la foresta. Lo re tornò: montò su·n uno pino ch’era sopra quella fontana là ove messer Tristano le parlava. Essendo lo re su‘l’ pino di notte, e messer Tristano venne a la fontana et intorbidò l’acqua, e riguardò al palazzo che Ysotta venisse. Vidde l’ombra dello re sue lo pino; pensosi quello ch’era. Ysotta venne alla finestra; Tristano li fece cenno verso lo pino; Ysotta si·nde avidde, e mesere Tristano disse cosìe:

«Madonna, voi mandaste per me. Malvo‘le’ntieri ci sono venuto, per molte parole che dette sono di voi e di me. Pregovi quanto posso per nostro onore che voi non mandiate più per me: non perch’io rifiuti di fare cosa che onore vi sia, ma dicolo per fare rimanere mentitori li malvagi, che per invidia non finano di male dire».

La reina parlò e disse:

«Malvagio cavaliere disleale, io t’hoe fatto qui venire per potermi compiagnere a te medesimo dello tuo grande malfatto: ché giamai non fu cavaliere con tanta dislieltade quanto tu se’, che, per tuoi parole, hai unito tuo zio lo re Marco e me: ché se’ ito vantando tra·lli cavalieri erranti di cose, che in nel mio cuore non potréno mai discendere. Onde io ti diffido di tutta mia forza, sanza alcuno altro rispetto, sì come disleale cavaliere».

Allora messer Tristano disse:

«Se·lli malvagi cavalieri di Cornuaglia parlano di me in questa maniera, io vi dico che giamai Tristano di ciò non fue colpevole, né mai non dissi cosa che disinore fosse di mio zio né di voi. Ma, da che pure vi piace, ubidiroe lo vostro commandamento: andrò in altre parte a finire ’ miei giorni: forse che inanzi che io moia li malvagi cavalieri di Cornuaglia aranno soffranta di me, sì come ebbero al tempo dello Amoraldo d’Irlanda, quando dilivrai loro e loro terra di vile e laido servaggio».

Allora si partìo senza più dire, quasi morendo d’allegrezza.

La mattina Tristano fece sembiante di cavalcare, e fae sellare cavalli e somieri. Valletti vanno di sù e di gi‘u’so, e chi aportava freni e chi selle: lo tramazzo era grande.

Allo re non piacea suo dipartimento, credendo che non fosse di Tristano e d’Ysotta quello che detto era. Ragunò li baroni, e mandò comandando a Tristano che non si partisse, a·ppena del cuore, sanza suo comandamento.

Tristano rimase: lo re ordinò tanto, che la reina mandoe a dire a Tristano che non si partisse; e così rimase Tristano, che non fue sopreso né inganato, per lo savio avedimento ch’ebbeno tra loro due.