Novellette e racconti/LVIII. L'artifizio riuscito vano
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LVIII.
L'artifizio riuscito vano.
Non sono ancora molti giorni passati, che appresso alla bottega di un venditor di paste di Genova s’incontrarono due forestieri che cordialmente con un Oh oh! di meraviglia si salutarono prima e abbracciarono; poi l’uno di essi disse all’altro: Amico mio, voi mancaste di parola; io vi ho più giorni aspettato in Padova, come da voi mi era stato promesso, e non vi siete venuto; che vuol dire? Gl’impacci, rispose l’altro: tante faccende mi sono sopravvenute, ch’io credetti di affogarvi sotto; fra le altre cose io ebbi a cambiare abitazione: voi sapete che sono le faccende delle masserizie. Dove abitate ora voi? dice l’altro, ch’io intendo di fare con esso voi e con la moglie vostra i miei convenevoli. L’amico gli risponde: Io sto sì e sì; e gli disegna a puntino tutte le giravolte fino a casa sua e fino all’uscio e alla forma del martello come in una carta geografica. Addio, dice l’altro; ma io me l’ho legata al dito, chè non siete venuto a Padova. Io vi giuro, ripiglia quel della casa, ch’io ebbi tale intenzione di venire, che spesi in un vestito cinquanta zecchini, e non me l’ho messo indosso ancora, e appunto conviene che fra due ore lo mandi al sarto, perchè mi accorci le maniche che sono alquanto lunghette; voi me ne avete fatto ricordare. Presero licenza l’un dall’altro, baciandosi di nuovo: il padrone del vestito entrò nella bottega delle paste, e l’altro andò per altra via. Avea tutto questo ragionamento udito un tristo non osservato, il quale stando molto bene in orecchi, massime quando sentì a nominare il vestito nuovo, e avendo notata la casa e il martello dell’uscio, fece proponimento fra sè di voler procacciare sua ventura. Per la qual cosa acconciossi in luogo dove potea udire e non essere veduto; ode che il galantuomo, entrato nella bottega, dice al bottegajo: Apparecchiatemi una cestella di quelle paste ch’io ebbi da voi pochi dì sono, e fate che non oltrepassino le quindici o sedici libbre, perchè io non vorrei, prendendone più, che le si guastassero; fra poco manderò un uomo a pagarle e prenderle; addio. Non andò un terzo di ora, che eccoti a comparire l’astutaccio ch’era stato in ascolto, e chiede: Le sedici libbre di paste del padron mio sono all’ordine? e tira fuori una borsa. Sì, sono, dice il bottegajo; questa è la cestella. Il furbo, udito il valsente, paga, prende la cestella, va alla casa del galantuomo, picchia. Chi è? — Le paste che manda il padrone. Quando vien roba, ogni uscio si apre: è aperto, sale; si affaccia la padrona e una fanticella scozzonata come una volpe, e intelligente di birbanteria quanto un cantambanco. Dice il ladroncello: Mandami il marito di vostra signoria con queste paste, e dice che mi dia il suo vestito nuovo, avendogli il sarto promesso di racconciarglielo subito. Dov’è egli mio marito? risponde la padrona. — È alla bottega mia, che mi attende. Stava la padrona fra il sì e il no di quello che dovesse fare; ma la fanticella volpe, fattasi all’orecchio di lei, le disse: Padrona mia, quel ceffo non mi garba, e ha scolpito non so che da forche: oltre di che il mondo è pieno di tristi, e vi dee ricordare di colui che portò la carne per rubare il mantello (e volea dire di un fatto che si legge nella gazzetta n. L.). Apre gli occhi la padrona, e dice: Io non so che vestito tu mi dica; il marito mio ne ha parecchi; se lo vuole, venga egli e dica, ch’io non saprei ben quale. Il ladroncello più si riscalda ad inventare circostanze e più si avviluppa e scopre, e finalmente non sapendo che altro dire, per non lasciarvi almeno del suo pelo, soggiunge: Signora mia, io debbo aver fallato la casa, e però mi favorisca la cestella e le paste, ch’io ne le riporti a bottega. Questi son fatti di cucina e unti, dice la fanticella: io so che il padron mio l’ha ordinate e pagate, e tu non hai punto errato l’uscio rispetto a queste, ma l’errore sta nel vestito: oh, va. Il ladroncello che non sapea più che rispondere, pensò pel minor male di andarsene, e borbottando certe parole fra’ denti in difesa della sua intatta puntualità, scese le scale con animo di rifarsi sopra qualche borsa o mantello altrui della spesa perduta.