Novellette e racconti/III. Burla fatta ad un Parrucchiere

III. Burla fatta ad un Parrucchiere

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III. Burla fatta ad un Parrucchiere
Novellette e racconti IV. Strana beffa fatta da una Signora a un brutto Damerino
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III.


Burla fatta ad un Parrucchiere.


Domenica, che fu a’ 17 di questo mese, andarono quattro amici goditori all’osteria del ..... Eravi fra loro un parrucchiere di assai buona pasta, il quale per difetto di lingua parlava balbettando naturalmente come fa il Tartaglia per imitazione. Poichè furono stati parecchie ore mangiando, bevendo e motteggiando di varie cose, venuta la notte, disse uno di loro: A che ne andremo noi più a casa stasera? quelle lenzuola casalinghe a me sono venute a noja. Io direi, quanto a me, che dove si è pranzato, si ceni e si dorma: l’oste è buon compagno [p. 5 modifica]e amico nostro, non ci torrà la pelle: voi che ne dite? Assentirono tutti; e chiamato l’oste, gli dissero quel che voleano, ed ebbero due letti con le lenzuola di bucato. Mentre che questo si facea, disse il parrucchiere a’ compagni: Io conosco due di voi di così insolente natura, ch’io non mi saprei arrecare a dormire nè con l’uno nè con l’altro: scherzare e ridere tutto il dì, al nome sia del cielo, ma la notte intendo di dormire. G. E. è del mio parere, io dormirò seco. Fa come vuoi, gli dissero gli altri due, che noi staremo insieme. G. E. che dormiglioso é di natura, l’ebbe caro, e si accordò anch’esso. Agli altri due parea di morire se non trovavano qualche beffa da non lasciargli dormire in tutta notte; e chiamato l’oste in disparte, gli dissero, che per romor grande che udisse, e per chiamare che fatto fosse, non entrasse nè egli nè altri in quella stanza; ma che, serratala di fuori a chiave a tempo dell’andare a letto, quivi gli lasciasse; e che intanto arrecasse loro di nascosto una ricotta o puina molle molle, chè intendevano di fare una burla. Venuta la ricotta e uscito l’oste, i due fecero in modo con varie malizie che il parrucchiere e G. E. uscirono della stanza; ed essi intanto posero la ricotta fra le lenzuola da quella parte ove intendevano di far coricare il parrucchiere. Intanto si cenò lietamente, e venne l’ora del dormire. G. E. cominciava sonniferare, e aveva gli occhi mezzo chiusi; i due, ridendo e fingendo di scherzare e di avere compassione di lui, lo spogliarono essi medesimi e lo posero a letto dalla parte non tocca. Poi cominciarono essi medesimi a scalzarsi, comandando al parrucchiere, che per castigo di non aver voluto dormire con esso loro, fosse l’ultimo a spogliarsi e ammorzasse il fuoco che ardea. E così fu; chè quando essi si furono coricati il parrucchiere ammorza e copre; ma essi che non voleano che pure una favilluzza ne rimanesse, dicevano: Io veggo un barlume costà, e vedi un carbone colà: io ho paura del fuoco più che della morte: spegni là, ammorza costì, copri con le ceneri [p. 6 modifica]e tanto dissero, che il parrucchiere, stanco di tal seccaggine, va a certi vasi che avean dentro acqua lavorata dalla vescica, e versagli sul focolajo, dicendo: Ora sarete contenti; e lo furono, perchè quel lago avrebbe ammorzato Troja. Allora uno di loro levasi, prende la candela e dice: Al bujo vedrò meglio se il fuoco è bene ammorzato o no; e il dire e il soffiare nella candela e il tornare a letto fu un tempo. Il parrucchiere borbotta; essi due si domandano l’un l’altro: Vedi tu faville? no: ora siamo sicuri; e il parrucchiere sbuffa, e diceva: Ecco perchè mi avete fatto ammorzare il fuoco; ma io son uomo di andare a letto al bujo: chè non sapea della ricotta molle che l’attendea. Il compagno suo con tutti questi rumori seguiva la sua buona natura e russava forte; il parrucchiere in camicia leva le coltrici, e dentro. Ma non sì tosto si sentì sotto a’ fianchi quella cosa molliccia, che mise uno strido che parea invasato. I due domandano come spauriti, che è? ed egli: È che questa carogna ch’io mi elessi per compagno, mi ha concio tutto il letto: che maledetto sia egli. Vergognoso, déstati! e grida sì forte, che l’altro rispondendo arrabbiato: Che diavol hai tu? si volta in fretta e dà nel molle; e così mezzo balordo esce del letto e incolpa il parrucchiere dell’imbratto. Dopo molti vituperj detti dall’una parte e dall’altra, usciti tuttadue di letto, chiamano l’oste, vogliono aprire: è chiuso. Picchiano, battono in terra, gridano con le maggiori voci ch’abbiano in gola; tanto che la stanza parve un inferno, perchè anche gli altri due ajutavano. Finalmente non vedendosi persona, dicono i due dell’altro letto: Sapete che é? noi intendiamo di dormire sta notte. Andate a letto, rannicchiatevi come potete, mettetevi in un cantuccio e statevi. Dice il parrucchiere: Che cantuccio o non cantuccio? per grazia di costui il letto é un letamajo; e non c’é filo che ci potesse ricogliere. G. E. va in collera, il parrucchiere anch’egli; tra per l’ira e pel freddo battono i denti. Gli altri due compagni vedendo che la cosa si riscaldava, si diedero a ridere; narrarono il fatto, e [p. 7 modifica]dopo molto borbottare, risero anche gli altri, e come potettero si allogarono fra le coltrici, cianciando e motteggiandosi fino alla mattina.