Novelle orientali/VI. Allegoria
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | V. Tratto raro di generosità di un Califfo | VII. Allegoria sull'Amicizia | ► |
VI.
Allegoria1.
Fu una volta un uomo di cuore benefico, il quale volendo prestare ajuto ad uno de’ suoi schiavi per farnelo quanto potea felice, gli diede la libertà; e fatta porre in ordine una nave, gli diede tanto, che egli potesse andarsene in qualunque paese gli fosse piaciuto a cercare la sua fortuna.
Lo schiavo pieno di riconoscenza fece vela; ma non sì tosto si era egli allargato in mare, che una spaventevole burrasca lo gittò in un’isola da lui stimata deserta. Avea tutte le merci perdute; i marinai si erano affogati in mare; onde ritrovavasi soletto senza un soccorso al mondo, e senza sapere in avvenire che dovesse essere di lui, altro che miseria e dolore. Andava egli dunque a passo a passo, concentrato nelle sue considerazioni, quando gli apparve davanti un sentiero che avea orme d’uomini; onde entrato lietissimo in quello, scoperse da lunge una città grande: riprese speranza e volse il passo alla volta di quella.
Ma chi potrebbe immaginare qual fosse la sua maraviglia, quando trovatosi a quella vicino, videsi attorniato dagli abitanti venutigli incontra e da alcuni araldi che cominciarono a gridare: O popoli, questi è il monarca vostro? Le acclamazioni andarono accompagnandolo alla città, alla quale venne condotto trionfando: fu introdotto in un palagio, usata abitazione dei re; venne vestito con un mantello di porpora, incoronato il capo: i principali uomini andarono a giurargli a nome del popolo tutta l’ubbidienza dovuta a’ sovrani. Il nuovo monarca non potea credere che tutto ciò non fosse sogno: tuttavia persuaso da più lunga esperienza della effettiva fortuna ch’egli provava, chiedeva a sè medesimo: Oh, che sarà questo? e da me che vuole il supremo Essere?
In tal pensiero stavasi travagliato sempre; onde gli venne voglia di prendere qualche lume: per la qual cosa chiamato un giorno a sè colui fra i grandi della corte, che più spesso solea essergli a’ fianchi, e gli dava consigli, e pareva destinato dalla Provvidenza a partecipare del governo seco, gli disse: Qual merito mio mi ha fatto vostro re? certo io nol so: e perchè mi prestate voi ubbidienza? e di me che sarà? Sappiate, o mio principe, gli rispose il ministro, che i Genj abitatori di quest’isola hanno domandato a Dio ch’egli mandi loro ogni anno un figliuolo di Adamo, il quale gli regga e governi. Volle l’Onnipossente degnarsi di prestare orecchi alle loro preghiere, e anno per anno approda qui un uomo. I popoli si affrettano a corrergli incontro, come veduto avete, e lo riconoscono per loro sovrano; ma il corso del suo regnare non oltrepassa un anno: compiuto questo termine fatale, viene precipitato giù dal trono, spogliato dei regj ornamenti, rivestito di abiti grossolani; i soldati senza nessuna pietà lo strascinano in riva al mare, lo gittano in una nave che lo guida ad un’altra isola, la quale è di sua natura arida e deserta. Colui che pochi giorni prima era possente monarca, non ritrova quivi nè suddito, nè amico, nè uomo che lo consòli, e fa una vita stentata e dolorosa. I popoli dopo di avere trattato il re loro in tal guisa, il primo re loro, escono della città per incontrare il monarca nuovo che viene mandato ogni anno dalla Provvidenza. Tale si è, o principe, la legge irrevocabile che non potrà essere scambiata da voi.
I predecessori miei, disse il re al suo visire, vennero eglino avvisati di una così rigorosa sorte? Nessuno di loro, rispose il ministro, vi fu che non la sapesse; ma non ebbero mai cuore di fermar in un avvenimento fastidioso la vista abbagliata da quello splendore che circonda il trono: l’ebbrezza di passeggieri diletti stornò in loro l’idea di una durevole felicità, nè seppero difendersi anticipatamente dal fine che li minacciava: l’anno della prosperità loro venne sempre al fine, ch’essi non se ne avvidero, venne finalmente il giorno fatale, ch’essi non aveano fatta opera veruna per addolcire una sorte funesta e inevitabile.
Al ragionare del ministro il principe si empiè di timore, e atterrito pensò che una parte di così prezioso tempo era passata; onde prese la deliberazione di trarre profitto di quello che gli rimaneva ancora: Ed oh saggio visire, diss’egli al Genio, tu mi hai prenunciate calamità; e qual altro, fuori di te, potrebbe insegnarmi i modi di schifarle?
Ricordati, signor mio, gli disse il Genio, che tu entrasti in quest’isola nudo, e sappi che qual ci venisti tale uscirai di qua, nè vi rientrerai più mai. Un solo modo è a te conceduto per poter isfuggire i minacciati mali, e ciò è che ti conviene mandara all’isola, alla quale dovrai essere condotto, alquanti artisti pieni di capacità, i quali fabbrichino colà degli ampj magazzini che tu farai riempire de’ provvedimenti necessarj alla vita. Metti a profitto i pochi momenti della tua prosperità, ed apparecchiati speranze e sussidj pe’ tempi malagevoli e duri; ma fa che tutti questi lavori sieno effettuati in breve: il tempo stringe, il termine si avvicina, il momento fugge e non rinasce più. Ricórdati che tu non ritroverai nel luogo dove andrai ad abitare per così lungo tempo, altro che quanto vi avrai fatto trasferire di qua fra questi pochi giorni che ti rimangono ancora.
Piacque al re l’avvertimento del ministro, e seguì, nel metterlo ad esecuzione, i consigli di lui. Incontanente vennero mandati gli artisti; i danari destinati a così fatti lavori vennero giudiziosamenta impiegati per far andare avanti il lavoro, ed il monarca fece passare all’altr’isola tanti abitatori, quanti stimò che fossero a proposito per renderla dilettevole e fertile.
Intanto accostavasi il tempo in cui dovea abbandonare il suo regno; e cotesto principe non solo non ne avea rammarico, ma non gli parea di poter vedere l’ora di andare a prendere il possesso de’ suoi nuovi Stati. Giunse finalmente lo statuito giorno: fu balzato dal trono, spogliato de’ reali vestimenti come gli era stato detto prima, e condotto ad una nave che lo trasferì al luogo del suo esilio. Il monarca discacciato dal trono, vi giunse felicemente, e più felicemente ancora vi passò la sua vita con que' sussidj che prudenza gli avea insegnato a mettere insieme.
Arabchab, da cui trassi la precedente allegoria, ne dà questa spiegazione.
L’uomo benefico è Dio; lo schiavo il conceputo fanciullo; la nave sulla quale il padrone lo fa imbarcare, è il ventre materno; il naufragio della nave è il punto della sua nascita; l’isola a cui approda, è il mondo; i Genj che gli vanno incontra, sono i parenti che si prendono cura della sua prima età; il ministro che gli dà avviso della mala sorte che gli sta sopra, è la sapienza; l’anno in cui dee regnare, è il corso della vita umana, e 1’isola deserta dove viene condotto, è l’altro mondo. Gli artisti da lui spediti sono quelle buone opere che fa durante la vita; i principi stati avanti di lui senza punto considerare le calamità dalle quali veniano minacciati, sono la maggior parte degli uomini, i quali null’altro avendo in cuore, che i piaceri di questo mondo, non si curano punto dell’altro, dove poi sono infelici; quivi presentandosi colle mani vuote di buone opere davanti al trono di Dio.
Note
- ↑ Quest’allegoria e la seguente possono dare una idea della filosofia orientale, la quale non presenta quasi nessuna verità morale che non sia sotto l’emblema delle figure.