Novelle (Bandello, 1910)/Parte III/Novella XL
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IL BANDELLO
al magnifico signor
onorato da fondi
generale maestro di campo
Vi deve sovvenire che quando eravamo a Gibello con il signor Cesare Fieramosca, luogotenente de l’illustrissimo signor Prospero Colonna nostro commune padrone, e che condannaste a le forche quel siciliano che il cavallo ginnetto aveva rubato, come astretto fuste a rivocare la sentenza e liberarlo. Aveva lo scaltrito siciliano con si sottil arte trasfigurato il cavallo e di modo fatto parer un altro, che il proprio padrone con difficultá grandissima a pena lo poteva conoscere, si maestrevolmente con acque forti ed altri suoi mescolamenti cangiò il colore e pelo al cavallo. Il che intendendo il signor Prospero, volle il cavallo vedere, e veduta quella mirabilissima trasformazione, non puoté, ancor che pieno fosse d’ammirazione, contener le risa. E volendo voi che il ladro andasse a dar dei calci al vento, esso signor Prospero disse che altre volte aveva inteso che appo gli spartani era quella cosí divolgata legge: che chi altrui rubava, se era scoperto, fosse strangolato; ma se il furto non si scopriva dopo le debite inquisizioni e che il ladro fosse ito ad accusarsi, era publicamente lodato e, come ingegnoso, al primo magistrato vacante eletto. Per questo volle il signor Prospero che il siciliano fosse liberato, soggiungendo che gli spartani, che erano severi ed acerbamente i vizi punivano, non intendevano per cotale legge lodar il furto, ma volevano che ogni atto d’ingegno e d’industria e sagacitá fosse rimeritato. E cosí per commissione di detto signor Prospero il siciliano ebbe la vita. Io non vo’ ora disputare se questa legge fu ben fatta o no, parendomi che ci siano argomenti per la parte affermativa e per la negativa, M. Bandullo, Novelle. 370 PARTE TERZA che forse cosi di leggero non si potrebbero sciogliere. Bene si vede oggidì che quando alcun ladro scioccamente ruba e pare che a posta il faccia per essere scoperto, che ciascuno dice che merita morire; ma se uno sottilmente e con ingegno ruba e per disgrazia sia scoperto e preso, la morte di cotestui a tutti duole. Ma tornando al siciliano, variamente de la liberazione sua tra' soldati ragionandosi, il nostro gentilissimo Girolamo Gargano narrò un furto fatto in Calabria, dicendo che se il Caruleio si fosse come il siciliano governato, egli non averebbe ricevuto né incarco né vergogna. Onde, avendo essa novelletta scritta e sapendo per manifesta prova quanto vi dilettate leggere le cose mie, questa vi mando e vi dono e sotto il nome vostro ho mandata fuori. Voi la vostra mercé amorevolmente l'accettarete ed insieme con il dottissimo nostro messer Francesco Peto, quando tutti due averete da le faccende publiche agio, talvolta la leggerete, e di me ricordevoli. State sani. NOVELLA XL Antonio Caruleo fa rubare una bellissima cavalla e a la fine resta beffato dal padrone de la cavalla. Ferrando, figliuolo del glorioso Alfonso di Ragona re di Napoli, dopo la morte del padre succedendo nel regno, fu molto dai suoi baroni travagliato, con i quali ebbe lunga e crudelissima guerra. Sovravenne poi Giovanni duca, figliuolo del re Renato, capo degli Angiovini, col quale gran parte del regno contra Ferrando si ribellò. Pose alora Ferrando per governatore in Cossenza, capo de la Calabria, Antonio Caruleo, soldato molto prode e di gran governo, ma che volentieri scherzava con la roba dei vicini. Ed essendo in Cossenza, vide una bellissima cavalla che era d'un gentiluomo cossentino, che in quella città era di grandissima autorità e gran partegiano de la fazione ragonese. La cavalla, oltra che era di tutta quella beltà che si possa imaginare, era poi de le migliori che si trovassero ad ogni mestiero di guerra, e sempre, in ogni fazione che si faceva, il gentiluomo cossentino era su la bella e buona cavalla. NOVELLA XL 371 Venne adunque voglia al Caruleo d’avere in qual modo si sia la cavalla. Egli sapeva molto bene che il gentiluomo l’aveva tanto cara che per danari non se la saria lasciata uscire de le mani ; tuttavia per mezzo d’alcuni soldati fece ricercar se egli la voleva vendere. E veggendo che indarno s’affaticava, deliberò, non gli parendo di usar la forza, di fargliela con destro modo involare. Aveva avuto avviso come fra dieci o quindici giorni il re voleva che andasse in Puglia con i suoi soldati, ove il duca d’Angiò s’era ridutto; il che gli parve ottima occasione di far rubar la cavalla e mandarla fuori in qualche villa, fin che venisse il giorno de la sua partita. Ebbe adunque modo una notte di fargliela rubare. Il gentiluomo la matina, levato per tempissimo, andò a ritrovare il Caruleio, lamentandosi che dai soldati di quello gli era stata rubata la sua cavalla, e che sapeva molto bene che in Cossenza non era persona che avesse avuto ardimento d’andar in casa sua a far simil furto. Il Caruleio, udendo la querela, impose che ogni diligenza s’usasse per ritrovar la detta cavalla. Da l’altra parte egli fece metter in ordine tre dei suoi corsieri con le barde che alora s’usavano ed ora poco sono in prezzo, e fece anco metter in ordine la cavalla con barde molto grandi ed una testiera d'acciaio, col collo tutto coperto di minutissima maglia e con mille altri abbigliamenti a torno, che pareva l’Ascensione di Vinegia, e ordinò che i tre corsieri e la cavalla fossero menati fuori di Cossenza. Il gentiluomo a cui la cavalla era stata involata mise le spie a tutte le porte de la città, ed egli andò a quella porta ove alora erano per trasfugare la cavalla. Colui che le era sovra, come vide il gentiluomo, ebbe dubio che la cavalla non fosse conosciuta, e volendo schifare, si rivoltò in una strada la più fangosa del mondo, ove erano dui o tre zappelli che Rabicano averebbe avuto fatica a passargli; onde là dentro in uno la cavalla di modo s’impaniò come fa l'augellino sovra il visco. Il povero servidore che era con la cavalla impaniato, gridando — Aita, aita I — fu cagione che molti corsero al romore. Il gentiluomo, sentendo dire che un cavallo s'affogava, corse anco egli al romore, avendo lasciato uno dei suoi per guardia a la 372 PARTE TERZA porta. Fu forza, se voleva cavare la giumenta del fango, che tagliassero tutte le cinghie e che levassero le barde con tutti gli ornamenti che la cavalla aveva a torno; il che essendo fatto, leggermente la cavalla usci del pantano, ma concia come potete imaginarvi. 11 gentiluomo, come vide la cavalla uscita del fango, tantosto la conobbe, e disse le maggiori villanie del mondo a colui che la menava via, e fu due o tre volte per rompergli il capo; pur si ritenne, e fece condurre la cavalla a casa. Udendo questo il Caruleio, ebbe modo subito di far fuggir quello che la cavalla menava fuori, e diede voce che quel ghiotto gli aveva rubate le barde e quei fornimenti per più copertamente poter condur via la cavalla. 11 gentiluomo cossentino, essendo sicuro che il governatore l'aveva fatta rubare e che voleva coprirsi il capo di frasche, essendo uomo molto sollazzevole, quel giorno ¡stesso fece far un paio di brache di tela molto grandi e tali che dentro vi arebbe capito assai agevolmente ogni parte di dietro d'ogni grossissimo cavallo. Fatte che furono le brache, essendo il governatore su la piazza, il piacevole gentiluomo, accompagnato da molti dei seguaci suoi, l’andò a ritrovare e cosi gli disse: — Signore, ieri io venni a supplicarvi che voi mi faceste restituire la mia cavalla, essendo certo che dai vostri rn’era stata involata. Voi la vostra mercé faceste far la publica grida, come si suole in simil fatto; ma da l’altra banda faceste vestir la cavalla e quella, travestita che pareva una maschera, fuor de la città con un vostro servidore mandaste per trasfugarla. Ora l’effetto non segui secondo il desiderio vostro, perciò che voi sapeste farmi rubar la mia cavalla, ma non la sapeste poi celare. E per questo sono venuto a darvi consiglio ed aita, a ciò che una altra volta i vostri furti sappiate meglio nascondere. Eccovi queste brache, che io v’ho recate a ciò che, quando farete rubare qualche altra cavalla, possiate con queste farle coprire le parti posteriori e nasconder il sesso. E cosi potrete più sicuramente rubare. — Il Caruleio senza fine si vergognò, né seppe si bene rispondere al cossentino, che tutti non si accorgessero che egli il furto aveva fatto fare. E per l’avvenire si guardò da simil misfatti.