Novelle (Bandello)/Seconda parte/Novella XLI
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Novella XLI
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Uno di nascoso piglia l’innamorata per moglie e va a Barutti. Il padre
de la giovane la vuol maritare: ella di dolore svenisce e per morta
è seppellita. Quel dí medesimo ritorna il vero marito e la cava de la sepoltura,
e s’accorge che non è morta, onde la cura e poi le nozze solenni celebra.
S’è parlato oggi assai lungamente, amabilissime donne e voi cortesi giovini, de la varietá di molti accidenti, che sovente fuor d’ogni avvedimento umano sogliono ne l’imprese amorose accadere, e che bene spesso, alora che l’uomo fuor d’ogni speranza di poter conseguire ciò che egli ardentissimamente brama si ritruova, che la speme ritorna viva, e la cosa che per perduta si piangeva subito si racquista. E nel vero questi accidenti il piú de le volte sono meravigliosi grandemente a chi ci pensa, e difficili molto a credere a chi l’instabilitá de le cose, che sotto il cielo de la luna sono in continovo movimento, non considera. Colui che teneva per fermo de l’impresa sua veder il tanto desiato fine, in un tratto da quello lontano e del tutto privatone si vede. Quell’altro che dopo lunghe ed angustiose fatiche invano adoperate si ritrova, mentre che l’animo de la prima voglia si dispoglia e ad altro camino rivolge il piede, ecco che la giá abbandonata cosa inopinatamente in mano si ritrova, di ciò divenuto interamente possessore che d’aver non credeva giá mai. E cosí ne le cose umane con il giro de la sua instabil rota va spesso giocando la ceca Fortuna, la quale se in tutte le azioni sue è varia ed inconstante, ne le imprese amorose inconstantissima si vede. Ma perché, secondo il volgatissimo dire, vie piú de le parole commoveno gli essempi, e di ciò che si parla fanno indubitata fede, egli mi piace, in acconcio di questo, narrarvi un’istoria ne la inclita cittá di Vinegia avvenuta. Dico adunque che in quella si trovarono dui gentiluomini, come per i publici documenti del severo magistrato degli avvocatori del commune fin oggidí si può vedere, i quali, dei beni de la fortuna abondevoli, avevano i lor palazzi sovra il Canal grande quasi dirimpetto a l’uno l’altro. Il padrone de l’uno si chiamava messer Paolo, il quale aveva moglie con una figliuola ed un figliuolo, senza piú, che Gerardo era detto. L’altro gentiluomo era chiamato messer Pietro, che d’una sua moglie altri figliuoli non si trovava, eccetto una sola fanciulla di tredeci in quatordeci anni, il cui nome fu Elena, che fuor d’ogni credenza era bellissima, a ogni dí crescendo in etá mirabilissimamente le sue native bellezze accresceva. Gerardo, che aveva circa venti anni, teneva pratica amorosa molto stretta con la moglie d’un barbiero, la quale era assai appariscente e piacevole, e quasi ogni dí con il suo fante montava in gondola e passava il Canale, entrando in un canal piccolo che radeva la casa del padre d’Elena, e sotto le finestre d’essa casa se ne passava, facendo il suo solito viaggio. Ora avenne, come spesso accadeno le disgrazie quando meno s’aspettano, che la madre d’Elena infermò ed in breve tempo con dolor grandissimo del marito e de l’unica figliuola se ne morí. Abitava da l’altra banda del piccolo canale per iscontro la casa di messer Pietro, un gentiluomo con moglie e quattro figliuole femine. Messer Pietro che sommamente desiderava tener la figliuola allegra con onesta compagnia, passate alcune settimane dopo la morte de la moglie, mandò la balia, che in casa teneva ed aveva dato il latte ad Elena, a pregar il padre de le quattro figliuole che si contentasse che il giorno de la festa quelle andassero a star di brigata e trastullarsi con Elena; al che il cortese gentiluomo acconsentí. E cosí, quasi ogni festa, molto volentieri ed agevolmente le quattro sorelle entravano in casa d’Elena, perciò che, senza esser vedute, per la porta de l’acqua se n’entravano in gondola ed allungandola scendevano ne la porta de l’acqua de la casa di messer Pietro, che era per iscontro a la loro. Facevano le cinque giovanette, quando erano insieme, di molti giochi convenevoli al sesso ed etá loro, e tra gli altri giocavano a la «forfetta», che intendo che era un gioco di palla che si gettavano l’una a l’altra, e chi la lasciava cader in terra senza poterla ne l’aria pigliare, quella s’intendeva aver fatto fallo e perduto il gioco. Erano le quattro sorelle d’etá di dicesette in venti o ventunanno, e tutte erano in alcuno giovane innamorate; onde sovente nel giocar de la «forfetta», ora l’una, ora l’altra, e spesso tre, e tutte insieme correvano ai balconi per veder gli innamorati loro ed altri che in gondola per lo canale passavano. Il che ad Elena, che semplicissima era né ancor provato aveva le fiamme amorose, non mezzanamente dispiaceva e forte se ne turbava, ritirandole per le vestimenta al giuoco usato. Elle, a cui molto piú di gioia recava la vista degli amanti loro che la palla, poco d’Elena curandosi, stavano ferme a le finestre, e talora fiori ed altre simili cosette secondo la stagione gettavano agli innamorati loro, quando passavano per disotto ai balconi. Avvenne che, una festa, una de le quattro sorelle, molestata da Elena perché non si voleva levar dal balcone, cosí le disse: – Elena, se tu gustassi parte di questo nostro piacere che noi prendiamo a trastullarci qui a queste finestre, a la croce di Dio, tu ci dimoraresti cosí volentieri come vi stiamo noi, e punto non ti curaresti de la «forfetta». Ma tu sei una semplice garzona e non t’intendi ancora di questa mercanzia. – Elena, non mettendo mente a parole che se le dicessero, attendeva pure a chiamarle al gioco e fanciullescamente molestarle. Venne una festa nel cui giorno, impedite per altre cagioni, le quattro sorelle non potero venire a diportarsi con Elena. Del che ella, rimasa trista e malinconica, s’affacciò ad una de le finestre che era dirimpetto a la casa de le compagne sovra il canaletto. Quivi se ne stava tutta sola e dolente di non trovarsi con le sue compagne, com’era a quei tempi consueta. Or ecco che, dimorando la semplice fanciulla di tal maniera, avvenne che Gerardo con la sua barchetta passando per andar a trovar la barbiera, vide la fanciulla a la finestra e la guardò cosí a caso. Ella ciò veggendo, a quello si volse, e con allegro viso, come a le sue compagne piú volte aveva veduto fare a’ lor innamorati, cominciò a guardarlo. Del che Gerardo meravigliatosi, che forse mai piú a quella non aveva posto mente o non veduta, amorosamente guardava lei; ed ella pensando che cosí fare fosse un gioco, quasi ridendo riguardava lui. Passò via di lungo Gerardo, al quale non molto andato innanzi, disse il fante de la barca: – Caro padrone, avete voi mirata quella bella giovanetta e postole fantasia come con lieti sembianti e cortesi accoglienze attentamente vi vagheggiava? Ella, a le vangele di san Zaccaria, è altro pasto e molto piú dilicato, per quello che mostra, che non è la barbiera. Vi so io ben dire che ella vi darebbe una gioiosa notte e un mal dormire. – Finse Gerardo non le aver avuto considerazione e disse al fante: – Io vo’ veder chi è costei, e se è tale quale tu la mi dici. Volta la gondola indietro, e va pian piano, radendo quasi la casa. – Non s’era Elena levata dal balcone ove il giovine la vide, il quale, navigando soavemente con la sua barca scoperta, come ei vide la bella Elena, cosí con lieto viso cominciò a riguardarla e con la coda de l’occhio lascivettamente a mirarla. Ella che alora si trovava un bel garofano fiorito a l’orecchia, quello levatosi, come la gondola fu sotto il balcone, lievemente il bello ed odorifero fiore, piú vicino al giovine che puoté, lasciò venir giú. Gerardo oltra modo lieto di cosí fatto avvenimento, pigliato il vago fiore ed a la giovane fatta condecevole riverenza, esso fiore piú e piú volte allegramente basciò. L’odore del vago fiore e la bellezza d’Elena in cosí forte punto entrarono nel core del giovine, che ogni altro ardore che in quello ardesse in un tratto si smorzò, e con tanta forza le fiamme de la bella Elena l’accesero, che mai piú non fu possibile non dico ad estinguerle ma pure in minima parte a scemarle. Onde Gerardo di nuovo fuoco abbrusciando, la pratica de la barbiera in tutto abbandonò e di se stesso intieramente a la vaga fanciulla fece dono. Ma ella, che semplicissima era ed ancora il petto agli strali amorosi aperto non aveva, quando Gerardo dinanzi a le finestre di lei passava, ancor che volentieri lo vedesse, né piú né meno lo guardava come se il mirarsi insieme fosse stato un giuoco. Frequentava ogni dí, e quattro e sei volte il giorno, l’innamorato giovine quel camino né mai gli veniva fatto di veder Elena se non il dí de la festa, perciò che la fanciulla, non essendo ancora in lei destato amore, riputava i giorni del lavorare non esser convenevoli al suo gioco. Gerardo, che ardentissimamente amava, viveva in pessima contentezza, non ritrovando via di veder la sua innamorata, e meno di poterle con parole o lettere manifestar il suo amore. E cosí ardendo e struggendosi senza pro, quando la festa la vedeva, con quei megliori atti che poteva s’ingegnava di scoprirle quelle fiamme che sí acerbamente lo struggevano; ma ella poco di simili atti intendeva. Nondimeno, a lungo andare sentiva nel core piacer non picciolo veggendo Gerardo, ed averia voluto che egli venti volte l’ora si fosse lasciato vedere, ma il dí de la festa solamente. Per questo, per non esser nei giorni festivi da le compagne disturbata, e piú contentandosi de la vista di Gerardo che del gioco de le «forfette», cominciò or con una scusa or con altra a distorsi da la compagnia de le quattro sorelle. Essendo la cosa in questi termini, avvenne che un dí, andando lo sconsolato amante a piè per la via di terra o «fondamenta», come a Vinegia dir si costuma, vide la balia d’Elena, che prima era stata balia di lui, voler entrar in casa d’essa Elena e picchiar a la porta. Egli alquanto lontano da lei la cominciò a domandare: – Balia, balia! – ma per il picchiare che ella a l’uscio faceva, nulla del chiamare del giovine sentiva; onde essendo aperta la porta, ella entrò dentro. S’affrettava il giovine pur di giunger la balia prima che entrasse in casa, e la chiamava tuttavia. Ella volendo chiuder la porta, voltatasi indietro, vide Gerardo che tanto non s’era saputo studiare di menar i piedi, che fosse giunto sí tosto come ella fatto aveva; il perché ritenutasi di serrar la porta, attese il giovine, il quale subito vi giunse. Come egli fu sul soglio de la porta, e quivi nel cortile scòrse esser Elena che per alcuni servigi era scesa a basso, o fosse la soverchia allegrezza che ebbe di vedersele vicino, o per isvenimento che gli occupasse il core, o che che se ne fosse la cagione, di tal maniera svenne e andò in angoscia che tramortito cadé in terra, e cosí in faccia divenne pallido che proprio rassembrava un corpo morto. A questo sí insperato ed orrido spettacolo la balia ed Elena smarrite, ed una fante che con Elena era in corte, cominciarono piangendo a chieder aita. Elena, tratta da non so che, se gli gittò piagnendo a dosso, ma la prudente balia tantosto la fece levar via ed a mezza scala entrar in una camera. Poi postasi a torno a Gerardo e dimenandolo e stropicciandolo, il chiamava per nome, e veggendo che nulla rispondeva, da la fantesca aitata, lo tirò dentro e chiuse l’uscio. Amava la balia lo svenuto giovine come quella che del proprio latte nodrito l’aveva, e per l’occorso caso sentiva dolore inestimabile; per questo dirottamente piagneva. Messer Pietro che in casa era ed altri de la famiglia, udito il sospiroso pianto de la dolente balia, corsero giú. Volle messer Pietro intender che accidente fosse stato questo, a cui la balia puntalmente il tutto narrò. Egli, che cortese e pietoso gentiluomo era, fece soavemente levare il giovine e portar di sopra, ponendolo sovra un ricco letto, ove usata ogni paterna cura in aita di quello, e veggendo che rimedio nessuno non giovava, deliberò farlo condurre in casa di messer Paolo, padre del giovine. E postolo in gondola e fatto passar il canale, mandò un discreto messo insieme con la balia ad accompagnare Gerardo e al padre di lui far intender il caso come era occorso. Messer Paolo, inteso l’accidente e veduto il figliuolo che morto pareva, quasi che vinto da l’estremo dolore, poco mancò che egli anco non isvenisse. Ma quai fossero le lagrime che sparse e i pietosi lamenti che fece, pensilo ciascuno che un carissimo figliuolo si vedesse a quel modo innanzi, ché ancora che egli avesse una figliuola giá maritata, nondimeno egli riputava Gerardo unico figliuolo, e quello sommamente amava. Con pianti adunque del padre, de la madre e di tutti quei di casa, fu l’afflitto giovine portato ne la sua camera e corcato nel letto. Quivi venuti alcuni medici ed uno speziale ben pratico, attesero con ogni diligenza con varii argomenti a rivocar gli smarriti spiriti vitali che il giovine abbandonar cercavano. Cosí dopo molte fatiche, tanto fecero che Gerardo cominciò a respirare e a poco a poco riaversi, e come puoté la lingua snodare cosí balbettando diceva: – Balia, balia. – Ella che quivi era gli rispondeva: – Figliuol mio, io son qui; che vuoi? – Il giovine che in sé ancora in tutto rivenuto non era, e ne la imaginazione aveva che dietro a la balia era corso e credeva forse esser nel medesimo termine, tuttavia la balia chiamava. Ma tornato in sé e veduto dove era, e che padre a madre e la sorella col marito, che stati erano chiamati, ed altri parenti ed amici il letto attorniavano, né sapendo per qual cagione, come colui che non si ricordava del caso che gli era occorso, ebbe pure tanto di conoscimento che vide non esser quel luogo atto a parlar con la balia di quanto desiderava scoprirle. Per questo in altri parlari entrando, e dicendo che piú alcuno male né fastidio nol molestava, empí tutti i suoi d’incredibil piacere. E domandato dal padre e da’ medici che cosa fosse stata quella che di quel modo l’aveva afflitto e fuor di sé cavato, rispondeva nol sapere. Ora essendosi di camera partiti or l’uno or l’altro che dentro erano, a la fine rimaso con la sola balia e a lei pietosamente rivolto, dopo alcuni caldi sospiri, a quella di questa maniera disse: – Voi, madre mia dolcissima, dal fiero accidente avvenutomi avete di leggero potuto comprendere a che termine io mi ritrovi, ché in vero la vita mia in breve amaramente si finirá, se soccorso non ritrovo. Né so io a qual banda mi debba volgere per aita se non a voi sola, ne le cui mani manifestamente conosco esser la morte e vita mia. Quella voi sète che, volendo, mi potete tal aita porgere quale a mantenermi vivo è bastante; ma negandomi voi il vostro soccorso, senza dubio la vita mi levate e micidiale di me diventarete. – A queste parole la pietosa ed amorevol balia, confortando l’afflitto Gerardo che buon animo facesse e attendesse a ricuperar le perdute forze, liberamente ogni sua opera gli promise: per quello che in tutto ciò per lei far si potesse, ella se gli offeriva di buon core prestissima, e che metteria ogni suo sforzo per aiutarlo, né si troverebbe in servirlo stracca giá mai. Il giovine udite queste larghe promesse, tutto si riconfortò, e a la balia di questo liberale e buon animo rese quelle grazie che si poterono le maggiori. Poi di nuovo tornato a pregarla e scongiurarla con quelle piú efficaci parole che puoté, le narrò la strana natura del suo amore, non sapendo egli il nome de l’innamorata sua, se non che d’una de le cinque era le quali, il giorno de la festa, in casa di messer Pietro, ora sola a le finestre vedeva ed ora accompagnata. Ascoltò diligentemente la balia quanto il giovine le disse e, tacita, fra se stessa andava imaginandosi chi fosse la giovane del cui amore Gerardo sí fieramente era acceso, e teneva per fermo che una de le compagne d’Elena devesse essere, perciò che baldanzosette e piacevoli le conosceva. D’Elena, che semplice e pura sapeva essere, nulla si sarebbe imaginata giá mai. Si confortò Gerardo pur assai e con le promesse de la balia tutto restò di speranza pieno. S’accordarono adunque a questo: che la prima festa che venisse, la balia starebbe con le giovanette a le finestre e terria l’occhio al penello, per accorgersi qual fosse l’innamorata di Gerardo, a ciò che a tempo e luogo in favor di lui, come dir si suole, potesse portar i polli. Deveva in cotal giorno Gerardo passar molte volte in gondola per lo canale. E perché questo ordine fu posto il lunedí, ancora che egli si sentisse molto bene, nondimeno per conseglio di suo padre se n’andò ad un lor podere in Terraferma, lontano da Vinegia sei o sette miglia. Quivi dimorò diportandosi in varii piaceri sino al venerdí matino, e a Vinegia se ne tornò. Venuta la tanto aspettata domenica da lo amante e da la balia, le quattro sirocchie fecero intendere ad Elena che seco volevano trovarsi secondo l’usanza loro. Ella che giá alquanto cominciava a scaldarsi de l’amor del giovine, e dopo lo svenimento di quello s’era sempre sentito non so che al core e gli aveva gran compassione portata, e si prendeva pur piacere in pensar di lui e volentieri veduto l’averebbe, con quel miglior modo che puoté si scusò, certe sue novellette allegando. E questo faceva a ciò che, come sperava, passando l’amante, non fosse impedita da persona di poterlo a sua comoditá vedere. La balia, intendendo che le dette sorelle non si devevano trovar a diporto con Elena, si trovò molto di mala voglia, non sapendo in che modo poter sodisfar a Gerardo: ma veggendo che dopo desinare l’Elena non trovava luogo che le capisse, e che mille volte l’ora correva a le finestre, cominciò a dubitare che ella fosse innamorata d’alcun giovine: e per meglio chiarirsi del fatto, disse che voleva alquanto dormire. Il che non pure ad Elena piacque, per aver piú largo campo di starsi a le finestre, ma amorevolmente a riposar l’essortò. Come ella vide la balia essersi ritirata in una camera, se n’andò tantosto in un’altra a cominciar il desiato suo amoroso gioco, al quale ebbe assai favorevole la fortuna, perciò che a pena s’era ella a la finestra posta, che Gerardo, che punto non dormiva, ma era al fatto suo vigilantissimo, cominciò per il canaletto lasciarsi vedere. La sagace balia, essendosi anco ella messa ad una finestra, come vide comparire in gondola il giovine, drizzò gli occhi a la finestra ove Elena era; la quale, veduto l’amante, tutta s’allegrò, e con certi atti fanciulleschi pareva quasi che con lui de la recuperata sanitá si volesse rallegrare. Aveva ella in mano un mazzetto di fiori, e quello, nel passarle di sotto la gondola, con lieto viso al giovine gittò. Parve a la balia, veduto questo atto, d’esser chiara che l’innamorata di Gerardo senza dubio fosse Elena. Il perché, conoscendo il parentado tra lor dui potersi molto onoratamente fare, quando fossero d’animo di maritarsi, subito entrò in la camera d’Elena, che ancora se ne stava a la finestra vagheggiando il suo amante, e le disse: – Dimmi, figliuola, che cosa è quella che io t’ho veduta fare? che hai tu da partire con il giovine che ora è passato per il canale? O bella ed onesta figliuola, a star tutto il dí a le finestre e gittar mazzi di fiori a chi va e chi viene! Misera te, se tuo padre lo risapessi giá mai! io ti so dire che ti conciarebbe di maniera che avereste invidia a’ morti. – La giovane, per questa agra riprensione quasi fuor di se stessa, non sapeva né ardiva di far motto; tuttavia, veggendo in viso la balia, ancor che agramente garrita l’avesse, non esser perciò molto adirata, buttatele le braccia al collo e quella fanciullescamente basciata, con parole soavissime cosí le disse: – Nena, – ché cosí i veneziani chiamano le nutrici, – madre mia dolcissima, io vi chiedo umilmente perdono, se nel gioco che ora veduto m’avete giocare, io abbi fatto, che nol credo, errore. Ma se desiderate che io allegra me ne viva, vi piaccia un poco udir la mia ragione e di poi, se vi parrá che io giocando abbia fallito, datemene quel castigo che piú vi pare convenevole. Sapete che messer mio padre faceva venire, le feste, qui in casa le quattro sorelle le quali qui dirimpetto albergano, a ciò che di brigata giocando insieme ci trastullassimo. Elle primieramente mi insegnarono il gioco de la «forfetta»; poi mi dissero che assai piú dilettevole gioco era andar a le finestre, e, quando i giovini passono per canale in gondola, trarli rose, fiori, garofani e altre simili cosette, e a questo modo giocare con esso loro. Il che assai mi piacque, e tra gli altri con cui io elessi di giocare fu il giovine con il quale mò mi vedeste giocare. Io per me vorrei che ci passasse spesso. Sí che io non so perché di cotal gioco vogliate ripigliarmi. Tuttavia, se ci è errore, io me ne asterrò. – Non puoté contener il riso la balia, udendo quanto semplicemente e senza alcuna malizia la fanciulla parlasse, e si deliberò di condurre la cominciata impresa da scherzo ad ottimo fine; onde ad Elena in questa maniera rispose: – Carissima mia figliuola, io vo’ che tu sappia come io del mio latte ho lattato il giovine che ora è passato e che Gerardo si chiama, il quale è figliuolo di messer Paolo, che da l’altra banda del Canal grande ha il suo bello ed agiato palazzo, e dimorai in casa sua piú di dui anni. Per questo io l’amo come figliuolo, e sempre sono stata domestica di casa sua e da tutti ben vista ed accarezzata. E perciò io non meno desidero il bene, onore ed util suo, che io mi faccia il mio proprio, sí come anco desidero ogni tua contentezza, e tanto per te e per lui sempre m’affaticherei quanto per persona che oggidí conosca. – E su questo ragionamento la balia in modo si distese, che a la fanciulla fece conoscer gli inganni che sotto quel gioco amoroso si nascondevano, e quante volte le semplici giovanette ed altre donne restano dagli uomini gabbate. Fecela anco capace quanto ciascuna donna di qualunque grado si sia, debbia stimar l’onore e quello con ogni diligentissima cura conservare. Ultimamente le disse, quando l’ebbe altre cose assai dimostrate, per venir a l’intento suo, se ella volesse con onesto modo terminar questo suo gioco amoroso, poi che gioco lo nomava, che le dava il core di far sí fattamente che ella diverrebbe sposa del suo Gerardo. La giovane, ancor che semplice e pura fosse, nondimeno, essendo di buona natura, comprese intieramente tutto ciò che la balia le disse, e, destatosi in lei l’amore che a Gerardo portava e preso vigore, rispose a la balia che era contenta prender quello per suo marito piú tosto che qualunque altro gentiluomo che in Vinegia si fosse. Avuta questa buona risposta, la balia, presa l’oportunitá, se ne andò a trovar l’innamorato giovine, il quale sperando e temendo se ne stava. Come egli vide la balia con lieto viso a lui veniva, preso buon augurio di certa speranza di conseguire l’intento suo, con gratissime e care accoglienze la raccolse dicendo: – Ben venga la dolcissima madre mia. E che buone nuove mi recate voi? – Buonissime, – rispose ella, – figliuol mio, se da te non mancherá. – E fattasi da capo, gli narrò tutti i parlari che con Elena aveva ragionati, conchiudendogli che ogni volta che per sua sposa la volesse, che la giovane era prestissima a prenderlo per marito. Egli, che ardentissimamente amava la fanciulla, si contentò molto volentieri di prenderla per sua legitima moglie, e tanto piú di meglior animo quanto che seppe quella esser figliuola unica di messer Pietro. Ringraziò adunque quanto seppe il meglio la sua balia, e poi divisarono tutti dui insieme il modo e il giorno che insieme s’avevano con Elena a trovare per dar desiderato ed ottimo fine a le tanto desiderate nozze. Messo questo ordine tra loro, ritornò la balia a casa. La buona Elena, la quale, non avendo mai provato amore e tuttavia sentendosi destare non so che per la mente che dolcemente l’ardeva ed insieme stimolava, pensando che in breve diverria sposa del suo caro Gerardo, non trovava luogo che la tenesse. Incitavala a le nozze il desiderio di giocar con l’amante un gioco che non sapeva ancor che gioco si fosse, ma dilettevolissimo lo stimava. Spaventavala e di freddo ghiaccio la riempiva a dever far questo senza saputa e licenza del padre, e temeva che alcuno grande scandalo ci nascesse. Cosí tra due combattendo travagliava, ora sperando, ora temendo, ora tacitamente dicendo: – Sarò io cosí ardita, anzi pur temeraria, che simil cosa presuma occultamente fare? – Cacciato questo pensiero, diceva poi: – Dunque io non debbo far ogni cosa per poter sempre gioiosamente giocare col mio Gerardo? – Cosí vaneggiando e varie deliberazioni facendo, a la fine conchiuse voler il suo amante sposare, avvenissene poi ciò che si volesse. Avendo adunque da la sua cara balia inteso la buona disposizione de l’amante, rimase mirabilmente sodisfatta; onde, fatti diversi discorsi, statuirono di far un giorno un gran bucato e porre in quell’ora tutte le fantesche in faccende, che messer Pietro in casa non si trovasse, a ciò che comodamente Gerardo dentro entrasse. Fatta questa deliberazione, fu Gerardo da la sagace balia avvisato del tempo statuito. Venuta adunque l’ora, essendo messer Pietro in conseglio di Pregati, posero la balia ed Elena le servigiali de la casa tutte a torno al bucato, e di modo quelle tenevano quivi occupate che Gerardo, venuto a la casa e soavemente sospinto l’uscio che aperto ritrovò, entrò dentro, e senza esser da veruno veduto, montate le scale, in una camera si riparò che la balia detta gli aveva. Quivi stava aspettando che la balia per lui venisse, la quale guari non stette che ci venne, e per una scaletta segreta quello a la camera ove Elena attendeva condusse. Tremava la semplice e timidetta fanciulla e da gelata paura sovrapresa, che di freddo sudore tutte le membra le occupò, non si moveva né sapeva che dirsi. Medesimamente Gerardo, di soverchia gioia tutto ripieno ed in sé non capendo, stette un poco senza poter formar parola. Poi ripreso animo, la lingua snodando, con debita riverenza e tremante voce la salutò. Ella tutta vergognosa gli rispose che fosse il ben venuto. La balia, che vedeva i dui amanti starsi taciti, disse loro cosí sorridendo: – Egli mi pare che voi vogliate giocar a la mutola. Ma perciò che ciascuno di voi sa la cagione perché qui venuti sète, meglio è non perder tempo. Pertanto io sono di parere che al desiderio vostro si doni onesto compimento. Eccovi qui al capo di questo letto l’imagine rappresentante la gloriosa Regina del cielo con la figura del suo figliuolo nostro Salvatore in braccio, i quali io prego e voi altresí pregar devete che al matrimonio, che insieme sète per parole di presente per contraere, diano buono principio, meglior mezzo ed ottimo fine. – Detto questo, la buona balia disse le belle parole che in simili sposalizii, secondo la lodata consuetudine de la catolica romana Chiesa, dir si sogliono communemente. E cosí Gerardo a la sua cara Elena diede l’anello. Ma qual fosse dei novelli sposi l’allegrezza, pensatelo voi. Veggendo la balia la cosa condutta a buon termine, gli essortò, poi che avevano la commoditá, a trastullarsi insieme. E partitasi, lasciò i campioni ne lo steccato e andò a basso ove il bucato si faceva. Ciò che gli sposi serrati in camera facessero, perché testimonii non ci erano, io non vi saperei dire; ma persona qui non è che non lo possa a punto come fu imaginare, da se stesso facendo giudicio se in simil caso trovato si fosse. La balia, poi che le parve che i combattenti assai fossero insieme dimorati, se ne andò a la camera loro, e quelli sazii non giá ma forse stracchi ritrovati, entrò con varii ragionamenti e sollazzevoli motti per rallegrargli vie piú di quello che erano. Messo poi ordine, a ciò che per l’avenire senza pericolo si potessero insieme ritrovare, fin che venisse l’occasione di palesar il matrimonio contratto e consueto, dopo molti soavissimi baci, Gerardo con l’aita e la scorta de la sagace balia, senza esser veduto, se n’uscí di camera e di casa, non capendo ne la pelle per la soverchia allegrezza che dolcissimamente tutto l’ingombrava. Restò Elena dolente per la partita del marito, ma per altro poi tanto lieta quanto dir si possa. Ella si trovava la piú contenta donna che fosse in Vinegia, e benediva l’ora e il punto che Gerardo aveva veduto. Ma che diremo de le mirabilissime e poderose forze de l’amore? il quale, se entrando nel petto a Cimone, di rozzo, ignorante e selvaggio, non uomo ma bestia che era, in un tratto lo rese accorto, gentile, saggio ed umano, il medesimo fece d’Elena. Ella come cominciò a gustar il gioco de l’amore, e che le divine fiamme amorose le scaldarono ed allumaronle il core, subito se le apersero gli occhi de l’intelletto e divenne in modo gentile, avveduta, scaltrita e sí aggraziata, che pochissime uguali e nessuna superiore di grazia, di beltá e di donnesco avvedimento in Vinegia aveva, e di giorno in giorno le sue doti megliori si facevano. Gerardo ognora vie piú contentandosi, tutte le volte che con l’aita de la sagace balia poteva, andava la notte a giacersi con la sua cara moglie, e tutti dui si davano il piú bel tempo e gioiosa vita del mondo. Mentre i dui amanti lietamente si godevano, la noiosa fortuna, che troppo in un tranquillo stato persona alcuna, e massimamente gli amanti, non lascia giá mai, nuovo disturbo e impedimento a Gerardo ed Elena apparecchiò, a ciò che, se circa dui anni erano felicissimamente insieme vivuti, cominciassero un poco a gustar l’amarissimo fele de le disaventure, che ella nel piú bello de la vita, quanto quella piú dolce si vive, tanto piú volentieri suole repentinamente mescolare. Era in Vinegia consuetudine ordinaria che, ogni anno, i signori veneziani, volendo mandar alquante galee a Barutti, quelle con publica grida facevano bandire, a ciò che coloro che avevano piacer di far cotal viaggio, con certo pagamento che facevano a la Republica, ne potessero prender una che piú piacesse loro. Messer Paolo padre di Gerardo, desideroso, come generalmente i buoni padri sono, che il figliuolo suo cominciasse avvezzarsi ai traffichi de la mercanzia e si facesse pratico nei maneggi de la cittá, accordatosi del prezzo, a nome di Gerardo, senza avergliene fatto motto, ne prese una. Si ritrovava messer Paolo in casa buona quantitá di robe per Barutti, e quelle voleva che il figliuolo colá conducesse ed altra mercadanzia recasse per Vinegia, pensando con questo non poco accrescer le sue facultá e poi dar moglie al figliuolo; e lasciata ogni cura a quello de le cose famigliari, egli solamente attender a’ maneggi de la Signoria. Ora, avendo del modo che s’è detto accordata la galea, venne messer Paolo a casa, e, desinato che si fu, essendo levate le tavole e rimasi soli il padre ed il figliuolo, dopo alcuni ragionamenti cosí disse messer Paolo: – Tu sai, figliuol mio, le robe che in casa abbiamo per mandar a Barutti e in qua riportar di quelle mercadanzie de le quali qui abbiamo bisogno e ritrovano buono spaccio. Per questo io ho questa matina accordata una galea a nome tuo, a fine che tu vada a vedere del mondo ed onoratamente cominci oramai ad essercitarti e farti uomo pratico, ché de le cose che piú agevolmente fa l’uomo avveduto e gli sveglia l’intelletto, è veder varie cittá, diverse provincie e costumi di questa e quella nazione. Tu vedi tutto il dí in questa nostra cittá, che quelli che fuori hanno conversato, ora in Levante, ora in Ponente e in altre parti, quando ritornano poi a casa e che hanno fatto bene i fatti loro e portano nome d’uomini accorti, pratichi e di gran maneggio, tu vedi, dico, che questi tali sono eletti a’ diversi magistrati ed uffici de la republica. Il che non avviene di quelli che nulla curano se non starsene tutto il dí oziosi a praticar con donne di cattiva vita. Communemente il viaggio di Barutti dura sei mesi o sette al piú. Pertanto, figliuolo caro, mettiti ad ordine di tutto quello che ti bisogna per cotal viaggio, ché io del tutto ti provederò. Quando poi sarai ritornato, daremo quello assetto ai casi nostri, che nostro signor Iddio ci spirerá. – Attendeva messer Paolo che il figliuolo allegramente rispondesse che era presto per far quanto gli diceva, parendogli averli messo per le mani un viaggio non meno onorevole che utile. Ma Gerardo, a cui impossibile pareva di poter dimorar un giorno vivo lungi da la sua donna, fieramente ne l’animo suo turbato, ben che di fuori la còlera e il dolore non mostrasse, senza far motto se ne stava. – Tu non mi rispondi, – gli disse alora il padre. – Io, – rispose egli, – non so che mi dire, perciò che volentieri vorrei ubidirvi, ma a me è impossibile farlo, essendomi l’andare per il mare contrario e molto nocivo, ché quando io navigassi mi parria volontariamente correre ad una manifesta morte. Per questo vi piacerá perdonarmi ed accettare la mia giustissima scusazione. E certissimamente mi duole di non potervi ubidire. – Messer Paolo, che mai non si averia pensato che il figliuolo cosí fatta risposta gli avesse fatta, restò pieno di meraviglia ed insiememente di dolore; e ritornato a ripregarlo ed usar seco dolci ed agre parole, sempre indarno s’affaticò, altro dal figliuolo non avendo che la primiera risposta. Cosí in discordia da tavola levati, andarono chi in qua e chi in lá. Il padre, oltra modo dolente del caso avvenuto, andò a Rialto e ritrovò suo genero, giovine ricco e nobile, e dopo molti ragionamenti gli disse: – Lionardo, – ché tale era il nome del genero, – io aveva accordato una galea per mandare Gerardo, con alquante robe che ho, a Barutti; ma quando io n’ho parlato seco, egli m’ha trovate sue scuse per le quali mi dá ad intendere non vi poter ire. Ora quando tu voglia andarvi, tra te e me non accaderá far troppe parole, se non che io ti farò quella parte del guadagno che tu vorrai. – Ringraziò affettuosamente Lionardo il suocero, e sé essere presto a fare quanto gli aggradiva, rispose; onde in un tratto s’accordarono. Gerardo da l’altra parte attendeva la vegnente notte, e del desiderio suo a la moglie fece il consueto segno. Venuta l’ora oportuna, entrato in casa e a la camera pervenuto, dopo i saluti e i soliti abbracciari e baci, essendosi posti a sedere, cosí disse Gerardo a la moglie: – Consorte mia, a me piú cara che la propria vita, forse vi sète meravigliata che oggi abbia fatta cosí grande instanzia di venir a starmi con voi, essendovi anco stato la notte passata. Ma lasciamo andare che io ci desideri esser di continovo, ché oramai ve ne potete facilmente esser avveduta, altra cagione di presente mi ci ha fatto venire. – E cosí dicendo, le narrò tutto il successo del ragionamento che tra il padre e lui era seguíto. Stette Elena attentissima a quanto il marito aveva detto e conoscendo il parlar di quello esser finito, come quella che con la creanza ed acutezza de l’ingegno passava di gran lunga il picciolo numero degli anni, dopo un pietoso sospiro a questa guisa al marito rispose: – Guai a me, caro consorte mio, se per altri effetti non avessi conosciuto la grandezza de l’amor vostro verso me che per questa dimostrazione che ora mi fate, perciò che con questa penetrevolissima ferita che al presente, non volendo voi ubidire a vostro padre, voi mi date, mi chiudete anco ogni via ch’io possa sperare esser lieta giá mai. – In questo da gravi e dolenti singhiozzi rotta la voce, a lagrimare senza sosta allargò il freno. Poi che al fiero dolore le sparse lagrime alquanto di rifrigerio prestarono, ripreso un poco di lena, cosí, tuttavia amaramente lagrimando, al marito disse: – Deh, cara vita mia, quanto gravemente errato avete a non ubidir prontamente a vostro padre! Ahi misera me e piú che tre volte misera se non conosciuta ancora, ancor non veduta, di tanto danno, di tanto disonore e di cosí acerba doglia al mio onorato suocero son cagione! Non averá egli, come mi conosca, giusta cagione di poco amarmi? non dirá egli che io sia il disconforto e, che piú importa, la manifesta rovina de la casa sua? Certo che egli lo potrá ben dire. Vi prego adunque, e il prego mio vaglia mille, se punto m’amate, ché pure io mi persuado esser da voi amata, e se del vostro amore mai debbo veder ferma prova, che per ogni modo vogliate ubidire a vostro padre, e per questi pochi mesi sofferire pazientemente l’allontanarvi dagli occhi miei. Sí che, marito mio caro, andatevene felice, tanto di me ricordevole quanto io sarò di voi, che di continovo col pensiero vi verrò seguendo ovunque anderete, come colei che eternamente vivere e morir vostra desidero. E cessi Iddio che io mai vi sia cagione che sempre con vostro padre non stiate in quella concordia a pace che a tutti dui si conviene! – Furono assai altre parole dette. A la fine Gerardo si lasciò vincere da le vere ragioni de la saggia a prudente giovane, ed a l’ora consueta, dopo molte lagrime, da lei si partí a andò a far sue bisogne. Si pose poi a tavola con il poco consolato suo padre, e dopo che desinato si fu, essendo ciascun altro uscito di sala, Gerardo si levò in piedi e innanzi al padre postosi in genocchioni, a capo scoperto, in questa maniera gli disse: – Magnifico ed onorato padre, questa notte io ho pensato assai sovra l’andata di Barutti, de la quale ieri voi mi parlaste, e chiaramente conoscendo quanto grave errore io facessi a non ubidir a le preghiere vostre, che appo me deveno in ogni tempo e luogo aver forza di comandamento, de la mia ignoranza e follia umilmente e con tutto il core vi domando perdono, pregandovi che non vogliate guardar a la poca riverenza che usata v’ho, ma che vi piaccia rimettermi ne la solita grazia vostra. Ecco, padre mio osservandissimo, che io sono qui presto ad ubidirvi, e non solamente navigar a Barutti, ma andar in ogni luogo ove piú a grado vi sará di mandarmi, perché deliberato mi sono prima morire che a’ vostri voleri oppormi piú mai. – Udite queste parole, il pietoso padre volse che il figliuolo si levasse, a pieno d’una tenera amorevolezza, colmò di lagrime gli occhi, e da quelle largamente cadenti impedito, non potendo formar parola, avvinchiato il collo del figliuolo, buona pezza a quel modo stette. Mossero le calde ed amorevoli lagrime paterne a pianger medesimamente il figliuolo, il quale, tutto che commosso da pietá lagrimasse, nondimeno, ripigliando alquanto di lena e rasciugato il pianto, a quello pose sosta e cominciò con dolci parole a consolar il padre. Messer Paolo, posto e le lagrime fine, e pieno di letizia immensa, propose seco di mandar per il genero e fare che si contentasse di lasciar andar Gerardo, ché una altra volta poi gli provederia d’un altro viaggio. Venne il genero, al quale fece il suocero manifesta l’allegrezza che aveva, essendosi il figliuol disposto di navigar a Barutti; poi caldamente lo pregò che gli piacesse per questo viaggio restar a casa, ché con la prima comoditá gli provederebbe, come indi a poco tempo con effetto fece. Dispiacque questa novella a Lionardo, come a colui che molto amava di far questo viaggio; tuttavia come giovine prudente, dissimulata la sua mala contentezza, disse al suocero che era contento di quello che a lui piaceva, e che per accomodar lui e il cognato era prontissimo a far cosa vie maggior di questa. Messer Paolo e Gerardo assai ringraziarono Lionardo del suo buon volere. Si attese poi a far che la galera fosse ben corredata di quanto le faceva bisogno, e tutte le mercadanzie furono caricate. Ma chi volesse dire, quelle poche notti che passarono tra la deliberazione fatta da Gerardo di andare e l’ultima, quando poi il dí deveva partire, di che qualitá fossero, ed i piaceri amorosi dagli amanti presi, e le lagrime sparte ne l’ultimo congedo, averebbe assai che fare, ché forse tante non furono quelle che la dolente Fiammetta per Panfilo scrive aver sparte quante furono quelle di Gerardo e d’Elena. Lascierò adunque il tutto imaginare a chi veramente ama ed ha amato, se in simil caso si ritrovasse. Ora, venuto il tempo del partire, sciolsero i marinari le funi de la galera ed avendo prospero vento se n’andarono al viaggio loro. Se Gerardo navigando aveva sempre ogni suo pensiero a la cara ed amata moglie, ella il medesimo faceva, ed una consolazione aveva: che con la fedel sua balia di continovo parlava del caro marito; e se talora cadeva in alcun dubio de l’amor di lui, la buona balia la confortava e la rendeva sicura che Gerardo altra donna non amava che lei. Il che di Gerardo non avveniva, ché quanto piú chiusamente ardeva tanto piú fiera sentiva la sua passione. Egli non aveva persona con cui potesse sfogar i suoi amorosi affanni, né gli era avvenuto giá mai che d’alcuno circa cotesto amore fidato si fosse. Ma lasciamolo andar al viaggio suo, ché ben lo rimenaremo poi a salvamento. Erano giá circa sei mesi che Gerardo era partito da Vinegia, quando Elena, che annoverava l’ore, i giorni, le settimane e i mesi, stava in speranza del ritorno del caro marito e tutta ne gioiva, parendole un’ora mill’anni che tardasse a ritornare, e con la fedel balia diceva: – Non passeranno quindici dí o venti, a la piú lunga, che il mio desideratissimo sposo sará in Vinegia. Egli porterá oltra le mercadanzie mille belle cosette, e mi disse al suo partire che a voi recar voleva molti cari doni. – E cosí l’amorosa giovane andava se stessa consolando, non sapendo che una tela contra lei s’ordiva che d’estremo dolore ed infinita malinconia cagione le sarebbe. Il padre di lei veggendo come la figliuola era oltra l’etá divenuta avvenente, accorta e fuor di modo bella, e che in casa non aveva governo di donna a proposito, di quella dubitando che cosa non avvenisse contra il suo volere, (il che giá avvenuto era), deliberò di maritarla. Né troppo tempo gli fu bisogno a ritrovar genero conveniente a quella, perché, essendo ricco e nobile, e la figliuola gentile e bellissima, molti de la qualitá sua volentieri seco si sarebbero per parentado congiunti. Scielse adunque tra gli altri un giovine messer Pietro, il quale di ricchezza e di nobil famiglia piú gli piacque, e seco con il mezzo dei communi amici e parenti si convenne che il seguente sabbato il giovine vederia Elena, e, piacendogli, il venente dí de la domenica le darebbe l’anello e poi la notte consumarebbe il matrimonio. Fatta questa deliberazione, facendosi l’apparecchio grande per le future nozze, messer Pietro disse a la figliuola quanto per maritarla conchiuso aveva. Di questo cosí insperato e tristo annonzio che ad Elena tanto doloroso era quanto dirle: «Dimane la Signoria ti vuol far impiccare su la piazza di San Marco tra le due alte colonne», ella oltre modo divenuta dolente e senza fine da fierissima passione trafitta, nulla al padre puoté rispondere. Il che egli, che piú oltra non pensava, pensò che da vergogna fanciullesca procedesse, né altro le disse; ma andò ad ordinare ciò che faceva di mestiero a ciò che le nozze fossero con bell’ordine e delicati cibi sontuosamente celebrate, secondo che a la nobiltá e a le ricchezze di lui e del genero era condecente. La sera del sabbato, essendo giá stata dal giovine veduta e piaciutagli, Elena nulla o poco cenò. Ritiratasi poi a la sua camera con la balia, cominciò a far il piú dirotto pianto e maggiore che imaginare uomo si possa, né era possibile che la balia a verun modo consolar la potesse, non sapendo ritrovar modo né via alcuna per fuggire che il seguente dí non fosse sposata e a letto messa col nuovo sposo. E questo, avvenisse ciò che si volesse, ella deliberava non far giá mai. Manifestar al padre che maritata era, non ardiva, non giá per tema che quello in lei incrudelisse, ché volentieri morta sarebbe, ma perché dubitava, palesando il matrimonio contratto, di non offender il suo Gerardo. Fu quella notte con aita de la balia per uscir di casa e andarsene a trovar suo suocero, e, ne le braccia di lui gettandosi, farlo consapevole di quanto tra Gerardo e lei era passato; ma non sapeva se questo al marito fosse poi piaciuto. Ora chi volesse d’uno in uno raccontar i pensieri che per la mente quella notte le passarono, potrebbe cosí di leggero la notte, quando il cielo è piú sereno e carco di stelle, tutte quelle annoverare. Credete pure e persuadetevi che la passione sua era incredibile ed inestimabile. Tutta la notte la sconsolata e misera Elena travagliò senza mai poter prender riposo. Venuto il nuovo giorno, la balia, uscita di camera, attese a far quei servigi per la casa che a lei appartenevano, tuttavia farneticando e chimerizzando sovra il caso de la disperata giovane, e non si sapeva determinar a modo veruno che fosse buono a liberarla. Ed in vero non era minor la doglia sua di quella d’Elena, la quale come vide che rimasa era sola, non s’essendo tutta quella notte spogliata, combattuta da strani e malvagi pensieri, serrò di dentro l’uscio de la camera, e cosí, vestita com’era, suso il letto suo salí e quanto piú onestamente puoté s’acconciò le vestimenta a torno. Poi raccolti tutti i suoi pensieri in uno, e non le sofferendo il core di dover sposar colui che giá il padre proposto le aveva, e non sapendo quando Gerardo si tornasse, seco propose di non voler piú vivere. Né bastandole l’animo con ferro sé stessa uccidere né strangolarsi, non le essendo veleno a le mani, tutta in sé ristretta, ritenendo il fiato piú che seppe e puoté, sí fattamente, oppressa anco dal dolore, isvenne che restò quasi morta. E non ci essendo persona che le porgesse aita gli smarriti spiriti a lor posta vagando quasi del tutto l’abbandonarono. Venuta l’ora del levare, andò la balia a la camera per far che Elena s’abbigliasse, e credendo trovar la porta aperta, la ritrovò chiavata. Onde picchiando piú e piú volte e forte battendo, né v’essendo chi rispondesse, messer Pietro, questo sentendo, a la camera venne. Ora dopo il lungo battere, fu per forza l’uscio sospinto a terra. Entrato il padre con altri in camera e fatte aprire le finestre, tutti videro la povera Elena vestita sovra il suo letto starsi come morta. Il romore si levò grandissimo, e il misero padre miseramente piangendo mandava le dolenti strida fin al cielo. La balia, gridando ed ululando come forsennata, a dosso se le gittò. Non era persona in casa che acerbamente non piangesse. Fu mandato per medici, per il nuovo sposo e parenti. Assai cose furono fatte e rimedii infiniti adoperati per far che Elena rivenisse, ma il tutto indarno si fece. La balia fu essaminata diligentemente, la quale disse che la notte Elena assai travagliato aveva e dimenatasi come se di gravissima febre fosse stata inferma, e che quando essa uscí di camera la figliuola vegghiava. Ma nel secreto ella per fermo teneva che da infinito dolore soffocata fosse morta, ed acerbissimamente piangendo non si poteva dar pace. Lo sconsolato padre lagrimava dirottamente, e cose diceva che averebbero mossi a pietá i sassi non che gli uomini. Ora dopo mille rimedii usati, veggendo che nulla a la giovane giovava, giudicarono i medici che da un sottil catarro distillato dal capo al core fosse la giovane de la goccia pericolata. Tenuta adunque da tutti per morta, si pose ordine che quella sera fosse onorevolmente da sua pari portata a la sepoltura a Castello in Patriarcato e posta in un avello di marmo degli avoli suoi che era fuor de la chiesa. Cosí la sfortunata giovane con general pianto di chiunque la conobbe fu seppellita. Ora vedete come i casi fortunevoli talora avvengano, e considerate che mai non si può aver una compiuta allegrezza che tra quella alcuna tristezza non si mescoli, e sempre non sia con il dolce mele tanto de l’amaro assenzio distemperato che la dolcezza del piacere non si può gustare. Deveva quello istesso giorno Gerardo arrivare al Lito presso a Vinegia con la sua galera, il quale aveva compíto il suo viaggio tanto felicemente, che piú non averia saputo desiderare, ritornando ricchissimo. È lodevole usanza a Vinegia ogni volta che navi o galee tornano dai lor lunghi viaggi, e massimamente quando onoratamente vengono ispediti, che gli amici e parenti vanno loro incontro a ricevergli e rallegrarsi che con buona e prospera fortuna siano tornati. Andarono adunque giovini ed altri cittadini assai a ricever con allegrezza il vegnente Gerardo, il quale sovra ogni altro lieto veniva, non tanto perché ritornasse ricco e ben ispedito, quanto che sperava riveder la sua carissima e da lui sovra ogni altra cosa amata e desiderata consorte. Ma il misero non sapeva che in quell’ora che egli al Lito giungeva, che a quella si dava sepoltura. Cosí si vede quanto i nostri pensieri s’ingannino. Arrivando adunque al Lito tra l’una e la mezz’ora di notte, in quel tempo a punto che le funebri essequie de l’infelice Elena si terminavano, videro da lunge il chiaro splendore che gli accesi torchi rendevano. Vi fur di quelli che da Barutti tornavano, i quali domandarono a chi loro incontro erano venuti, che volesser dire tanti lumi a quell’ora. Erano tra questi molti giovini, i quali, sapendo l’infelice caso de la sfortunata Elena, dissero che, devendosi quel medesimo dí maritare, era stata la matina trovata ne la sua camera morta, e che senza dubio alora le devevano dar sepoltura. A cosí doloroso e pieno di pietá annonzio non ci fu persona che non si movesse a compassione de la povera giovane. Ma Gerardo sovra tutti non solamente sentí colmarsi di pietá, ma tanto n’ebbe dolore e tanto si sentí trafitto, che gran miracolo fu come puoté contener le lagrime e con pietosi gridi non palesar l’interna doglia che miseramente lo struggeva. Tuttavia tanto ebbe di forza che stette saldo. E quanto piú tosto puoté, disbrigatosi dai suoi de la galera e da quelli che incontra per onorarlo gli erano andati, che a Vinegia tornarono, egli si deliberò a modo nessuno voler sovravivere a la sua amata Elena. Portava egli fermissima openione che la infelice giovane si fosse avvelenata per non sposar colui che il padre per marito voleva darle. Ma prima che egli s’avvelenasse o con altra specie di morte desse fine ai giorni suoi, deliberò, non avendo ancora determinato di che morte devesse morire, prima voler andare ed aprire la sepoltura ove Elena giaceva cosí morta come era, e poi a canto a quella restar morto. Ma non sapendo come solo poter aprir l’avello, pensò del comito de la galera, che suo amicissimo era, fidarsi, e a quello l’istoria de l’amor suo far palese. Onde, chiamatolo da parte, quanto tra Elena a seco era occorso e quanto intendeva di fare, tacendo il voler morire, gli manifestò. Il comito sconfortò, quanto seppe, Gerardo che non volesse andar ad aprir sepolcri, per gli scandali che ci potevano nascere; ma veggendolo fermato in questa openione, si offerse presto ad ogni sua voglia e disposto non l’abbandonare, ma con lui correr una medesima fortuna. Presero poi essi dui senza altra compagnia una barchetta, e lasciata la cura de la galera a chi piú lor piacque, se ne vennero a Vinegia, e, smontati ne la casa del comito, si providero di ferramenti atti a far quanto desideravano; indi rientrati in barca, si condussero a Castello al Patriarcato. Era circa la mezzanotte quando apersero il sepolcro e, fermato il coperchio, Gerardo entrò ne l’avello e s’abbandonò sovra il corpo de la moglie, di modo che chi mirati gli avesse tutti dui non averia troppo ben potuto discernere chi piú rassembrasse morto, o il marito o la moglie. Rivenuto poi in sé Gerardo, amarissimamente piangendo, lavava e basciava il viso e la bocca de la sua donna. Il comito, che temeva d’esser in tal ufficio dai sergenti dei signori de la notte trovato, teneva pur detto a Gerardo che uscisse; ma egli non si sapeva levare. Insomma tanto era Gerardo fuor di sé, che, essendo sforzato da l’amico a partirsi, a malgrado di quello volle seco portarsene la moglie. E cosí soavemente levatala fuori, chiusero l’avello e in barca ne portarono la giovane. Quivi di nuovo Gerardo si mise al lato de la donna, e saziar non si poteva di abbracciarla e basciarla. Ma essendo agramente dal comito ripreso di questa follia, che volesse portar quel corpo e non saper dove, a la fine, credendo ai veri consigli d’esso comito, deliberò ritornarlo dentro l’avello. E rivolgendo la barchetta verso il Patriarcato, né sapendosi Gerardo levare dagli abbracciamenti de la donna, gli parve di sentire in lei alcuno movimento, onde disse al comito: – Amico mio caro, io sento non so che in costei, che mi fa sperare che ella ancor non sia morta. – Entrato il comito in ragionevol sospetto, per i fortunosi casi che sovente avvengano, accostatosi agli amanti, pose la mano sotto la sinistra mammella de la giovane e, trovata la carne alquanto tepida e sentito alcuno picciolo battimento del core, disse a Gerardo: – Padrone, tastate qui e trovarete costei non esser del tutto morta. – A cosí felice annunzio Gerardo tutto lieto pose la mano sovra il core che tuttavia accresceva il suo movimento, volendo la natura rivocar gli smarriti spiriti, e disse: – Veramente costei è viva. Che faremo noi? – noi faremo bene, – soggiunse il comito. – Fate pur buon animo e non dubitate, ché non si mancherá di far ogni provigione necessaria. Non è costei da esser riportata ne l’arca a verun modo. Andiamo a casa mia che non è molto lontana. Io ho mia madre, donna attempata e di buono avvedimento. – E cosí a casa del comito se n’andarono. Colá giunti, forte a la porta picchiarono e furono sentiti e conosciuto il comito, ché la prima volta che arrivò in casa, la madre nulla ne aveva sentito. La buona vecchia oltra modo lieta del ritorno del suo figliuolo, fatto da la fantesca accender il lume, fece la porta aprire. Il comito, abbracciata la cara madre, mandò la fantesca a far certi servigi, e senza esser da lei visti egli e Gerardo portarono in una agiata camera Elena, e la posero disvestita in un buonissimo letto. Poi acceso il fuoco e scaldati dei pannilini, avendo giá del tutto resa consapevole la buona vecchia, attesero soavemente a poco a poco a riscaldar la giovane e quella stropicciare. Cosí fregandola e riscaldandola, tanto a torno vi s’affaticarono, che la giovane cominciò a risentirsi e tornare in se stessa e dir alcune mezze parole con balbettante e tremante lingua. Aprendo poi gli occhi e a poco a poco ricuperando il vedere, conobbe il suo Gerardo, ma, ancora in sé a pieno non rivenuta, non sapeva se sognava o pure se vero era ciò che da lei si vedeva. Gerardo con sí evidenti segni di vita abbracciava e dolcissimamente basciava la carissima moglie e, di soverchia gioia colmo, calde lagrime spargeva. Ma ritornata che fu a sé la giovane, e inteso dal marito e dal comito l’occorso caso, e come era stata seppellita e tratta fuor de l’avello, poco mancò che tra la paura e l’allegrezza non isvenisse un’altra volta. Ora chi pensasse o credesse poter narrar l’allegrezza ed il contento dei dui amanti sarebbe in grande errore, perché in effetto la millesima parte de la lor compiuta gioia non si potrebbe esprimere. Essendo adunque in sé ritornata, fu cibata con ova fresche, pistacchi, confetti e preziosissima malvagía. E giá approssimandosi l’aurora, fu Elena da tutti pregata che riposasse e con soave sonno si ristorasse alquanto. Corcatasi adunque per dormire, non avendo né quella e meno la passata notte dormito, di leggero s’addormentò. Era giá il nuovo giorno venuto; il perché, lasciata Elena riposare, Gerardo rimandò il comito a la galera ed egli, presa una gondola, a casa del padre se n’andò, il quale, giá essendo levato, con festa grandissima abbracciò il figliuolo. Quivi il lieto ed avventuroso Gerardo brevemente informò il padre di tutto il suo felice viaggio, e come in vender la mercadanzia colá portata aveva grossamente guadagnato, e non meno fatto di profitto in quella che recata aveva; di che il padre si trovò intieramente sodisfatto e mille volte benedisse il suo figliuolo. Desinò quella matina Gerardo in casa con il padre e madre in grandissima allegrezza. Dopo desinare attese un pezzo a far entrare la sua galera in Vinegia e far quanto era necessario. Andò poi col comito a veder la sua Elena, con la quale gioiosamente cenò e la notte dormí. La matina poi insieme con il fedelissimo comito si consegliò di ciò che fosse a far circa il governo d’Elena. E dopo molte cose, conchiuse Gerardo che con assai piú comoditá e piú onore, fin che si palesasse il matrimonio, ella starebbe con Lionardo suo cognato, onde il giorno seguente andò Gerardo a desinar con lui e con la sorella. Dopo desinare gli pregò che si riducessero in camera, perché aveva loro da parlar di segreto. Entrati tutti tre in camera, in questo modo Gerardo a parlar cominciò: – Magnifico cognato e tu carissima sirocchia, la cagione perché io v’abbia qui ridutti è cosa che a me importa grandissimamente ed ha bisogno di segretezza e di aita. E perché so quanto m’amate e che ad ottener un piacer da voi non mi bisogna usar quelle cerimonie di parole che farei ricercando alcuni stranieri, verrò al fatto. – Quivi dal capo fin al fine narrò loro tutta l’istoria del suo amore e l’orrendo caso occorso a la moglie, la quale aveva ridotto ne la casa del suo comito. Soggiunse poi che fussero contenti che egli conducesse in casa loro la moglie e che la tenessero fin che il matrimonio si facesse manifesto, non sapendo egli ove per alora potesse piú onorata e fidatamente collocarla che ne le mani loro. Restarono Lionardo e la moglie pieni di estrema meraviglia udendo lo strano e periglioso caso avvenuto a la cognata, parendo loro che favole se gli narrassero; ma assicurati il fatto esser come udito avevano, molto volentieri accettarono l’impresa del governo de la cognata; onde di brigata montati in gondola se n’andarono a casa del comito a pigliar Elena e la condussero in casa di Lionardo. Ma che diremo noi de la sconsolata balia? Ella, sapendo Gerardo esser tornato, non ardiva presentarsegli innanzi, tanto era il dolore de la perdita de la sua Elena. Non passarono molti dí dopo il ritorno di Gerardo, che suo padre cominciò a parlarli di volerlo maritare; ma egli sempre si scusò con dire che era giovine e che ancor tempo non era di legarsi a lo stretto nodo del matrimonio, e che gli pareva onesto di goder in libertá la sua gioventú, come esso suo padre fatto aveva, il quale quando si maritò era di molto piú tempo di lui. Passarono alquanti giorni tra questi contrasti del padre e del figliuolo, e Gerardo quasi ogni notte se n’andava a godersi la moglie. Sapeva messer Paolo come il figliuolo quasi per l’ordinario dormiva fuor di casa, ma non sapendo dove, dubitava che, d’alcuna cortegiana o altra cattiva femina avendo pratica, non curasse di maritarsi. Per levarsi questo sospetto, ed anco che in effetto, essendo veglio, desiderava vederlo maritato, un dí, a sé chiamatolo, in questa forma gli parlò: – Gerardo, molte volte t’ho parlato di darti moglie e tu mai non ti sei voluto risolvere a compiacermi. Ora, perché io vo’ questa consolazione, prima ch’io mora, di vederti maritato, dimmi se tu sei per compiacermi o no, a ciò che io mi possa risolver di quanto averò a fare. Se tu vuoi moglie, di questo ti compiacerò io, mentre che sia a te convenevole, che tu la prenda a tuo modo. Quando non la vogli, io t’assicuro che, a le vangele di san Marco, io mi prenderò per figliuolo uno dei figliuoli di Lionardo e di mia figliuola, e del mio non ti lascierò un marchetto. – Vedeva Gerardo il padre turbato nel viso, e non gli parve piú tempo di tener celato quanto fatto aveva. Brevemente adunque gli narrò il successo del suo matrimonio, lo svenimento de la moglie e la sanitá. Messer Paolo, vedendo quanto il figliuolo gli narrava, pareva trasognato e nol poteva credere. A la fine pure, veggendo la costanza del dire del figliuolo, disse che il dí seguente dopo desinare intendeva con la vista d’Elena certificarsi del vero: e che, essendo cosí, molto se ne contentava. Chieseli poi perdono Gerardo che senza sua licenza si fosse maritato, il che facilmente dal pietoso padre ottenne. Il giorno stesso andò Gerardo a trovar sua moglie, e a lei, al cognato ed a la sorella aperse quanto tra il padre e lui s’era ragionato e conchiuso. Venuto il dí seguente, dopo che si fu desinato, messer Paolo e Gerardo per la via de la fondamenta se n’andarono senz’altri in compagnia a veder Elena. Giunti a la porta e picchiato, fu lor aperto. A pena erano dentro entrati, che Elena, scese frettolosamente le scale, si gettò a’ piedi del suocero e piangendo gli domandava perdono, se non essendo ancora da lui conosciuta gli era stata cagione di pena o disturbo. Il buon vecchio, veggendo la bellissima nora, pianse di tenerezza e quella sollevò da terra, e benedicendola la basciò e per carissima figliuola l’accettò. Salirono poi le scale, ed insieme con il genero e la figliuola stette messer Paolo buona pezza, né si poteva saziare di ragionar con Elena, parendogli in effetto molto avvenente e saggia nel parlare e ne le risposte pronta. Si deveva fare indi a pochi dí una bellissima festa ad una de le chiese vicina a la casa loro; onde messer Paolo volle che quello dí si facessero le nozze e che Elena riccamente vestita vi fosse a messa accompagnata, e dopo onorevolmente menata a casa. Dato ordine al tutto, furono invitate molte donne, a le quali fu dato ad intender che la sposa era forastiera. Invitò anco Gerardo il suo comito consapevole del tutto ed alquanti nobilissimi gentiluomini, tutti credenti che la sposa fosse straniera. Cosí il dí disegnato la condussero a la messa con gran pompa e trionfo. Fu da tutti che la videro tenuta per la piú bella giovane ch’in Vinegia fosse, e da ciascuno era con meraviglia non picciola mirata. Avvenne per sorte che colui a cui dal padre d’Elena ella era stata per moglie promessa si ritrovò con un suo caro compagno, che seco era quando il sabbato egli l’andò a vedere, alora in chiesa. E come far si suole, intentamente guardandola, per bellissima quella lodarono e dissero che in effetto ella meravigliosamente rassembrava ad Elena morta; onde piú fisamente quella guardando, pareva che con gli occhi la volessero inghiottire. Ella, che di loro s’avvide e gli conobbe, non si puoté contenere che alquanto non ridesse e poi altrove rivolgesse il viso; il perché i dui compagni entrarono in openione che senza veruno dubio la sposa fosse Elena. Si partirono di chiesa e di lungo andarono al Patriarcato, ove tanto dissero che il patriarca concesse loro che potessero aprir lo avello ove Elena era stata sepellita. Quivi non vi trovando né ossa né polpa, concitarono i dui giovini un gran romore, e venuti ove si facevano le nozze, volevano per ogni modo Elena, dicendo l’uno di loro che dal padre di lei a lui era stata promessa. E moltiplicando in parole, Gerardo col rivale si diedero la fede a le venti ore di trovarsi con spada e targa in uno di quei campi di Vinegia. Ma venuta la cosa a la cognizione del conseglio dei capi dei Dieci, furono proibite l’arme e determinato che civilmente si procedesse. Cosí dedutta la lite in giudizio, non sapendo il giovine che la voleva altro allegare se non la promessa del padre, e Gerardo provando per la balia che sposata l’aveva e consumato il matrimonio, e questo istesso confermando Elena, fu giudicato lei esser vera moglie di Gerardo. Messer Pietro che fuor di Vinegia alora era, intesa la novella, e conoscendo Gerardo esser giovine nobile e ricco, quello accettò non solamente per genero ma per figliuolo, di maniera che il buon Gerardo di ricco divenne ricchissimo e lungamente in pace ed allegrezza visse con la sua Elena, spesso rimembrando gli infortunii passati con lei e con la cara balia, i quali minimissima parte furono di tutti i lor danni, andando poi sempre di bene in meglio.
Il Bandello al magnifico e gentilissimo
messer Giovanni Piscilla
De le forze de l’amore e degli effetti che da lui tutto il dí avvenir veggiamo, tanto mai non se n’è o ragionato o da tanti eccellenti uomini scritto che nondimeno di continovo non si trovino, ove egli si mette e i nostri cori con le sue ardenti fiamme accende, nuovi e mirabilissimi accidenti e degni di memoria accadere. Quante e quali crudelissime nemicizie tra molte numerose famiglie, e talvolta tra strettissimi parenti, per cagione di varii amori tutto il dí nascer veggiamo, non accade affaticarsi a voler con argomenti e testimonii provare, perciò che troppo è chiaro ed assai sovente avviene. Per lo contrario poi per via d’amore nemici acerbissimi sono divenuti leali e veri amici, ed ove erano odii inestinguibili, rancori mortali e dissenzioni fierissime, come amore vi s’è intromesso ed ha adoperato le sue santissime fiamme, gli odii si sono convertiti in amicizia, i rancori in benevoglienza e le dissensioni in ferma concordia e vera pace. Ora avvenne un giorno che qui a Bassens, in una dilettevole ed onorata compagnia ragionandosi di questa varietá d’effetti amorosi, ci si trovò messer Francesco Tovaglia, mercadante fiorentino, il quale lungo tempo aveva con pratiche mercantili negoziato in Inghilterra e ne le isole circonvicine, il quale ci narrò assai cose dei costumi di quegli isolani e de la gran libertá che hanno le fanciulle e donne maritate in quelle gioiose contrade. Onde tra l’altre meravigliose cose che disse, narrò una piacevol istoria avvenuta in Zelanda, mentre che egli quivi praticava. E perché mi parve degna d’essere scritta, quella ridussi in scritto e posi tra l’altre mie novelle. Ora mettendo esse mie novelle insieme, sovenutomi de l’amor vostro che mi portate e de le molte cortesie che usate m’avete, quella al nome vostro ho intilolata, pregandovi con quello [amore] accettarla che io ve la mando e dono. State sano.