Novelle (Bandello)/Quarta parte/Novella XXIV
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Novella XXIV
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Ridicola e vituperosa beffa fatta da uno bergamasco
a Fracasso da Bergomo, che, credendo profumarsi la barba e capelli
di odorata composizione, si impastricciò di fetente sterco.
Tutti che qui, valorosi soldati sète, di che materia ragionato si sia, avete udito. E volendovi io parlare di certi strani costumi di uno contadino bergamasco, vi dico che il signore Cesare Fregoso, essendo ancora molto giovanetto, che ora luogotenente vedete del re cristianissimo in Italia, era capitano de la serenissima Signoria di Venezia di uomini d’arme. Egli fu sempre molto prode e valente de la persona sua, e di ottimo governo cerca li soldati. Il che in molti luochi, ne lo stato di Milano, su quello di Urbino, quando aiutò a ricuperare lo stato al signor Francesco Maria da la Rovere, e in Toscana, sempre ha dimostrato. Ora, avendo egli le stanze su quello di Verona, teneva una casa in Cittadella, e, perché era giovane e innamorato, si dilettava mirabilemente di varii odori e vi spendeva assai, facendone in gran copia venire da Genoa. E quando in casa vi venivano cittadini di Verona o soldati buoni compagni, tutti li profumava. Ora egli, tra la numerosa famiglia che teneva, aveva uno che lo serveva di canceliero, ben che pessimamente scrivesse e non sapesse mettere insieme diece righe, che non ci fossero venti manifesti errori, cosí ne la lingua come ne la ortografia, de le quali nulla sapeva. Cotestui era chiamato Gioan Antonio Dolce, bergamasco; ma essendo cuoco del capitano Scanderbecco di albanesi cavalli liggieri, si acquistò il nome, non so come, di Fracasso da Bergomo. De le segnalate condizioni di costui chi volesse a pieno ragionare, non si perveneria mai a la fine. Pure, perché io l’ho conosciuto e pratticato molti anni, non posso fare che alcuna de le sue sgarbate condizioni non vi dica. Prima, egli è piú temerario e presontuoso che persona che io mi conoscessi giá mai. Discrezione in lui non alberga, né civilitá che si sia. E tra le molte sue gherminelle e vegliaccherie che ha, questa ne è una: che quando serve uno padrone, se da quello fosse mandato per quale si voglia importantissima cosa ove bisogni usare celeritá, o vero che vi andasse la vita di uno uomo e bisognasse non che andare ma volare a parlar a’ giudici o altri per aiutarlo, e trovasse egli in via da poter guadagnare uno o dui marchetti, non pensate che si movesse di passo: e’ si fermeria tre o quattro ore e piú anco assai, perciò che tiene piú conto di uno bagattino, che de la vita di colui per lo quale è mandato. Piú e piú volte bisogna che vada per gli affari del signore a Vinegia, e sempre il signore Cesare li fa dare denari per andare e tornare. Non crediate che egli mai entri in osteria né che spenda uno soldo, perché non va per la strada corrente e dritta, ma camina per traversi, a trovare questi e quelli amici del signore, e alloggia con loro, acciò che possa civanzare tutti i danari che ha per fare il viaggio avuti. Ma io ora non vuo’ intrare nel pecoreccio di cotestui, perciò che non ne potrei cosí di liggiero venire a capo, essendo le sue pecoraggini tali e tante che non si esplicarebbero in molti giorni. Vi dico adunque che quando il signor Cesare o sé o altri profumava, se il bergamascone poteva dar de le mani su uno di quelli vasi di zibetto o composizione, che tutta la barba largamente e senza discrezione insieme con li capelli si profumava, di maniera che assai spesso votava quelli vasi. Bartolomeo bergamasco, che al presente in Pinaruolo vedete maestro di casa di esso signor Cesare, attendeva allora a la camera e persona del detto signore. Accortosi egli che Fracasso era il dissipatore degli odori, tra sé deliberò fargli una berta, acciò si profumasse di tale odore, quale a sí indiscreto villano si conveniva, e trattarlo come meritava. Onde empí uno vaso di sterco umano e lo coperse con un poco di composizione odoratissima. E doppo che il signore fu uscito di camera per andare a palazzo per far compagnia a li signori rettori di Verona quando vanno a messa, Bartolomeo, riposti i veri vasi del buono odore, lasciò a posta su la tavola il vaso acconcio di altro che muschio e zibetto; e uscí di camera, mostrando avere altre facende da fare. Fracasso, che a quella ora soleva profumarsi, non essendo ancora partito il signore di casa, intrò in camera; e veduto il vaso in tavola, vi si avventò come l’avoltore a la carogna. E scopertolo, vi ficcò dentro frettolosamente le dita e cominciò a impastricciarsi la barba e li capegli. E per l’odore de la perfetta composizione non sentendo il tristo odore del tributo culatario, ci tornò due e tre volte e quasi votò tutto il vaso. Fu sí grande il piacere di essersi a suo piacere profumato, che nulla sentí del tributo che si rende a la contessa di Civillari. E cosí, bene profumato, andò dietro al signore Cesare. Ora, andando in fretta e riscaldandosi, cominciò pure a sentire non so che di fiera puzza, come di una fetente carogna che per la strada putisse; e non si avedeva che egli aveva la carogna seco ne la barba e negli capelli, perché era stato concio come uno simile mascalzone e fachino meritava. Bartolomeo per una altra via, abbreviando il camino, andò a palazzo, e trovò che il signor Cesare parlava con li signori rettori, che erano insieme, ove anco li camerlinghi vi si trovavano; onde a li soldati del signore Cesare, che quello a palazzo aveano accompagnato, narrò la profumeria che fatta si era. Né guari stette a giungere Fracasso, che in quello arrivò che il signor Cesare, uscendo di camera, intrò in sala. Putiva Fracasso da ogni canto come fanno li solferini. Del che subito si accorse il signor Cesare e disse: – Che trenta para di puzzore è cotesto che io sento? – Li soldati, avertiti da Bartolomeo, risposero che veramente quella sí cattiva puzza procedeva da Fracasso, con ciò sia cosa che prima che egli venisse in sala non ci era cosa che spirasse pessimo odore. Il signore Cesare, che de la beffa non sapeva cosa veruna, accostatosi a Fracasso, non solamente egli subito sentí il noioso e pessimo odore, ma si accorse anco come la barba e capelli di quello erano tutti brutti e impastati di una fetida lordura. E disse: – Che cosa è questa, Fracasso, che io sento? Ove mala ventura sei tu stato? Chi ti ha cosí stranamente profumato? – Dispiaceva anco a se medesimo l’impaniato Fracasso per la fiera puzza che a lui di lui veniva, e non sapeva che cosa imaginarsi, non possendo credere che quella mistura che logorata avea fosse quella che ammorbato l’avesse. Per questo egli se ne stava trasognato e mutolo e non sapeva che dirsi; di maniera che da tutti era miseramente schernito. Bartolomeo, per far l’opera compita, mostrandosi del male di Fracasso dolente, disse al signore Cesare: – Io anderò, signore mio, a farlo nettare. – Poi rivolto a Fracasso: – Andiamo, – disse, – a farvi lavare, ché io vi farò levare via questa puzza d’addosso. – Come furono partiti di sala, dissero li soldati al signore Cesare come il fatto stava, secondo che Bartolomeo loro aveva narrato. Allora soggiunse il signore Cesare: – Lasciagli andare, poi che la va da bergamasco a bergamasco. Ma io dubito che Bartolomeo di questa non si contenterá, ché gliene vorrá fare una altra. Stiamo pure a vedere a che fine la comedia riuscirá, pur che non riesca in tragedia. – Andarono dunque il gabbato Fracasso e Bartolomeo a casa, ove in una camera, fatto accendere il fuoco, fu posta de l’acqua a scaldarsi. Avea Bartolomeo del sapone nero e tenero, col quale cominciò a lavare il capo e la barba a Fracasso. Quello sapone mischio con l’acqua e con quella brutta lordura faceva una grandissima e fora di modo puzzolente schiuma, che pareva proprio che uno chiasso pieno fosse aperto; di modo che Bartolomeo diceva tra sé: – Certo, se io ho fatto il peccato, ora faccio la penitenzia. – Tuttavia deliberatosi di finir l’opera, non si curando di puzza, attendeva a stropicciare i capegli e barba di Fracasso, e tale volta gliene faceva inghiottire, di quella fetida schiuma, parecchie dramme. Quando poi Fracasso, astretto da l’amaritudine di quella stomacaggine di quella lordura, volea sputare, Bartolomeo, mostrando per caritá ben fregarlo, con le mani gliene empiva a larga derrata la bocca, e sí bene lo trattava che il povero uomo a se stesso veniva in fastidio, e amava meglio sofferire quella quasi insupportabile pena, che sentirsi quella puzza attorno. Onde tanto quanto poteva, sofferiva ogni cosa per lasciarsi nettare. A la fine tanto fu lavato che la barba e capelli si nettarono, ancora che uno poco del cencio li venisse sotto il naso. Non mancarono però dopoi le beffe e il truffarsi di lui, perché tutto il dí da molti gli era detto, quando il vedevano: – Ecco il ladro de li preziosi odori. – Ma egli, come cane da pagliaro si scuote, e come cornacchia da campanile niente si cura di cosa che se li dica, e attende a fare il fatto suo, e lascia dire ciò che si vuole. E tante e tante ingiurie, scherni e beffe ha supportate e tuttavia sofferisce, che è miracolo come ardisca comparire tra gli uomini di conto. E con questo, sotto l’ombra di questi signori Fregosi, di buf e di raf si è fatto ricco.
Il Bandello al molto illustre signore il signore
Berlingieri Caldora conte di Riso e colonnello
in Piemonte del re cristianissimo salute
Essendo a la espugnazione e presa di Barge, fatta dal valente signore Cesare Fregoso, il gentilissimo signore colonnello, il signore Lelio Filomarino, ferito di una palla di arcobuso, instrumento diabolico, mentre a paro a paro del signor Cesare sotto la ròcca combattevano, io, per l’amicizia che con il detto Filomarino aveva, andava ogni dí due volte a visitarlo, o se dagli affari era impedito, il mandava a vedere. Avene una volta che, essendo io ito per visitarlo, trovai che tutti se ne ivano fora di camera, perciò che, avendo la precedente notte molto male dormito, voleva alquanto riposare e ristorarsi dormendo uno poco. Era quivi tra gli altri il signor Berardino de li Gentili da Barletta, luogotenente del detto signor Lelio; il quale, come mi vide, salutandomi venne verso me e mi disse: – Bandello, il signor Lelio ha travagliato tutta notte e ora si è messo per riposare uno poco. Andiamo a dare una volta per lo giardino di questi frati, – perché era il signor Lelio alloggiato in San Francesco. E cosí di brigata vi andassemo. Quivi diportandosi e con varii parlari passando il tempo, uno soldato napoletano disse al signore Berardino: – Io ho inteso, signore, come il Bandello si diletta di scrivere li varii accidenti che avengono, cosí in amore come in altre materie. Però mi persuado che tu li farai cosa grata a narrargli il caso che questi dí narrasti al signor Lelio. – E aprendo io la bocca per pregarlo, egli, che cortese, e secondo il suo cognome, è molto gentile, non sofferse essere pregato, ma si offerse a dirlo; onde sotto uno pergolato postosi su le panche a sedere, egli molto leggiadramente il caso amoroso ci narrò. E tornato io a l’albergo, lo descrissi. Pensando poi, secondo il mio costume, cui donare il devesse, voi subito mi occorreste, perciò che spesso parlare di amore solete. Oltra poi che volontieri ne ragionate, non ostante che tutto il dí in questo nostro felicissimo esercito al caldo e al freddo, di notte e di giorno armato, cavalerescamente vi diportate, non vi può fatica né periglio alcuno levarvi le fiamme amorose fora del petto, né tòrvi che di continovo non siate in schiera degli incatenati amanti sotto il vessillo de l’amore. State sano.