Novelle (Bandello)/Quarta parte/Novella XVIII

Quarta parte
Novella XVIII

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Prodezza mirabile di una giovanetta in servare la patria contra turchi,


da la Signoria di Venezia magnificamente rimeritata.


A la signora Gioanna Sanseverina e Castigliona messer Bartolomeo Bozuomo.


Per essere io stato piú di quaranta anni schiavo ne le mani de li turchi, fui piú volte condutto in varii luoghi di essi turchi, e massimamente per Grecia, ove sono di bellissimi paesi e molte fruttifere isole sotto l’obedienza loro. E al proposito di quello che ora voi ragionavate del valore di alcune donne, vi dico, signori miei, che avendo l’armata turchesca, per quanto intesi da uomini turchi, che si erano trovati a l’assedio di Coccino, terra ne l’isola di Lenno, assalita essa isola nel mare Egeo e posta l’ossidione attorno a Coccino, doppo l’avere indarno combattuto Lepanto, cominciarono con artegliaria a battere le mura di Coccino e fieramente danneggiarle; di modo che in piú battiture con canoni fatte gettarono per terra una de le porte, per la quale turchi facevano ogni sforzo per intrar dentro. Li soldati veneziani, insieme con gli uomini e donne del luogo, facevano gran resistenza; ma nessuno era che piú valorosamente e con maggiore animo combattesse contra turchi di quello che faceva uno compagno de la terra, chiamato Demetrio. Egli innanzi a tutti sovra l’intrata de la porta faceva prova da uno paladino, avendo di giá di propria mano assai di quei turchi ancisi, e tuttavia esortava i suoi cittadini a la difesa. E giá fatto si avea quasi uno bastione di turchi da lui ammazzati per di ogni intorno. A la fine dal numeroso saettamento turchesco in mille parti del corpo ferito, avendo gran sangue perduto, in mezzo de li morti nemici, in terra si lasciò cadere e morí. Era non lunge da lui una sua figliuola, vergine di anni cerca diciotto in diecenove, de la persona assi ben disposta e piú grande di quello che era la sua etá, che Marulla si chiamava. Ella era molto bella, forte e animosa. Come Marulla vide il caro padre caduto in terra e morto, senza perder tempo, né mettersi con feminili ululati a piagnere, prese la spada e la rotella del padre, ed esortando i suoi popolari che la devessero animosamente seguitare, come una furiosa leonessa e famelica quando ne l’Africa assale uno branco di vitelli, si cacciò tra’ turchi e quivi, a destra e a sinistra ferendo, con la morte di quei cani vendicò quella del padre. Né contenta di questo, da li suoi coccinesi seguitata, fece tanta e sí forte impressione ne li nemici, che li pose in tale disordine che gli sforzò fuggire al mare e levarsi fora de l’isola. Quei che non furono presti a montare su le galere, tutti furono messi a filo di spada morti in terra, di modo che Coccino e tutta l’isola di Lenno rimase libera da l’assedio. Soviemmi ora che Morsbecco, che era capo di que’ turchi, uomo isperimentato in varie imprese e istimato molto prode e di gran core, essendo a Costantinopoli e narrando la cosa come era seguíta, disse che quando vide Marulla cacciarsi tra’ turchi, che li parve che in lui ogni forza e ardire li mancasse, e che, vinto da la paura, fu astretto a fuggire; cosa che non gli era in tanti pericoli de la battaglia, come si era trovato, avenuta giá mai. Liberata adunque l’isola, come poi si intese, venne Antonio Loredano, che allora per veneziani era generale di mare, e sentendo la fortezza e valore de la vergine Marulla, ordinò che se gli appresentasse, accompagnata onestamente, innanzi a lui. Condotta che li fu la vergine greca, cominciò parlar con lei, e di liggiero conobbe essere in quella uno animo generoso e virile e forse piú grande che a fanciulla non si conveniva. Diede a la presenza cosí de li soldati come de li coccinesi a la vertú de la giovane quelle vere lodi, che ella valorosamente combattendo meritate aveva; poi le fece alcuni ricchi presenti di danari e altre robe, acciò che onestamente maritare si potesse. A imitazione del loro generale i padroni de le galere e gli altri officiali le diedero tutti qualche denaro o altri doni. Il generale poi sí le disse: – Figliuola mia, affine che tu conosca che la nostra serenissima Signoria di Venezia ama e onora la vertú in qualunque sesso si sia, e che è gratissima riconoscitrice di ogni servigio che fatto le sia, sta di buono animo e fermamente spera che come quelli nostri giustissimi senatori intendano, il che particolarmente e caldamente io gli scriverò, il tuo valore e quanto per salvezza di questa isola tu ti sei affaticata; sta, dico, di buonissimo core, ché da loro sarai bene riconosciuta e largamente rimeritata. Fra questo mezzo, se ti pare di eleggere per marito tuo uno di questi prodi uomini che teco la patria hanno difesa, o quale altro piú ti diletta, io ti aiuterò a fartelo avere, e ti prometto che da li nostri signori sarai del publico dotata. – Ella, ringraziando il generale, di questa maniera gli rispose: che bisognava non solamente ne l’uomo la fortezza e valore del corpo, ma che piú importava investigare con somma diligenzia la qualitá de la vita e de li costumi e bontá di quello, perché la fortezza corporale senza il buono e nobile ingegno e vertuoso nulla valeva. Veramente questa risposta mostrò piú chiara la bontá e prodezza di quella valorosa giovane, che meritava essere aguagliata a qualunque altra donna di quelle che piú famose furono, cosí de le greche come latine. Onde il generale remise il tutto a l’arbitrio de la Serenissima Signoria, che poi, del tutto informata, quella de li danari del publico onoratamente maritò, donandole molte esenzioni e rari privilegi da le pubbliche gravezze, che si sogliono per conservazione de lo stato a li sudditi communemente imporre.


Il Bandello a l a cristianissima prencipessa sorella unica


di Francesco re cristianissimo Margarita regina di Navarra


duchessa di Alenzon e di Berri salute


La troppo umana lettera vostra, serenissima reina, che in risposta de la mia, che vi mandai con la mia Ecuba, ora voi mi fate, rende verissimo testimonio che di ciò che scrissi de le vere e rare vostre vertuti io punto non mento, anzi appar piú che chiaro che io la menomissima parte non toccai. Pertanto, veggendo quanto con umane e onorate parole voi mi ringraziate che essa Ecuba al glorioso nome vostro abbia consacrata, e altresí leggendo quello che di me scrivete al magnanimo vostro cavallero il signor Cesare Fregoso mio signore, mi fa veramente credere che voi in ogni secolo siate donna incomparabile, e che tante vostre divine doti si possano piú tosto riverire e ammirare che lodare a pieno. Ora, cercando io tutto il dí mostrarvimi quello divoto servitore che vi sono, avendo l’origine de la casa nobilissima di Savoia, secondo che qui in Pinaruolo narrò il signor Tristano di Monino, descritta, quella vi mando, persuadendomi quella devervi esservi cara, sí perché madama Aloisa vostra onorata madre da la stirpe di Savoia è discesa, e altresí avendola narrata monsignor Monino vostro criato. Egli a la presenza di molti signori quella disse, quando io per commissione de l’illustrissimo signor conte Guido Rangone, luogotenente del re cristianissimo in Italia, a esso monsignor di Monino feci il privilegio de la terra di Vigone. Essa adunque Origine a lo reale nome vostro dedicata vi mando e dono; e dopo con ogni umilitá essermi a la vostra buona grazia raccomandato, vi baccio le reali mani. Feliciti nostro signore Iddio ogni vostro desire.