Novelle (Bandello)/Prima parte/Novella XXXVI
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Novella XXXVI
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Disonestissimo amore di Faustina imperadrice
e con che rimedii si levò cotal amore.
Vera e santissima, signora mia molto vertuosa, è stata la sentenza vostra, perciò che quando s’è detto e ridetto, non è al mondo donna, per grande, bella e vertuosa che si sia, che in questa vita possa aver il piú bel monile, il piú caro gioiello quanto è la candidissima perla de l’onestá; la quale è di tanto valore che essa sola senza altra vertú, pur che vizio non ci sia, rende la donna in cui risplende, famosa e riguardevole appo tutti. Sia la donna piú bella che non si canta d’Elena greca, piú forte di qual si scriva de le Amazoni, piú dotta che Saffo, piú ricca di quante mai reine ed imperadrici furono, e sia d’ogn’altra vertú piena, se le manca il nome di pudica, veramente non sará ella prezzata né con titolo d’onore detta. Eccovi la nostra madonna Caterina che tutti conoscevate. Ella era molto bella, grande piú tosto che picciola, vaga, aggraziata, avvenente e forse piú letterata di quello che credete; sonava, cantava, recitava, componeva ne la nostra lingua volgare soavi e dolcissime composizioni; interteneva poi ogni gran prence con bellissima grazia, e quanto piú si praticava da ciascuno piú si rendeva amabile e graziosa. Ma perché era, il che troppo è publico, poco pudica, né ammirabile poi né cara era stimata. Né solamente queste impudiche fanno danno a loro stesse, ma danno cagione al volgo di mormorare dei parenti, mariti e figliuoli loro e spesso gli fanno vivere mal contenti. Credete voi che Cesare Augusto, sí trionfante imperadore, vivesse contento quando vedeva le due Giulie, la figliuola e la nipote, quasi publiche meretrici, che fu astretto confinarle in certi luoghi e vietarle la conversazion degli uomini e deliberò far svenare la figliuola? Non soleva egli lagrimando dire che era meglio non aver mai avuti figliuoli ed esser morto senza quelli e senza moglie? Né altramente nomava la figliuola che un pezzo di carne cancherosa e piena di putredine e di marcia. Ma s’io vorrò dir de le donne di quella etá, averò troppo che fare, perciò che molte imperadrici, figliuole e nipoti d’imperadori ci furono le quali non si vergognarono viver disonestissimamente. Io non tacerò perciò Messalina moglie di Claudio imperadore, indegna non dico del grado imperatorio ma del nome di donna, la quale essendo stata da molti adulterata, venne a tanta sceleratezza che, non le bastando tutto il dí gli adulterii che faceva, andò al luogo publico ove le meretrici stanno a servire i facchini per un soldo, ed ivi a chiunque, quantunque di vilissima sorte, si sottometteva, e la sera a palagio non sazia ma stracca se ne tornava, non si vergognando mostrare a tutti il ventre nel quale il generoso Britannico era stato generato. Ora vegniamo a parlare de la famosissima Faustina, la cui bellezza da tutti gli scrittori è cantatissima insieme con la disonestissima vita, imperciò che essendo figliuola d’un santissimo imperadore e moglie d’un altro che non solamente era imperadore in ogni vertú perfetto ma che senza fine la amava, non si guardò a commettere molti adulterii e farsi favola a tutto il popolo. Lasciamo che con nobilissimi e di altissimo grado uomini carnalmente si congiungesse senza rispetto veruno de l’imperador suo marito; ella fieramente d’un gladiatore s’innamorò di tal maniera che perdutone il cibo ed il sonno non ritrovava in modo alcuno requie. Pareva pur a Faustina, ancor che impudicissima fosse, che questo suo amore meritasse grandissima riprensione, e che troppo di vituperio seco recasse che una figliuola d’Antonino Pio e moglie di Marco il filosofo imperadore devesse con sí basso uomo meschiarsi, ancor che a Gaieta a molti de la ciurma navale, con quelli che piú membruti erano molte fiate giaciuta si fosse. Il marito che ardentissimamente l’amava, le era da ogni ora a torno al letto confortandola e facendo venir a curarla tutti i piú eccellenti medici che ci erano, ma indarno si affaticava. A la fine ella conoscendo giá per lunga esperienza quanto del marito poteva disponere, gli manifestò tutta la pena sua esser per amor d’un gladiatore il quale miseramente amava, e che si vedeva manifestamente morire se con lui non si congiungeva. Il misero marito che fuor di misura come amante la moglie amava, a la meglio che puoté la confortò e le fece buon animo. Poi consegliata la cosa con un mago caldeo, il pregò che a questo male alcun rimedio trovasse. Il caldeo gli disse che altro rimedio non ci era se non questo solo, che si facesse morire il povero gladiatore e del sangue di lui s’ungesse il corpo de l’imperadrice senza che ella sapesse che cosa fosse, e poi che l’imperadore seco giacesse. Sono alcuni istorici che scrivono che il caldeo consegliò che del sangue del gladiatore Faustina bevesse, ma i piú scrivono del bagnare. Fu svenato il gladiatore e fatta la medicina, e l’imperadore con l’imperadrice si giacque e quella ingravidò. Ella in tutto il gladiatore pose in oblio né mai piú se ne ricordò, che certamente fu cosa meravigliosa. Ma di questo concubito nacque Comodo imperadore, il quale assai piú rassembrò al gladiatore che al padre, perché suo padre Marco fu santissimo uomo e di costumi cosí castigati che, se avesse creduto in Cristo e fosse stato battezzato, si sarebbe potuto canonizzare. Ma il figliuolo Comodo fu arca d’ogni sceleratezza e piú vizioso imperadore che imaginar si possa, come tutti gli scrittori greci e latini ne le loro istorie apertamente mostrano. Di Faustina altro non si può dire se non che fu bella, e nessuno uomo da bene di lei altro non può lodare che la caduca bellezza.
Il Bandello al molto illustre e valoroso
signore il signor Federigo Gonzaga di Bozzolo salute
Forza è pure, signor mio osservandissimo, che noi adesso senza saputa de la vertuosa eroina la signora donna Giovanna Orsina, vostra onorata consorte, parliamo alquanto liberamente de la poca cura che alcune donne tengono de l’onestá loro. Vorrebbe essa signora vostra consorte che in lodar le donne che per vertú il vagliono, ciascuno e col parlare e con la penna sempre s’affaticasse, e che se le dessero le debite lodi, il che in vero si deverebbe fare. Ma che le donne che non si curano di conservar l’onore debbiano esser involte in perpetuo silenzio e non se ne far menzione alcuna, questo, perdonimi la signora donna Giovanna, non mi par ragionevole. È ben vero che secondo che non sta bene se una donna fa alcun errore voler tutto il sesso feminile biasimare, che anco non è ben fatto tacer il vizio e nol vituperare. E come si conoscerebbe la vertú esser degna di lode, se il vizio non fosse come merita vituperato? Ma è tanta la bontá d’essa signora vostra consorte che non può sofferire che d’uomo né di donna si dica male, come piú volte per prova s’è chiaramente veduto. Ora questi dí passati fu qui in Milano narrato l’impudicissimo amore de la famosa Faustina che d’un gladiatore s’innamorò, e cose assai si dissero, massimamente che ella avesse avuto ardire di communicare cosí libidinoso e sporco appetito a Marco imperadore suo marito. Onde ragionandosi il dí seguente di questa materia, furono cose assai dette de la incontinenza d’alcune donne in una compagnia di molti uomini. Era ne la detta brigata messer Carlo Attellano, che ottimamente conoscete quanto in ogni compagnia è festevole e sempre pieno di novelle. Egli al proposito di cui si ragionava narrò una novella che tutti gli ascoltanti empí d’estrema meraviglia e di stupore. E in vero il caso è mirabile e degno per la sua stranezza di memoria. Onde avendolo scritto precisamente sí come l’Attellano il narrò, a voi lo mando e dono. E perché so che voi non potrete stare di non mostrarlo a la signora consorte, mi vorrei ritrovar in un cantone per veder ciò ch’ella fará e udir quanto dirá. State sano.