Novelle (Bandello)/Prima parte/Novella XIX

Prima parte
Novella XIX

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Faustina e Cornelia, romane, diventano meretrici,


e con astuzia hanno la grazia dei mariti.


Poscia che il signor Gian Battista Almadiano m’assicura, signori miei, e mi leva la tema ch’io aveva d’esser biasimato, io vi narrerò quanto piú brevemente mi sará lecito come due donne romane trattassero assai vituperosamente i mariti loro, e come essendo state in chiazzo publiche meretrici fossero poi per buone e pudiche dai mariti accettate. E di questa istoria che ora vi dirò, ne fui, giá sono molti dí, pienamente informato da persona degna di fede, che tutta la comedia sapeva. Dicevi adunque che sotto il pontificato di Alessandro VI fu in Roma un cittadin romano chiamato Marco Antonio, il qual essendo assai ricco di possessioni e bestiami, prese per moglie una Faustina romana, di sangue e di ricchezze a lui convenevole, ma molto piú audace e scaltrita che a donna non conveniva. Avvenne che, non dopo molti dí, Marco Antonio vide una giovane maritata ad un altro cittadin romano, tenuta in quei tempi de le piú belle di Roma, ma assai poco dal marito amata. Egli non prima la vide, che de la vaga bellezza di lei oltra misura s’accese, e tanto da l’ingordo appetito trasportar si lasciò, che tutto il suo amore pose in costei, e senza la vista di quella non gli pareva di poter vivere. Il perché, gettata dopo le spalle ogni altra cura, solamente a questa attendeva, passandole bene spesso dinanzi a la casa, e di continuo la chiesa ove ella andava frequentando. Dopoi, parendogli aver da lei assai buon viso, con messi ed ambasciate la teneva assai sollecitata. Né di questo contento, essendo assai ricco, con doni a piú alta donna che ella non era convenevoli, ai suoi piaceri farla pieghevole si sforzava. Ora, a lungo andare, la giovane, che Cornelia era detta, ed ancora non si era lasciata intendere, al suo amante mandò, dicendo che quando egli non avesse avuta moglie, che ella sarebbe presta ad ogni sua voglia, e che abbandonarebbe il marito, fuggendo ove a lui piú fosse a grado. Il marito di Cornelia era un giovine sgherro e di mala vita, che di lei nulla si curava, ma tutto il dí per quanti chiazzi erano in Roma spendeva vituperosamente il suo. Intesa questa risposta Marco Antonio, essendo de l’amor di lei accecato, cascò in umore di voler la moglie uccidere e con Cornelia fuggirsene, ma prima vender tutto quello che poteva e farsi una buona manica di denari per aver modo di vivere. Fatta questa malinconica deliberazione e in quella fermatosi, per un suo messo fece il tutto intendere a Cornelia, promettendole che mai non la abbandonarebbe e che tanti danari e gemme portarebbe seco, che potriano allegramente ove piú loro piacesse starsi. Piacquero tutte queste cose a Cornelia, come a colei che voglia aveva, come fanno i falconi, di sorare, e l’animo suo a Marco Antonio fece intendere. Egli udendo questo, a ciò meglio in arnese si trovasse e potesse con piú colore vender il suo, diede voce che voleva diventar mercadante e andar con certi genovesi in Soria. Cominciò adunque oggi una cosa e dimane un’altra a vendere, e del tutto, per piú tosto spedirsi, far buon mercato. Voleva che Faustina sua moglie vendesse certe vigne ed altri beni che aveva, ma non lo volle far giá mai. Era alora nel Tevere a Ripa un legnetto assai grande di catalani, che d’ora in ora aspettava tempo per partirsi. Il che da Marco Antonio saputo si prepose non dar piú indugio a la cosa. E del tutto diede avviso a Cornelia a ciò che fosse presta per essequir quanto s’era ordinato. Il messo, che tra i dui amanti ordiva la tela, non permettendo il nostro signor Iddio che cosí scelerati pensieri avessero del tutto luogo, mosso da interna pietá, diede del tutto celatamente avviso a Faustina. Quando Faustina intese come il marito la voleva ammazzare e fuggirsene con Cornelia, ella restò piena di gran paura e di ammirazione. E stette per buono spazio di tempo che pareva piú statua di freddo marmo che donna viva. Ma poi che, alquanto ricuperate le forze, ebbe da sé il timore discacciato, e conobbe il marito, non per mancamento che ella mai facesse, ma solo per l’ardente e libidinoso amore che a Cornelia portava, volerla uccidere, quanto piú seppe ringraziò il messo e gli riempí le mani di danari, assicurandolo che mai non lo paleserebbe, pregandolo infine molto affettuosamente che non mancasse farle sapere il tempo del partire. Egli le promise d’avvisarla minutamente del tutto. Partito il messo, cominciò Faustina ad essaminar la vita del marito, e veggendo che oggi un campo, dimane una vigna vendeva, e che aveva voluto che ella vendesse i beni suoi immobili, tenne per vero quanto le era stato detto. E volendo a la mina del marito fabricare una contramina, ebbe segreta pratica con uno eccellente legnaiuolo e fece fare una statua de la grandezza che ella era, ma di modo fabbricata che se le accomodava benissimo la pelle d’una bestia a torno, a la quale ella, avendo inteso il determinato punto che il marito voleva ucciderla, acconciò certe vesciche piene d’acque rosse assai spesse a ciò facessero fede di sangue. Ella soleva la state ne l’ora del merigge corcarsi nel letto e dormire una e due ore. Onde il marito in quel tempo voleva ammazzarla. Ella venuta l’ora andò in camera, e la imagine fatta acconciò nel letto, che pareva proprio che Faustina fosse quella che dormisse. Avevale anche concio certe funi, per far a suo piacere, stando sotto il letto, scuoter l’imagine. Avendo poi di giá messo tutto ciò ad ordine che seco voleva portare, che era roba, come dicono i soldati, da manica, dicendo a le fantesche che voleva dormire, si mise sotto il letto, serrate le finestre de la camera. Venne il marito a casa, ed intendendo che la moglie dormiva, mandò via due donne che in casa erano in certi servigi, che bisognava che stessero due ore a tornar a casa. Erasi giá prima disfatto di quanti uomini soleva tenere. Fatto questo, se n’andò di lungo dentro la camera ove credeva che la moglie dormisse. Quivi arrivato, quanto piú chetamente puoté se n’andò al letto, e per esser l’uscio aperto eravi pure un cotal birlume, dal cui splendore aiutato, vide, come egli pensava, la donna che sovra il letto boccone giaceva. E stesa la mano sinistra e quella posta sovra il capo de l’imagine, tirò fuor un pugnale e con quanta forza puoté quello ficcò ne le schiene a la statua. Faustina, che sotto il letto era e sentí la percossa, tirò le funi di modo che l’imagine tutta si scosse. Marco Antonio, pensando che la moglie volesse levarsi, le diede un’altra ferita e passolla di banda in banda. Era da la prima ferita uscito di quell’umor rosso pur assai, e medesimamente da la seconda. Il perché egli, sentendo che la moglie piú non si moveva, pensando quella portar via, prese la statua e quella in un necessario che in camera era gettò. Aveva di giá fatto andar Cornelia vestita da paggio a la nave, su la quale, essendosi col padrone del legno convenuto, aveva anco mandato una cassa ne la quale tutti i suoi danari e gioie erano. E cosí, serrata la camera, se n’andò a la nave. Faustina, come sentí partirsi il marito e che giá era fuor di casa, non ritrovando nessuno in casa, si spogliò i panni romaneschi e si vestí di vestimenti da cortegiana che apparecchiati aveva. E presi quei pochi danari che aveva, con alcune camiscie ed altre sue cosette, se n’andò di lungo a Ripa e col padrone del legno ove Cornelia era si convenne, fingendo esser da Barcellona. Il che poteva di leggiero fare, perché sapeva benissimo la lingua spagnuola. Ella era molto bella e giovane. Il perché, essendo in abito di cortegiana ed usando atti di putta, cominciò a servire quelli che erano in nave, non dico di spiegar vele o simili servigi marinareschi, ma di quelli servigi che communemente gli uomini da le donne ricercano, e per un baiocco si dava in vettura a chi voleva. Non era ancora uscita la barca de la foce del Tevere, che ella giá piú di quindici staffette aveva corso. Come furono de la foce usciti, s’inviarono verso Cittavecchia, per andar di lungo a Genova. E cosí andarono con assai buon tempo dui giorni, nei quali Marco Antonio faceva star Cornelia con la cassa sotto coperta de la nave, e veggendo la troppa domestichezza che Faustina usava con i marinari ed altri passaggeri e piú fisamente guardandola, gli pareva pure che fosse sua moglie. Ma sentendola sempre parlar spagnuolo e veggendo che per ogni minimo prezzo dava la sua carretta a nolo, e altresí sapendo come di sua mano l’aveva concia, credette che ella fosse una de le cortegiane di Roma, e gli venne voglia di provare come ella sapeva ben trottare. Onde se le accostò, e volendola basciare, ella con un rigidissimo viso gli diede con le mani nel petto ed iratamente da sé lo rimosse dicendo: – Va a le forche, manigoldo che tu sei; come hai tu ardire di accostarti a femina che sia, avendo tua moglie uccisa? Che Dio mandi fuoco da cielo che t’arda. Ché se in me fossero cento mila buchi atti a dar piacere agli uomini e tu mi volessi dar il tesoro del mondo e farmi imperadrice, io d’un solo non ti servirei. Tu avevi in Roma giovane nobile e assai bella per moglie, e per compiacer ad una che ha marito, tu sei di quella stato il beccaio. Io in quell’ora che in nave venni, passai per quella contrada e vidi in casa tua gente assai e sentii un grandissimo romore. Onde di brigata con molti entrai in casa e vidi il letto tuo tutto pieno di sangue. Vero è che il corpo di tua moglie ancor non si trovava. Ma sta di buona voglia, sozzo cane che sei, che Iddio ti punirá. Via col diavolo che ti rompa il collo; levamiti dinanzi, uomo da poco. – E queste parole ella disse mezze spagnuole e mezze italiane, parlando come costumano gli oltramontani quando vogliono parlar italiano. Egli, sentendo questa riprensione, restò tutto confuso e fuor di sé. Erano vicini a Portovenere per pigliar porto, quando si levò un fierissimo temporale che gli spigneva a terra. Onde non potendo pigliar la via del porto e temendo rompere in qualche scoglio, deliberarono per scampo de la vita di alleggerire il legno. E cosí cominciarono a trar in mare de le mercanzie e robe, che a mano ai marinari venivano. E portando tuttavia sopra coperta colli, balle, casse ed altre cose, pigliarono anco la cassa di Marco Antonio per gettarla in mare. Ma Cornelia, che vestita era da uomo, venne sopra coperta gridando e volendo vietar che la cassa non si gettasse in mare, e correndovi anco Marco Antonio, i marinari, non avendo risguardo a nessuno e facendo il tutto per salvezza de la vita, gettarono in mare la cassa, ed essendovisi Cornelia appiccata con le mani, in quel furore cascò anco ella in mare. La nave dal vento portata volava su l’acqua di maniera che nessuno puoté darle aita, e il misero Marc’Antonio disperato fu per gettarsi in mare. Tuttavia, veggendo che rimedio non v’era, se ne diede a la meglio che puoté pace. Non perciò tanto gli premeva la morte de la sua Cornelia quanto la perdita dei danari e gioie che erano ne la cassa. Erano sovra il promontorio che i genovesi dicono Capo di Monte quando questo avvenne. E rinforzandosi il vento che a terra gli spingeva, dopo l’essersi i marinari affaticati per voltar il legno a la volta del mare e non v’essendo rimedio, la nave percosse tra gli scogli vicini a Rapallo, e fu di sorte che tutte le persone si salvarono. In questo essendo tutti in terra, chi prese una via e chi un’altra, come in simili naufragi suol avvenire. Faustina, che Giulia in nave s’era fatta chiamare, per veder ciò che Marco Antonio farebbe, gli tenne dietro portando seco quelle poche cosette che in nave recate aveva. Marco Antonio in terra veggendosi e non si trovando un baiocco a dosso, non sapeva che farsi. Onde entrò in un fiero proponimento di voler morire. E cosí, per uscir di miseria, se n’andò verso un boschetto che era ivi sovra un colle vicino. Ove giunto che fu, non pensando esser da persona visto, pigliata la sua cinta e le cinte de le calze, fece un laccio e al collo se lo annodò, e salito sovra un arbore, attaccò il capo del laccio a un tronco e si lasciò cader giú. Ma il laccio, non potendo il peso reggere, si spezzò ed egli cadde in terra senza farsi male. Faustina, che sempre l’aveva seguitato e non lungi da lui s’era in una fratta appiattata, uscí del macchione e cominciò a dirgli una grandissima villania. Egli, veggendosi sovragiunto, a la donna si rivolse e disse: – Bella giovane, poi che qui sei arrivata, io ti priego che tu voglia farmi grazia d’accomodarmi d’uno dei tuoi veli a ciò ch’io possa impiccarmi, perciò ch’io non voglio piú vivere. – Non era assai, pietosi signori, che Faustina vedesse il marito a tale stato ridotto, che piú la morte, ancor che vituperosa, bramasse che la vita, e che sovra gli occhi con cento poltroni e furfanti gli aveva piantate le corna e di lui fatto quello strazio che le era parso? Ma ella, ancor non sazia di vendicarsi, deliberò vederlo dare de’ calci al vento. Onde, fra sé di gioia godendo: – Per la mia fé, romano, – disse, – io son contenta in questo punto, ancor che tu non lo meriti, aiutarti e prestarti un laccio da romperti il collo, a ciò che con cosí vituperosa morte come a le tue sceleratezze conviene, tu vada a casa di cento paia di diavoli. – E cosí detto, sciolse le sue cosette, e la fune con cui erano legate al marito diede. Egli, da Faustina aiutato, salí sovra una querce e la fune ad un tronco de la querce attaccò e fatto il laccio e quello al collo annodatosi, a terra si lasciò cadere dando un grave crollo. Il tronco, che pareva atto a sostener ogni gran peso, subito si ruppe ed insieme con Marco Antonio venne in terra. Alora la moglie, per piú straziarlo, sorridendo gli disse: – Or pensa, sciagurato romano, se tu sei in odio a tutto il mondo, ché volendo te stesso impiccare, insino agli arbori disdegnano cosí vile ed abominevole carogna come tu sei sostenere. Tu puoi pensare come il fatto tuo va. Quanto era meglio, povero disgraziato, che quando eravamo in mare tu con la tua bagascia ti fossi affogato. – A questo il veramente sfortunato Marco Antonio con le lagrime su gli occhi rispose: – Che debb’io fare, bella giovane, se di vita non posso uscire? Io son fuor di me stesso. Ho uccisa la moglie, perduta l’amante, perduti i danari e quanto rimaso m’era; fuggito da la patria e non potendo per morte uscir di travaglio, che vuoi che io faccia? Almeno avessi io un coltello, ché pur vederei se egli mi sapesse questo scelerato petto aprire. – Fatta alquanto pietosa la moglie a queste parole, gli disse: – Romano, sia con Dio; quello che è andato sia per ito, perciò che rimedio non se gli può porre. Ma se io credessi che tu cangiassi vezzo e volessi esser meco altro uomo che tu non fosti con tua moglie, io averei di te pietá e ti metterei tal partito a le mani, che tu ed io insieme trionfaremo. Ma io dubito che per ogni feminuccia che vederai e che punto ti piaccia, che tu mi lascierai su le secche di Barbaria, e forse di me farai ciò che de la moglie facesti. Tu mi sembri esser di cosí poco cervello, che io non so ciò che di te mi dica. – Che vuoi che io faccia? – disse Marc’Antonio. – Forse che sí fatta cosa mi dirai, che io la vita a me perdonando, a te senza fine restarò ubligatissimo. – Vedi, – rispose alora la donna, – io sono Giulia da Barcellona, che fanciulla fui a Roma condutta, e sí bene m’è avvenuto che io mi truovo qualche centinaia di ducati. Se tu vuoi giurarmi che mi farai bona compagnia, io starò a posta tua e anderemo in qualche cittá qui vicina, dove tu mi metterai a guadagnare e ci daremo il meglior tempo del mondo. – A Marco Antonio parve il partito molto buono, e giurò quanto ella seppe chiedere, promettendole la fede di esserle sempre ubidiente. E cosí di compagnia andarono a una villa assai vicina, ove, spiando il paese, conobbero che erano assai appresso a Genova. Deliberarono adunque andar lá e quivi piantar bottega, e cosí fecero. Io non so che dirmi di questo diavolo di femina: non vi pare egli che ella assai domesticamente il marito tratti? Deveva pur bastarle che era stata in nave publica meretrice, senza voler ancor che il marito in Genova le fosse ruffiano. Preghi ciascuno Iddio che da simili donne lo guardi. Vennero adunque a Genova, ed avuta una stanza nel chiazzo attesero a guadagnare. Vi so dire che Faustina fece prove bellissime del corpo suo, essendo ogni sera piú stracca che sazia. Molti dí stettero in cosí vituperoso essercizio, non parendo ancora a lei d’essersi ben vendicata del marito. Ora avvenne che ai parenti di Faustina fu per certo affermato come Marco Antonio in Genova teneva a posta sua una Giulia barcellonese nel chiazzo d’essa cittá. Il perché, avendo il letto trovato pieno di sangue e non v’essendo indizio del corpo di Faustina, ed altresí tenendosi quasi per fermo che Marco Antonio avesse menata via Cornelia, avuta questa nuova di Genova, se n’andarono al papa a querelarsi, dal quale ottennero un breve drizzato al governator di Genova. Era alora ne la detta cittá a nome di Lodovico Sforza duca di Milano il signor Agostino Adorno governatore, uomo di grandissimo governo e di somma giustizia, il quale, avuto il breve apostolico, deliberò mandarlo ad essecuzione. Era suo segretario un suo suddito da Castelletto, il quale molte fiate aveva menatosi seco a giacer Faustina, che per Giulia da Barcellona conosceva. Egli veduto il breve, disse il tutto a Giulia. Ella, essendo mezza pentita del male del marito, gli disse il tutto. Il povero Marco Antonio si tenne morto, né sapeva che farsi. Ella, non volendo che il marito morisse, in questo modo gli disse: – Marco Antonio, sta di buon animo, ché se farai ciò che io ti dirò, i casi tuoi anderanno bene. Io ti ho piú volte udito dire che io sommamente rassimiglio a quella che era tua moglie; se questo è vero, sposami e dimmi i nomi dei tuoi parenti, ché io gli terrò bene a mente, Onde potrai, quando il signor governatore manderá per te, dire che io sia Faustina e che a noi lece far ciò che piú ci aggrada dei corpi nostri. – Piacque meravigliosamente a ser castronaccio il conseglio de la donna, onde a quello s’apprese e la donna sposò. Il governatore quel giorno stesso lo mandò a chiamare, e facendolo dal suo segretario a la sua presenza essaminare, egli rispose che da Roma s’era con la moglie partito e che per fortuna i suoi danari e robe gli erano stati gettati in mare, e che non avendo altro modo di vivere si era ridotto come da tutti si sapeva, e in fede di questo fece domandar la moglie. Ella tutta baldanzosa se ne venne, e da parte essaminata rese del tutto buonissimo conto. Era da Roma venuto un giovine a portar il breve, che era fattore dei parenti di Faustina e molto bene la conosceva. Egli essendo chiamato a l’essamine, ancor che l’abito de la donna e la mala vita che fatta aveva alquanto la trasfigurassero, pur le fattezze gli parvero quelle. Ella poi di se stessa e del marito, dal primo giorno che egli in Roma la sposò, rese sí buon conto, che il fattore non seppe che cosa opporle. Il medesimo fece Marco Antonio, conformandosi in tutto con Faustina. E cosí perseveravano pure a guadagnarsi col sudore del corpo il vivere. L’aver atteso a Marco Antonio e a Faustina m’ha quasi fatto uscir di mente Cornelia, che essendo caduta in mare, come la sorte sua permesse, s’attaccò a la cassa, e su quella col petto fermatasi, fu dal mare turbato e ondoso a terra sospinta, ma vie piú morta che viva. Ella si trovò vicina ad una villetta de la riviera di Levanto. Era al mar discesa una buona donna con due sue figliuole assai grandi, per certi suoi bisogni, la quale, veduta la cassa, conobbe che un uomo v’era appresso, perciò che Cornelia era vestita da uomo. E trovato che la persona non era morta e da lei inteso che era donna, fece a le figliuole levar il coffano e portarlo a casa, aiutando ella a sostener Cornelia. Giunti a casa e fatto buon fuoco, Cornelia restò libera, e per non restar ingrata a la buona femina che liberata l’aveva, a quella donò tanti danari, che ella si chiamò per contenta. Erasi giá de le vestimenta che ne la cassa aveva da donna vestita, di modo che, essendo bellissima, un barcaruolo de la contrada cominciò a domesticarsi seco e possessor ne divenne, né di lei sola, ma de la roba anco si fece signore. E come avviene spesso che un villano non conosce il bene quando l’ha, il barcaruolo trattava molto domesticamente Cornelia. Ella, gettati gli occhi a dosso ad un compagno pur di riviera, non essendo il barcaruolo a casa, con quello, seco portando le sue robe, se n’andò. Colui, che non aveva né casa né tetto, tenne alcuni dí Cornelia per quelle terre de la riviera di Levanto, facendo dei danari di lei buona cera e spendendo senza ritegno. Vennero poi a Genova di compagnia, ove dimorati quattro o sei dí, il buon compagno, rubati tutti i danari e le gioie a Cornelia, se ne fuggí non so dove. La povera donna, trovandosi sola né sapendo dove dar del capo, fece tanto che condusse una povera stanza vicino al luoco publico, e quivi servendo chi la richiedeva se ne stava. Era Cornelia bellissima, onde in breve cominciò aver tanto concorso che talora non aveva tempo di cibarsi. Marco Antonio, udendo lodar Cornelia da tutti e veggendola cosí indi passando, altrimenti non la conobbe, ma bene la giudicò bellissima. Avvenne che egli aveva prestata la moglie ad un gentiluomo, che a la sua villa condotta l’aveva, che era a Terra Alba, ove stette quasi tutta una settimana. Onde volontaroso di giacersi con Cornelia, trovandola tutta sola in camera, che alor alora uno che aveva scaricato l’orza si partiva, se le pose a lato e la salutò. Quivi, a pena guardatisi in viso l’un l’altro, eglino si conobbero e fu la meraviglia d’ambidui non picciola. Sovrapresa in quel punto Cornelia da sdegno feminile, con viso di madrigna a lui rivolta disse: – Ben venga, ben venga il beccaio de la sua moglie e l’ingannatore di quella che tanto mostrava amare. Tu presumi da me voler piacer nessuno, cui giá lasciasti come vil sterco gettar in mare? Tu hai ardire venirmi innanzi? Va via col diavolo, che in anima ed in corpo ti possa egli strascinare. – Sforzandosi a la meglio che puoteva il povero Marco Antonio di placarla, ma tanto mai far non seppe che ella volesse prestargli il mortaio per far salza, e cosí da lei scornato se ne partí. Egli nel vero era pur sciagurato, trovandosi in un medesimo tempo aver la moglie e l’amica in chiazzo e vedersi da tutte due negato quello che a mille mascalzoni e furfanti davano per un baiocco. Veramente ogni vituperio gli stava bene, ché essendo egli marito di bella ed onesta donna, non contento degli abbracciamenti di quella, ricercò gli altri, e, come si suol dire, voleva meglior pan che di grano. Né pertanto si vuol dir che Faustina meriti altro che biasimo, ché per cosa che le volesse far il marito, non deveva d’onesta divenir disonestissima. Ora, partito Marco Antonio da Cornelia e pensando al tempo passato, ritornò sui primi amori e piú che mai di lei s’accese. E parendogli che senza quella ei fosse senza vita, tentò con mille modi di sviarla da colui che la teneva. Il buon compagno, che da le vetture di Cornelia traeva non picciolo profitto, tenne modo, sapendo che Marco Antonio teneva una femina in chiazzo, di far intendere a quella come il suo uomo si diportava. Faustina, informatasi chi fosse colei e trovato che era Cornelia, dubitando che egli con quella un’altra volta non se ne fuggisse e parendole oggimai del marito a sufficienza essersi vendicata, deliberò a cosí lunga e vituperosa comedia por fine. Ella trovò modo, per via di certi mercadanti, di scrivere a Roma ad una sua zia, che era d’un monistero di sante donne badessa. La quale ricevute le lettere de la nipote, che morta credeva, fece quanto ella ricercava e scrisse a Marco Antonio, che per suo utile e beneficio grandissimo se n’andasse vestito da peregrino a Roma e facesse capo al monastero. Erano le lettere molto calde ed efficaci, e sapeva Marco Antonio che chi gli scrisse era donna d’ottimo nome. Il perché in lei avendo grandissima fede, la cui prudenza ed autoritá in molte cose di momento aveva esperimentata, deliberò uscir del vergognoso ufficio che faceva e piantar la catalana e ridurre Cornelia a Roma. Avuto adunque modo due e tre fiate di parlar seco, tanto le seppe dire, che ancor ella, bramosa d’uscir di tanti stenti, si dispose di andar con lui a Roma. Faustina, che tutto il dí gli aveva gli occhi a dosso e sapeva la trama che ordiva, fingeva di non avvedersi di cosa che egli facesse. E cosí Marco Antonio, fatti far panni per sé e per Cornelia da monici, un dí con lei si partí e, smarrito de le fortune di mare, andò per terra per la riviera di Levanto e poi per Toscana fin a Roma. Faustina quel dí medesimo, suso un bergantino che a Roma andava montata, pervenne di piú di dieci giorni a Roma prima che Marco Antonio, e andò in abito sconosciuto a trovar la zia badessa, da la quale fu amorevolmente ricevuta ed in camera de la badessa menata. Ivi, communicata la cosa a due de le piú antiche madri del monastero, fecero sí che in dui o tre dí le monache s’accorsero che la madre aveva gente in cella. E per questo essendo gran mormorazione nel monastero, la badessa fece sonar a capitolo, e tutte le suore quivi ragunate, cosí disse loro: – Figliuole mie care, a l’orecchie mi è venuto che molte di voi pensano che io abbia in cella qualche uomo. Sono pur omai tanti anni che mi conoscete, e la mia vita a tutte è sempre stata sí aperta, che bisogno non era che nessuna mal di me sospettasse; tuttavia piacemi che voi siate zelatrici de l’onor di questo santo collegio; che nostro Signor Iddio vi benedica e vi dia la sua santa grazia. Ora che io non posso né debbo piú celarvi la persona che ne la mia cella ho tanti giorni nascosta, voglio che ella sia a tutte manifesta, ma sotto pena d’ubidienza non voglio che a secolari si riveli. – Poi rivolta a le due monache vecchie le diede la chiave de la camera e sí le disse: – Madri mie, andate a la mia cella e accompagnate qui la persona che è lá dentro. – Andarono le donne e condussero Faustina in capitolo, a cui giá avevano tagliati i capelli, e vestita da suora, ella venne con un viso e con certe riverenze, che pareva proprio che sempre fosse stata a dir paternostri ed avemarie. Ella per comandamento de la badessa disse: – Madri reverende, devete sapere che sono giá circa sette mesi passati che Marco Antonio mio marito, un giorno che io da merigge dormiva, mi diede due pugnalate e passommi di banda in banda, e credendo che io fossi morta mi gettò nel chiazzetto de la mia camera. Io, che fin da fanciulla fui sempre divota de la nostra Donna di Loreto, nel cader giú m’attaccai a un travicello, che nel necessario spigne in fuori, e feci voto andar discalza a Loreto ed offerire una imagine trafitta due volte di banda in banda con un pugnale. E fatto il voto mi sentii in tutto sana, in modo che cicatrice in me non appare. E uscita del chiazzetto, qui me ne venni, ove mia zia mi ha, la sua mercé, tenuta, e queste due venerabili madri per lor cortesia m’hanno cosí longo tempo nodrita. – Le sante monache si bagnarono di molte lagrime il petto e credettero il tutto, di tal maniera che tutte arebbero sagramentato che tutto quel tempo Faustina era stata nel monastero. Ora ebbe modo Faustina di fare che quel servidore, che l’aveva avvisata come il marito voleva ammazzarla, levò fuor del necessario l’imagine che quivi invece di lei il marito aveva gettata. Con le monache poi sí fattamente si governò che elle tutte la tenevano per la piú onesta donna che in tutta Roma fosse. Venne Marco Antonio a Roma con Cornelia, e subito andò a ritrovar la badessa, da la quale fu amorevolmente raccolto. E dopo l’accoglienze, la badessa cosí gli disse: – Tu dei sapere, Marco Antonio nipote mio carissimo, che se io quanto figliuolo non ti amassi, qui non t’averei fatto venire. E se piú tosto avessi io inteso ove tu eri, non averei giá tanto tardato. Figliuol mio, e’ si suol dire che le cose passate piú tosto si ponno riprendere che emendare. Ciò che una volta è fatto, chi fará che fatto non sia? Tu sai che vita in Genova fatta hai, il che subito ch’io intesi, ho mandato per te. E quando ti deliberi vivere onoratamente, non ti mancherá il modo perciò che se bene gran parte del tuo hai venduto, tanto ancor ti è rimaso, che tu puoi viver da par tuo. Ma io vorrei esser certa che tu fossi disposto a viver come deveno far gli uomini da bene. Prima ti farei cavar di bando, e la moglie tua, mia nipote, ti restituirei. Ma dubito che tu al mal avvezzo, come la rana non saperai del fango uscire. Che dici? – Sentendo questo, Marco Antonio cosí le rispose: – Madre mia molto reverenda, io son certissimo che voi, la vostra mercé, sommamente mi amate, e giá del vostro amore ne ho io avuta ottima caparra. Ma devete pur sapere che io da giovinil errore trasportato uccisi Faustina, e voi dite che mi farete riaver la mia moglie. Io non so come il fatto stia. – A questo soggiunse la badessa: – Io so bene che tu nol sai, ma Dio, piú pietoso che noi non meritiamo, t’ha conservata Faustina mia nipote miracolosamente, e odi come. – Quivi la buona badessa narrò con le lagrime sugli occhi tutta la favola che Faustina a le monache narrata in capitolo aveva. Udendo questo, Marco Antonio, da interna vertú commosso e tutto intenerito, cominciò anco egli a lagrimare e a pena possendo le parole esprimere cosí rispose: – Madre mia onoratissima, quando io sia certo che Faustina viva e che ella per vostra intercessione il fallo contra lei commesso mi perdoni, io non saperei che piú desiderare. – Alora la badessa mandò a chiamar suor Faustina, la quale venne con suoi veli in capo e con certe bende sotto la gola. Come ella fu dinanzi a la badessa, tenendo sempre gli occhi bassi, s’inginocchiò e disse: – Madre, che mi comandate voi? – Alora le disse la badessa: – Nipote mia cara, leva gli occhi e mira se conosci costui che qui meco ragiona. – Ella vergognosamente levati gli occhi e tutta in viso cambiata: – Oimè, – disse, – madre mia, questo è quello scelerato, che Dio gli perdoni, di mio marito; – e questo dicendo, con abondanti lagrime, di grandissima tenerezza diede segno. Marco Antonio, di romano diventato da Goito, dirottissimamente piangendo se le gettò a’ piedi, ad alta voce mercé chiedendole. E se non fosse stata la grata di ferro, come pazzo se le sarebbe avventato al collo. Madonna Faustina, che si vedeva in porto, pareva che quasi sdegnata nol volesse udire. Ma la badessa e tutte le monache, che giá avevano de la santa vita di Faustina reso testimonio, tanto fecero, che ella, ben che alquanto ritrosetta, lui chiedente perdono accettò e gli rimise ogni ingiuria, con questo perciò, che egli mai piú d’altrui donna non s’impacciasse. Fatto questo si diede ordine che il bando fu casso, e ser uomo, intendendo il voto che Faustina fatto aveva, impetrò la dispensa che egli per lei andando a Loreto scalzo al voto sodisfacesse. Avvenne in questo, che il marito di Cornelia, a Ponte Sisto, in casa d’una meretrice fu ucciso. Il perché, avendo ella da Marco Antonio inteso lo stupendo miracolo di Faustina, ella, non meno di lei scaltrita, seppe sí ben adattar le cose sue, che trovò modo di far credere che era fuggita dal marito per la mala compagnia che egli le faceva, e che sempre era stata in compagnia d’una vedova vecchia sua parente, e che ora, intendendo il marito esser morto, era uscita di pregione. Fu facil cosa a far credere il tutto, non ci essendo chi troppo sottilmente le cose investigasse. Marco Antonio menò Faustina a casa per buona e santa, la quale in mare e in terra e nel publico chiazzo aveva veduta sottomettersi a mille mascalzoni, ed egli per publica meretrice governata aveva e molto spesso a vettura data. Cornelia stette un anno in abito vedovile e dapoi si rimaritò assai onoratamente. E tutte due dai mariti loro erano per sante tenute, sí bene seppero queste due favole loro adornare. E per me io non so che me ne dire, se non pregare Iddio che tutti ci guardi di cascar ne le mani a simil donne, che fanno del nero bianco e del bianco nero. Non so poi che mi dire de la santa madre badessa e de le dui madri vecchie che sí affettuosamente finsero le menzogne e santamente le confermarono. Non nego giá che non fosse opera lodevole e santa di reconciliare marito e moglie insieme, che tuttavia mi par opera pia e da esser commendata; ma non vorrei che con falsi miracoli queste paci si facessero, ché par a punto che l’uomo voglia scherzare con Domenedio come farebbe con un suo domestico. A me pare che Cornelia truovasse un mezzo a’ casi suoi piú apparente e credibile. Ma sia come si voglia: io v’ho narrato questa istoria né piú né meno come narrar l’ho sentita.


IL BANDELLO AL MAGNIFICO E VERTUOSO


MESSER ANTONIO DI PIRRO SALUTE


Se mille e mill’anni si ragionasse degli errori che la gelosia appiccata a uomo o a donna produce, e di quanti mali ella sia cagione, io credo che mai a capo non se ne verrebbe, veggendosi tutto il dí la varietá di nuovi falli che quella genera. Essendo poi stato da molti questo biasimevol vizio tassato, io per ora piú di quello che è non intendo di vituperarlo, conoscendo che si perderebbe l’opera. Ben voglio scrivere un caso che, non è molto, in una cittá di Lombardia occorse, dal quale, quando altro mai detto non fosse, di leggero l’enormitá de la dannosa gelosia si comprende. E perciò che avvenne in persona che, se nominata fosse, potrebbe di qualche scandalo esser cagione, io mi asterrò di porre i nomi proprii, ancor che il nostro gentilissimo messer Benedetto da Corte, quando in casa de la signora Lionora, sua sorella e moglie del signor Scaramuzza Vesconte, in Pavia narrò questo accidente, dicesse i proprii nomi. Avendolo dunque scritto, con lo scudo del vostro dotto nome il mando fuori, sapendo che a questa mia novelletta egli sará tale quale fu a Perseo contra Medusa lo scudo di Pallade. E chi dubiterá che voi per me non pigliate la protezione, se in Pavia sempre sète quello che degli stranieri pigliate la diffensione? So che io appo voi non sono straniero, conoscendo quanto mi amate. State sano.