Novelle (Bandello)/Prima parte/Novella XI
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Novella XI
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Un senatore, trovando la moglie in adulterio,
fa l’adultero fuggire e salva il suo onore insieme con quello de la moglie.
Non è molto, signori miei, che essendo io in Parigi, vi fu un consigliero o senatore del parlamento, che è il primo di molti che sono in Francia, il quale, essendo giá in etá, aveva per moglie una bella giovane, francese anch’ella, la quale egli sommamente amava. Ella che era fresca e di pel rosso, e che vedeva il marito debole e senza possa di poter spesso inacquar il suo giardino, e che quasi ogni mattina si levava innanzi dí, in quell’ora che ella averebbe voluto giocare a le braccia e cacciar il diavolo ne l’inferno, si trovava troppo di mala voglia veggendosi perder senza piacere la sua giovanezza. Onde volendo proveder a’ casi suoi con quel meglior modo e piú secretezza che fosse possibile, pensò che di leggero averebbe la comoditá, pur che ritrovasse persona che le aggradisse; perciò che andando a buon’ora monsignor suo marito in parlamento e tardi a casa ritornando, averebbe in quel tempo agio di sodisfare ai suoi bisogni. Fatta questa considerazione tra sé, si mise a star su la porta ed a la finestra per veder chi andava per la contrada e per far scielta d’uno che piú le fosse paruto a suo proposito. E tutto il dí veggendone passar molti e quasi nessuno al suo appetito sodisfacendo, avvenne che un dí le passò dinanzi uno d’etá di ventisei in venti otto anni, il quale facendole riverenza cortesemente con la berretta e andando di lungo per i fatti suoi, molto ne la prima apparenza le piacque. Era colui lombardo, al quale occorreva quattro o sei volte il dí, e piú e meno secondo le faccende che aveva per le mani, far quella strada. Il che da la donna avvertito, e tre e quattro giorni osservato il passar di quello, e piú ogni volta piacendole, cominciò, quando passar il vedeva, a fargli buon viso e mostrar d’aver sommamente caro l’onore ch’egli le faceva. Di che accortosi il giovine che avveduto era, pensò che forse fuor di proposito non sarebbe che egli a far con la donna servitú si fosse messo. E stando in questo pensiero e passandole una volta come soleva dinanzi, ella gli disse: – Monsignor, ove andate voi cosí in fretta? – e tutta in viso arrossí. Il lombardo fermatosi, e avendo assai buona lingua franzese, le rispose con riverenza e disse: – Madonna, io vado per certe mie faccende fin al ponte di Nostra Donna; ma se v’è cosa ove io possa farvi servigio e che degnate comandarmi, mi trovarete sempre presto ad ubidirvi, essendo di giá qualche tempo che io desidero esser vostro servidore. – E veggendo lampeggiar gli occhi a la donna, cominciò a strigner la pratica e dirle che erano parecchi mesi che egli era fieramente di lei innamorato, ma che per esser straniero mai non era stato oso di manifestarle il suo fervente amore. Insomma, avendone la donna piú voglia di lui, s’accordò seco che la seguente matina a buon’ora egli fosse ne la contrada, e come monsignor uscisse per andar in parlamento, che egli entrasse in casa e diritto se n’andasse a la tal camera, e mostrogliela. Il lombardo il tutto essequí e si trovò nel letto con lei, e seco altra giacitura facendo che il marito non aveva mai fatto, la contentò mirabilmente e corse in tre ore cinque poste senza mutar cavallo. Ora la bisogna andò cosí che, trovando il lombardo il terreno morbido e grasso e la donna un lavoratore che sempre era piú fresco e gagliardo, s’accordarono insieme piú che volentieri di tener lavorata la possessione, e cosí insieme si dimesticarono che anco talora da mezzodí egli andava a far una e due vangate, e durarono molti mesi. Ma essendo insieme una volta e ruzzando a la scalpestrata il lombardo con la donna, furono da uno di casa sentiti, il quale sospettando di ciò che era, si mise in aguato e vide uscir il giovine di camera. Il perché, non lasciando la padrona di vista, s’accorse che ordinariamente la matina, come monsignor usciva di casa, che l’amico v’entrava. Onde avvertitone un altro che di cancegliero serviva il marito, una matina che il lombardo era in camera andò e il tutto al padrone scoperse, avendo lasciato il cancegliero a la guardia. Venuto monsignor a casa, fece fermar la porta e volle che li dui stessero di sotto armati con alabarde, a fine che se il giovine gli scappava da le mani che essi lo ammazzassero. Dapoi messa giú la toga, prese una spada e andò a la camera e bussò, chiamando la donna, la quale, trovandosi com’era, si tenne morta. Nondimeno aperse l’uscio, il quale subito il marito chiuse. Era il lombardo senz’arme e giá s’aveva messo le calze ed il giubbone, quando monsignor gli disse: – Io non so chi tu ti sia, ma se tu non vuoi morire, piglia le tue vesti e subito salta giú da questa finestra. – Parve questo un pan unto al giovine, e preso il saio e la cappa saltò giú in un cortile d’un vicino, ed ebbe cosí la fortuna favorevole che da nessuno fu veduto. Serrò poi la finestra messer lo dottore e chiamò su i dui spioni, avendo fatto rientrar la donna nel letto. Come quelli furono in camera disse loro: – Ove è colui che voi detto mi avete giacersi con mia moglie? Poltronieri e gaglioffi che voi sète a voler infamar una donna da bene. Voi eravate certamente imbriachi, villani che sète. Andate, ché per questa volta io ve la perdono, ma per l’avvenire aprite ben gli occhi. – Coloro andarono giú che parevano spiritati, e non sapevano che dire. Il marito, fatta un’agra riprensione a la moglie che piú non incappasse in questo errore, ritornò in senato. Ma la donna non si potendo smenticar il suo amante, trovò altro modo d’esser piú segretamente seco. Ora non vi pare egli, signori miei, che questo consigliero meglio si consigliasse che non si consegliò messer Bernardino Busto od il melenso mantovano? Certamente, se egli sapeva ben consigliar altri, in questo pericolosissimo caso egli consigliò benissimo se stesso, salvando l’onor proprio e quello de la moglie.
IL BANDELLO AL VERTUOSO
MESSER PIETRO BARIGNANO
Gli ultimi sonetti ed il bellissimo madrigale che voi ne la villa di Montechiaro in Bresciana mi deste, come io fui in Brescia mostrai al nostro gentilissimo messer Emilio Emilii. Io non voglio ora stare a dirvi ciò che egli ed io del vostro soave stile e de la vostra ingegnosa e bella invenzione dicessimo. Solo vi dirò che tra Montechiaro e Brescia io gli lessi e rilessi piú volte per camino, e quanto piú quelli io leggeva tanto piú cresceva il disio di rileggerli, il che anco a messer Emilio avvenne. Ora per mandarvi una de le mie novelle, ve ne mando una che non è molto che in Mantova, a la presenza di madama illustrissima la signora Isabella da Este marchesana, narrò il molto piacevole messer Domenico Campana Strascino, ritornando da Milano a Roma ed avendo quel dí a Diporto desinato con messer Mario Equicola e meco. La novella è istoria, de la quale fa menzione Dante nel Purgatorio. Tuttavia io l’ho voluta metter con l’altre mie istorie, o siano novelle, e a voi donarla. State sano.