Novelle (Bandello)/Prima parte/Novella LIX

Prima parte
Novella LIX

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Prima parte - Novella LVIII

Uno divenuto geloso de la moglie credendo quella


con l’adultero ammazzare, una sua figliuolina uccide.


L’essersi parlato de le pazzie che ogni giorno fa quel nostro amico, m’ha fatto venir voglia di narrarvi un pietoso accidente che questi dí in Mantova avvenne ad uno che in vero deveva esser geloso, dandogliene la moglie cagione, ma non seppe bene la sua gelosia con ragion governare. È la gelosia un male o sia vizio meritamente biasimevole molto, e che deverebbe ciascuno che abbia sal in zucca di continovo fuggire. Quando il marito s’accorge che la sua donna ad altrui di sé fa copia, non deve alora ingelosirsi, essendo certo de la vergogna che gli è fatta, ma deve ai casi suoi secondo l’occasioni provedere. E se non è certo de la vergogna ma resta in dubio per qualche segno che veda, apra ben gli occhi e metta mente a ciò che si fa, provedendo ove conosce esser il bisogno, e a modo veruno non apra il petto al gelato e pestifero morbo de la gelosia, perciò che ove ella alberga e sparge i veleni suoi, adombra, anzi del tutto acceca gli occhi de l’ingelosito, di modo che il povero uomo non fará mai cosa che buona né lodevole sia, e le cose sue fará tutte fuor di tempo, come avvenne a un nostro giovine mantovano. Non è adunque, per dirvi come la cosa fu, molto, che in Mantova un artefice si trovò aver una figliuola di quindeci anni, assai piú avvenente e fuor di modo bella che a la sua bassa condizione non si conveniva, non si trovando alora figliuola nessuna di gentildonna che di bellezze l’agguagliasse. Piacque ella sommamente a un signore di Gonzaga, di quelli, dico, che sono de la casa marchionale; il quale poi che s’avvide esser in tutto da le bellezze di Margarita vinto, ché cosí la giovanetta si chiamava, tanto fece e tanti modi usò che divenne di lei possessore, e de l’amor di quella con grandissima contentezza godeva. E quanto piú di quella aveva copia, tanto piú pareva che l’amore verso di lei crescesse; e di tal maniera andò la bisogna che egli ogni notte, o lo sapesse il padre de la Margarita o non, se n’andava seco amorosamente a giacersi. Durando questa amorosa pratica, il padre la maritò in un giovine che lavorava di spade, il quale era assai di casa e di qualche roba agiato, e da pari suo teneva la moglie molto comodamente insieme con una fanticella che faceva cotali servigetti per casa e attendeva a la Margarita. Il nostro giovine gonzaghesco che di core l’amava, ogni volta che poteva averne comodo e che in destro gli veniva, o fosse di giorno o di notte, con lei si dava buon tempo e vita chiara. Ora il marito di lei, che meravigliosamente n’era invaghito, e la vedeva bellissima e gentilesca molto e gli pareva che ciascuno che la vedeva se ne devesse innamorare e via menarla, cominciò di lei in tal maniera ad ingelosire che non poteva star un’ora a bottega a lavorare che a casa non corresse a veder ciò che la moglie faceva, e con questo mordace verme che di continovo gli rodeva il core si trovava come disperato né sapeva che farsi. Da l’altra banda ella a cui poco gli abbracciamenti maritali soddisfacevano, averebbe di continovo voluto giacersi con l’amante; ma la solenne guardia del marito vietava loro il potersi troppo spesso insieme trovare e continovare la lor amorosa pratica, il che agli amanti era di grandissimo cordoglio cagione. Nondimeno ogni occasione che aver potessero non pretermettevano. In questo tempo Margarita ingravidò, o fosse il marito il padre de la creatura o vero l’amante, perché tutti dui il poderetto di quella coltivavano. Partorí Margarita al tempo suo ed ebbe una figliuola la quale fu dal marito per buona e bella accettata. Avvenne che al marito bisognò far certi fornimenti di spada ad un gentiluomo franzese, che in Mantova aspettava che si fornissero, onde dopo cena, essendo di state, disse a la moglie: – Margherita, mi convien andarmene a bottega e lavorar tutta notte per espedir questo monsignor francese il quale mi paga molto bene e vorrebbe dimane partirsi; il perché io questa notte altrimenti non verrò a casa. – E cosí subito se ne tornò a bottega a far suoi lavori. La Margarita per non perder quella comoditá, avendo udito piú volte dire che tutte le lasciate son perdute e che tempo perduto mai non si racquista, deliberò quella notte farsi venir l’amante, onde perché egli passava tutto il dí per la contrada, ella gli diede quella sera il consueto segno. L’amante lieto di cotal ventura, essendo passati molti giorni che con lei non s’era potuto trovare, accettò l’invito piú che volentieri e a l’ora terminata si ritrovò con esso lei a giacersi. Lavorava il marito e s’affrettava con suoi ferri di ridur a perfezione l’opera che faceva, e tuttavia era dai fieri morsi e velenose punture de la traditora gelosia morso e trafitto. Piú e piú volte interruppe l’opera per andar a casa a veder la moglie, ed altre tante ripigliò i ferri e lavorava. A la fine non potendo piú contenersi, diposto ogni lavoro, poco dopo la mezza notte in fretta a casa ritornò, e picchiato a la porta e la fante per nome chiamata, gli fu da lei aperto, ché nulla degli amori de la Margarita sapeva. I dui amanti stracchi per le corse poste, avendo legato l’asino a buona caviglia, sicuramente dormivano. Il marito entrato in casa, ripose la spada, che a lato aveva, ne la stanza terrena, e di lungo salendo la scala montò di sopra e se n’andò a la camera ove gli amanti erano. Ardeva in un dei cantoni de la camera una lucerna. Accostatosi al letto, il marito vide la moglie, che sola trovar credeva, assai meglio accompagnata che egli voluto non averebbe; e dolente fuor di misura, di sdegno, di gelosia e di mal talento pieno, si disperava di non aver disopra recata seco la spada, e tanto gonfio di còlera che non vide l’arme de l’amante che al capo del letto era, se ne tornò indietro e scese la scala per pigliar l’arme ed uccider la moglie e il giovine senza veruna compassione. Nel discender giú borbottando e bestemmiando fece romore. Destatasi Margarita, conobbe la voce del marito, e saltando su svegliò il suo amante dicendo: – Oimè, oimè, su, su, signor mio, ché siamo morti, perché mio marito è venuto. – L’amante ciò sentendo a l’arme sua diede di mano per diffendersi; ma la spaventata Margarita non volle che s’aspettasse il marito, e spento quel lume che in camera era, con l’amante animosamente giú da una finestra saltò ne la strada e insieme con lui via se n’andò senza aversi fatto male. L’adirato marito nulla del fuggir degli amanti avendo sentito, tornato di sopra ed in camera entrato, come vide la lucerna ammorzata – Ahi malvagia femina, – gridando disse, – io t’ho pur còlta, e non ti varrá l’aver spento il lume. – Il dire, e il dare de l’arme a traverso il letto fu tutto uno. E quivi furiosamente di man dritti, riversi, fendenti e stoccate giocando, sfogava l’accesa còlera. Era nel detto letto in un lato la figliuolina de la Margarita corcata che poteva aver circa diciotto mesi; e menando il marito coltellate da orbo, avvenne che in un tratto d’una coltellata egli, non gli sovvenendo de la bambina, le tagliò via di netto tutte due le gambe. La povera creatura gemendo miserabilmente se ne morí. Del che avvedutosi lo sfortunato spadaro e brancolando per il letto né vi trovando persona se non il corpicino monco de la sventurata bambina, dolente oltra misura e disperato di cosí pietoso caso, fece a la fanticella che al romore era corsa accender il lume. Il misero non sapendo che farsi e dubitando che se in mano de la giustizia andava non gli fosse mózzo il capo, raccomandata la casa a la fante, se n’andò al monistero dei frati o siano monaci di Gradara. Il dí poi divolgatasi la cosa per Mantova, empí la cittá di compassione e diede assai che dir al volgo. Fu la smembrata creatura quel dí medesimo seppellita. Il signor gonzaghesco celatamente tenne la sua amante molto tempo in certa abitazione e con lei perseverava a darsi buon tempo. A la fine con buon mezzi tanto si fece che al marito fu perdonato, e con questo egli anco perdonò a la moglie e per buona e bella la ripigliò.