Novella del Grasso legnaiuolo (red. Manetti)

Novelle

letteratura Novella del Grasso legnaiuolo (red. Manetti) Intestazione 12 gennaio 2014 50%

1 La città di Firenze ha avuto uomini molto sollazzevoli e piacenti ne’ tempi adietro, e massime l’età passata, nella quale acadde nello anno 1409 che, così come per lo adietro erano usati, ritrovandosi una domenica sera a cena insieme certa brigata e compagnia di più uomini da bene, così di regimento come maestri d’alcune arti miste e d’ingegno, quali sono dipintori, orefici, scultori e legnaiuoli e simili artefici, in casa di Tomaso Pecori, uomo molto da bene e solazzevole e d’intelletto, apresso del quale egli erano perché di loro pigliava piacere grandissimo, e avendo cenato lietamente, e sedendosi al fuoco, perché era di verno, quando in disparte e quando tutti insieme quivi di varie e piacevoli cose ragionando, conferivano intra loro la maggiore parte de l’arte e professione sua. E mentre che confabulavano insieme, disse uno di loro: «Che vuol dire che questa sera non ci è stato Manetto legnaiuolo?» (ché così aveva nome uno, che era chiamato el Grasso); e nel rispondere, si mostrò che alcuno di loro gliene avessi detto e non ve lo avessi potuto condurre, che se ne fussi stata la cagione. Questo legnaiuolo faceva la bottega in su la piazza di San Giovanni, e era in quel tempo di quella arte nel numero de’ buoni maestri di Firenze; e infra l’altre cose egli aveva fama di fare molto bene e colmi e le tavole d’altari e simile cose, che non era per allora atto ogni legnaiuolo; ed era piacevolissima persona, come sono la maggiore parte de’ grassi, e invero più presto aveva un poco del semprice che no; d’età di anni circa ventotto, grande di persona e compresso; onde nasceva che generalmente da ogni uomo egli era chiamato el Grasso. Ma non era però in tanto semplice, che da altri che da sottili uomini fusse stata compresa la sua semplicità, come quella che non teneva in tutto dello sciocco. E perch’egli era sempre usato di trovarsi con questa brigata, non v’essendo la sera, diè loro materia di fantasticare la cagione della sua assenza; e non potendo altrimenti trovarla, conchiusono che altro che qualche sua bizzarria, di che anche e’ sentiva qualche pochetto, non l’avea ritenuto. Il che tenendosi da lui un poco scornati, perché generalmente erano quasi tutti di migliore qualità e condizione di lui, e fantasticando piacevolemente come di questa ingiuria vendicare si potessono, disse quello che aveva prima mosso le parole: «E’ se g[...] qualche giarda e farnelo più savio per un’altra volta». A che [...]: «Che si gli potrebbe fare, se non si gli facessi con qualche trappola [...] una cena, e lui non vi si trovassi?». Era fra costoro Filippo di ser Brunellesco, uomo di maraviglioso ingegno ed intelletto, come ancora è noto alla maggiore parte degli uomini. Costui adunque, che in quel tempo era d’età d’anni trentadue in circa e che, per lo essere molto uso col Grasso, l’aveva carattato a [...], qualche volta cautamente ne pigliava piacere; poi che alquanto fu stato sopra di sé, disse: «E’ mi darebbe el cuore che noi gli faremo una piacevole natta, in luogo di vendetta del non ci essere venuto questa sera, di condizione che noi n’aremo ancora di grandi piaceri e di gran sollazzi: se voi me ne credessi, e’ mi darebbe el cuore. Modo ho pensato che noi gli faremo credere che fusse diventato un altro, e che non fussi più el Grasso legnaiuolo», con uno certo ghigno, ch’egli aveva per natura, e per la fidanza di sé. E ancora che la brigata conoscessi Filippo di grande ingegno, perché a ciò che si dava ed in ciò che si travagliava appariva così, e però, avengaché non fussino tutti ignoranti affatto della semplicità del Grasso, quello ch’e’ diceva pareva a tutti impossibile el farlo; a’ quali Filippo assegnate sue ragioni ed argumenti cauti e sottili, come colui che era a quelli molto atto, con non molte parole gli fece capaci questo potersi fare. E rimasi insieme d’acordo del modo ch’egli avessono a tenere che la cosa andassi segreta, conchiusono così sollazzevolemente che la vendetta si facessi e che se gli dessi a credere che fussi diventato uno ch’aveva nome Matteo, noto di qualche parte di loro e del Grasso non meno, ma non però di quegli intrinsichi che si ritrovavano a mangiare insieme; e colle maggiori risa del mondo feciono questa concrusione alcuni di loro, recatosi così un poco da canto: che quante più presto, meglio. 2 El prencipio di questa storia sollazzevole non si indugiò, anzi fu la seguente sera in questa forma. Filippo, come quello che era molto familiare di costui e sapeva ogni cosa non altrimenti che si sapessi lui medesimo, perché tutto gli conferiva bonariamente (ché altrimenti non n’arebbe potuto fare quello che lui intendeva), in su l’ora che è d’usanza di serrare le botteghe di simili esercizii per lavorare drento con lume, se n’andò alla bottega del Grasso, ché mille altre volte vera stato a quell’ora; e quivi ragionando con lui un pezzo, giunse, com’era ordinato, uno fanciullo molto affannato, e doma[...] Filippo di ser Brunellesco?». A cui Filippo, fattosi innanzi, disse [...] cercando?». Rispuose el fanciullo: «Se voi siate desso voi, e’ vi con[...]ste insino a casa vostra». Disse Filippo: «Dio m’aiuti! che novelle?». Rispuose [...]llo : «Io sono mandato a voi correndo, e la cagione è che da due ore in qua egli è venuto un grande accidente a vostra madre ed [è] quasi che morta; sicché venitene tosto». Filippo, fatto vista di maravigliarsi assai di questo caso, di nuovo raccomandandosene a Dio, prese licenza dal Grasso; ma lui, come ad amico, disse: «I’ vo’ venire con teco, se bisognassi fare più una cosa che un’altra. Questi sono casi che non si vuole rispiarmare persona. Io vo’ serrare la bottega e vèngone». Filippo, ringraziatolo, disse: «Io non vo’ che per ora tu venga; e’ non de’ potere essere di molta importanza questo caso per certo; ma, se niente bisognerà, i’ te lo manderò a dire. Soprasta’ un poco in mio servigio in bottega, e non ti partire per caso nessuno, se bisognassi; e non ti mandando a dire altro poi, va’ pe’ fatti tua». E partito Filippo, avendo fermo el Grasso a bottega, e facendo sembianti d’andare a casa sua, e da[ta] una volta se n’andò a casa el Grasso, che era quivi vicina da Santa Maria del Fiore; e aperto l’uscio con uno coltello, come colui che sapeva el modo, entrò in casa, e serrossi drento col chiavistello per modo che persona non vi potessi entrare. Aveva el Grasso madre, ma ella era ita in villa di que’ di in Polverosa a fare bucato ed a fare insalare carne e per altre faccende, come occorre, e di dì in dì doveva tornare, secondo che ’l Grasso stimava; ed era la cagione perché lasciava l’uscio così, e Filippo el sapeva. 3 Soprastato el Grasso alquanto a bottega e dipoi serrato quella, per satisfare più compiutamente alla promessa di Filippo andò più volte di giù in su intorno a bottega e dopo le molte, dicendo: «Le cose di Filippo non debbono andare male, e’ non arà bisogno di me», e con queste parole s’aviò verso casa sua; e giunto a l’uscio, el quale saliva due scaglioni, volle aprire com’egli era usato di fare; e più volte provandosi e non potendo, s’avide che l’uscio era serrato drento. Il perché, picchiato forte, disse: «Chi è su? apritemi», avisandosi che la madre fussi tornata e serrato l’uscio drento per qualche rispetto, o che la non se ne fussi aveduta. Filippo, fattosi in capo di scala, contrafacendo la boce del Grasso che pareva tutto lui, disse: «Chi è giù?». El Grasso, benché gli paressi più tosto la voce d’altri che quella della madre, disse: «Io sono el Grasso». Di che Filippo finse che chi parlassi fussi quello Matteo che volevano dare a ’ntendere al Grasso che fussi diventato, e disse: «Deh, Matteo, vatti con Dio, ch’i’ ho briga un mondo: dianzi essendo Filippo di ser Brunellesco a bottega mia, gli fu venuto a dire come la madre da poche ore in qua stava in caso di morte; il perché io ho la mala sera». E rivoltosi indietro, finse di dire alla madre: «Fate ch’io ceni; egli è due dì che [...]rnare , e tornate anche di notte», e seguitò parecchi parole [...]ndo el Grasso colui che era in casa così rimbrottare la madre [...] non solamente la sua boce, ma tutt’i suoi atti e modi, disse fra [...]ole dire questo? e’ mi pare che costui che è su sia me, a dire che Filippo era alla bottega sua e come gli fu venuto a dire che la madre stava male; e oltre a ciò grida con monna Giovanna e ha tutta la voce mia: sarei io mai smemorato?». E sceso e due scaglioni e tiratosi indietro per chiamare dalle finestre, vi sopragiunse, come era ordinato, Donatello intagliatore, che fu della qualità che a ciascuno è noto, che era della brigata della cena ed amico del Grasso; e giunto a lui, così al barlume, disse: «Buona sera, Matteo, cerchi tu el Grasso? poco è che se ne andò in casa». E non si fermò, ma tirò pe’ fatti sua. El Grasso, udito questo, se s’era maravigliato, ora si maravigliò più che mai, udendo che Donato lo chiamava Matteo. E rimasto così stupefatto e come smemorato, che ’l sì e ’l no nel capo gli tenciona, si tirò in su la piazza di San Giovanni, dicendo infra sé: «Io starò tanto qui che ci passerà qualcuno che mi conoscerà e dirà chi io sia»; seguitando: «Ohimmè! sarei io mai Calandrino, ch’io sia sì tosto diventato un altro sanza essermene aveduto?». E così stando mezzo fuori di sé, vi giunse, com’era ordinato, sei famigli di quegli dello uficiale della Mercatantìa ed uno messo, e fra loro era uno ch’egli avevano finto che fussi creditore di quello Matteo che ’l Grasso si cominciava quasi a dare a ’ntendere d’essere; e accostatosi al Grasso, si volse al messo ed a’ fanti, e disse: «Menàtene qui Matteo; questo è el mio debitore. Vedi ch’io t’ho tanto codiato, ch’io t’ho colto». E famigli e ’l messo lo presono e cominciorono a menarnelo via. El Grasso rivoltosi a costui che ’l faceva pigliare e pontato e piè innanzi, gli dice: «Che i’ ho a fare teco, che tu mi fai pigliare? di’ che mi lascino; tu m’hai colto in iscambio, ch’i’ non sono chi tu credi, e fai una gran villania a farmi questa vergogna, non avendo a fare nulla teco: io sono el Grasso legnaiuolo, e non sono Matteo, e non so che Matteo tu ti dica». E volle cominciare a dare loro, come quello che era grande e di buona forza; ma e’ gli presono di subito le braccia e ’l creditore fattosi innanzi lo guatò molto bene in viso, e disse: «Come nonn hai a fare nulla meco? Sì ch’io non conosco Matteo mio debitore e chi è el Grasso legnaiuolo! io t’ho scritto in su•libro: e ècci meglio, ch’io n’ho la sentenza uno anno fa o più: come non hai a fare nulla meco? e dice anche che non è Matteo, el ribaldo! menatenelo via: questa volta ti converrà pagare, innanzi che tu te ne sbrighi: vedréno là se tu sarai desso o no». E così bisticciandosi insieme, lo condussono alla Mercatantìa; e perch’egli era circa mezz’ora innanzi a l’otta de la cena ed assai buio, per la via né là mai trovarono persona che gli conoscessi. 4 Giunti quivi, el notaio finse di scrivere el nome di Matteo al bastardello (che di tutto era informato da Tomaso Pecori, di cui egli era molto dimestico) e misselo ne la prigione. Gli altri prigioni che v’erano, avendo udito lo strepido quand’e’ giunse e nominarlo più volte Matteo, come fu tra loro, sanza dimandarlo altrimenti, come così avessi nome lo ricevettono, non v’essendo per aventura alcuno che ’l conoscessi se non per veduta; e udendosi e vedendo chiamare Matteo da tutti coloro a quello che occorreva, tutto invasato quasi per certo gli parve essere un altro. E essendo domandato perché egli era preso, disse: «I’ ho a dare a uno parecchi danari, e sono qui; ma io mi spaccerò domattina di buon’ora», carico tutto di confusione. E prigioni dissono: «Tu vedi, noi siàno per cenare, cena con esso noi e poi domattina ti spaccerai; ma bene t’avisiàno che qui si sta sempre qualche tempo più che altri non si crede. Dio ti dia grazia che così none intervenga a te». El Grasso acettò lo ’nvito e poco cenò; e cenato ch’egli ebbono, uno di loro gli prestò una prodicella d’un suo canile, dicendo: «Matteo, statti qui el meglio che tu puoi per stanotte, e poi domattina, se tu n’uscirai, bene fia, e se non, manderai per qualche panno a casa tua». El Grasso lo ringraziò ed acconciossi per dormire el meglio che poté. 5 Come ’l garzone che era stato nel luogo del creditore ebbe aconcio quello che gli parve el bisogno alla Mercatantìa, Filippo di ser Brunellesco s’acozzò con lui e da lui ebbe ogni particulare e della presura e del condurlo in prigione, e andò via. El Grasso, coricatosi in quella proda ed entrato in questo pensiero, diceva da sé a sé: «Che debb’io fare s’io sono diventato Matteo? ché mi pare essere certo oramai che così sia per tanti segni quant’io ho veduti ed accordandosene ognuno unitamente. Ma quale Matteo è questo? Ma s’egli aviene ch’io mandi a casa a mia madre, e ’l Grasso sia in casa, ché ve lo senti’, poiché così è, e’ si faranno beffe di me». E in su questi pensieri, affermando ora d’essere Matteo ed ora d’essere ’l Grasso, stette insino alla mattina che quasi mai dormì, ma sempre in albagìe che lo tormentavano per tutti e versi. E levatosi come gli altri, standosi alla finestrella de l’uscio della prigione, avisandosi per certo quivi dovere capitare qualcuno che lo conoscessi per uscire de’ dubbi in che egli era entrato quella notte, entrò nella Mercatantìa Giovanni di messer Francesco Rucellai, el quale era della loro compagnia e stato alla cena ed alla piacevole congiura, ed era molto noto del Grasso e facevagli in quel tempo uno colmo per una Nostra Donna, e pure el dì dinanzi era stato con lui un buon pezzo a bottega a sollecitarlo ed avevagli promesso dargliele ivi a quattro dì. Costui, giunto alla Mercatantìa, misse così el capo drento a l’uscio dove rispondeva la finestra de’ prigioni, che era in que’ tempi in terreno, alla quale el Grasso era; e veduto Giovanni, cominciollo a guardare in viso e ghignò; e Giovanni, come se cercassi di chichessia, guardò lui come se mai non l’avessi veduto, perché Matteo non era suo noto, o e’ ne fece le vista, e disse: «Di che ridi, compagno?». El Grasso disse: «Non d’altro, no»; e veduto che non lo raffigurava, lo domandò: «Uomo da bene, conosceresti voi uno che ha nome el Grasso, che sta in su la piazza di San Giovanni, colà di dietro, che fa le tarsie?» «Di’ tu a me?» disse Giovanni, seguitando: «Come! lo conosco sì bene. Oh! egli è tutto mio, e testé voglio andare insino a lui per un poco di lavorìo che mi fa; se’ tu preso a sua stanza?». Disse el Grasso: «Non, santa Maria», poi seguitò: «Perdonatemi, però io vi richiederò a sicurtà: deh fatemi un piacere: poiché per altro avete a ire a lui, deh ditegli: «Egli è preso alla Mercatantìa uno tuo amico e dice che in servigio tu gli faccia un poco motto»». Dice Giovanni, guardandolo in viso continovamente, tenendo con fatica le risa: «Chi se’ tu, ch’io ho a dire che mandi per lui?» acciò che confessassi essere Matteo, per dargliene poi qualche volta noia. Disse el Grasso: «Non vi curate, e’ basta dirgli così». Disse allora Giovanni: «Io lo farò volentieri, se basta». E partissi; e trovato Filippo lo raguagliò, ridendo, d’ogni cosa. Rimasto el Grasso alla finestra della prigione, infra sé medesimo diceva: «Oggimai poss’io essere certo ch’io non sono più el Grasso. Oh! Giovanni Rucellai non mi levò mai occhio da dosso, e non mi conosce, che è a ogni ora in bottega, e non è però smemorato! Io non sono più el Grasso di certo e sono diventato Matteo; che maladetta sia la mia fortuna e la mia disgrazia! ché se si scuopre questo fatto, io sono vituperato e sarò tenuto pazzo e correrannomi dietro e fanciulli e còrroci mille pericoli oltre a questo. Che ho io a fare de’ debiti d’un altro, io, e delle zacchere, che sempre me ne sono guardato, e di mille altri errori da poterne essere pericolato? Poi questo non si può conferire, di questo non si può pigliare consiglio, e Dio il sa s’io n’arei di bisogno! Sicché in ogni modo io sto male. Ma veggiamo se ’l Grasso venissi, e venendo, intenderò forse quello che questo vuole dire; sarebbe mai lui diventato me?». E aspettato un gran pezzo che costui venisse con questa fantasia, non venendo, si tirò adietro per dare luogo a un altro, guardando lo amattonato e quando el palco, con le dita delle mani commesse. 6 Era in que’ dì nella detta prigione sostenuto per debito uno giudice, assai valente uomo e non meno per fama d’altra litteratura che di leggi notissimo, el nome del quale è bene tacerci. Costui, posto che non conoscessi el Grasso e nessuna notizia avesse di lui, veggendolo sì malinconoso e con questi atti e credendo che fussi per rispetto del debito così nello animo gravato, come quello che aveva ordinato el caso suo e non gli dava più noia, e dovevane uscire di presente, s’ingegnò di confortarlo per carità come si fa qualche volta, dicendo: «Do! Matteo, tu stai sì malinconoso, che se tu fussi per perdere la persona o in pericolo di qualche gran vergogna basterebbe; e secondo che tu di’, questo è uno piccolo debito. E’ non si vuole nelle fortune così abandonare. Perché non mandi tu per qualche amico o parente? non hai tu persona? E cerca di pagare o d’acordartin qualche modo, che tu esca di prigione, e non ti dare tanta maninconia». Veggendosi el Grasso confortare tanto amorevolemente e con così buone parole, non disse a lui, come arebbe forse fatto un altro: «Come non cercate voi anche el fatto vostro?», ma diliberò più saviamente però, conoscendolo per uno uomo da bene, e fece pensiero di parlargli con ogni riverenza, ancora che fussi quivi, e aprirgli el caso suo intervenutogli interamente. E tiratolo così da uno canto della prigione, gli disse: «Messere, posto che voi non conosciate me, io conosco bene voi e so che voi siate valente uomo; il perché la umanità vostra usatami mi dà cagione ch’i’ ho dilibero di dirvi quella cosa che mi tiene così malinconoso, ch’io non voglio che voi crediate, né voi né persona, che per uno piccolo debito, ancora ch’io sia povero artefice, io stessi con tanta pena; ma altro ci è in vero che mi prieme, e forse cosa che non avenne mai più a persona del mondo». El dottore non si maravigliò poco udendogli dire queste parole; e stavalo a udire con grande attenzione. 7 El Grasso si cominciò da capo, ed insino alla fine gli disse quello che gli era intervenuto, con fatica celando le lagrime, pregandolo strettamente di due cose: l’una, che mai con persona di questo non parlassi per l’onore suo; altra, che gli dessi qualche consiglio e rimedio, agiugnendovi: «Ché so che avete lungamente lette di molte cose e storie d’antichi e di moderni e di uomini che hanno scritto molti avenimenti; trovasti voi mai simile caso?». El valente uomo, udito costui, subito considerato el fatto, immaginò delle due cose dovere essere l’una: cioè, o che costui fussi uscito del manico per qualche umore malinconico superchio, o per questo caso presente, come uomo di poco animo, o per qualche altro; o veramente che la fussi una beffe, com’ella era. E per intenderlo meglio, a questo rispuose averne di molti letto, cioè d’essere diventato d’uno un altro, e che quello nonn era caso nuovo; sanza che ci era peggio, che c’era di quelli che erano diventati animali bruti, come fu Apuleio che diventò asino, ed Ateon che diventò cervio: «E di molti altri si legge, ch’io non ho testé nella mente»; come colui che fe’ pensiero di trarsi un poco di mattana. A cui el Grasso disse: «Oh! questo non arei io mai creduto», e quella fede vi dava che si dà a ogni cosa vera. Poi soggiunse: «Ora ditemi, se io che era el Grasso sono diventato Matteo, di lui che ne debbe essere?». A cui el dottore rispuose: «È necessario ch’e’ sia diventato el Grasso; questo è caso scambievole, e così suole intervenire, per quello che si legge e per quello ch’io abbi veduto insino a qui, che pure è stato qualche volta; ed altrimenti non può essere». «Ben lo vorrei un poco vedere costui; questo è bene un caso da ridersene, a cui e’ non toccassi!» disse el Grasso. «Egli è così» seguitò el giudice, «gran disgrazie sono: Idio ne guardi ogni uomo; tutti siàno sotto questo bastone. Io ebbi già uno mio lavoratore a cui intervenne questo caso medesimo». El Grasso sospirava molto forte, e non sapeva più che si dire, poiché così era. El giudice agiunse: «El simile si legge de’ compagni di Ulisse ed altri trasmutati da Circe. È il vero, per quello che io oda ed anche abbi letto, s’io mi ricordo bene, che qualcuno n’e già ritornato, ma rade volte adiviene, se ’l caso invecchia punto», per metterlo in più viluppi; donde el Grasso stupiva. 8 E stando in questi termini egli era circa a nona che non aveva ancora mangiato, quande due fratelli di questo Matteo vennono alla Mercatantìa, e domandarono el notaio della cassa se quivi fussi preso uno loro fratello ch’aveva nome Matteo e per quanto e’ v’era, perché volevano trarlo di prigione. El notaio della cassa disse di sì, e facendo vista di cercarlo in su•libro, dopo alcuno volgere di carte disse: «E’ ci è per tanto a pitizione del tale». «Troppi sono» disse uno di loro; poi dissono: «Noi gli vorrémo un poco parlare e poi daréno ordine a pagare per lui». E andati alla prigione, dissono a uno che era alla graticola: «Di’ costà a Matteo che sono qui due sua fratelli, che si faccia un poco costì»; e nel guardare in là troppo bene e’ vi conobbono questo dottore a caso che parlava col Grasso. Fattogli la ’mbasciata, el Grasso dimandò el dottore quello che avenne poi del suo lavoratore; e dicendogli che non ritornò mai, el Grasso, raddoppiato di pensieri, venne alla grata e salutògli; a cui el maggiore di que’ fratelli cominciò a dire: «Pure sono delle tue usate, Matteo», sempre guardandolo in viso. «Tu sai quante volte noi t’abbiàno di questi tuoi cattivi modi amunito e quante volte noi t’abbiàno cavato di questa prigione e de l’altre, e non giova el dirti nulla, ché sempre fai peggio. Come noi siàno agiati al farlo, Dio lo sa meglio che persona; ché hai consumato da uno pezzo in qua un tesoro. Ed in che videsene mai nulla di bene di cosa che tu spendessi? anzi te gli hai gittati via e bubbolati; sanza che a giuoco ognuno si fa beffe di te: che non ti sono mezzi rubati? E noi ne patiàno le pene, ed anche è la vergogna tutta nostra, ché tu non la temi punto; anzi pare che tu faccia ogni cosa per vituperare el compagno, e parti avere giustificato la causa, quande tu hai detto: «Tu m’hai colto in iscambio». Se’ tu un bambino? tu se’ pure oramai fuori di fanciullo. Ma sia certo di questo, che se non fusse per lo onore nostro e per gli stimoli di nostra madre, di che e’ ci duole più che di te, che è vecchia e cagionevole a quel modo, questa era quella volta, tante ce n’hai fatte, che noi v’arémo lasciato pensare a te; e protestianti questa volta per sempre, che se tu c’incappi mai più, vadine che vuole, tu ci starai un buon pezzo più che tu non vorrai. E bàstiti questo per questa volta». E stato un poco sopra sé sanza dire nulla, seguitò: «E per nonn essere ognindì veduto fare queste novelle, noi verréno per te stasera colà in su l’avemaria, quand’e’ ci sarà meno gente, ché ognuno non abbi a sapere le nostre miserie e non abbiàno tanta vergogna pe’ fatti tua». El Grasso si voltò loro con buone parole, parendogli oramai sanza nessuno dubbio essere Matteo, da che costoro sborsavano, ed amenduni continovamente l’avevano guardato in viso, e non v’era buio; dicendo loro che per certo mai più arebbono briga de’ fatti sua e che non terrebbe più e modi ch’egli aveva fatto insino a quivi, e che se mai più e’ cadeva in simili errori, e’ si facessono beffe di lui e della madre e d’ogni mezzo ch’egli adoprassi; risolvendosi in tutto oramai essere Matteo, pregandogli per Dio che, come fussi l’ora, che venissono per lui; e loro dissono di farlo, e partironsi. E lui si tornò a dietro e disse a quel dottore, tirandolo da sé a lui: «Ella ci è più bella, però che sono venuti qua a me due fratelli di Matteo, di questo Matteo in cui scambio io ci sono, come ho io a dire?» e guardava in viso el giudice, «e hannomi parlato a faccia a faccia amenduni ed a lume, come voi potesti vedere, né altrimenti che se io fussi Matteo; e dopo una lunga amunizione m’hanno detto che alla avemaria verranno per me e trarrànomi di prigione», sogiugnendo: «Da quinci indietro mai non l’arei creduto; ma io sono ora chiaro di quello che voi mi dite». Poi disse: «Sicché quel vostro lavoratore non ritornò mai quel primo?». «Non mai, el poveretto» disse el giudice. El Grasso lasciò andare un gran sospiro, poi soggiunse e disse: «Ecco che mi traggano di qui: dove andrò io e dove tornerò? a casa mia non sarebbe da tornare. Ma quale è la casa mia? questo è el bello. Intendetemi voi» e guardava el giudice; «imperò che, se v’èe el Grasso, che v’è di certo, ché l’ho udito con questi orecchi, che dirò io che io non sia tenuto pazzo e uccellato? Oh ben sapete: io andrò in casa come mia, el Grasso vi sarà per aventura, e dirà: «È costui impazzato?». E se non v’è e e’ torni poi e truòvimivi, come andrà questo fatto? chi ha a rimanere quivi, chi se n’ha a andare?». E soggiugneva: «Ben sapete: o s’io non vi fussi stato, non m’arebbe mia madre fatto cercare e trovatomi s’io fussi stato nelle stelle? Ma veggendoselo innanzi, non l’è noto questo caso». El giudice con gran fatica teneva le risa ed aveva uno piacere inistimabile, e disse: «Non v’andare, ma vattene con questi che dicono essere tua fratelli, e vedi dove ti menano e quello che fanno di te. Che puo’ tu perdere di questo? innanzi la mano e’ pagano pure per te». «Egli è el vero» disse el Grasso; e ’l giudice seguitò: «Ed uscirai di prigione, e avendoti per fratello sanza dubbio, chissà, forse che ara’ tu migliorato; e’ sono forse più ricchi di te». 9 E stando in questi ragionamenti, cominciandosi a fare sera, al giudice pareva mille anni di spiccarsi da lui pe•ridere, e non poteva più in nessuno modo. Quelli che si facevano fratelli del Grasso s’erano stati quivi nella Mercatantìa sempre ridendo, aspettando che fussi tempo, ed avevano veduto spacciare la causa di quello giudice e vìdonelo uscire così onestamente, che non parve se none come se venisse da parlare al giudice, come fanno alle volte per qualche crientolo nelle cause, e vìdollo andare via. E loro dipoi fattisi innanzi, riposto che fu el notaio a sedere e fatto vista d’avere acordato el creditore e la cassa, el notaio si levò di nuovo da sedere colle chiavi della prigione, e andatone là, disse: «Quale è Matteo?». El Grasso, fattosi innanzi, disse: «Eccomi, messere», non facendo più dubio nessuno d’essere diventato Matteo. El notaio el guatò e disse: «Questi tuoi fratelli hanno pagato per te el tuo debito e tutto, sicché tu se’ libero», e aperto l’uscio della prigione, disse: «Va qua». El Grasso, uscito fuori, essendo già molto bene buio, gli parve un bello fatto d’essere fuori di prigione sanza aversi mai cavato danaio di mano. E perché quel dì egli era stato sanza mangiare, fe’ pensiero d’andarsene a casa, come fussi fuori de l’uscio; poi, ricordandosi che v’aveva sentito el Grasso la sera dinanzi, si mutò e fe’ pensiero di seguire el consiglio del giudice, e aviossi con costoro, e quali stavano a casa da Santa Filicita, al cominciare della Costa. E mentre che n’andavano insieme, così dolcemente, non con quella rigidezza che feciono alla prigione, e’ l’andavano riprendendo per la via e raguagliavallo del dispiacere che n’aveva preso la madre e ricordava[n]gli le promesse fatte loro altra volta di non tenere più questi modi. E domandandolo da che egli era venuto che diceva essere el Grasso s’egli era che gli paressi essere così, o s’egli era acciò che credessono averlo colto in iscambio e lasciassollo, el Grasso non sapeva che si rispondere, e stava sopra di sé, e cominciavasi a pentere d’essere ito con loro. Duro gli pareva confessare essere Matteo; e da l’altra parte, dicendo «S’io dico di nuovo essere el Grasso, forse che non mi vorranno eglino, e arommi perduto la casa loro e la mia», e’ prometteva loro non tenere più simili modi, e a quella parte d’avere loro detto d’essere el Grasso non rispondeva, ma metteva tempo in mezzo. E in questi termini giunsono a casa; e giunti quivi, se n’andarono con costui in una camera terrena, dicendogli: «Statti qui tanto che sia ora di cena», come non volendolo apresentare alla madre per non le dare malinconia. Ed essendo quivi el fuoco e una tavoletta aparecchiata, l’uno di loro rimase al fuoco con lui, l’altro se n’andò al prete di Santa Filicita, che era loro parrochiano, ed era una buona persona, e disse: «Io vengo a voi con fidanza, come debbe andare prima l’uno vicino a l’altro, ed anche perché voi siate mio e nostro padre spirituale. Noi siamo tre fratelli (perché voi abbiate notizia meglio d’ogni cosa, e possiatevi meglio adoperare) qui assai vostri vicini, come voi avete forse notizia». «Sì» disse el prete, che gli conosceva velcirca. E colui seguitò. «Ed èvene uno fra noi che ha nome Matteo, el quale ieri fu preso per sua debiti alla Mercatantìa; e perché questa non è la prima volta che noi ne lo abbiàno cavato, e’ se n’ha data tanta maninconia, che ci pare che sia uscito mezzo di sé, e parci come una cosa invasata intorno a questo caso, benché in tutte l’altre cose invero egli è quel Matteo che si suole o quasi. Ed in quello che manca è che s’ha dato a intendere d’essere diventato uno altro uomo che Matteo. Mai udisti la più fantastica cosa! E’ dice pure essere un certo Grasso legnaiuolo, suo noto però, che sta a bottega dietro a San Giovanni ed a casa lungo Santa Maria del Fiore; e con lui s’è tentato più modi di trargliele del capo, e mai c’è suto rimedio. Il perché noi l’abbiàno tratto di prigione e ridottolo a casa e messolo in una camera, acciò che fuori non sieno intese queste sue pazzie; ché sapete che chi una volta comincia a dare di questi segni, tornando poi nel migliore sentimento del mondo, sempre è uccellato. Ed anche, se nostra madre se n’avedessi prima che ritornassi, e’ potrebbe essere cagione di qualche inconveniente, che ne so io? le donne sono di poco animo ed ella è cagionevole e vecchia. E pertanto, conchiudendo, noi vi preghiamo in carità che voi vegnate insino a casa (noi v’abbiàno per valente uomo e sappiamo che voi siate buona persona, e faresti coscienza di scoprire simile vergogna; e per questo non n’abbiàno voluto adoprare altri), e che voi v’ingegniate trargli questa fantasia del capo, e resterenvene sempre obrigati, e apresso di Dio sarà di qualche merito; sanza che, voi ne siete anche tenuto rispetto alla salute sua, ché è delle pecorelle vostre, ed avetene a rendere conto: che se si gli fussi vòlto el cervello, essendo in peccato mortale, morendo sanza ritornare, e’ sarebbe forse dannato». El prete rispuose ch’egli era el vero e ch’egli era suo obrigo, e non solamente lo voleva fare, ma durarne ogni fatica. E questo è el vero, che, oltre a l’obrigo, egli era anche di natura servente. E poi, stato un pezzo sospeso, disse: «E’ potrebbe essere di qualità che la fatica non si perderebbe: acozzatemi con lui»; agiugnendovi: «Se non si porta pericolo». «Non, santa Maria» disse colui. «Oh! io v’intendo, voi volete dire, voi, se fussi infuriato». «Oh ben sai» disse el prete, «quegli a cotesto modo, non che ’l prete, e’ non riguarderebbono el padre, perché pare loro un’altra cosa che quello che è». «Messere lo prete, io v’intendo» disse colui, «e avete ragione di domandarne; ma costui, com’io vi dico, è una cosa invasata più tosto che infuriata, e da questo in fuori non v’avedresti voi né persona quasi di sua errori; ed invero, se fussi infuriato, noi ne sarémo fuori d’ogni speranza e non ne userémo questa diligenza, perché radi o nessuno ne ritornano. Costui si può più tosto dire che abbi smarrito un poco la via, che perduta in tutto; e vorrémo che la madre non ne sapessi nulla; e perché noi speriamo bene, però facciàno così». «Se così è, io lo vo’ vedere» rispuose el prete, «e metterci ogni diligenza; ché invero in cotesto grado egli è debito d’ognuno; e conosco che v’è el pericolo di vostra madre, come voi dite, e vuolsi che la non n’abbia cotesto dispiacere, se si può». Il perché costui lo menò alla casa ed alla camera dov’egli era. 10 Quando ’l Grasso lo vide, che si sedeva con questi suoi pensieri, e’ si levò ritto, veduto l’abito del prete; e el prete disse: «Buona sera, Matteo». E ’l Grasso rispuose: «Buona sera e buono anno». «Or così mi di’« disse el prete, che gliel pareva già avere guarito: poi lo prese per la mano, e disse: «Matteo, i’ sono venuto per istarmi un poco teco». E puosesi a sedere al fuoco e tirosselo con la mano così allato in su ’n una seggioletta; e veduto che non faceva dimostrazione della pertinacia d’essere el Grasso come gli era suto detto, cominciò a pigliare qualche speranza di bene, facendo cenni a chi ve lo aveva condotto ch’e segni nonn erano insino a quivi se non buoni, ed accennollo che si rimanessi di fuori; e così fece. Poi mosse el prete le parole in questa forma: «E’ ti debbe essere noto, Matteo, com’io sono el tuo prete della parrochia e ’l tuo padre spirituale; e el debito nostro è consolare tutti e nostri popolani di quello che noi possiamo e della anima e del corpo. Io sento cose che assai mi dispiacciono, e questo è ch’e’ pare che in questi dì tu sia stato in prigione per tuo debito. Io vo’ che tu intenda che queste non sono cose nuove né a te, né a degli altri, né debbono parere, perché questo mondo dà tuttodì e di queste e delle minori e delle maggiori, e vuolsi essere sempre preparato a avere pazienza; questo dico io, perch’i’ odo che tu te n’hai data tanta malinconia, che tu ne se’ stato in su lo ’mpazzare. E valenti uomini non fanno a questo modo, ma con lo scudo e della pazienza e della provedenza, per quant’e’ possono, dove bisogna, riparano a ogni cosa; e questo è el senno. Che sciocchezza è questa, infra l’altre ch’io odo che tu hai fatto e fai, che tu dica nonn essere più Matteo, e per ogni modo voglia essere un altro che si chiama el Grasso che è legnaiuolo, e fa’ti uccellare per questa tua pertinacia con tuo poco onore? Invero, Matteo, tu se’ molto da riprendere, che per una piccola aversità tu t’abbi posto tanto dolore al cuore, ch’e’ pare che tu sia uscito di te. Per sei fiorini! oh! è questa però sì gran cosa! ed anche testé che sono pagati! Matteo mio» disse el prete strignendogli la mano, «io non vo’ che tu faccia più così; e per mio amore voglio (ed anche per l’onore tuo e di queste tue genti, che mi paiono persone tanto da bene) tu mi prometta, che da quindi innanzi tu ti leverai da questa fantasia ed attenderai a fare e fatti tuoi, come fanno le persone da bene e gli altri uomini che hanno qualche sentimento; e raccomàndatene a Dio, ché chi pone la speranza in lui no•lla pone invano. Seguiranne che tu farai bene ed onore a te ed a questi tuoi fratelli ed a chiunche bene vi vuole ed anche a me. Come! è però sì gran maestro questo Grasso o sì gran ricco, che tu voglia più tosto essere lui che te? che vantaggio ci vedi tu a fare così? Poi, anche prosopognàno che costui fussi uno degno uomo, e che fussi più ricco di te (che, secondo che mi dicono questi tua, è più tosto qualche grado meno), per dire d’essere lui tu nonn arai però le sue degnità né le sue ricchezze, quande n’avessi. Fa’ di questo caso a mio modo, che ti consiglio di quello che fa per te. Oimmè! fra l’altre cose, se ti si alleficassi adosso una ’nfamia di questa ragione, tu porteresti pericolo ch’e fanciulli non ti si aviassono dietro, di che tu saresti in briga ed in abominio tutto el tempo della vita tua: e questo sarebbe quello che tu n’aresti guadagnato. E io ti prometto raportare bene di te a questi tuoi fratelli e di fargli stare contenti e d’amarti ed aiutarti sempre come buono fratello. Orsù, Matteo, disponti d’essere uomo e non bestia, e lascia andare queste frascherie: che Grasso o non Grasso? fa’ a mio modo, che ti consiglio del bene tuo». E guardavalo in viso dolcemente. El Grasso, udito costui con quanto amore e’ gli diceva questo fatto e le accomodate parole ch’egli usava, non dubitando punto d’essere Matteo, in quello stante gli rispuose che era disposto a fare quel che potessi di quello che gli aveva detto, e perché conosceva che di tutto e’ gli diceva el bene suo. E promissegli da quel punto inanzi fare ogni forza che mai più si darebbe a credere d’essere el Grasso, come insino a quel punto aveva fatto, se già e’ non ritornassi el Grasso; ma che da lui voleva una grazia, se possibile fussi, e questo era che gli voleva un poco parlare per buona cagione; e che parlando con lui, egli stimava facilemente levarsi da questo; non s’accozzando con lui e non parlando, che dubitava non promettere cosa che non gliele atterrebbe poi. A che el prete ghignò e disse: «Matteo mio, tutto cotesto è contrario a’ fatti tua. E ancora veggo che tu hai questo fatto nel capo: che vuol dire «se già io non ritornassi el Grasso»? Io non la intendo. Che ti bisogna parlare col Grasso? che ha’ tu a fare con lui? Ché quante più ne parli e con quanto più persone, più discopirrai questo fatto, e tanto è peggio e tanto è più contro a te». E tanto intorno a ciò gli disse, che lo fece contento che non gli dovesse parlare, ma pure malvolentieri gliel consentì. E partendosi el prete disse a’ fratelli quello che gli aveva detto e quello che gli aveva risposto e promesso di fare per ultimo, benché con grande dificultà gliele aveva consentito, e per certo suo parlare, che none intendeva così bene, e’ non sapeva bene afatto invero se gliele atterrebbe, ma che aveva fatto quello ch’egli aveva potuto. Uno di que’ fratelli gli puose un grosso d’ariento in mano per fare più credibile la cosa e ringraziòrollo della opera sua e pregòrollo che pregasse Dio che lo rendessi loro sano. El prete aperse la mano e strinse, e preso comiato da loro, se ne tornò alla chiesa. 11 Nella stanza che ’l prete aveva fatta con lui, v’era venuto segretamente Filippo di ser Brunellesco, e con le maggiori risa del mondo, discosto dalla camera, si fece raguagliare di tutto da uno di que’ fratelli, e dello uscire della prigione e di quello ch’egli avevano ragionato per la via e dipoi; e nel ragionargli ciò, gli disse di quel giudice ch’egli avevano veduto in prigione parlare col Grasso e come ne lo avevano veduto uscire libero; e Filippo aveva tutto bene notato e riposto alla memoria, agiunto a quello che gli disse el riscotitore che ’l fe’ pigliare. E avendo recato in una guastaduzza uno beveraggio, disse a colui: «Fate che, mentre che voi cenate, che voi gli diate bere questo, o in vino o in che modo vi pare, che non se ne avegga. Questo è uno oppio che lo farà sì forte dormire, che mazzicandolo tutto, e’ non si sentirebbe per parecchi ore di tempo». E fatta questa concrusione con costoro, andò via. 12 E fratelli tornati in camera, si puosono a cena col Grasso, che erano già valiche le tre ore e mezzo; e così cenando, gli dierono el beveraggio, che non era né ostico né amaro, per modo che non se ne avide. E cenato ch’egli ebbono, stati un poco al fuoco, ragionando tuttavia di questi suoi cattivi modi e pregandolo che per sua fé fussi contento di rimanersi di questi modi, e massime per loro amore e per amore della madre, di questa pazzia di credersi essere diventato un altro, e ch’egli era troppo grande errore; e che non si maravigliassi se ne lo pregavano, che non noceva quasi meno a loro che a lui; che ’l dì era intervenuto questo caso, che passando per Mercato Nuovo per provedere a que’ danari, uno di loro si sentì dire drieto: «Vedi colui che è isvemorato, che ha dimenticato essere chi egli è, e pargli essere diventato un altro»; benché un altro dicessi: «E’ nonn è desso, egli è el fratello». E mentre ch’egli erano in su questi ragionamenti, la medicina dello oppio cominciò a lavorare per modo che ’l Grasso non poteva tenere gli occhi aperti; a cui costoro dissono: «E’ pare, Matteo, che tu caschi di sonno. Tu dovesti poco dormire stanotte passata». E apuosonsi. A cui el Grasso rispuose: «Io vi prometto che, poi ch’io nacqui, mai ebbi sì gran sonno». Costoro gli dissono: «Vatti a letto a tua posta». Ed a fatica fu fornito di spogliarsi e itosene nel letto che s’adormentò in forma che, come aveva detto Filippo, avendolo mazzicato e’ non si sarebbe sentito, e russava come uno porco. 13 In su l’ora a ciò diputata tornò Filippo di ser Brunellesco con sei compagni, perch’egli era grande e grosso, tutti e sei di quelli della cena de’ Pecori e persone atanti e nuovi pesci e sollazzevoli, che disideravano d’essere partefici di questo sollazzo, avendone cominciato a ’ntendere parte, perch’egli gli aveva tutti raguagliati d’ogni cosa col maggiore solazzo del mondo; ed entrorono nella camera dov’egli era, e sentendolo forte dormire, lo presono e mìsollo in una zana con tutti e sua panni e portòrollo a casa sua, ove per ventura la madre non era ancora tornata di villa; e loro sapevano tutto, che vegghiavano ogni cosa. E mìsollo nel letto e puosono e panni sua dov’egli era usato di porgli; ma lui, che soleva dormire da capo, lo puosono dappiè; e fatto questo, tolsono la chiave della bottega, che era apiccata alla sua coreggia, ed andaronsene a detta bottega, ed entrati drento, tutti e sua ferramenti da lavorare tramutarono da uno luogo a un altro; e così feciono de’ ferri delle pialle, mettendo dove stava el taglio di sopra, e così e manichi de’ martelli, ed alle seghe mettendo e denti di drento, e così in effetto feciono a tutte le sue masserizie di bottega che poterono, e tutta la bottega travolsono, che pareva che vi fussono stati dimoni: e trambustato ogni cosa, riserrarono la bottega e riportarono le chiavi a casa el Grasso e appiccorolla dov’egli era usato d’apiccarla; e usciti fuori e riserrato l’uscio, se n’andarono a dormire a casa loro. 14 El Grasso aloppiato del beveraggio, dormì tutta quella notte sanza mai risentirsi. Ma la mattina in su l’avemaria di Santa Maria del Fiore, avendo fatto el beveraggio tutta l’opera sua, déstosi, essendo già buona mattina, riconosciuto la campana ed aperto gli occhi e veduto alcuno spiraglio per la camera, riconobbe sé essere in casa sua, e vennegli una grande allegrezza al cuore subito, parendogli essere ritornato el Grasso ed in signoria d’ogni sua cosa, parendogliele prima avere peggio che in compromesso, e quasi lagrimava per letizia, non cappiendo in sé; ma pure gli dava noia e maravigliavasi essere dappiè de•letto, ché soleva dormire da capo; e ricordandosi delle cose successe, e dove s’era coricato la sera, e dove si trovava allora, entrò subito in una fantasia d’ambiguità, s’egli aveva sognato quello, o se sognava al presente; e parevagli di certo vero quando l’una cosa e quando l’altra, e guardava la camera dicendo: «Questa è pure la camera mia quand’io ero el Grasso, ma quando entrai io qui?». E quando si toccava con l’una mano el braccio dell’altra, e quando el contrario, e quando el petto, affermando di certo essere el Grasso. Poi si rivolgeva: «Se così è, come n’andai io preso per Matteo? ché mi ricordo pure ch’io stetti in prigione e che mai nessuno non mi conobbe se non per Matteo e che io ne fu’ cavato da que’ due fratelli, ch’io andai a Santa Filicita e ’l prete mi parlò cotanto e cenai ed andai a letto quivi, che mi venne sì gran sonno». Ed era in grandissima confusione di nuovo s’egli era stato sogno o se sognava allotta; e cominciò di nuovo avere dispiacere d’animo, ma non di condizione che non vi lampeggiassi drento sempre qualche cosa di letizia, ricordandosi di quello che gli aveva detto quel giudice in prigione, stimandosi di dovere più tosto essere ritornato el Grasso che altro; e bene che si ricordassi di tutto el successo da la presura insino a dove s’era coricato la sera dinanzi, non gli dava noia, essendo ritornato el Grasso, ma parevagli che la fussi andata pe’ piè sua. Poi si gli mutava l’animo nelle cose da dietro, e ridiceva fra sé medesimo: «Chi sa s’io m’ho sognato quello o s’io mi sogno testé?»; e dopo alcuno sospiro corale disse: «Dio m’aiuti». E uscito de•letto come per lo adietro e vestitosi, tolse la chiave della bottega ed andossene là, ed apertola, vide in comune ed in particulare tutte le masserizie travolte. Ed essendo ancora nello inistrigabile pensiero di camera, veduto questo, in un punto da nuovi pensieri fu assalito, cancellando tutti que’ vecchi, e mentre che si veniva ricordando di questi sua casi, none affermando bene nello animo se lo faceva o se sognava, ritornando alla letizia d’essere ritornato el Grasso ed in possessione de le sue cose, eccoti giugnere e due fratelli di Matteo, e trovatolo così impacciato, facendo vista di non conoscerlo, disse uno di loro: «Buon dì, maestro». El Grasso, rivoltosi e riconosciutogli, sanza rispondere al saluto e sanza agio di pensare alla risposta o consigliarsi con seco, disse: «Che andate voi cercando?». Rispuose uno di loro: «Egli è vero che noi abbiàno uno nostro fratello, che aveva nome Matteo, el quale da alcuno dì in qua, per una presura fattagli per sua debiti, per maninconia gli s’è un poco vòlto el cervello. Egli è di nostra vergogna però, ma egli è pure così; ed infra l’altre cose che dice, è nonn essere più Matteo, com’egli ha nome, ma il maestro di questa bottega, che pare che si chiami el Grasso; e noi abbiendonelo molto amunito e fattoglielo dire, né con mezzo né con altro non lo possiàno rimuovere da questa sempricità o istoltizia che noi ce la vogliàno chiamare. E pure iersera vi conducémo el prete nostro da Santa Filicita (che stiàno in quel popolo, ed è una buona persona), e avevagli promesso di levarsi questa fantasia della testa, e cenò de la migliore voglia del mondo ed andossi a dormire in nostra presenza; dipoi stamani, che persona nol sentì, lasciò l’uscio aperto e, forse fu ancora molto bene innanzi dì, s’uscì di casa. Dove si sia ito, noi nol sappiàno; e pertanto noi eravamo venuti qui per vedere se ci era capitato o se tu ce ne sapessi dire nulla». Come ’l Grasso intese costoro, che ’l dì dinanzi l’avevano tratto di prigione a loro spese e così ricevutolo in casa a mangiare ed albergare, no•llo conoscere per loro fratello, gli parve in tutto essere certificato d’essere ritornato el Grasso, vedutosi anche venire di casa sua, e fe’ pensiero di sbeffeggiargli, non gli toccando el culo la camicia di letizia, e disse loro: «I’ guarderei s’e’ fussi alla Misericordia, s’egli è fanciullo». Ma e’ nonne stette fermo in questo pensiero, e avendo tra le mani uno pialletto di che e’ veniva racco[n]ciando el ferro, pigliandolo così a piena mano (ché aveva un gran manone), gli guardò in viso: il perché coloro, non lo trovando della vena ch’egli aspettavano, ebbono paura che non traessi loro, e feciono pensiero di levarsigli dinanzi e ritrarsi. 15 El vero è che ’l Grasso non era di quello animo; nientedimeno, partiti costoro, non potendo el Grasso pensare come questa cosa si fussi andata, fe’ pensiero di lasciare per un poco la bottega ed andarsene insino in Santa Maria del Fiore, per avere agio a pensare a’ fatti sua, e per certificarsi meglio s’egli era el Grasso o Matteo ne’ riscontri degli uomini; ancora che per rispetto d’essere albergato in casa sua e perché que’ due fratelli non lo conoscevano più per Matteo, gliene paressi quasi essere certo. E girandoglisi quella ambiguità di nuovo nella testa, s’egli era stato sogno o dadovero, e quello ch’egli era alotta, andava ora verso el mantello che voleva tôrre, ora lo dimenticava e volgevasi a un altro luogo ed ora ritornava a quello, pieno d’albagìa. Pure fe’ tanto che vi si abatté, e tirato lo sportello a sé, ed andando verso la chiesa, come del mantello, quando andava verso quella quattro passi, e quando ne tornava adietro tre. Alla fine vi si condusse, dicendo fra sé medesimo: «Questo è stato uno strano caso; dica el giudice che vuole, io non so come questo caso si sia andato»; poi diceva: «Errando ognuno, none uno solo, nel conoscermi, per certo che ne debbe essere qualche cosa». E cercando di spiccarsi da questi pensieri e cercare solamente s’egli era bene ritornato el Grasso, non se ne poteva spiccare; e rispetto al caso suo, dubitava tuttavia di non si trasmutare in Matteo medesimo, o in qualche altro. E con tutti questi pensieri che si gli atraversavano alla mente in uno tratto, disiderava d’intendere, per esser chiaro s’egli era come gli aveva detto el giudice, quello che era stato in questo tempo di Matteo. E non gli parendo quivi essere veduto da chi lo apuntassi, andava in giù ed in su, secondo che riferì poi chi lo scontrò, che pareva uno lione ferito. 16 Egli era dì di lavorare ed eravi poca gente e non si guardava da persona e parevagli luogo da sfogarsi con sé medesimo. E essendo in questi termini per chiesa, e’ riscontrò Filippo e Donatello che s’andavano ragionando insieme, com’era di loro usanza, essendovi quella volta andati a sommo studio, ché erano stati alla veletta, e vidonvelo entrare. Filippo sapeva che ’l Grasso non n’aveva notizia alcuna, né s’ella s’era giarda, né s’ella non s’era; né stato era caso che potessi avere sospetto di loro; e quello che gli avevano fatto, lo pareva loro avere fatto molto nettamente e coperto. Filippo, mostrandosi assai lieto, facendosi da la lunge per disimulare bene, disse: «Le cose andarono pure assai bene di mia madre; e’ fu uno accidente che quand’io fui a casa era già quasi passato via, e però non mandai per te; ella l’ha avuto altre volte, e vecchi fanno così. Io non t’ho veduto poi: che fu di te iersera? Ha’ tu inteso questo caso di Matteo Mannini? È egli impazzato?» non si volgendo meno verso Donatello che verso lui. «Che cosa è?» disse Donato. Rispuose Filippo: «Non sa’ tu?» e volgendosi al Grasso gli disse: «E’ pare che la sera che noi eravamo insieme, colà tra le due e le tre ore, e’ fussi preso qui circa la piazza, ed era co’ messi colui che ’l faceva pigliare (non so io chi e’ si fussi, ma questo non fa nulla al fatto), e diceva a’ messi ed a’ famigli pure: «Chi volete voi? voi m’avete colto in iscambio, io non ho debito con persona, io sono el Grasso legnaiuolo, volete voi me?»». Al Grasso pareva quello che Filippo diceva fussi naturale e fuori d’ogni suspezione d’essere consapevole di lui d’alcuna cosa. E seguitò Filippo così: «Quello che ’l faceva pigliare, si gli accostò, perché ’l messo gli disse: «Guarda quello che tu ci fai fare, noi ne stiàno a te di questo fatto: se nonn è desso, tu ti perderai le spese, ché noi vorréno essere pagati, sanza che, sanza colpa, noi anche ne potremo avere briga». Quello che ’l faceva pigliare, che era uno riscotitore d’un fondaco, si gli accostò, e guardollo fiso, e disse: «E’ contraffà el viso, el ribaldo!», poi, ripostolo mente, disse: «Egli è pure Matteo, menatenelo via, e’ la corrà pure questa volta»; e che mentre che lo menavano, e’ disse sempre per la via che era el Grasso legnaiuolo, affermando per tale segnale «ch’io serrai pure testé la bottega»; e mostrava una chiave» (che erano tutte cose ch’egli aveva fatto, ch’erano intervenute a punto com’era stato a Filippo riferito da quel giovane); seguendo: «Ed odo che la fu una festa massimamente nella Mercatantìa. Può egli essere che tu non abbi udito nulla? che se n’è fatto le maggiori risa del mondo». Donatello fece anche lui le vista di non ne sapere nulla; poi disse: «Io mi ricordo pure testé che se ne ragionò ieri in bottega; ma io ero in fantasia ed infaccendato, e non vi badai. Ma io senti’, ora ch’io mi ricordo, questi nomi Matteo e Grasso, ed andare preso, e non fu’ acorto di domandarne poi, nonn avendo allora nel capo el Grasso. Deh dimmi un poco, Filippo, che caso è questo, poiché tu lo sai? oh questo è bene da ridere! Sicché n’andava preso, e non voleva essere Matteo? Com’è ito questo fatto?». Disse Filippo: «Oh e’ non può essere che ’l Grasso nol sappia. Che fu ieri di te? può egli essere che non ti fussi venuto a dire a bottega? ché odo che se ne tenne cento cerchi per Firenze», per dargli bene in sul viso. «Io fui tre o quattro volte ieri per venire a bottega tua per intendere questo fatto, e non so perché e’ si restò ch’io non vi venni». El Grasso guardava ora Filippo ed ora Donatello, e voleva rispondere ora all’uno ed ora all’altro, e mozzava le parole in uno tratto ora qui ed ora qua, che pareva una tale cosa invasata, come quello che none intendeva bene se si dicevano dadovero, o se se lo uccellavano. E dopo un gran sospiro disse: «Filippo, elle sono pure nuove cose queste!». Filippo andò di tratto a quello che voleva dire, e tennesi con fatica di ghignare; poi disse: «Tu dicevi che non avevi udito nulla; com’è ito questo fatto?» e volevano che con loro insieme e’ si ponessi a sedere per udirlo più ad agio. El Grasso si pentiva d’avere risposte quelle parole e non sapeva che si fare ed era tutto impacciato, perché quando gli pareva che costoro ne ragionassono puramente, e quando el contrario. 17 In questo eccoti venire Matteo, che sopragiunse loro adosso, che non se ne avidono, come quello che era anche lui stato alla veletta (tutti ordini di Filippo); e aiutò la fortuna, che non poteva giugnere più a punto; e salutògli. El Grasso si volse verso lui, e smarrissi affatto, e fu per dire: «E’ furono testé a bottega e tua fratelli, che ti vanno cercando» e poi si tenne. Disse allora Filippo: «Donde vieni tu, Matteo? noi intenderéno pure questo fatto: testé eravàno noi con teco, or ci è ognuno». Disse Donato a Matteo: «Andàstine tu preso a queste sere? di’ il vero, ché mi dice Filippo...». «Andonne mai più preso persona?» disse Matteo; poi disse a Filippo che lo guardava in viso: «Vengo da casa». «Oh» disse Filippo, «e’ si diceva che tu eri suto preso». «Ben io fu’ preso, e fu pagato, e sonne uscito: io sono pure qui. Che diavolo è questo? hass’egli a ragionare ma’ più altro che de’ fatti mia? Tutta mattina me n’ha infradiciato mia madre, non fui io sì tosto in casa. E que’ mia fratelli stanno intozzati e guardanmi come se io mettessi corna, poi ch’io tornai di villa, e diconmi testé che mi riscontrano qua: «A che otta andasti tu stamani fuora, e lasciasti l’uscio aperto?». E’ mi paiono impazzati insieme con mia madre. Io non gl’intendo; e dicono non so che preso, e che hanno pagato per me: pazzie in effetto». Disse Filippo: «Dove se’ tu stato? egli è parecchi dì ch’io non ti vidi». Disse Matteo: «Io ti dirò la propia verità a te, Filippo: egli è el vero ch’io avevo debito con uno fondaco sei fiorini di sugello, che l’ho tenuto in parole un pezzo, perché io sono stato tenuto anche io, che n’ho avere otto da uno da Empoli, e dovevogli avere parecchi coppie di dì fa, secondo che ultimamente e’ m’aveva promesso, ché gli avevo disegnati per questo, e che m’avanzassi. Io promissi al creditore mio sabato di dargliele martedì, che non mancherebbe per nulla, come mi aveva promesso colui. E avendo lui la sentenza (ché invero è un pezzo ch’io gliel’ho avuti a dare, ché sono stato in disagio di danari), acciò che non mi facessi villania, io presi partito d’andarmene qui a•luogo nostro a Certosa e sonvi stato due dì, e però non m’hai veduto, ché nonn è un’ora ch’i’ tornai; ed èmmi avenuto el più bel caso che voi udissi mai. Io me n’andai in villa martedì dopo a desinare; e perché io non avevo faccenda, ed è mille anni che non vi si andò, e non v’è nulla se none uno letto (ché noi facciàno venire el vino di vendemmia e così ogni altra cosa ne’ tempi loro), io m’andai dondolando per la via per consumare tempo, e bevvi due tratti al Galluzzo, per non avere a dare di cena noia a•lavoratore, e giunsi a casa di notte e chiesigli un poco di lume ed anda’mi a letto. Egli è cosa da ridere quello ch’io vi dirò testé; e’ mi ci pare ognuno impazzato (io il dirò di nuovo) e io sono forse più che gli altri. Io m’alacciavo stamani in villa ed avevo aperto una finestra (io vi dirò el vero: io non so s’io mi sogno testé o s’io m’ho sognato quello ch’i’ vi dirò; e’ mi pare essere un altro stamane a me, Filippo. Ell’è cosa da ridere; or lasciamo andare); dice e•lavoratore mio, che m’aveva dato e•lume: «Che fu ieri di voi?». Dich’io: «Non mi vedesti tu iersera?». Dice colui: «Non io, quando?». Dich’io: «Smemorato! non m’acendesti tu la lucerna, che sai che la non ardeva?». Dice colui: «Sì la sera dinanzi; ma iersera non vi vidi io, né ieri in tutto dì; e credevomi che voi ne fussi ito a Firenze, e maravigliavomi che voi non m’avessi detto nulla, stimandomi che voi ci fussi venuto per qualche cagione». Dunche dormi’ io tutto dì d’ieri: e domando e•lavoratore: «Ch’è egli oggi?» ed egli mi dice ch’egli è giovedì. In effetto, Filippo, io truovo ch’i’ ho dormito uno dì intero e due notti intere sanza mai risentirmi: io ho fatto uno sonno solo». 18 Filippo e Donatello facevano vista di maravigliarsi assai e stavano con atenzione a udire. Disse Filippo: «La polvere debbe essere ita giù». Disse Matteo: «Io vi so dire ch’io la veggo». «E’ non sarebbe da stare a scotto teco» disse Donato. Ma questo avere dormito tutto questo tempo, che era stato el caso del Grasso, faceva maravigliarlo, e diceva fra sé medesimo: «Io non ho rimedio nessuno, i’ ho a ’mpazzare di certo; questo nonn arei io mai creduto da tre dì indietro, eppure sono...». E seguitò el suo dire Matteo: «Ma io ho sognato le più pazze cose che si sentissono mai». Disse Filippo: «El capo voto v’è, e si vorrebbe mangiare». «E riscontro testé» seguitò Matteo, «uno garzone del fondaco di que’ sei fiorini, che mi fa scusa e dicemi che non mi fece pigliare lui, che è quello che me gli suole chiedere un buon garzone, e dice: «E’ mi duole di tante spese quante voi v’avete avuto su»; e per quello ch’io veggo, e’ sono pagati. E con queste parole ho io intese le parole di mia madre invero e di que’ mia fratelli, che mi parevano impazzati. Com’io vi dicevo testé, e’ gli hanno pagati, ma in che modo, questo non so io ancora. Io volli intendere da questo garzone; e in effetto questo tempo ch’io m’ho creduto dormire, come le cose si vadiano, io sono stato la maggiore parte in prigione. Filippo, aconciala tu, ch’io per me non so come questo fatto si sia andato: e’ mi pareva mille anni di vederti, per dirtelo e riderne teco». Poi si volta al Grasso, e dice: «Io sono stato la maggiore parte di questo tempo tra in casa tua ed in bottega tua; io t’ho da fare ridere. Io mi truovo avere pagato uno debito di parecchi fiorini, e parevami in questo tempo ch’i’ ho dormito esser un altro, ve’, così certo com’io mi veggo qui tra voi: ma chi sa s’io mi sogno testé o alotta?». Dice Donato: «Io non t’ho inteso bene, di’ un’altra volta; io pensavo a altro. O voi mi fate impazzare, me, o tu dicevi testé che eri stato in villa». A che Matteo: «I’ m’intendo bene io». Dice Filippo: «E’ de’ voler dire sognando». Allora Matteo disse: «Filippo m’ha inteso». El Grasso non fece mai zitto; e stava come uno invasato e molto attento a udire, per vedere s’egli era stato lui infra quel tempo. Filippo stava come uno porcellino grattato. E perché qualcuno faceva segno di fare cerchio, perché quando l’uno e quando l’altro di costoro non si poteva tenere di ridere qualche poco, dal Grasso in fuori che era trasognato, Filippo, preso per la mano el Grasso, disse a tutti quanti: «Andiancene un poco in coro, e non si farà cerchio; ché questa è una delle più belle storie ch’io udissi mai a’ mia dì. Questo voglio intendere io. Deh dimmi un poco, Matteo, questa storia; e udira’ne un’altra da me in uno altro luogo, che s’è detta qui per tutta la terra; che m’acenni ch’ella non è tutt’una». E puosonsi tutti a sedere in uno di que’ canti del coro, che si potevano largamente vedere l’uno con l’altro: il quale coro in que’ tempi era tra’ due pilastroni che sono innanzi che s’entri nella tribuna; e stati un poco, perché Filippo mostrava d’aspettare quello che diceva Matteo e Matteo d’aspettare Filippo, Filippo cominciò a parlare prima, e rivolgendosi più verso Matteo, che teneva el sacco bene, che verso el Grasso, perché ’l Grasso non se ne guastassi, disse queste parole ridendo «Odi quello che s’è detto per Firenze (io l’ho testé detto a costoro come si dice), e udiréno poi te, poiché tu vuoi ch’io dica prima io. E’ si dice, che lunedì sera tu fusti preso». «Preso io?» disse Matteo. «Sì» disse Filippo, «per questo tuo debito che tu di’«. E volgendosi verso Donato dice: «Vedi che n’era pure qualche cosa». Disse Donato a Matteo: «E’ dové essere quand’io ti trovai che tu picchiavi l’uscio al Grasso l’altra sera». Dice Matteo: «Quando? io non so s’io mi picchiai mai suo uscio». «Come non picchiasti suo uscio?» disse Donato. «Non ti favellai io a l’uscio suo?». Matteo fece viso da maravigliarsi; e seguitando le parole Filippo con Matteo: «E che tu dicevi per la via, e prima, a’ messi ed a colui che ti faceva pigliare: «Voi m’avete colto in iscambio, voi non volete me, io non ho debito con persona», e difendeviti quanto tu potevi con dire che tu eri pure el Grasso qui. E tu di’ che eri in villa, e secondo che tu mostri ed a quell’otta, nel letto, e dormivi: e questo fatto come è andato?». «Dicasi che vuole» disse Matteo, «ma tu motteggi: io sono stato in villa, com’io v’ho detto, e per nonn essere preso, ché invero n’avevo paura. E quello che dice Donato testé, io lo giurerei in su la pietra sagrata, che né allora né mai io non picchiai uscio del Grasso. Intendete com’è ita la cosa, che è diferente cento miglia da cotesta. Io commissi a uno notaio mio amico che sta in Palagio, che mi facessi avere uno bullettino per debito, e che me lo mandassi insino in villa, e crettimelo avere insino ieri. El notaio mi scrisse una polizza stamane a buon’ora, e mandommi un tavolaccino a posta fatta, dicendomi ch’e Collegi non s’erano ragunati, e ch’egli erano in villa una parte, e che non ci essendo altra nicistà, e Signori non gli avevano voluto fare tornare pe’ bullettini; agiugnendovi ch’io potrei soprastare in villa qualche dì, s’io aspettavo questo; e però sono tornato, e sto in sul noce e sono stato; ma poiché sono pagati, ella va bene. Filippo e Donato, questo è il propio vero. Ma quello ch’i’ ho sognato infra tempo è cosa da ridere veramente, Filippo, sanza motteggiare; né mai mi parve sognare cosa che nel sogno mi paresse più vera. E’ mi pareva essere in casa costui» e toccò el Grasso, «e che la madre fussi mia madre; e così mi favellavo dimesticamente con lei, come s’ella fussi propio, e quivi mangiavo e ragionavo di mia fatti ed ella mi rispondeva; che ho nel capo mille cose che la mi disse. E andavomi a letto in quella casa e levavomi ed andavone a bottega a legnaiuolo, e parevami volere lavorare com’io ho veduto mille volte el Grasso, quand’io mi sto a bottega co•lui alcuna volta; ma e’ non mi pareva che vi fussi ferro che stessi nell’ordine suo e tutti gli racconciavo». El Grasso lo guardava come impazzato, che pure allora aveva avuto e ferri fra le mani. E seguitò Matteo: «E poi provandogli per lavorare, e’ non mi servivano e tutti mi facevano a uno modo, e parevamegli porre altrove che dov’egli usavano di stare, con animo di racconciargli quand’io avessi tempo, e toglievo degli altri e tutti mi riuscivano a uno modo; e parevami rispondere a chi mi veniva a dimandare delle cose, come se io fussi stato propio lui, ché così mi pareva essere in effetto. E andavone a desinare e ritornavo a bottega e la sera serravo ed andavone a casa ed a letto, com’io ho detto, e la casa mi pareva propio com’ella è e com’io l’ho veduta; ché invero vi sono suto col Grasso, come sa». 19 El Grasso era stato amutolato un’ora, e non gli pareva potere fare proposito che al dirlo facessi per lui innanzi a Filippo, che sapeva che vedeva el pelo ne l’uovo; ma questo sogno gli aveva racconcio la cappellina in capo, che la non gli poteva stare meglio, d’essere in uno viluppo inistrigabile; el dire di quel sogno d’uno dì e due notti gli pareva che avessi condito tutto el tempo de’ travagli sua. E Filippo e Donato si facevano le maggiori maraviglie del mondo di questo sogno. Poi dice Filippo: «A questo modo non pare che tu n’andassi preso tu, o Matteo; e tu di’ pure che colui è stato pagato, e che tu se’ stato in villa: questa è una matassa che non la rinverrebbe Aristotile». Disse el Grasso, aguzzando la bocca e menando el capo e pensando forse quello che Matteo diceva, che gli pareva essere diventato lui, e quello che quel giudice gli aveva detto nella Mercatantìa: «Filippo, queste sono nuove cose, e per quello ch’i’ senta, elle sono venute altre volte. Matteo ha detto e voi avete detto, e anche io arei da dire, e forse tanto ed in modo che voi mi terresti pazzo: io mi voglio stare cheto; Filippo, deh non ne ragioniàno più». E allora veramente gli parve che quello che aveva detto quel giudice fusse una spressa verità, avendo tanti riscontri; e certissimamente per quel tempo gli pareva essere stato Matteo e che Matteo fussi stato lui; ma, rispetto a quel dormire, che Matteo avesse avuto meno travagli e non di tanta importanza né molto molesti, rispetto a la qualità di colui ch’egli era diventato. 20 Ma ora gli pareva pure essere ritornato el Grasso, veggendo ed udendo la storia di Matteo, che anche non era più el Grasso; e nonn essendo ancora tornata la madre di Polverosa, gli pareva mille anni di vederla, per domandarla se infra questi tempi ella fussi stata in Firenze, e chi era, quella sera che picchiò, stato in casa con lei, e chi aveva aperto la bottega infra ’l tempo. E prese comiato da loro; ché non lo poterono a niuno modo ritenere, benché non gli facessono altro che leggière e cortese forza, perché non se ne guastassi ancora, e perché disideravano di potersi sfogare di ridere, ché non potevano più. Pure Filippo disse queste parole: «E’ si vuole che noi ceniamo una sera insieme»: donde ’l Grasso, sanza rispondere a quello, si partì. 21 Se Filippo e Donato e Matteo risono poi fra loro, non è da dimandare; ché, per chi gli vide ed udì, e’ parevano impazzati più che ’l Grasso, e massime Donato e Matteo, che non si potevano a gnuno modo ritenere. Filippo ghignava e guardava l’uno e l’altro. El Grasso fece pensiero di serrare la bottega ed andarsene insino in Polverosa, secondo che si vide per isperienza, dove trovandosi con la madre, e’ non trovò che la fussi stata in Firenze, e dissegli per che caso ell’era soprastata. Il perché, pensando e ripensando sopra questo fatto e ritornando in sé ed in Firenze, e’ conchiuse che la fussi una beffe, none intendendo però el come; ma parevagli così, non essendo infra questo tempo stata la madre in Firenze, e la casa tanto sanza persona. E non se ne poteva scoprire e non gli dava el cuore di difendersi d’essere vignato, essendogliene ragionato per persona; e massime gli dava noia el travagliarsene Filippo, che non gli pareva da potersene riparare. 22 El perché e’ fece pensiero d’andarsene in Ungheria, ricordandosi pure allora che n’era stato richiesto, e fe’ pensiero di trovare chi ne lo aveva tentato, che era uno stato già suo compagno, ed anche insieme stati con maestro Pellegrino delle Tarsie, che stava in Terma. El quale giovane d’alcuno anno innanzi s’era partito e itosene in Ungheria e là aveva fatto molto bene e fatti suoi pel mezzo di Filippo Scolari, che si diceva lo Spano, nostro cittadino, che era allora capitano generale dello esercito di Gismondo; che fu figliuolo questo Gismondo di Carlo Re di Buemmia e fu re d’Ungheria, uno savio ed aveduto re, che fu poi eletto imperadore al tempo di Gregorio dodecimo e fu coronato Cesare da papa Eugenio IV. E questo Spano dava ricapito a tutti e fiorentini che vi capitavano, ch’avessono virtù nessuna, o intellettuale o manuale, come quello che era uno signore molto da bene ed amava la nazione oltre a modo, com’ella doveva amare lui; e fece a molti di bene. In questo tempo era venuto questo tale in Firenze per sapere se poteva conducere di là niuno maestro dell’arte sua per molti lavorii ch’egli aveva tolti a fare, e più e più volte n’aveva ragionato col Grasso, pregandolo che v’andassi, mostrandogli che in poco tempo e’ si farebbono ricchi. El Grasso lo scontrò a caso e fattosigli innanzi gli disse: «Tu m’hai più volte ragionato del venire teco in Ungheria, e io t’ho sempre detto di no; ora, per uno caso che m’è intervenuto e per certa diferenza ch’i’ ho avuta con mia madre, i’ ho dilibero, in caso che tu voglia, di venirne; ma, se tu hai el capo a ciò, io voglio essere mosso domattina, imperò che, se io soprastessi, la venuta mia sarebbe impedita». Colui gli rispuose che quello gli era molto caro, ma che colì l’altra mattina non poteva, pel non avere ancora spedita ogni sua faccenda; ma che se ne andassi quand’e’ volessi ed aspettasselo a Bologna, e che in pochi dì vi sarebbe. E così rimase el Grasso per contento. Rimasti d’acordo colle condizioni insieme, tornatosi el Grasso a bottega, tolse alcuni suoi ferri e sue bazzicature per portare, e tolse alcuno danaio ch’egli aveva; e fatto questo, se n’andò in borgo San Lorenzo e tolse uno ronzino a rimettere a Bologna, e la mattina vegnente vi montò su e prese el camino verso quella, sanza fare motto o a parenti o a altro, che pareva ch’egli avessi la caccia dietro. E lasciò in casa una lettera che s’adirizzava alla madre, la quale diceva che la s’obrigassi per la dota con che era rimasto in bottega, e che se n’era andato in Ungheria con intenzione di stare più anni. E mentre ch’egli andava per Firenze (che si lasciò anche vedere el meno che poté in quel brieve tempo, pure gli era necessario el fare così), ed insino a poi ch’egli era a cavallo, s’abatté in qualche luogo dove sentì che si ragionava di questo suo caso, ognuno ridendo e facendosene beffe; e sentì da qualcuno così di rimbalzo che l’era stata una giarda. Le quali cose erano uscite prima da quel garzone che ’l fe’ pigliare e poi da quel giudice; ché Filippo così sollazzevolemente s’era accozzato con lui, e domandatolo quello che ’l Grasso diceva in prigione, e scopertogli el caso; di che el giudice l’aveva con le maggiori risa del mondo raguagliato di tutto. E generalmente si diceva per Firenze che l’era suta fattagli da Filippo di ser Brunellesco; la qual cosa quadrava molto al Grasso, che sapeva chi Filippo era; e troppo bene, poiché s’avide ch’egli era dileggiato, s’avisava che fussi venuto da lui. E questi ragionamenti tutti lo confortavano grandemente a seguire el suo proposito. Ed in questo modo partì el Grasso da Firenze, e lui e ’l compagno da Bologna se n’andarono in Ungheria. Questa brigata della cena seguitarono nell’ordine loro di ritrovarsi alle volte insieme. E per la prima volta ch’e’ si ritrovarono di nuovo fu in quello medesimo luogo con Tomaso Pecori; e quasi rispetto a quella giarda, per riderne tutti insieme, e’ vollonvi quel giudice che era sostenuto ne la Mercatantìa, che intendendo chi egli erano, v’andò volentieri, sì per avere la familiarità d’alcuno, sì per essere più interamente raguagliato del tutto, e sì per raguagliarne loro, ché vedeva che n’avevano voglia; e così vi vollono quel garzone che fu col messo, Matteo e que’ due fratelli che menorono la danza della prigione e di casa ed al fuoco. Vollonvi el notaio della cassa e non vi poté andare. El giudice con gran piacere udì tutto el caso successo, e così disse loro le dimàndite sue, e quello che gli aveva risposto d’Apuleio e di Circe e d’Ateon e del suo lavoratore, per fargliele più verisimile; dicendo: «Se altro mi fussi occorso, anche gliel’arei detto». E facevansi le maggiori risa del mondo, balzando di questo caso in quell’altro, secondo che si ricordavano, e veduto come ’l caso era successo, e quanto la fortuna aveva servito e del prete e del giudice e d’ogni altro avenimento generalmente; di modo che quel giudice usò loro questo motto: che non si ricordava essere mai stato in tutto el tempo della vita sua a convito, dov’egli avessi avuto maggiore quantità di vivande e migliori, e che la maggiore parte erano state sì buone, che rade volte o non mai ne capitava nelle mense de’ re e degli imperadori, non che degli altri minori principi, e di uomini privati come erano loro. E non v’era nessuno che non gli paressi malagevole, quand’ella fussi intervenuta a lui, a difendersi della natta; tanta era stata la cautela e l’ordine di Filippo. 23 El Grasso e ’l compagno, giunti in Ungheria, si dettono da fare, ed ebbonvi buona ventura; imperò che in pochi anni vi diventarono ricchi, secondo le loro condizioni, per favore del detto Spano, che lo fece maestro ingegneri, e chiamavasi maestro Manetto da Firenze, e stettevi con buona riputazione, e menavaselo seco in campo, quando egli andava negli esserciti, e davagli buona providigione, e alcuna volta di begli e ricchi doni che certi casi sopportavano; perché lo Spano era liberale e magnanimo come se fussi nato d’uno re verso ogni uomo, ma massimamente verso e Fiorentini, che, oltre all’altre virtù sua, erano di quelle cagioni che l’avevano tirato in quel luogo; e potevasi el Grasso fare ogni sua faccenda, ché ve ne fece col compagno e sanz’esso assai, quando e’ non era in campo. E venne poi in Firenze più volte in ispazio di più anni per più mesi per volta; e alla sua prima venuta, sendo dimandato da Filippo della cagione della partita di Firenze in tanta furia e sanza conferire nulla con gli amici, ordinatamente gli disse questa novella ridendo continovamente, con mille be’ casi drentovi, che erano stati in lui propio, che non si potevano sapere per altri, e dello essere el Grasso e del nonn essere, e s’egli aveva sognato, o se sognava quand’egli ramemoriava el passato; di condizione che Filippo non n’aveva mai pel passato risone sì di buon cuore come fece questa volta. El Grasso lo guardava in viso, dicendogli: «Voi lo sapete meglio di me, che mi dileggiasti tanto in Santa Maria del Fiore». Diceva Filippo: «Lascia pure fare, questa ti darà ancora più fama che cosa che tu facessi mai o con lo Spano o con Gismondo, e si dirà di te di qui a cento anni». El Grasso rideva, e Filippo non meno questa volta: e con tutto questo, mai sapeva stare con altri che con Filippo quando e’ gli avanzava punto di tempo, ancora che fussi certificato d’ogni cosa; e Filippo motteggiava quand’egli era con lui e diceva: «Io sapevo insino allora ch’io t’avevo a fare ricco; e’ ci è assai che vorrebbono essere stati el Grasso e fussi loro stato fatto di queste natte: tu ne se’ aricchito, tu, e sutone familiare dello imperadore del mondo e dello Spano e di molti altri gran prencipi e baroni». E in effetto questa sua tornata o venuta e l’altre che furono poi, ritenendosi elli sempre con Filippo, dettono occasione ed agio a Filippo in più tempo e più volte d’esaminarlo e sotrallo, mediante el raguaglio stato del giudice e di quel garzone, tritamente d’ogni particulare; imperò che la maggiore parte delle cose da ridere erano state, come si dice, nella mente del Grasso. Donde n’è nato, che la novella s’è potuta più tritamente scrivere e darne intera notizia, perché Filippo la ripricò poi qualche volta apunto, e da quegli che la udirono s’è tratta dipoi questa. E ciascuno che la udì da lui, aferma che sia impossibile el dirne ogni particulare come ella andò, sicché qualcuna delle parti molto piacevoli non sieno rimaste adietro, come la raccontava Filippo e come ella era stata invero. Perch’ella fu raccolta, poi che Filippo morì, da alcuni che l’udirono più volte da lui; come fu da uno che si diceva Antonio di Matteo da le Porte, da Michelozzo, da Andreino da San Gimignano, che fu suo discepolo e sua reda, dallo Scheggia, da Feo Belcari, da Luca della Robbia, da Antonio di Migliore Guidotti, e da Domenico di Michelino, e da molti altri; benché a suo tempo se ne trovassi scritto qualche cosa, ma non era el terzo del caso, ed in molti luoghi frementata e mendosa. E ha forse fatto questo bene, ch’ella è stata cagione che la non si sia interamente perduta. A Dio sia grazia. Amen.