Notizie biografiche degli illustri comaschi/Cajo Plinio Secondo

Cajo Plinio Secondo

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Al lettore Cajo Plinio Cecilio Secondo

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CAJO PLINIO SECONDO

L'uomo che potrebbe accrescere splendore ad ogni città benchè ricca di grandi ingegni, e che non solo a noi, ma a tutti gli studiosi d’ogni età e d’ogni paese ha grandemente giovato, è Cajo Plinio Secondo. È divulgatissima la celebre questione agitatasi lungo tempo, e con grande contenzione delle parti, tra Como e Verona, per vendicarsi l’onore di avere dati i natali ad un uomo sì grande. Tutta l’antichità si unì a chiamarlo Comasco; quando pel primo, l’anno 1313, senza fior di lettere e di senno, un Giovanni Veronese, prete che talvolta, come in questa occasione, confuse i due Plinii in un solo, scrisse: «Plinio essere di nazione Veronese leggesi in certa storia». Questo bastò ad accendere col tempo la guerra tra Veronesi e Comaschi, contendendo quelli pel nuovo ricchissimo acquisto che speravano, e questi per non perdere quanto avevano sempre posseduto e che in origine era proprio; siccome finalmente, a tacere di molti altri infiniti, ebbe a provare Antongioseffo Della Torre di Rezzonico, che trionfò pienamente degli avversari, e la vittoria è in perpetuo assicurata ai Comaschi. Merita in proposito di essere letta la dissertazione che sulla patria dei due Plinii indirizzò l’anno 1824 al cavaliere Ippolito Pindemonte il cavaliere Alessandro Paravia. Il Paravia, quantunque nato sul Veneto e a’ suoi Veronesi propenso, stabilisce essere fuori di controversia che Plinio il Vecchio sortì i natali in Como. Il Pindemonte, Veronese fino nel midollo, non seppe replicare al chiarissimo Paravia.

Cajo Plinio Secondo nacque l’anno 776 di Roma, ventesimo[p. 8 modifica]terzo di Cristo; coltivò i buoni studi, militò in Germania, poi tornato a Roma, ove già era stato, trattò cause nel foro; fu procuratore di Nerone in Ispagna: richiamato da Vespasiano nel secondo anno di questo, ebbe il comando dell’armata navale di Miseno. Mentre quivi dimorava, il Vesuvio eruttò fiamme per la prima volta, correndo l’anno 79 di Cristo. La curiosità d’esaminare dappresso quel fenomeno, e la pietà di soccorrere i periglianti, lo trasse colà, dove essendosi troppo arditamente inoltrato, mentre tutti fuggivano, venne soffocato da vortici di solfo e di fumo. Plinio Minore ne descrisse la morte in una lettera allo storico Tacito: egli stesso in un’altra ne racconta il vivere e le occupazioni. Parco del cibo e del sonno, poco dopo mezzanotte cominciava i suoi studi, ai quali attendeva e passeggiando e nel bagno e a cena, sempre avendo seco uno schiavo, che leggesse o scrivesse: tanto che lasciò a suo nipote centottanta volumi scritti in minutissimo carattere. Furono opera sua tre libri d’arte oratoria; trentuno delle storie de’ suoi tempi; del lanciar dardi a cavallo; la vita di Pomponio Secondo; le guerre dei Romani in Germania in venti libri; fino scritti grammaticali, quando la tirannide di Nerone rendeva pericoloso ogni studio più elevato: varietà tanto più mirabile se si consideri e la brevità di sua vita e le moltiplici occupazioni. Ma l’opera che a noi giunse per eternarne il profondo ingegno e la vastissima erudizione, è la storia naturale, in trentasei libri. Lo stile manca forse della purezza elegante del secolo d’oro; non ordinaria però è la forza e la precisione sua; e quanta men parte di lingua latina possederemmo noi se fosse andata perduta l’opera sua! E quanto poco conosceremmo delle arti belle, di cui ragiona con sì sapiente entusiasmo!

Attraverso però alla barbarie che separa le antiche dalle moderne età, ci pervennero quelle opere lorde d’infiniti errori, a riparare i quali non ancora providero le tante edizioni che se ne fecero; nè le versioni in ogni lingua, fin nell’arabica. Bramava il Tiraboschi che una società di valorosi Italiani donasse una bella traduzione di quest’opera con note doviziose ed esatte: scorso di [p. 9 modifica]molto un mezzo secolo, rimane ancora inadempito quel voto, perchè noi non ci facciamo vergogna dell’esser prevenuti dagli stranieri nell’illustrare le cose nostre. Ai Comaschi, principalmente, sarebbe dovuta questa fatica, come onore ad un tanto concittadino. I nostri padri gli eressero una statua in luogo sacro: sarebbe degno dei lumi di quest’età e della gentilezza dei presenti costumi crescer lustro alla patria nostra con un’opera che ravvicinasse quell’ingegno dell’antichità ai begli studi della moderna civilizzazione, che congiungesse l’età di que’ due nostri grandissimi, Plinio e Volta.