Nel giugno
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Nel giugno dell’anno scorso Ci fu d’uopo scriverle sul gravissimo pericolo che corre la fede e la morale del Nostro popolo di Roma per le molteplici vie qui aperte all’incredulità ed al vizio; tra le quali lamentammo allora come funestissima quella che dalle pubbliche scuole fosse stato escluso, quasi del tutto l’insegnamento del "catechismo". Ora sentiamo il dovere di scriverle nuovamente sopra di un argomento connesso strettamente col primo, e anche esso della più alta importanza, vogliamo dire "le scuole di Roma". È ben noto per dolorosa esperienza che, nella guerra ora mossa alla Chiesa, i nemici prendono specialmente di mira la gioventù, col manifesto intendimento di formare le crescenti generazioni a seconda dei propri disegni e di guadagnarle per tempo alla loro causa. Negato perciò alla Chiesa ogni potere nel governo della pubblica cosa, e concessi eguali diritti ad ogni sorta di religione e di culto, si volle sottrarre anche la pubblica istruzione alla vigilanza e all’autorità della Chiesa, che d’ogni sapere fu sempre autrice e maestra; e si diede dovunque libero accesso a qualsivoglia insegnamento, fosse pure ateo o infetto di eresia.
Ella ben sa, Signor Cardinale, che questa maniera d’istruire la gioventù fuori del benefico influsso della Chiesa fu introdotta anche negli Stati della S. Sede, man mano che furono tolti al legittimo regime del Pontefice; anzi, senza tener conto alcuno delle specialissime condizioni e del carattere singolare che Roma riveste agli occhi di tutti, per essere la Sede del Vicario di Cristo e il centro del Cattolicismo, anche qui fu aperta all’errore la porta della più ampia libertà. Onde avvenne che dentro queste auguste mura, ove prima altro insegnamento non si apprestava che quello purissimo voluto dalla Chiesa, ora invece nelle pubbliche scuole è tollerato appena per qualche ora il catechismo cattolico: in quelle poi, aperte e tenute dai protestanti, le tenere menti dei giovanotti e delle giovanette sono imbevute di ree dottrine, conforme allo spirito eterodosso di chi le insegna.
Giacché per molti fatti ben noti chiaramente si rivela il disegno, concepito dai nemici della Cattolica Religione, di diffondere largamente in Roma i falsi princìpi del Protestantesimo; e profittando della libertà dalle leggi concessa rivolgere specialmente contro di Roma gli sforzi che si usarono finora nelle diverse città della penisola, e qui stabilire come il centro della propaganda eterodossa in Italia, sotto gl’influssi e cogli aiuti potenti, che loro vengono dal di fuori. Questo disegno si vuol mandare ad effetto specialmente nelle scuole e per le scuole; le quali perciò, anziché scemare col tempo, vanno crescendo di anno in anno per l’opera e coll’oro degli stranieri, che qua venuti ne aprono spesso delle nuove, tentando con ogni arte di attirarvi numerosa la gioventù. Perciò a quelli che più sentono gli stimoli e le distrette dell’indigenza, si offrono larghi sussidi pecuniari, e si agevola il modo di sopperire ai molteplici bisogni della vita: cogli altri si largheggia di promesse, di premi, di lusinghe e di allettamenti d’ogni maniera.
Né possiamo tacere che con singolare impudenza si giunse tant’oltre da aprire scuole acattoliche anche sotto gli stessi occhi Nostri, fin presso alle porte del Vaticano, Sede veneranda dei romani Pontefici. Al contrario, mentre tanta licenziosa libertà si concede alle scuole eterodosse, per vie oblique, ma sommamente efficaci, si tenta d’impedire l’incremento e lo sviluppo delle scuole cattoliche. Non mancano infatti all’uopo sinistre insinuazioni contro di esse, né speciali rigori, né minaccie per distogliere i genitori dall’affidare i loro figli ai maestri sinceramente cristiani. Non Ci fermeremo, Signor Cardinale, a dimostrare quanto sia contraria anche alla pubblica prosperità e al comune vantaggio un’istruzione qual si vuole al presente, non informata allo spirito del Cristianesimo. Giacché ognun vede a quali estremi sarà condotta la società, lasciando che in mezzo ad essa cresca una generazione sfornita di cristiani insegnamenti, disamorata delle pratiche di religione, senza fermi principi di morale. I lacrimevoli saggi, che già se ne hanno, fanno anche più sinistramente presagire dell’avvenire.
Solamente vogliamo osservare quanto male, anche per questa parte, siasi provveduto alla dignità e alla libertà del Romano Pontefice, dopo che gli fu tolto il dominio dei suoi Stati. Infatti la Nostra condizione, quale risulta dalla serie dolorosa dei fatti che sopra toccammo, è tale che siamo perfino costretti a vedere l’errore, sotto la tutela delle pubbliche leggi, libero di innalzare qui la sua cattedra, senza che Ci sia consentito l’uso dei mezzi efficaci per farlo tacere.
Ora è facile comprendere quanto sia cosa indegna che la Città, ove ha sede il Vicario di Gesù Cristo, sia impunemente contaminata dall’eresia, e addivenga, come ai tempi pagani, il ricetto degli errori, l’asilo delle sette. Ogni ragion persuade che nella santa Città, consacrata dal sangue dei Principi degli Apostoli e di tanti Eroi del Cristianesimo, celebrata fin dai tempi apostolici per la sua fede, e dalla quale, come da centro, si ha da spandere la vita, la luce della verità e dell’esempio in tutto il mondo, deve regnare sovrana e maestra la Religione di Cristo; e il Dottore universale della fede, il Vindice della cristiana morale deve avere il libero potere di chiudervi l’accesso all’empietà e di mantenervi la purezza dei cattolici insegnamenti. - Anche i fedeli, che da ogni parte della terra traggono pellegrinando a Roma, a buon diritto si attendono di non trovare nella Città del loro Capo Supremo altro che conforto alla loro fede, pascolo alla loro pietà e splendidi esempi da imitare. Debbono quindi rimanere altamente amareggiati ed indignati al vedere invece serpeggiare in essa l’errore e dilatarsi con immensa rovina delle anime.
Facilmente s’intende, Signor Cardinale, quanto torni amaro al Nostro cuore un attentato cosi insidioso alla fede di Roma, e come Ci sia impossibile di rassegnarci ad uno stato di cose così contrario al sentimento della Nostra dignità, e così inconciliabile coi diritti e coi doveri sacrosanti del supremo Nostro potere. Intanto in mezzo alle gravissime difficoltà, onde siamo circondati, a Noi altro non resta se non rivolgere le Nostre speciali sollecitudini a mitigare almeno l’asprezza del male, e ad impedire, per quanto è possibile, che più si diffonda.
Dopo mature riflessioni pertanto, senza nulla innovare intorno agli Istituti retti dalla Sacra Congregazione degli Studi, siamo venuti nella risoluzione di nominare una Commissione di Prelati e di Signori del Patriziato Romano, la quale di tutte le scuole cattoliche da Noi dipendenti tanto elementari, quanto quelle nelle quali s’importo l’istruzione primaria, assuma in Roma l’alta direzione e vigilanza, lasciando bensì le persone e gli Istituti che attualmente le reggono; e sia come il centro comune, da cui, per quanto lo permettano le condizioni presenti, tutte abbiano a ricevere unità ed incremento. La Commissione che Noi nominiamo è così costituita: Presidente, Monsig. Giulio Lenti Arcivescovo di Sida, Vicegerente di Roma; Membri, Monsig. Francesco Ricci Paracciani, Nostro Maggiordomo, Monsig. Carlo Laurenzi Vescovo di Amata in partes infidelium, Monsig. Pietro Crostarosa, Marchese Giovanni Patrìzi Montoro, Camillo dei Prìncipi Rospigliosi, Pietro Aldobrandini Principe di Sarsina; Segretario, Canonico D. Augusto Guidi.
Questa Commissione, penetrandosi delle molte e gravi difficoltà che dovrà affrontare, avrà a speciale suo compito procacciarsi una cognizione esatta dello stato delle nominate scuole nei diversi Rioni di Roma; indagare se per numero e per ampiezza corrispondono ai bisogni e alla moltitudine dei giovanotti dell’uno e dell’altro sesso che si presentano per ricevervi l’insegnamento; vedere quali potrebbero ampliarsi e dove aprirsene delle nuove; infine studiarsi che le scuole siano affidate a maestri idonei, i quali alla sperimentata bontà della vita congiungano l’abilità e i requisiti necessari ad esercitare con vero profitto il magistero. I membri componenti la Commissione, oltre le adunanze ordinarie che terranno frequentemente d’innanzi al Presidente per ben intendersi fra loro, e consultare sopra quello che sia da fare, si riuniranno altresì alcune volte entro Vanno davanti a Lei, Signor Cardinale, perché anche col suo consiglio e colla sua autorità siano adottate le disposizioni più opportune a vincere gli ostacoli e provvedere ai bisogni.
Siccome però questa lotta dell’errore contro la verità è sostenuta principalmente dall’oro, che si profonde largamente in mezzo ad un popolo ridotto a poco floride condizioni di fortuna; così il buon esito dell’impresa dipende grandemente dall’avere alla mano mezzi pecuniari in gran copia. Quindi Noi Ci proponiamo di concorrere con ogni larghezza ed annualmente del Nostro privato peculio a questo rilevantissimo fine; e poiché alla conservazione della fede in Roma sono collegati gl’interessi di tutto il mondo cattolico, intendiamo che a far prosperare le Nostre scuole contribuisca anche l’obolo di S. Pietro, per quella parte che i bisogni della Chiesa universale Ce lo consentiranno.
Malgrado ciò, Ci sarà anche necessario il concorso speciale di quanti, schiettamente cattolici, (e nella Città di Roma, la Dio mercé, sono ancora assai numerosi) hanno a cuore il bene della Religione e la gloria di Dio. - Sappiamo già che nobilissime ed illustri famiglie del Patriziato Romano, con grande loro merito presso Dio, e con onore tanto maggiore, quanto più gravi sono le difficoltà contro le quali debbono continuamente lottare, fondarono e mantengono del proprio alcune scuole, dove i giovanetti dei due sessi ricevono la cultura letteraria corrispondente al loro stato, e vengono insieme ammaestrati nel catechismo cattolico, e nella pratica delle virtù cristiane. Ora anime sì generose, e quante altre ve ne sono mosse da buono spirito, cui la Provvidenza fece più larga copia delle dovizie terrene, al conoscere il bisogno che vi è, di provvedere alla gioventù scuole cristiane, non possono non aspirare alla gloria di fornirci i mezzi necessari a mantenerle.
Né in questa gloria si lascerà vincere da altri il Clero Romano. Il Sacerdozio cattolico andò sempre innanzi in ogni impresa che tornasse ad onore di Dio e a profitto delle anime; e le gloriose tradizioni del Clero di Roma attestano chiaramente quanto bene anch’esso abbia sempre compreso la sua sublime missione. Già i Capitoli delle Basiliche Patriarcali hanno messo in Nostre mani ciascuno la propria offerta; e non dubitiamo che il loro esempio muoverà anche gli altri a fare il medesimo. Simili offerte Noi le destiniamo esclusivamente a questo altissimo scopo, degno veramente del Nostro Clero, di provvedere cioè al popolo di Roma insieme alla letteraria istruzione, quella educazione cristiana, che è seme fecondo anche di civiltà e di sociale benessere.
Che se non tutti possono largheggiare di danaro, possono però prestare l’opera loro, sia richiamando alla memoria dei genitori il gravissimo dovere che hanno di allevare cristianamente la prole e di tenerla lontana da tutto ciò che può recar detrimento alla loro fede; sia esercitando essi stessi nelle scuole il magistero; sia insegnando il catechismo e spezzando ai pargoli il pane della divina parola.
Per tal modo i Romani si mostreranno degni di sé, ed avranno anche la gloria di emulare lo zelo e la generosità dei cattolici di altri paesi di Europa, i quali gelosi dell’avita lor fede danno al mondo splendidi esempi di disinteresse e di sacrificio, affine di veder conservata nette loro scuole l’educazione cristiana.
Anche Ella, Signor Cardinale, che tanta e così solerte attività spiega per la salute delle anime, non cessi di esortar tutti che si adoperino con fermezza di propositi, con alacrità e generosità di animo per raggiungere il fine propostoci; poiché i giorni che corrono sono cattivi (Ef 5,16), e non dobbiamo lasciarci sopraffare dal male, ma vincere piuttosto il male per mezzo del bene (Rm 12,21). Ed ora chiudendo la Nostra lettera innalziamo gli occhi a Dio supplicandolo per l’intercessione della Vergine Immacolata, e dei Ss. Apostoli Pietro e Paolo a dare compimento ai Nostri voti, a rammentarsi della Città Santa dove sorge la Cattedra del suo Vicario, e disporre per essa giorni migliori. E nutriamo la certa speranza che, mercé l’aiuto del cielo e per lo zelo operoso di tutti i buoni, andranno a vuoto gli sforzi nemici, e Roma conserverà sempre il prezioso tesoro della sua fede. Auspice intanto dei favori celesti, a Lei, Signor Cardinale, membri della Commissione, e a tutti i fedeli di Roma impartiamo l’Apostolica Benedizione.
Dal Vaticano, 25 Marzo 1879.