Morgante/Cantare decimoprimo

Cantare decimoprimo

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Cantare decimo Cantare decimosecondo

 
1   O santo pellican, che col tuo sangue
     campasti noi dalla fera crudele,
     dal suo velen come pestifero angue,
     e poi gustasti l’aceto col fele,
     tanto che la tua madre afflitta langue;
     manda in mio aiuto l’arcangel Michele,
     sì ch’io riporti di vittoria insegna
     e seguir possa questa istoria degna.

2   Gano scriveva a Carlo in questo modo:
     «O Carlo imperador, che t’ho io fatto?
     S’io non commissi inganno mai né frodo,
     perché consenti tu ch’io stia di piatto?
     S’io t’ho servito sempre, assai ne godo:
     tu mostri essere ingrato a questo tratto,
     e sanza udir le mie ragion, consenti
     che’ miei nimici sien di me contenti.

3   Quel dì ch’io presi in Parigi la piazza,
     che sapevo io chi drento era venuto,
     o se pur v’era gente d’altra razza,
     che ti paressi Orlando sconosciuto?
     Per riparare a quella furia pazza
     corsi alla piazza, e parvemi dovuto.
     Che sapevo io se tu t’eri ingannato
     o che nella città fussi trattato?

4   Rinaldo non istette mai a udire
     le mie ragioni, ma furiando forte
     mi minacciava di farmi morire:
     io mi fuggi’, temendo della morte.
     Tu ti stai in festa, ed io con gran martìre;
     e tanto tempo è pur ch’io fui in tua corte
     de’ tuoi baroni e del tuo gran consilio:
     or m’hai scacciato e mandato in essilio».

5   Carlo lesse la lettera piangendo,
     però che molto Ganellone amava;
     ed ogni cosa per fermo tenendo
     ch’e’ gli scriveva, indrieto rimandava
     dicendo: «Il tuo partir, Gan, non commendo
     e la distanzia tua troppo mi grava.
     Torna a tua posta e come caro amico
     come stato mi se’ pel tempo antico».

6   Gan ritornò, come scriveva Carlo.
     Carlo lo vide molto volentieri
     e corse, come e’ lo vide, abbracciarlo:
     - Ben sia tornato il mio Gan da Pontieri. -
     Gan come Giuda in fronte usa baciarlo.
     Dicea Rinaldo al marchese Ulivieri:
     - Vedi che Carlo consente ch’e’ torni,
     e ritornianci pur ne’ primi giorni.

7   Io vo’ che ’l capo Carlo Man mi tagli
     se non è quel ch’a Caradoro ha scritto
     e che lo ’mbasciador fece mandàgli:
     non so come guardar lo può diritto.
     Ma metter lo potria in tanti travagli
     che qualche volta piangerà poi afflitto. -
     Così pareva al marchese ed Orlando;
     tutta la corte ne vien mormorando.

8   Ma come avvien che sempre la Fortuna
     si diletta veder diverse cose,
     e sempre volge come fa la luna,
     mentre che Carlo par così si pòse
     sanza più dubitar di cosa alcuna,
     ma sanza spine godersi le rose,
     ed ogni dì fa giostre e torniamenti,
     e tutti i suoi baron vede contenti;

9   un giorno a scacchi Ulivier borgognone
     in una loggia con Rinaldo giuoca;
     vennono insieme, giucando, a quistione;
     e tanto ognun di parole rinfuoca
     ch’Ulivier disse a Rinaldo d’Amone:
     - Tu hai talvolta men cervel ch’un’oca,
     e col gridar difendi sempre il torto.
     Non so se m’hai per tuo ragazzo scorto. -

10 Rinaldo rispondea: - Tu credi forse,
     perché presente è qui Meredïana,
     ch’io ti riguardi? - E tanto ognun trascorse
     d’una parola in un’altra villana,
     che Ulivieri il pugno innanzi porse:
     la damigella gli prese la mana;
     Rinaldo si rizzò subitamente.
     Ma Ulivier non aspettò nïente:

11 sùbito corse per la sua armadura;
     torna a Rinaldo e trasse fuori il brando:
     Rinaldo non l’aveva alla cintura,
     ma in questo mezzo si cacciava Orlando.
     Meredïana triema di paura;
     Carlo Rinaldo venìa minacciando:
     - Ogni dì metti la corte a romore,
     e ’l torto hai sempre, e fa’mi poco onore. -

12 Rinaldo, ch’era tutto infurïato,
     rispose a Carlo Magno: - Tu ne menti,
     ché ’l torto ha egli ed hammi minacciato. -
     Carlo gridava a tutte le sue genti:
     - Fate che presto costui sia pigliato,
     se non che tutti farò mal contenti! -
     Dicea Rinaldo: - Ignun non mi s’accosti,
     ché gli parrà che le mosche gli arrosti! -

13 Orlando vide il cugino a mal porto,
     e così disse: - Piglia tuo partito:
     vattene a Montalban per mio conforto,
     ch’io veggo Carlo troppo insuperbito,
     sanza voler saper chi s’abbi il torto. -
     Rinaldo s’è prestamente fuggito;
     tolse Baiardo ed ubbidiva Orlando,
     e inverso Montalban va cavalcando.

14 Carlo si dolfe con Orlando molto
     perché l’avea così fatto fuggire,
     dicendo: - Il traditor dove m’ha còlto,
     che per la gola ogni dì m’ha a smentire?
     Io l’ho a trattare un giorno come stolto. -
     Sùbito fece il consiglio venire
     e disse in brieve e soluta orazione
     quel che far debba del figliuol d’Amone.

15 Diceva Orlando: - A mio modo farai:
     lasciagli un poco uscir questa arroganza,
     ed altra volta ginocchion l’arai
     e faren che ti chiegga perdonanza. -
     Carlo rispose: - Ciò non farò mai,
     che di smentirmi più pigli baldanza:
     io vo’ perseguitarlo insino a morte,
     né mai più intendo tenerlo in mia corte. -

16 Namo alla fine dètte il suo consiglio,
     che si dovessi di corte sbandire,
     acciò che non seguisse altro periglio,
     ché qualche mal ne potrebbe seguire;
     e dicea: - Tutto il popolo è in bisbiglio
     ch’altra gente pagana dèe venire,
     e forse potria farne novitade,
     ché molto amato è pur nella cittade. -

17 Astolfo non volea che si sbandisse,
     ma che gli fussi in tutto perdonato;
     ma Ulivieri incontro ’Astolfo disse,
     tanto che molto di ciò fu sdegnato;
     e Carlo comandò che si seguisse
     il bando, come Namo ha consigliato.
     Gano avea detto solo una parola:
     - Se t’ha smentito, impiccal per la gola. -

18 Poi che più Astolfo non vide rimedio,
     e che Rinaldo è sbandito da Carlo,
     si dipartì sanza più stare a tedio:
     a Montalban se n’andava avvisarlo
     che consigliato s’era porgli assedio,
     ed accordati poi di sbandeggiarlo;
     e ciò ch’aveva detto a Carlo Mano
     per suo consiglio il traditor di Gano.

19 Rinaldo mille volte giurò a Dio
     che ne farà vendetta qualche volta
     di questo fraudolente, iniquo e rio,
     se prima non gli fia la vita tolta;
     e poi diceva: - Caro cugin mio,
     so che tu m’ami, e pertanto m’ascolta:
     io vo’ che tutto il paese rubiamo
     e che di mascalzon vita tegnamo;

20 e se san Pier trovassimo a camino,
     che sia spogliato e messo a fil di spada;
     e Ricciardetto ancor sia malandrino. -
     Rispose Astolfo: - Perché stiamo a bada?
     Io spoglierò Otton per un quattrino.
     Doman si vuol che s’assalti la strada:
     non si rispiarmi parente o compagno,
     e poi si parta il bottino e ’l guadagno.

21 Se vi passassi con sua compagnia
     sant’Orsola con l’agnol Gabrïello
     che annunzïò la Virgine Maria,
     che sia spogliato e toltogli il mantello! -
     Dicea Rinaldo: - Per la fede mia,
     che Dio ti ci ha mandato, car fratello:
     troppo mi piaci, e savio or ti conosco.
     Parmi mill’anni che noi siàn nel bosco. -

22 Quivi era Malagigi, e confermava
     che si dovessi far come egli ha detto.
     Rinaldo gente strana raünava:
     se sa sbandito ignun, gli dà ricetto;
     gente ch’ognun le forche meritava
     a Montalban rimetteva in assetto,
     donava panni e facea buone spese;
     tanto che assai ne raünò in un mese.

23 Tutto il paese teneva in paura;
     ogni dì si sentia qualche spavento:
     - Il tal fu morto in una selva scura,
     e tolto venti bisanti. - Al tal cento
     insin presso a Parigi in su le mura. -
     Non domandar se Gano era contento,
     acciò che Carlo più s’inanimassi,
     tanto che a campo a Montalbano andassi.

24 E perché più s’accendessi Rinaldo,
     diceva a Carlo un dì: - La corte nostra
     par tutta in ozio per questo ribaldo
     che co’ ladroni alle strade si mostra.
     Io sono in questo proposito saldo,
     che si vorrebbe ordinare una giostra,
     per sollazzar la corte e ’l popol prima,
     e non mostrar far di Rinaldo stima. -

25 Carlo gli piacque quel che Gan dicea,
     e fe’ per tutto Parigi bandire
     come il tal dì la giostra si facea:
     che chi volessi, potessi venire.
     Tutta la corte piacer ne prendea.
     Gan, per potere ogni cosa fornire
     e per parere a ciò di miglior voglia,
     in punto misse Grifon d’Altafoglia.

26 Questo era della schiatta di Maganza.
     Orlando s’era di corte partito.
     Gan gli diceva: - O Grifon di possanza,
     poi che non c’è Rinaldo, ch’è sbandito,
     con tutti gli altri accettar dèi la danza,
     ch’Orlando non si sa dove sia ito. -
     Grifon rispose al suo degno signore:
     - Io farò sì ch’io vi farò onore. -

27 Venne la giostra e ’l tempo diputato;
     ed ordinò lo ’mperador, per segno
     d’onore a quel che l’arà meritato,
     un bel carbonchio molto ricco e degno
     che in un bel gambo d’oro era legato.
     Fuvvi gran gente di tutto il suo regno,
     e molta baronia viene alla giostra;
     Grifone il primo in sul campo si mostra.

28 Rinaldo un giorno un suo falcon pascendo,
     ecco venire il fratel Malagigi,
     e come e’ giunse, diceva ridendo:
     - Non sai tu come e’ si giostra a Parigi?
     Che tu vi vadi in ogni modo intendo,
     iscognosciuto, con istran vestigi,
     ed una barba d’erba porterai
     che cognosciuto da nessun sarai. -

29 Tutto s’accese Rinaldo nel core,
     e missesi di sùbito in assetto
     di sopravveste, d’arme e corridore,
     e disse: - Io intendo menar Ricciardetto
     e d’Inghilterra il famoso signore.
     Alardo rimarrà qui per rispetto. -
     Missonsi in punto tutti, e l’altro giorno
     iscognosciuti a Parigi n’andorno.

30 E solean questi sempre per antico
     dismontare alla casa di Gualtieri,
     ovver di don Simon, lor caro amico:
     a questa volta trovorno altro ostieri
     fuor di Parigi, ch’era assai mendico:
     quivi smontorno e missono i destrieri
     per fuggire ogni tradimento reo;
     e l’oste appellato è Bartolomeo.

31 E poi Rinaldo Ricciardetto manda
     in piazza per veder quel che faciéno.
     Ricciardo aveva a traverso una banda
     alla sua sopravvesta e al palafreno,
     e in certa parte una gentil grillanda
     di fior, che quasi il petto gli copriéno;
     di bianco drappo era la sopravvesta,
     a nessun mai più non veduta questa.

32 Una grillanda aveva alla testiera
     ed una in su la groppa del cavallo,
     di varii fior, come è di primavera;
     la coverta è di color tutto giallo.
     Vide la giostra che cominciata era,
     né poté far non entrassi nel ballo;
     e ’l primo ch’egli scontra in terra ha spinto,
     e poi il secondo e ’l terzo e ’l quarto e ’l quinto.

33 Poi si partì e tornava al fratello,
     e disse ciò che al campo aveva fatto.
     Rinaldo, ch’era armato come quello,
     e ’l duca Astolfo n’andaron di tratto;
     e tutto il popol si ferma a vedello,
     perché parea nell’armi molto adatto.
     Ulivieri era già venuto al campo
     e con la lancia menava gran vampo.

34 Rinaldo, come giunse, al suo Baiardo
     una fiancata dètte cogli sproni;
     vennegli incontra il marchese gagliardo;
     non si conoscon questi due baroni;
     due colpi grandi sanza alcun riguardo
     a mezzo il corso dèttonsi i campioni:
     le lance in aria pel colpo ne vanno,
     ma l’uno all’altro facea poco danno,

35 salvo che ginocchion vanno i destrieri;
     e nel cader l’elmetto si dilaccia
     al valoroso marchese Ulivieri,
     tanto che tutta scoperse la faccia.
     Videl Rinaldo, e fece assai pensieri
     di darli morte e fuggir via poi in caccia;
     pur si ritenne per miglior partito.
     Ulivier si rizzò tutto smarrito.

36 Allor Rinaldo un’altra lancia prese
     e rivoltossi col cavallo a tondo;
     vide venire un certo Maganzese
     che si chiamava per nome Frasmondo:
     sopra lo scudo la lancia giù scese,
     gittalo in terra, e poi gittò il secondo,
     cioè Grifon, ch’avea molta possanza,
     ch’era mandato da Gan di Maganza.

37 Quivi combatte il signor d’Inghilterra,
     ed or questo, or quell’altro manda al piano:
     molti n’aveva cacciati per terra.
     Rinaldo guarda se cognosce Gano:
     videlo un tratto, e Baiardo disserra;
     e come e’ giunse al traditor villano,
     per fargli il giuoco, se poteva, netto,
     gli pose alla visiera dell’elmetto.

38 Gan si scontorse tutto in su l’arcione;
     la lancia si spezzò subitamente,
     e ’l suo forte destrier Mattafellone
     s’accosciò in terra, se Turpin non mente.
     E come e’ fu caduto Ganellone,
     sùbito intorno gli fu molta gente
     de’ Maganzesi, e corsono aiutallo,
     e rilevato fu sù col cavallo.

39 Quanti ne scontra Rinaldo quel giorno,
     tanti per terra par che ne trabocchi;
     Alda la bella al cavaliere adorno
     sempre teneva quel dì fiso gli occhi;
     e quanti cavalier con lui giostrorno,
     parvon le lance gambi di finocchi;
     tanto che molto piacque a Gallerana,
     ch’era con Alda e con Meredïana.

40 Fatta la giostra, fu dato l’onore
     al buon Rinaldo, che lo meritava.
     Alda la bella al baron di valore
     un ricco dïamante poi donava,
     dicendo: - Questo porta per mio amore. -
     E Gallerana un rubin suo gli dava,
     tanto lor parve un cavalier possente.
     Rinaldo gli accettò cortesemente.

41 Tornossi all’oste di fuor della terra
     Rinaldo con Astolfo e col fratello.
     Gan, perché avuta vergogna avea in guerra,
     vituperato, drento al suo cor fello
     pensò di far con sua gente tal serra
     al paladin ch’egli uccidessi quello,
     acciò che tanti cavalier prestanti
     d’aver vinti quel giorno non si vanti.

42 Sùbito fuor di Parigi son corsi,
     e giunti all’oste, Rinaldo trovaro,
     e cominciorno co’ graffi e co’ morsi
     a volerlo atterrar sanza riparo:
     così con esso a battaglia appiccorsi,
     tanto ch’Astolfo per forza pigliaro;
     e con fatica Rinaldo è fuggito
     con Ricciardetto che l’avea seguito.

43 Gan fece ’Astolfo l’elmetto cavare
     con intenzion di dargli poi la morte,
     ma saper prima ben d’ogni suo affare
     e del compagno suo ch’è tanto forte.
     Come il cognobbe, cominciò a parlare:
     - Tu se’ quel traditor che nostra corte
     vituperasti sempre e Carlo Mano,
     e malandrin se’ fatto a Montalbano!

44 I tuoi peccati t’hanno pur condotto
     dove tu merti, se tu guardi bene
     alla tua vita, e pagherai lo scotto
     di quel che hai fatto, con affanni e pene. -
     Astolfo per dolor non facea motto.
     Gan di Maganza a Parigi ne viene,
     e giunto a Carlo tutto in volto lieto,
     gli dètte Astolfo in sua man di segreto.

45 Questo facea perché non abbi aiuto,
     né per la via scoperto l’ha a persona,
     acciò che non sia tolto o cognosciuto;
     e dice: - O Carlo Magno, alta corona,
     fallo impiccar, ché tu farai il dovuto:
     alla sua vita mai fe’ cosa buona;
     se tu ragguardi, nel tempo passato
     per mille vie le forche ha meritato. -

46 Carlo lo fece mettere in prigione
     per ordinar di farne aspra giustizia.
     Mentre che questo ordinava Carlone,
     e Gan tutto era acceso di letizia,
     Rinaldo, ch’era pien di passïone,
     sentia d’Astolfo al cor molta tristizia,
     e pensa pur come e’ possa aiutarlo,
     ché dicea: «Carlo Man farà impiccarlo».

47 Orlando appunto a Montalban giugnea,
     quale era stato per molti paesi,
     e rivedere il suo cugin volea;
     e Ricciardetto e lui truova sospesi.
     Rinaldo poi d’Astolfo gli dicea:
     or questo par ch’al conte molto pesi,
     ché in Agrismonte stato era di Buovo,
     e non sapea di questo caso nuovo.

48 Ed accordossi con Rinaldo insieme
     che non gli fia la vita perdonata;
     e Malagigi ha perduta ogni speme,
     però che Carlo un’ostia consecrata
     gli ha messo addosso, ché dell’arte teme
     di Malagigi, e la prigion guardata
     in modo avea che non si può aiutare,
     né con ingegni o spirti liberare.

49 Diceva Orlando: - Io per me son disposto
     insieme con Astolfo ire a morire. -
     Disse Rinaldo: - Ed io. Facciàn pur tosto,
     però che non è tempo da dormire. -
     Come il sol fu nell’occeàn nascosto,
     sùbito l’arme si fecion guernire,
     e Ricciardetto con seco menorno,
     e cavalcâr la notte insino al giorno.

50 La mattina per tempo capitati
     furon fuor delle porte di Parigi;
     e non si sono a gnun manifestati,
     ma stettonsi nascosi in San Dionigi;
     e certi vïandanti son passati:
     Orlando drieto mandò lor Terigi
     a domandar se novelle sapiéno
     di corte, e quel che i paladin faciéno.

51 Fugli risposto: - Niente sappiàno,
     se non ch’egli è certo mormoramento
     ch’un de’ baroni impicca Carlo Mano
     questa mattina per suo mancamento:
     le forche qua su la strada veggiàno.
     Altre novelle non sentimo drento. -
     Terigi presto ritornava al conte
     e di Parigi le novelle ha conte.

52 Disse Rinaldo: - E’ fa pur daddovero!
     Ben debbe godere or quel traditore! -
     Diceva Orlando: - E’ fallerà il pensiero,
     se tu mi segui, cugin, di buon core. -
     Disse Rinaldo: - Morir teco spero,
     e ’l primo uccider Carlo imperadore,
     prima ch’Astolfo, come Gano agogna,
     vegga morir con tanta sua vergogna.

53 Io trarrò a Gano il cuor prima del petto
     ch’i’ sofferi veder mai tanto duolo:
     così la fede, Orlando, ti prometto;
     io verrò teco in mezzo dello stuolo,
     così sbandito, sanza alcun sospetto,
     s’io vi dovessi morto restar solo. -
     E così insieme congiurati sono
     di mettersi alla morte in abandono.

54 E stanno alla veletta per vedere
     qualunque uscissi fuor della cittade;
     così Terigi, ch’era lo scudiere,
     aveva gli occhi per tutte le strade;
     ognuno in punto teneva il destriere,
     ognun guardava come il brando rade.
     Diceva Orlando a Terigi: - Sarrai
     sul campanile, e cenno ci farai.

55 Ma fa’ che bene in ogni parte guardi,
     acciò che error per nulla non pigliassi;
     se tu vedessi apparire stendardi
     o che alle forche nessun s’accostassi,
     sùbito il di’: che noi non fussin tardi,
     che ’l manigoldo intanto lo ’mpiccassi.
     Ma, a mio parer, sanza dimostrazione
     s’ingegnerà mandarlo Ganellone. -

56 Gan la mattina per tempo è levato
     e ciò che fa di bisogno ordinava:
     insino al manigoldo ha ritrovato;
     non domandar come e’ sollecitava.
     I paladini ognun molto ha pregato;
     ma Carlo chi lo priega minacciava
     perch’ostinato era farlo morire,
     tanto che pochi volean contraddire.

57 Avea molto pregato l’amirante
     che con Erminïon si fe’ cristiano:
     questo era quel famoso Lïonfante
     che prese Astolfo presso a Montalbano;
     Meredïana pregava e Morgante;
     ma tutto il lor pregare era alfin vano.
     Gan da Pontieri in su la sala è giunto,
     dicendo a Carlo: - Ogni cosa è già in punto. -

58 E taglia a chi pregava le parole,
     dicendo: - O imperador, sanza giustizia
     ogni città le barbe scuopre al sole;
     per non punire i tristi e lor malizia
     vedi che Troia e Roma se ne duole;
     e sanz’essa ogni regno precipizia.
     La tua sentenzia debbe avere effetto,
     e non mutar quel ch’una volta hai detto. -

59 Carlo rispose: - Gan, sia tua tal cura:
     fa’ che la giustizia abbi suo dovere;
     quel che bisogna a tutto ben procura. -
     Gan gli rispose: - E’ fia fatto, imperiere:
     di questo sta’ colla mente sicura.
     S’Astolfo prima volessi vedere
     ch’io il meni via, il trarrò di prigione,
     per isfogarti a tua consolazione. -

60 Rispose Carlo: - Fatelo venire. -
     Astolfo innanzi a Carlo fu menato.
     Carlo comincia iratamente a dire,
     poi ch’a’ suoi pie’ se gli fu inginocchiato:
     - Come hai tu avuto, Astolfo, tanto ardire
     con quel ribaldo tristo, scelerato
     venire a corte, e già circa a tre mesi
     mettere in preda tutti i miei paesi?

61 Perch’io avevo Rinaldo sbandito,
     quando io pensai tu mi fussi fedele,
     a Montalban con lui ti se’ fuggito
     e fatto un uom micidiale e crudele:
     del tuo peccato è tempo sia punito,
     e dopo il dolce poi si gusta il fele.
     Della tua morte e di tue opre ladre
     non me ne incresce, ma sol del tuo padre. -

62 Otton fuor di Parigi doloroso
     s’era fuggito, per non veder, solo,
     afflitto vecchio misero angoscioso,
     morir sì tristamente il suo figliuolo.
     Astolfo allor col viso lacrimoso
     rispose con sospiri e con gran duolo,
     e disse umilemente: - O imperadore,
     io mi t’accuso e chiamo peccatore.

63 Io non posso negar che la Corona
     non abbi offesa assai col mio cugino;
     ma se per te mai cosa giusta o buona
     ho fatto mentre io fui tuo paladino
     per lunghi tempi, Carlo, or mi perdona,
     per quel Gesù che perdonò a Lungino,
     pel padre mio, tuo servo e caro amico,
     se mai piaciuto t’è pel tempo antico,

64 pel tuo caro nipote e degno conte,
     per quel ch’io feci già teco in Ispagna,
     s’io meritai mai nulla in Aspramonte,
     per la corona tua famosa e magna.
     E pur se morir debbo con tante onte,
     quel traditor ch’è pien d’ogni magagna
     più ch’altro Giuda o che Sinon da Troia,
     per le sue man non consentir ch’i’ muoia. -

65 Carlo diceva: - Questo a che t’importa? -
     Gan da Pontier gli volse dar col guanto;
     me ’l duca Namo di ciò lo sconforta.
     Astolfo fu da’ Maganzesi intanto
     preso e menato inverso della porta;
     e tutto il popol ne facea gran pianto.
     Uggier più volte fu tentato sciòrre
     Astolfo, e a Ganellon la vita tòrre;

66 ma poi di contrapporsi a Carlo teme,
     e non pensò che rïuscissi netto.
     I Maganzesi son ristretti insieme,
     perché de’ paladini avean sospetto,
     e d’ogni parte molta gente preme.
     Quel traditor di Gan per più dispetto
     come un ladrone Astolfo svergognava,
     e ’l manigoldo pur sollecitava.

67 Avea pregato Namo e Salamone
     lo ’mperador che dovessi lasciarlo;
     Avolio, Avino, Gualtier da Mulione
     e Berlinghier si sforza di camparlo,
     dicendo: - Abbi pietà del vecchio Ottone,
     che tanto tempo t’ha servito, Carlo. -
     Tutta la corte per Astolfo priega;
     ma Carlo a tutti questa grazia niega.

68 E finalmente a Gan fu consegnato
     che facci che far dèe di sua persona.
     Gan sopra un carro l’aveva legato,
     e ’n testa gli avea messa una corona
     per traditore, e ’l giubbon di broccato;
     e gran romor per Parigi risuona;
     ed un capresto d’oro gli avvolgea:
     or questo è quel ch’ ’Astolfo assai dolea.

69 Fe’ per Parigi la cerca maggiore,
     le trombe innanzi e stendardi e bandiere,
     minacciando e chiamandol rubatore.
     Ma nondimen del signor del quartiere
     e di Rinaldo temea il traditore,
     e tuttavolta gliel parea vedere.
     Terigi presto del fatto s’accorse:
     al conte tosto ed a Rinaldo corse.

70 Orlando sopra Vegliantin s’assetta;
     Rinaldo sta, come suole il falcone
     uscito del cappello, alla veletta.
     Ma per aver più salvo Ganellone
     che si scostassi di Parigi aspetta,
     tanto che fussi giunto allo scaglione,
     dicendo: - Quanto più si scosta Gano,
     tanto più salvo poi l’aremo in mano.

71 Lasciàgli pure alle forche venire,
     che se noi gli assaltassin così tosto,
     nella città potrebbon rifuggire:
     io vo’ che ’l traditor tarpian discosto.
     Astolfo in modo alcun non dèe morire:
     noi giugneren più a tempo che l’arrosto.
     Forse verrà a veder lo ’mperadore,
     e vo’ colle mie man cavargli il core.

72 I Maganzesi so che sgomberranno
     come vedranno scoperto il quartieri
     o ’l lïone sbarrato mireranno. -
     Così si furno accordati i guerrieri,
     e come i can cogli orecchi alti stanno
     per assaltare o lepretta o cervieri.
     Gan traditor con molto oltraggio e pena
     Astolfo inverso le forche ne mena.

73 Non potre’ dire il signor d’Inghilterra
     come schernito sia da quella gente:
     per non vederla, gli occhi spesso serra,
     e come agnello ne venìa paziente,
     già tanto tempo in corte stato e in guerra
     sì degno paladin tanto eccellente,
     morti a’ suoi dì con le sue proprie mani,
     per salvar Carlo, migliaia di pagani.

74 Carlo imperador, quanto se’ ingrato!
     Non sai tu quanto è in odio a Dio tal pecca?
     Non hai tu letto che per tal peccato
     la fonte di pietà sù in Ciel si secca?
     e con superbia insieme mescolato,
     caduto è d’Aquilon nella Giudecca
     con tutti i suoi seguaci già Lucifero?
     Tanto è questo peccato in sé pestifero.

75 Tu hai sentito pur che Scipïone,
     sendo di senno vecchio e giovan d’anni,
     ’Anibal tolse ogni reputazione,
     di che tanta acquistata avea già a Canni.
     Furno i Romani ingrati alla ragione,
     onde seguiron poi sì lunghi affanni.
     Questo peccato par che ’l mondo adugge,
     e finalmente ogni regno distrugge;

76 questo peccato scaccia la giustizia,
     sanza la qual non può durare il mondo;
     questo peccato è pien d’ogni malizia;
     questo peccato a gnun non è secondo;
     Gerusalem per questo precipizia;
     questo peccato ha messo Giuda al fondo;
     questo peccato tanto grida in Cielo
     che ci perturba ogni sua grazia e zelo.

77 Quel c’ha fatto per te già il paladino
     credo tu ’l sappi, ma saper nol vuoi,
     mentre che fu tra ’l popol saracino:
     so che fra gli altri assai lodar quel suòi.
     Non ti ricordi, figliuol di Pipino,
     de’ benefici, e penter non val poi.
     E pur se fatta ha cosa che sia atroce,
     del tuo Gesù ricòrdati già in croce,

78 che perdonava al popol che l’offende,
     raccomandàlo al Padre umilemente.
     Astolfo in colpa ginocchion si rende
     e chiede a te perdon pietosamente;
     e pur se ’l giusto priego non t’accende,
     di grazia ti domanda finalmente
     che per le man di Gan non vuol morire:
     e tu nol vuoi di questo anche essaudire.

79 E non sai ben che, se quel guida a morte
     Astolfo, così guida te, Carlone,
     e’ tuoi baroni e tutta la tua corte.
     Fa’ che tu creda sempre a Ganellone:
     ben ti conducerà fuor delle porte
     quando fia tempo ancor, questo fellone.
     E pel consiglio suo ti fai crudele
     e ’ngrato contro al servo tuo fedele.

80 Astolfo, poi che si vide condotto
     presso alle forche, e gnun per sé non vede,
     un pianto cominciò molto dirotto
     quando in sul primo scaglion pose il piede,
     e’ Maganzesi il sospignean di sotto;
     e disse: - O Dio, è spenta ogni merzede?
     Non è pietà nel mondo più né in Cielo
     pe’ tuoi fedel che credon nel Vangelo?

81 S’io ho tre mesi assaltata la strada
     per disperato e pien di giusto sdegno,
     consenti tu ch’alle forche ne vada?
     Io ho tanto assaltato il pagan regno
     e tanti per te morti colla spada,
     che di misericordia ero pur degno.
     Come un ladron m’impicca Carlo Mano;
     e per più ingiuria il manigoldo è Gano:

82 quel che t’ha fatti mille tradimenti
     e mille e mille e mille alla sua vita,
     e tanti ha già de’ tuoi cristiani spenti!
     Ove è la tua pietà, s’ella è infinita?
     A questo modo ch’io muoia or consenti?
     Per la tua deïtà ch’è in Ciel gradita,
     per la tua santa e glorïosa Madre,
     abbi pietà del mio misero padre,

83 se per me stesso non l’ho meritato,
     per le sue opre degne e giuste e sante.
     Ma tu sai pur se pel tempo passato
     combattuto ho nel Ponente e Levante:
     tal ch’io pensavo d’avere acquistato
     altra corona o carro trïunfante,
     altri stendardi di più gloria e fama:
     or col capresto Gan ladron mi chiama. -

84 Avino era venuto per vedere
     quel che veder non vorrebbe per certo;
     ma ’l grande amor lo sforza, e più tenere
     non poté il pianto, tanto avea sofferto.
     Guardava Astolfo contro a suo volere
     le forche in alto, e ’l camin gli pare erto,
     e quanto può di non salir s’attiene,
     ché di morir non s’accordava bene.

85 I Maganzesi gli sputan nel viso
     come facieno a Cristo i farisei;
     diceva alcun con iscorno e con riso:
     - Or fien puniti i tuoi peccati rei!
     Ricòrdati di me sù in Paradiso. -
     Altri dicea come ferno i Giudei,
     mentre ch’ognun quanto può lo percuote:
     - Dimmi, s’ tu sai, chi ti batte le gote!

86 Tu ’l doverresti saper, paladino,
     tu doverresti conoscer la mano,
     se se’ profeta, astrolago o indovino.
     Che guati tu? Del senator romano,
     o che ti scampi il figliuol di Pipino?
     Ch’aspetti tu? Il signor di Montalbano?
     E’ verrà a te quando a’ Giudei Messia;
     ed anco Cristo chiamò in croce Elia. -

87 Era a vedere Astolfo cosa oscura;
     e ’l manigoldo tirava il capresto,
     dicendo: - Vien sù, con buona ventura. -
     E ’l traditor di Gan dicea: - Fa’ presto. -
     Astolfo avea della morte paura,
     perc’ha diciotto in volta e vanne il resto;
     e tuttavia di soccorso pur guarda,
     e quanto più potea, di salir tarda:

88 con le ginocchia alla scala s’appicca,
     e ’l manigoldo gli dava una scossa;
     chi qualche dardo alle gambe gli ficca,
     ma sosteneva in pace ogni percossa:
     malvolentier dagli scaglion si spicca,
     e cigolar si sentian prima l’ossa.
     Pur per la forza di sopra e di sotto
     sopra il terzo scaglion l’avean condotto.

89 Diceva Gano: - Alla barba l’arai!
     tira pur sù, ribaldo traditore,
     che più le strade non assalterai. -
     Or questo è quel ch’ ’Astolfo passa il core,
     e dicea: - Traditor non fu’ già mai;
     ma tu se’ traditore e rubatore,
     e quel che tu fai a me, meriti tue.
     Ma contro al mio distin non posso piùe.

90 Io non posso pensar come il terreno
     non s’apre e non iscura sole e luna,
     poi ch’a te, traditor d’inganni pieno,
     m’ha dato così in preda la fortuna.
     O crocifisso giusto Nazareno,
     non è nel Ciel per me difesa alcuna?
     Questa è pur cosa dispietata e cruda,
     da poi che traditor mi chiama Giuda.

91 Dove è la tua giustizia, Signor mio?
     Non è per me persona che risponda?
     Che questo traditor malvagio e rio
     m’uccida, e con parole mi confonda,
     nol sofferir, benigno etterno Iddio! -
     E tanto sdegno nel suo core abonda
     che con quel poco vigor che gli resta
     si percotea nella scala la testa.

92 Ma il manigoldo tuttavia punzecchia
     ed or col piede, or col pugno lo picchia
     quando nel volto e quando nell’orecchia;
     e pure Astolfo meschin si rannicchia,
     e tuttavolta co’ pie’ s’apparecchia
     di rappiccarsi a scaglione o cavicchia.
     Ma con le grida la gente l’assorda;
     e ’l manigoldo scoteva la corda;

93 alcuna volta la gola gli serra:
     non domandar s’egli era un nuovo Giobbe.
     Un tratto gli occhi abbassava alla terra,
     ed Avin suo fra la gente cognobbe:
     or questo è quel dolor che ’l cor gli afferra;
     fece le spalle pel gran duol più gobbe;
     raccomandògli sopra ogn’altra cosa
     il vecchio padre e la sua cara sposa.

94 Talvolta gli occhi volgeva a Parigi;
     quando guardava inverso Montalbano:
     non sa che ’l suo soccorso è in San Dionigi.
     Diceva allor per dileggiarlo Gano:
     - Che guardi tu? Se ne vien Malagigi?
     E’ fia qui tosto, egli è poco lontano.
     Perché con meco, Astolfo, così adiriti,
     che liberar ti farà da’ suoi spiriti? -

95 E nondimeno un’ostia, com’io dissi,
     gli avea cucito di sua mano addosso
     nella prigion, che caso non venissi
     che Malagigi l’avessi riscosso,
     acciò che in ogni modo quel morissi.
     Diceva Astolfo: - Omè! che più non posso
     risponder, traditor, quel che tu meriti
     de’ tuoi peccati pe’ tempi preteriti! -

96 Gan lo schernia di nuovo con parole,
     e pure al manigoldo raccennava;
     e ’l manigoldo tira come suole.
     Astolfo a poco a poco s’avvïava,
     però che solo un tratto morir vuole,
     e così finalmente s’accordava.
     E’ Maganzesi pur gridan dintorno
     e sbuffan beffe con ischerno e scorno.

97 Orlando in questo Astolfo in alto vide,
     e disse: - Tempo non è da star saldo:
     non senti tu quel tumulto e le gride? -
     e ’l simigliante diceva Rinaldo:
     - Io veggo il manigoldo che l’uccide,
     e già il capresto gli acconcia, il ribaldo:
     non aspettiàn che gli facci più ingiuria. -
     Così di San Dionigi escono a furia.

98 Rinaldo punse in su’ fianchi Baiardo,
     che non si vide mai saltar cervietto
     ch’a petto a questo non paressi tardo;
     così faceva Orlando e Ricciardetto:
     non è lïon sì presto o lïopardo;
     Terigi drieto seguiva, il valletto.
     Rinaldo scuopre il lïone sbarrato;
     Orlando il segno ha del quartier mostrato.

99 Astolfo pure ancora stava attento,
     come chi spera insino a morte aiuto:
     vide costor che venien come un vento,
     non come strale o come uccel pennuto:
     furno in un tratto i lupi tra l’armento,
     che quasi ignun non se n’era avveduto;
     ma poi ch’Orlando e Rinaldo conosce,
     fu posto fine a tutte le sue angosce.

100 E’ parén proprio un nugolo di polvere;
     giunse in un tratto la folgore e ’l tuono.
     Il manigoldo si facea già assolvere
     al duca Astolfo, e chiedeva perdono,
     ché gli volea poi dar l’ultimo asciolvere;
     e messo avea la vita in abbandono,
     e domandava di grazia che in modo
     far gli dovessi, che corressi, il nodo.

101 Guarda fortuna in quanta estremitate
     condotto avea col capresto alla gola
     il paladin di tanta dignitate,
     che non facea di morir più parola!
     Avea mille vittorie già acquistate,
     e domandava ora una cosa sola:
     che ’l manigoldo acconciassi il capresto
     per modo che corressi il nodo presto.

102 Giunto che fu tra’ Maganzesi Orlando
     - Ah, popol traditor! - gridava forte;
     e misse mano a Durlindana, il brando.
     Rinaldo grida: - Alla morte, alla morte! -
     e poi si venne alle forche accostando;
     trasse Frusberta, e legami e ritorte
     tagliò in un colpo, e le forche e la scala
     ed ogni cosa in un tratto giù cala.

103 Mai non si vide un colpo come quello,
     tanto fu l’ira, la rabbia e ’l furore.
     Astolfo cadde leggier come uccello,
     tanto in un tratto riprese vigore;
     il manigoldo si spezza il cervello.
     Gan da Pontier fuggiva, il traditore;
     Avin, che ’l vide, drieto a lui cavalca;
     ma non potieno uscir fuor della calca.

104 Orlando è in mezzo di que’ di Maganza
     e mena colpi di drieto e davante
     con Durlindana, e faceva l’usanza:
     quanti ne giugne, al ciel volgon le piante.
     E Ricciardetto, ch’ha molta possanza,
     molti n’uccide col brando pesante.
     Come un leon famelico ognun rugge.
     Gan da Pontier verso Parigi fugge.

105 E’ si vedea in un tratto sbaragliare
     i Maganzesi e fuggir per paura
     chi qua, chi là, pur che possa scampare.
     Trasse Rinaldo un colpo per ventura:
     un Maganzese morto fe’ cascare,
     e tolsegli il cavallo e l’armadura,
     e rassettava Astolfo d’Inghilterra;
     e corron tutti poi verso la terra.

106 E’ Maganzesi innanzi si cacciavano
     come il lupo suol far le pecorelle,
     e questo e quello e quell’altro tagliavano,
     e braccia in terra balzano e cervelle;
     fino alle mura i colpi raddoppiavano,
     cacciando i brandi giù per le mascelle;
     altri avén féssi insin sopra gli arcioni,
     chi insino al petto, e chi insino a’ talloni.

107 Astolfo, poi ch’a caval fu montato,
     tra’ Maganzesi a gran furor si getta,
     gridando: - Popol crudo e rinnegato,
     gente bestiale, iniqua e maladetta,
     io ti gastigherò del tuo peccato! -
     e con la spada facea gran vendetta,
     e molta avea di quella turba morta
     prima ch’entrati sien drento alla porta.

108 Ricciardetto era a Ganellone a’ fianchi
     e col caval lo seguia a tutta briglia:
     dunque convien che ’l traditore arranchi,
     perché da lui non levava le ciglia.
     Giunti in Parigi i baron degni e franchi,
      sùbito tutto il popol si scompiglia;
     e come e’ fu saputo tal novella,
     sùbito i paladin montorno in sella.

109 Carlo, sentendo come il fatto era ito,
     e che in Parigi era Rinaldo e ’l conte,
     e come Astolfo è di sua man fuggito,
     con ambo man si percosse la fronte:
     esser gli parve a sì tristo partito
     che si fuggì per non veder sue onte,
     e la corona si trasse di testa
     e ’ndosso si stracciò la real vesta.

110 Era Rinaldo già in piazza venuto
     col conte Orlando, e sollevato tutto
     il popol, che d’Astolfo gli è incresciuto;
     e disïava Carlo sia distrutto,
     da poi ch’a Gano avea sempre creduto
     e seguitato n’era amaro frutto.
     Preso la piazza, al palagio corriéno,
     là dove Carlo Man pigliar crediéno.

111 Dicea Rinaldo: - Ignun non mi dia impaccio:
     io intendo a Carlo far quel ch’è dovere;
     come vedete ch’io le man gli caccio
     addosso, ognun da parte stia a vedere.
     La prima cosa il vo’ pigliar pel braccio
     e levarlo di sedia da sedere;
     poi la corona di testa cavargli,
     e tutto il capo e la barba pelargli;

112 e mettergli una mitera a bendoni
     e ’n sul carro d’Astolfo farlo andare
     per tutta la città, come i ladroni;
     e farlo tanto a Gano scorreggiare
     che sia segnato dal capo a’ talloni;
     e l’uno e l’altro poi fare squartare,
     ribaldo vecchio rimbambito e pazzo! -
     Così con gran furor corse al palazzo.

113 Carlo la sala aveva sgomberata,
     perché e’ conosce Rinaldo assai bene.
     Vide Rinaldo la sedia votata;
     sùbito fuor del palazzo ne viene,
     e per Parigi fece la cercata,
     e minacciava che chi Carlo tiene
     nascoso o sa dove e’ si sia fuggito,
     gliel manifesti: se non, fia punito.

114 Carlo a casa d’Orlando per paura
     s’era fuggito, inteso la novella
     come Rinaldo drento era alle mura;
     e nascoso l’avea Alda la bella,
     che ’l dì venuta v’era per ventura;
     e triema tuttavia questa donzella
     che non vi corra il popol a furore
     e che sia morto il vecchio imperadore.

115 Gan si fuggiva innanzi a Ricciardetto;
     ma poi che più fuggir non può il fellone
     e già Rinaldo si vedeva appetto,
     al conte Orlando si dètte prigione.
     E ’l conte Orlando rispose: - Io t’accetto
     per far di te quel che vorrà ragione. -
     Diceva Gano: - Io mi ti raccomando
     che tu mi salvi almen la vita, Orlando. -

116 Come e’ fu preso il traditor ribaldo,
     ognun gridava: - Fagli quel che merta! -
     Non si potea rattemperar Rinaldo,
     che lo voleva straziar con Frusberta,
     e come il veltro non istava saldo
     quando la lepre ha veduta scoperta.
     Diceva Orlando: - Aspetta d’aver Carlo,
     ch’io vo’ in sul carro con esso mandarlo. -

117 Per tutta la città tutto quel giorno
     cercato fu di Carlo; e finalmente,
     non si trovando, al palagio n’andorno,
     e ’l conte Orlando è in suo luogotenente.
     Alda la bella col suo viso adorno
     la notte se n’andò celatamente,
     ed ogni cosa diceva al suo sposo
     com’ella avea lo ’mperador nascoso.

118 Orlando disse: - Fa’ che tu lo tenga
     celato tanto che passi il furore;
     e fa’ che in modo nessun non avvenga
     che nulla manchi al nostro imperadore,
     acciò che ignun disagio non sostenga:
     ch’egli è pur vecchio, e mio padre e signore; -
     così diceva - e fa’ che sia segreto. -
     Vedi s’Orlando nostro era discreto!

119 E’ gl’increscea di Carlo quanto puote,
     e di Rinaldo dubitava forte,
     e per pietà ne bagnava le gote,
     che non gli dessi alla fine la morte,
     perch’era vecchio, e lui pur suo nipote,
     e sa che guasta sarebbe la corte.
     Così furno alcun giorno dimorati,
     e’ Maganzesi morti e chi scacciati.

120 Rinaldo pure Orlando ritoccava
     che si dovessi con ogni supplicio
     uccider Gan, ché così meritava,
     e che dovessi a lui dar questo uficio.
     Astolfo d’altra parte il domandava
     di grazia, in luogo di gran beneficio,
     ché di sue ingiurie far volea vendetta.
     Orlando rispondea che Carlo aspetta,

121 e che farebbe sì crudel giustizia
     di lor, ch’ognun ne sarebbe contento.
     Gan nel suo core avea molta tristizia
     e dubitava di molto tormento,
     come colui ch’è pien d’assai malizia.
     Orlando, ch’era savio a compimento
     e di Rinaldo conoscea l’omore,
     lasciava pur raffreddarlo nel core.

122 Dopo alcun giorno, quando tempo fue,
     gli cominciò così parlando a dire:
     - Di Carlo, omai, dimmi, che credi tue?
     Per disperato dovette morire;
     ucciso si sarà colle man sue:
     fuor di Parigi non si vide uscire.
     E quel che più mi dà perturbazione
     è che stanotte il vidi in visïone.

123 E’ mi pareva, a vederlo nel volto,
     che fussi tutto afflitto e doloroso,
     di quel color ch’è l’uom quando è sepolto,
     la barba e ’l petto tutto sanguinoso
     e tutto il capo arruffato e ravvolto;
     e con un atto molto disdegnoso
     mi guardassi nel viso a mano a mano
     un crucifisso ch’egli aveva in mano.

124 Dond’io n’ho tutto questo giorno pianto:
     ché, come desto fu’, disparì via;
     ed io temendo mi levai, e ’ntanto
     feci priego alla Vergine Maria,
     al Padre, al Figlio, allo Spirito santo,
     che ’nterpetrar dovessi quel che sia;
     e parmi aver nella mente compreso
     che Carlo è morto, e Cristo abbiamo offeso.

125 Non si dovea però volerlo morto,
     però che pur tenuta ha la corona
     già tanto tempo, e pur si vede scorto
     quanto Iddio amassi la sua stirpe buona,
     ché dal Ciel lo stendardo gli fu porto,
     che non fu dato al mondo mai a persona.
     Temo ch’offeso non abbiam Gesùe
     pe’ suoi gran merti e per le sue virtùe.

126 E credo che sarebbe utile ancora
     che si mettessi per Parigi un bando,
     che chi sapessi ove Carlo dimora,
     o vivo o morto, lo venga insegnando;
     e come giusto imperador s’onora,
     che si venissi il sepulcro ordinando;
     però che ’l Ciel, se ha conceputo sdegno
     della sua morte, mosterrà gran segno. -

127 Quando Rinaldo le parole intende,
     subitamente nel volto cambiossi,
     e di tal caso sé molto riprende,
     dicendo: - Io non pensai che così fossi! -
     E nel suo cor tanta pietà s’accende
     che gli occhi già son lacrimosi e rossi,
     e disse: - Orlando, quel che detto m’hai
     mi pesa troppo, e dolgomene assai.

128 Ma non credetti già che tanto male
     di questo caso seguitar dovessi;
     ma dopo il fatto il penter poi non vale.
     A me par verisimil s’uccidessi,
     perché pur, sendo di stirpe reale,
     arà voluto uccidersi lui stessi
     più tosto ch’altri vi ponessi mano,
     come d’Anibal sai che letto abbiàno.

129 Mandisi il bando, al mio parere, e tosto,
     che lo riveli sanza alcun sospetto
     chi l’ha tenuto o tenessi nascosto;
     però che di dolor mi s’apre il petto,
     e d’onorarlo, per Dio, son disposto
     siccome imperador magno e perfetto;
     e sempre piagnerò questo peccato,
     e vo’ al Sepulcro andar, come è trovato.

130 E dico ch’a voler bene onorallo
     e’ si raguni tutto il concestoro,
     e che si facci sùbito scultallo,
     non di marmo o di bronzo, anzi sia d’oro
     con la corona sopra un gran cavallo
     come ferno i Roman d’alcun di loro,
     e lettere scolpite etterne e salde
     della sua gloria e fama e pregio e lalde;

131 e come il Ciel già mandassi il vessillo,
     ch’è stato in terra assai più avventurato
     che quel ch’a Roma riportò Camillo
     allor che ’l Campidoglio era occupato. -
     Orlando, come savio, alquanto udillo;
     poi prestamente il bando ebbe ordinato.
     E come e’ fu per tutto andato il bando,
     Alda la bella ne venne a Orlando,

132 e disse come Carlo in casa avea,
     e come per dolor non parea vivo.
     Tutta la corte gran festa facea,
     perché credean di vita fussi privo;
     Rinaldo molto lieto si vedea,
     accusando sé misero e cattivo;
     e fu menato a corte a grande onore
     e posto in sedia Carlo imperadore.

133 Astolfo chiese a Carlo perdonanza,
     e Carlo perdonanza chiese a lui,
     ed accusava il conte di Maganza,
     dicendo: - Consigliato da quel fui. -
     Quivi alcun giorno si fece l’usanza:
     ognun si scolpa de’ peccati sui,
     come nel dir seguente dirò in versi.
     Guardivi il Ciel da tutti i casi avversi.