VI. Povero galletto!

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V VII
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VI.

Povero galletto!


La padroncina, intanto si avvicinava sempre più.

Com’era graziosa quella mattina!

Tutta vestita di bianco, con una bella cintura color di rosa, con le trecce bionde sulle spalle, pareva tale e quale l’angiolino dipinto che teneva nella sua cameretta a capo del letto.

Appena mi vide:

― Animo! ― esclamò ― venga ora a pulirsi, chè se l’avessero a vedere in codesto arnese, mi vergognerei per lei. Su da bravo! ―

E chinatasi a terra, mi prese fra le sue braccia, mi portò in camera sua, e dopo aver frugato e rifrugato un quarto d’ora nel cassettone, tirò fuori un nastrino color di rosa, e me ne cinse il collo facendomi un bel fiocchino su una parte; poi mi lasciò in libertà e s’avviò con sua madre verso la chiesa del villaggio.

Do-lon-don, do-lon-don, do-lon-don!

Le campane sonano a distesa, il cielo è turchino, gli uccelli cantano, è festa.

La massaia con la Marietta sono da un mezz’ora al cancello del podere; hanno un bel mazzo di fiori in mano, e ogni tanto danno un’occhiata sulla via maestra.

Si vede che aspettano i padroni.

Giampaolo e Geppino con le maniche della camicia rimboccate, un bel grembiulone di bucato davanti e [p. 44 modifica]con certi visi che piglian fuoco, sono in cucina tutti occupati a preparare il desinare.

E che desinare!

Una minestra di taglierini con l’uova che diceva mangiami mangiami, un bel pezzo di lesso guarnito con patate disfatte nel burro, due vassoiate di fritto composto di cervellini d’agnello e di fegato, un gran pasticcio pieno di maccheroni, e poi chicche, formaggio, frutta e un monte di gingilli.

Quel che però mi fece specie, fu di non veder l’arrosto. ― Meglio così, ― dissi fra me, ― qualcuno de’ miei compagni per questa volta l’ha scampata.

Mentre mi rallegravo in questo bel pensiero, ecco che Giampaolo dice a Geppino:

― Per oggi c’è tanta roba, l’arrosto si lascerà, ma domani non se ne può fare proprio a meno.

― Hai fatto bene a rammentarmelo, l’arrosto! E io che non ci pensavo più! Bisogna spicciarsi a tirargli il collo, al galletto della Lena, se no, aspettando dell’altro, non si potrebbe mangiare; sarebbe duro e tiglioso. Devo andar io?

― No, no, non ti confondere, scendo da me; in cinque minuti ho bell’e fatto; intanto tu tira fuori il vino; eccoti le chiavi di cantina. ―

Non ne volli sentir di più. Corsi tutto affannato nel podere, e appena scorto il povero animale, ― Fuggi, — gli dissi, ― fuggi, fratello, ti cercano per ammazzarti.

― Dove fuggire? ― rispose melanconicamente il galletto ― mi troverebbero dappertutto; bisogna morire; la tua mamma, pulcino mio, m’ha aperto gli occhi e mi ha fatto conoscere quanto sono stato [p. 45 modifica]cattivo; ora però mi pento con tutto il cuore, e ti chiedo perdono del male che io ti ho fatto, mi perdoni dunque? Posso morire in pace?

― Per carità, gallettino mio, ― risposi singhiozzando ― non mi far codesti discorsi; non ci pensar

più a quelle cose: anch’io ho mancato, sai? piuttosto, mi raccomando, cerca di scappare, chè se fanno tanto d’acchiapparti, sei bell’e spacciato. ―

Il galletto non restò persuaso dalle mie parole, e mosso semplicemente dal desiderio di compiacermi, mi dette un ultimo saluto e si dispose a fuggire.

Ahimè! non fu a tempo. La ruvida mano di Giampaolo lo raggiunse. Io nascosi precipitosamente il capino nell’ala, per non vedere, per non sentire. [p. 46 modifica]

Ahimè! Ahimè!

Il giorno dopo, alla stessa ora, il galletto della Lena girava lentamente sullo spiede, e quella buona lana di Geppino ungendogli il groppone con una penna intinta nell’olio, esclamava sorridendo:

— Ma che bel color di nocciuola! —