Memorie (Bentivoglio)/Prefazione
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PREFAZIONE
Dopo aver’io scritto a gli altri con l’opere mie publiche di giá piú volte uscite alla stampa, ho deliberato ora di scriver solo a me stesso, con raccogliere in forma privata diverse particolari memorie del tempo mio, e sopra cose mie proprie, che possano di nuovo render viva, e presente, per cosí dire, la morta mia vita passata. Nel dovermi comparire inanzi agli occhi queste Memorie, mi si porgerá senza dubio gran materia di sodisfazione, ma insieme ancora di pentimento. Da una parte non potrò non godere di tante grazie, che Dio m’ha fatto col chiamarmi alla vita ecclesiastica, con l’introdurmi da giovane in cosí nobil servizio, come fu quello del pontefice Clemente ottavo, col farmi conseguire due nunziature sí principali del pontefice Paolo quinto, con l’aver voluto che terminassero nella dignitá del cardinalato, e con tanti altri favori, che la sua divina mano si è degnata sí benignamente di compartirmi. Ma nel considerare poi all’incontro in quanti modi io possa aver mancato in non corrispondere a tali grazie nel servizio della sua Chiesa come dovevo, sará forza che io ne senta gran dispiacere, e che offerendo alla medesima divina Bontá un vivo sacrificio di pentimento, io procuri di conseguirne il desiderato perdono in questo poco spazio di vita, che può restarmi. Con le presenti memorie dunque da me cominciate ora, che sta per finire l’anno del Signore 1640, io di nuovo mi trovarò (se tanto però la vita mi durerá per compirle) a quei successi privati, e publici, fra i quali ho sin qui speso il mio tempo, benché tutti si ridurranno a privati, essendo il mio fine, come ho detto, di scrivere solamente a me stesso, e di ricrear quanto potrò in questa maniera per l’avvenire l’ozio, che ora godo in questa etá senile di 63 anni e oramai cadente, o per me piú tosto di giá caduta, in riguardo della mia languida complessione, e della mia debole sanitá, consumata piú dalle fatiche eziandio, che da gli anni. Cosí ingannando me stesso, provarò di nuovo i tempi miei scolereschi di Padova; tornerò a quei primi della corte di Roma; quindi uscirò d’Italia; passerò piú volte l’Alpi ne’ miei viaggi di Fiandra, e di Francia; rinoverò le mie scene publiche nell’una e nell’altra di quelle due nunziature; ritornerò a Roma poi cardinale; rigoderò il medesimo onore da principio; e finalmente m’accorgerò non d’essere in questa maniera tornato a vivere, ma piú tosto un’altra volta a morire; perché in effetto sparí, e sta irrevocabilmente in mano alla morte tutto quel tempo, che è scorso della mia vita passata sino a questi miei giorni presenti. Almeno mi servirá una tal sorte di finto inganno per conoscere di nuovo tanto piú il viver del mondo: scena appunto d’inganni: laberinto d’errori: mare piú infido, quanto è piú quieto; e che a ben navigarlo non basta il sapere umano, se non lo sostiene principalmente il favore divino.