Meditazioni sulla economia politica con annotazioni/XVIII

Dei Metalli monetati

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XVII XIX
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§ XVIII.

Dei Metalli monetati.


C
Onviene adunque procurare, non mai però con leggi dirette, ma di riverbero, di fare in modo che il denaro vi stagni meno che si può, e sia nel più rapido moto per accrescere il numero de’ contratti; ma per nome di denaro, o sia di merce universale, ognuno intenderà ch’io parlo dei soli metalli nobili oro, e argento, essendo che la moneta di rame, o l’argento reso voluminoso con molta lega non possono meritar il nome di merce universale. Sarà questa una merce indigena e particolare di uno Stato, la quale non si [p. 124 modifica]trasmetterà mai al di fuori per le spese del trasporto che porterebbe. Perciò se un paese facesse le sue contrattazioni a moneta di rame, si accosterebbe allo stato anteriore all’invenzione della merce universale; pochissimi sarebbero i contratti, limitati quasi al puro necessario, e sarebbero più cambj di cosa con cosa, che di cosa con denaro per l’incomodo della custodia, e del voluminoso e pesante trasporto. La riproduzione annua sarebbe limitatissima, languidissima la circolazione, la popolazione sarebbe poca, e l’industria sconosciuta. Potrebbero uscire delle armate conquistatrici da quegli uomini sprezzatori della vita, perchè poco ne conoscono i piaceri, ma non potrebbe esser una nazione florida, sinchè durasse in quello stato, e le converrebbe, o ritornare alla vita selvaggia, isolandosi, e perdendo l’idea dei bisogni delle nazioni colte, ovvero converrebbe togliere industriosamente gl’inciampi, e lasciare schiudere negli uomini quel fermento di speranza e di bisogno, da cui nasce l’industria animatrice della società.

Per questo principio appunto l’oro sarà una moneta che accrescerà la circolazione più che l’argento, e le cedole di banco [p. 125 modifica]accompagnate dalla opinione l’accresceranno ancora più che l’oro. Fra i metalli adunque è da desiderarsi per uno Stato più la moneta d’oro che quella d’argento, e quella d’argento più che quella di rame, preferendo sempre il minor volume, ed il valor maggiore.

Molte nazioni Europee usano di avere qualche parte di moneta in rame, la quale serve per il più minuto Commercio de’ Cittadini. Se la legge monetaria tasserà il valor delle monete con giusto calcolo in quella proporzione medesima, con cui ogni pezzo indipendentemente dall’impronto verrebbe stimato nella pubblica contrattazione, non avrà da temere nè il trasporto del denaro fuori dello Stato, nè l’introduzione del denaro estero, perchè nessun negoziante si addosserà mai le spese del trasporto senza necessità, e senza utile. Se per necessità di saldo di un debito; la legge che lo proibisce comanderebbe una mancanza di fede in discredito della nazione: se per utilità; ciò non potrebbe essere che un accrescimento di denaro nello Stato a spese d’una nazione meno accorta che avesse arbitrariamente voluto tassare i metalli.

Per ischiarire sempre più questi [p. 126 modifica]principj bisogna riflettere, che siccome più volte si è detto, in ogni Stato si deve considerare l’annua consumazione, e la riproduzione annua. Se l’eccedente delle annue nostre produzioni non sia eguale al valore delle merci e generi, che riceviamo dal di fuori, converrà necessariamente che esca della merce universale per saldar le partite colle altre nazioni, la proibizione all’uscita del denaro sarebbe un voler togliere l’effetto lasciando sussistere la cagione.

In uno Stato poi, dove un’onda d’argento puro abbia sempre il medesimo valore, che un’altr’oncia d’argento puro qualunque sia l’impronto, e la denominazione dei pezzi che la compongono, e qualunque sia il volume di essi cagionato dalla vile materia, a cui sta frammischiata; dove lo stesso possa dirsi e nell’argento, e nell’oro, e nel rame monetati; dove la proporzione fra un metallo e l’altro sia la medesima dei prezzi comuni dei metalli, in quella nazione, dico, non uscirà mai un’oncia d’oro, o d’argento, se non per rientrarvi un valore eguale o in merce universale, o in particolare; e potrà entrarvi anche valor maggiore trasmettendo agli [p. 127 modifica]esteri quella moneta, ch’essi han voluto arbitrariamente valutare più del giusto, e ritraendone altre monete, che gli esteri arbitrariamente pure abbiano valutato meno del giusto; essendo che non è più fattibile, che il legislatore fissi a suo arbitrio il prezzo della merce universale, di quel che sia il prezzo di qualunque altra merce in particolare, dipendendo, come si è di già veduto, questa quantità dal numero de’ compratori paragonato a quello de’ venditori. Dovunque gli editti di monete diventino una mera dichiarazione del prezzo comune de’ metalli, ivi non sarà possibile che siavi disordine di monete, nè che il Commercio della moneta sia mai di danno. Conviene però ricordarsi della definizione data al prezzo comune. La variabilità del prezzo della merce universale porta di sua natura che una tariffa di monete non possa mai esser buona legge per lungo tempo, perchè essa diventa col variare delle circostanze una falsa dichiarazione, sebbene in origine sia stata vera.

È molto indifferente per il comodo e ricchezza di uno Staro, che la moneta porti un impronto, più che un altro; anzi Gli Stati piccoli pagano la vanità di aver [p. 128 modifica]le loro armi su i metalli monetati a troppo caro prezzo, essendo che le spese, e il calcolo della monetazione o cadono sul pubblico erario, ovvero cadono in altrettanta diminuzione dell’intrinseco, la qual diminuzione non sarà mai valutata dai forastieri, e in conseguenza vedranno la lor moneta rifiutata dagli esteri nella contrattazione, ammeno che non la cedano a un minor prezzo. Quindi io credo che negli Stati minori altra operazione da farsi non sia nelle monete, fuori che un esatto calcolo di tariffa, ammettendo nella contrattazione qualunque moneta, purchè sia valutata come un mero metallo. Ma ne’ vasti regni è indispensabile l’avere una zecca in attività per mantenere in circolazione la maggior quantità possibile di metallo, e così moltiplicare al possibile i contratti, dal che ne nasce, come giova ripetere, la moltiplicazione del numero de’ venditori, e da questa l’abbondanza interna, da cui la facile esportazione che sola può spingere al massimo confine la riproduzione annua: base che è unica, vera, e stabile della forza, e ricchezza d’uno Stato. [p. 129 modifica]

Annotazioni.

Molte Nazioni. Premesso sempre che la Moneta non possa, e non debba definirsi Merce Universale, ritrovo giusta la riflessione dell’incognito Autore, che si dovrebbe tassar le Monete in quella proporzione medesima, con cui ogni pezzo indipendentemente dall’impronto verrebbe stimato nella pubblica contrattazione; e però sarebbe un’impresa degna di lui, se arrivasse a persuadere tutti i Sovrani del Mondo a rinunziare al risarcimento della spesa, e del rimedio nella fabbrica della Moneta. Allora per tutto il valore della moneta sarebbe uguale a quello del metallo. Ora però essendo da per tutto il valore della Moneta, più conio, più rimedio, uguale al valor del metallo; non si ritrova, che vi possa esser danno, se non dove si sottraesse il conio, e il rimedio, a differenza degli altri Stati, nelle proprie monete, e non si calcolassero bene le altrui.

L’Autore è indifferente a tutte le Monete del Mondo; ma toglie barbaramente ai piccioli Stati la consolazione di coniar propria moneta. Supposto però un Paese senza moneta propria, come si calcoleranno in esso le Monete forestiere? Uno Zecchino di Firenze a cosa si ragguaglierà, se manca il campione nazionale a cui riferirlo? Varrà dieci lire; ma di quali lire, se manca il Tipo? Questo Tipo dunque in un Paese, ove si contratti, ed ove ci siano [p. 130 modifica]per l’addietro fatti Istromenti di vendite, di doti, livelli ec. sarà necessario. E se è necessario il Tipo del soldo, e della lira, a cui le monete maggiori si proporzionano, e per cui le monete erose forestiere coniate in Zecche inesorabili, ove non si lavora per nulla, debbano allontanarsi; non ritrovo gran male, che si coniano anche le monete grosse nobili, e d’argento, e d’oro. Che lo Stato perda nella propria Zecca, pagando la manifattura della moneta, è una verità dimostrata; ma non è dimostrato, che invece sia meglio il pagarla agli Stati forestieri, che non intendono di coniare quella. Se v’ha dunque a pagare, nessuno sarà che non accordi, esser meno male pagar la fattura in Casa propria, che pagarla agli Estranei. Sino a tanto adunque che gli Stati Grandi non doneranno la manifattura della moneta, e non conserveranno una perfetta proporzione fra’ metalli, gli Stati piccioli potranno mantenere il lavoro della propria Zecca, purchè sappiano farlo a benefizio della Nazione.