Meditazioni sulla economia politica/XXXVII
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È una osservazione degna da farsi la seguente, che i principj che debbon muovere il Ministro di Finanza sono in gran parte diversi dai principj che debbon muovere un Ministro di Economia pubblica. Le leggi di Finanza se sono indirette sono pessime; le leggi di Economia pubblica per lo contrario sono pessime se sono leggi dirette. Mi spiegherò. Se nella Finanza vorrà percepirsi un tributo per legge indiretta: per esempio proibire a tutt’i Cittadini un’azione, non già perchè realmente si voglia essa impedire, ma affine che comprino la dispensa per farla, (delle quali leggi in molti paesi ve ne sono) dico che questo tributo indiretto costerà alla nazione assai più di quello che ne ricava l’erario, e importerà molte volte la venalità, la corruzione, e una dispersione di tempo in uffizj. Laonde se chiaramente e direttamente la legge di Finanza ordinasse il pagamento d’una somma corrispondente sul fondo censibile, sarebbe assai più naturalmente, e placidamente collocato il tributo. Si esaminino tutt’i casi in cui il tributo è indiretto, e troverassi che hanno ragione i molti autori che trovano questa forma sempre viziosa. La finanza deve sempre andare di fronte, e con semplicità a ricercare dai contribuenti il tributo. Ella si spinge direttamente al suo fine.
Ma l’Economia pubblica debbe andar sempre per le strade indirette. La Finanza ha per oggetto legar meno che si può la nazione nel ripartimento del tributo. L’Economia pubblica ha per oggetto di accrescere al maggior grado possibile l’annua riproduzione. Nella Finanza vi debb’essere più impero e attività. Nell’Economia pubblica vi vuole più delicatezza, e più sagacità. Alcuni esempj rappresenteranno con chiari contorni le mie idee. Suppongasi che si voglia accrescere la popolazione dello Stato, dilatare la coltura su i terreni abbandonati, perfezionare i frutti del paese: dico che queste provide idee rovinerebbero una nazione se fossero promosse con leggi dirette, e se il legislatore invece d’invito, e di guida si servisse della forza, e del comando. Le leggi dirette sarebbero, per esempio, proibire la evasione dello Stato, ed obbligare ogni Cittadino giunto ai 20. anni ad ammogliarsi. Comandare alle comunità di mettere a coltura tutte le terre del loro distretto. Comandare il metodo di preparare la seta, l’olio, il vino raccolti ne’ proprj fondi. Gli effetti di queste leggi dirette e vincolanti sarebbero la spopolazione, e la desolazione dello Stato. L’evasione crescerebbe, perchè l’uomo ama meno lo stare dov’è costretto, che dove spontaneamente soggiorna; sarebbero ripiene le carceri d’infelici Cittadini non d’altro rei che di non aver tradita una fanciulla associandola alla loro miseria; sarebbero le comunità esposte alle esecuzioni militari per non aver coltivata quella terra, per la quale mancavano le braccia; gli sgherri e la feccia degli uomini romperebbero l’asilo delle domestiche mura per inquirere su metodi prescritti per le preparazioni. In questa ebulizione interna la confusione, il disordine, l’avvilimento si spanderebbero in ogni parte, e si rifugierebbero i popoli affannati presso i finitimi, cercando una nuova patria, ove tranquillamente passar la vita, sicuri di goderla in pace, fintanto chè le loro mani saranno monde da ogni delitto.
Il provido Ministro di Economia pubblica indirettamente camminerà a questo fine, colle preferenze ed onori renderà rispettabile lo stato conjugale; rianimerà l’industria col toglierle i ceppi, collo spianarvi le strade, coll’assodare la proprietà, preziosissimo bene dell’uomo sociale, col procurare agli abitanti un’intima persuasione della sicurezza propria, nel che solo consiste la libertà civile; snoderà l’attività degli uomini, in una parola, per tutti que’ mezzi che si sono veduti, e ne verrà in conseguenza che la popolazione crescerà, si dilaterà la coltura, si perfezioneranno le arti tutte.