Meditazioni sulla economia politica/XXV

Delle Colonie, e delle Conquiste

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Se è vero che la forza d’uno Stato, e che l’annua riproduzione si misurino, e vadano del pari colla popolazione; che dovrem mai pensare delle Colonie che si trasmettono a popolar regioni lontane per assicurare la conquista? Per una nazione la di cui forza principale debba consistere sul mare, le Colonie remote possono supplire al danno che cagionano della spopolazione, servendo a mantenere unr incessante navigazione anche in mezzo alla pace, e la Metropoli rivendendo le produzioni delle sue Colonie potrà dare tanta spinta all’industria, e accrescere di tanto la circolazione, che in breve si ricuperi egual numero di popolo al perduto. Ma nelle nazioni, nelle quali le forze naturali debbono essere terrestri, perchè posson essere terrestri le forze di chi tentasse sopra di esse un’invasione, nelle nazioni nelle quali la terra non sia per anco popolata a quel segno, a cui può naturalmente giungere, a me sembra che le Colonie cagionino un male colla loro originaria spopolazione, e un secondo male perenne coll’obbligo di mantenere troppe forze marittime. Mi pare che non dovrebbe mai uno Stato cercare di rendersi formidabile in regioni rimote, fintanto che non sia formidabilissimo su quella porzione di globo ove giace. Poichè quanto più stendesi la dominazione al di fuori, tanto di forza sottraesi alla difesa interna. Dopo due, o tre generazioni le Colonie perdono l’affezione all’antica loro patria, e se non si rinnovellano con sacrificj continui di popolazione v’è pericolo che degenerino in fredde alleate di poca utilità, e che impazienti della dipendenza talora diventino nemiche ai loro antichi Cittadini.

Le conquiste rimote portano i mali medesimi delle Colonie; e se nelle conquiste anche contigue agli Stati non si acquistano più uomini che terra, nasceranno i mali di dover di più diradare la popolazione, e render gli uomini più isolati, il che si è già veduto quanto rallenti la circolazione, e diminuisca in conseguenza l’annua riproduzione.