Mastro Titta, il boia di Roma/Capitolo XLVII
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La fama delle larghezze di don Asdrubale accompagnate a quelle dell’influenza di Agostino Del Vescovo, si diffondevano man mano per Roma e il bravo domestico era continuamente assediato di postulanti d’ogni genere, ma sempre di genere femminile.
- Sor Agostino - gli diceva umilmente una donna sulla quarantina - sono vedova con quattro figliuoli.
- Che volete che vi faccia. Se volete un piccolo sussidio di qualche lira posso arbitrarmi a darvela in nome di monsignore.
- Non è questo precisamente che mi serve.
- Che volete dunque?
- La maggiore de’ miei figli ha quindici anni. È ingenua come l’acqua di fonte.
- Si smalizierà col tempo.
- Fresca come un bottoncino di rosa.
- Vorreste offrirla...
- Vorrei trovarle un appoggio.
- È ciò che può far di meglio una madre vedova.
- Don Asdrubale è tanto caritatevole.
- Se dovesse dar retta a tutte dovrebbe essere il gran Sultano, che a quanto dicono, ha delle casse piene di diamanti e di rubini.
- Colla vostra raccomandazione, sor Agostino... Si sa che don Asdrubale, segue tutti i vostri consigli... Ci ricorderemo anche di voi.
- Ebbene fatemela vedere.
- Devo condurla qui?
- No, ditemi la vostra abitazione. Verrò a farvi una visita e se sarà come voi la descrivete, ne parlerò con monsignore. Il Del Vescovo soleva dare al prete questo titolo, benché non gli competesse, per accrescere importanza a se stesso.
- Favorite dirmi quando verrete, perché possa prepararla un poco. Sapete bene, le ragazze sono timide e scioccherelle.
- Verrò stasera, dove?
- Via della Lungara, la porta subito passato l’angolo a destra.
- Va bene.
Il solerte domestico non mancava al convegno; si assicurava in tutti i modi che la fanciulla fosse degna delle grazie di don Asdrubale e riconosciutala tale ne faceva un grato presente al prete e ne divideva le propine. Talvolta era don Asdrubale che gli affidava qualche difficile missione. E in tal caso soleva sempre scegliere il post prandium per parlargliene.
- Agostino, dopo il caffè, portami una bottiglia di quel Genzano vecchio di dieci anni, che mi mandò monsignor Calotta.
- Lo servo subito.
- Bravo! Reca un bicchiere anco per te.
- Troppo onore, don Asdrubale.
- Sei un bravo conoscitore. Bevendo in due si gusta di più.
- Come le piace.
L’astuto cameriere, comprendeva a volo di che si trattava e nello scendere in cantina si stropicciava le mani, pensando ai vantaggi che avrebbe tratto dall’affare. Agostino portava sopra una guantiera d’argento, finamente cesellata, due calici di cristallo di Venezia e una bottiglia, coperta di polvere e di ragnatele che ne attestavano la vetustà. Stappava questa con tutte le cautele, affinché il vino non avesse ad intorbidirsi, se per avventura aveva fatto un po’ di deposito, e dopo averne versato due dita nel proprio bicchiere colmava quello del prete, il quale assisteva con compiacenza a quei preparativi e dilatando le nari, pregustava col profumo il nettare. Poi diceva:
- Riempi anche il tuo.
Agostino ubbidiva. Dopo averne centellinato un mezzo calice, don Asdrubale chiedeva al fedel cameriere, che aveva pur bevuta la sua parte parsimoniosamente:
- Che te ne pare?
- Divino.
- Oh! oh! divino poi.
- Perdoni, volevo dire squisito.
- Furbacchiotto. Ti perdono perché sei tanto intelligente.
- Bontà sua.
- Dimmi dunque, che nuove abbiamo?
- Nessuna monsignore.
- Ma che monsignore! Sai che non lo sono.
- Perché non vuole.
- E non voglio, perché grazie al cielo, non ne ho bisogno. Ho quel che mi basta. A proposito hai dato i venti scudi a quella buona ragazza?
- Subito.
- E non è ancora tornata?
- Non tarderà molto.
- La rivedrò con piacere.
- La farò avvertire, se crede.
- No, no. Per ora ho altre idee. Versami ancora. Non hai fatto attenzione.
- A che, monsignore?
- A quella ragazzotta che sta sempre sul limitare del negozio qui accanto al nostro portone?
- È la moglie dell’orzarolo.
- Maritata? Per bacco non si direbbe; par tanto giovane.
- È sposa da otto giorni.
- Romana?
- Di Genzano.
- Non ne porta il costume?
- È di famiglia civile.
- Beviamo dunque un altro sorso di Genzano, perché non c’è da pensare ad altro.
- Perché, monsignore?
- E dalla col monsignore! Avrà già il suo confessore.
- Non credo. È giunta or ora dal paese.
- Mi piacerebbe conoscerla.
- Gliene posso parlare.
- Non vorrei dar luogo a delle supposizioni maligne.
- Conosce la mia prudenza.
- Oh! per questo non ho che a lodarmi di te. E se il marito fosse geloso?
- Sposo di fresco è probabile che lo sia. Ma questa non è una difficoltà.
- Lo credi.
- Le mogli di mariti gelosi, hanno sempre bisogno di buoni consigli per sapersi condurre.
- Volpone!