Massime di perfezione cristiana/Lezione VII
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SULLA QUINTA MASSIMA, CHE È:
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1. Il Cristiano non dee giammai camminare nelle tenebre, ma sempre nella luce.
2. Dee a tal fine chiedere mediante continui preghi dallo Spirito Santo il dono dell’intelletto, col quale egli possa penetrare e capire le sublimi verità della fede; il dono della sapienza, col quale egli possa rettamente giudicare delle cose divine; il dono della scienza, col quale possa rettamente giudicare delle cose umane; finalmente il dono del consiglio, col quale possa diriger se stesso, applicando le verità conosciute alle opere particolari della sua vita.
3. La gravità, la consideratezza, e la maturità in tutte le cose, dee distinguere il Cristiano: egli dee fuggire la fretta e la precipitazione, proprie dell’uomo moderno, come contrarie ai sopraddetti doni, e come effetti di un volere umano pieno di quella ansietà che toglie la pace dal divino Maestro tanto commendata.
4. Lo spirito della intelligenza lo ritrarrà mai sempre a pensare assai prima all’emendazione di sé, che a quella del prossimo.
5. A. - Riguardo alla emendazione e perfezione di se stesso, facilmente gli si renderà manifesta la volontà di Dio; e primieramente la riconoscerà dalle circostanze nelle quali si trova essere collocato. Secondo questo certissimo principio egli intenderà, che: I - La prima cosa che la volontà di Dio gli prescrive, si è quella di esercitare con fedeltà, con esattezza e con alacrità tutti i doveri del proprio stato: di corrispondere a tutte le relazioni nelle quali egli si trova legato congli altri uomini: di usare ad essi tutte le amorevolezze e i riguardi che risultano naturalmente da queste relazioni: di usare insomma con essi tal carità, che debbano restare di lui soddisfatti: e che la sua conversazione colle persone colle quali egli dee trattare (giacché per l’amor del ritiro egli eviterà di trattare con quelle, con le quali non ne ha obbligo alcuno), sia piena di dolcezza, di santa amabilità, e di solida edificazione.
6. Lo stesso principio di corrispondere allo stato da Dio ricevuto, e di occupar bene tutto il suo tempo, renderà il Cristiano amante della fatica, e particolarmente di quell’arte od occupazione che professa, ed in quella sarà assiduo: se gli riuscirà di fare in essa de’ progressi, riguarderà ciò come un merito presso Dio, essendo questa la volontà di Dio, che egli corrisponda bene a quello stato dove l’ha posto.
7. Se il Cristiano sarà dedicato agli studi, attenderà a questi, non per amor loro, ma per amor di Dio, a cui serve: se avrà in mano un’arte meccanica, attenderà ad essa per lo stesso fine: il Cristiano in tal modo non riguarderà giammai un ufficio come più nobile dell’altro, o come dell’altro più abbietto, mentre con tutti serve ugualmente allo stesso Dio. Ciascuno lavora la sua parte, come garzone nella bottega dello stesso padrone: e ciscuno ne riceve la mercede sulla fine della giornata, non già secondo la qualità del mestiere da lui esercitato, ma bensì secondo la fedeltà, l’assiduità, la premura e l’amore al padrone nell’esercitarlo.
8. - II - Dopo i doveri del proprio stato (fra i quali s’intendono comprese le pratiche della religione), il tempo che gli sopravvanzerà, l’ocuperà il discepolo di Gesù Cristo: 1. nelle pie letture, sí per istruirsi nella dottrina della religione, come per meditare le grandezze divine, la bontà infinitàla onnipotenza, la sapienza; 2. nella preghiera di sopraerogazione, la quale praticherà egli quanto mai più gli sia possibile, anche fra gli esercizi dell’arte da lui professata: e questa orazione dovrà rendere a sé familiare e carissima; dovrà esserglianzi la cosa più cara: e l’ore in essa spese dovranno essere riguardate come ore di delizie e di grazia, venedo l’uomo, vilissimo com’è, introdotto per l’orazione all’udienza del suo divino Monarca, ed ammesso a confabulare immediatamente con Lui.
9. - III - In terzo luogo, al Cristiano è conceduto di occupare una parte del suo tempo nelle corporali necessità: fra le quali primeggia il magiare, che vorrà esser sobrio e non ricercato, ed il dormire, che vorrà esser pure secondo le regole di una giusta moderazione.
10. Il Cristiano si permetterà anche un riposo moderato alla sua stanchezza; conciossiaché Gesù Cristo gli ha dato l’esempio di fare tutto ciò che è richiesto alla propria sussistenza, e di riposare altresí, come quando si mise a dormire sulla navicella, e quando sedette vicino al pozzo di Samaria.
11. - IV - In quarto luogo, le circostanze del suo stato, e le relazioni che lo avvincolano co’ suoi simili, potrebbero essere tali, che non gli fosse impedito di passare all’esecuzione de’ consigli evangelici, cioè alla professione effettiva della povertà, castità, ed obbedienza; ed in questo caso il Cristiano ardente di rassomigliarsi al suo divin Esemplare quanto più gli sia possibile, e di non trascurare nessuna cosa di quelle che il suo divin Maestro ha raccomandato come appartenenti ad una vita di perfezione, abbraccerà animosamente ed avidamente questi consigli, o tutti, se le sue circostanze glielo permettono, od almeno alcuno, se solamente alcuno per le sue circostanze gli è permesso abbracciarne.
12. B. - Sebbene il Cristiano non cerchi da se stesso di operar nulla di grande, perché si trova sinceramente incapace di tutto; sebbene egli sia attaccato e contento all’esecuzione de’ soli doveri del suo stato; sebbene egli si elegga una vita ritirata e quanto mai sia possibile solitaria, silenziosa ed occulta; tuttavia egli non è già insensibile ai beni od ai mali de’ suoi fratelli: egli prega per loro: egli arde del loro bene: egli è sempre pronto a spendere e sacrificare anche tutto se stesso per la loro spirituale salute, quando sia fondato a credere che ciò che fa per essi non sia fatto di propria volontà e temerariamente, ma bensì che Iddio sia quegli che da lui ciò vuole.
13. Lo spirito d’intelligenza dee dirigerlo anche in ciò, per conoscere la volontà di Dio intorno a’ servigi ch’egli dee prestare a’ suoi fratelli.
14. Questo spirito d’intelligenza gli dice, che anche per rispetto alla carità da esercitarsi da lui verso i suoi fratelli, la volontà di Dio suole primieramente ed ordinariamente manifestarsi mediante le esterne circostanze.
15. Queste circostanze, dalle quali egli può fondatamente conoscere quali atti particolari di carità egli sia chiamato ad esercitare verso il suo prossimo, sono le seguenti:
I - il venirgli sotto agli occhi i bisogni del prossimo; dicendogli S. Giovanni chiaramente: «Chi avrà della sostanza di questo mondo, e vedrà il suo fratello patire necessità, e chiuderà a lui le sue viscere; come la carità di Dio si rimane in lui» (1Gv 3,17);
II - l’essere richiesto di qualche servigio caritatevole dal prossimo suo; poiché il divin Maestro, che in un luogo dice: «Siate perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste» (Mt 5,48), e in altra parte dice, che il nostro Padre celeste ci dà tutto quello che noi in nome suo gli domandiamo. Anche il Cristiano adunque dia tutto quello che può dare, quando il prossimo glielo addimanda, se vuole essere perfetto come è perfetto il Padre celeste.
16. Acciocché possa egli eseguir bene l’opera della carità che gli è richiesta, dee prestarla animosamente ed ilaremente, se pur vuole corrispondere alla vocazione di una vita perfetta nella carità;e ciò che farà con suo grave incomodo, con suo grave dispendio, con tutto insomma quel fervido amore, che non cerca e non pensa alle cose proprie, ma pensa sempre alle cose altrui; con quella carità che ha esercitato verso gli uomini il divin Maestro, la perfezione della quale Egli ha mostrato che non ha limiti di umane delicatezze, arrivando sino al sangue, ed al sangue su di un patibolo.
17. In tal modo succede, che l’umile e fervoroso Cristiano, il quale da parte sua non sa eleggersi se non una vita nascosta, ritirata da’ pericoli e dagli uomini, una vita tutta occupata in una perpetua contemplazione, divisa fra la prolissa orazione, e lo studio o l’esercizio di qualche professione od arte meccanica, le necessità della vita, e alcuni istanti di riposo; venga bel bello dalle forze della carità tratto fuori dal suo nascondiglio, amato da lui non per inerzia, ma per sincera umiltà, e condotto ad una vita attiva; immerso anche, se Dio lo vuole, in un infinito pelago di cure, brighe, faccende e negozi grandi e piccoli, illustri ed abbietti, per bene del prossimo suo, secondo che la volontà di Dio ha disposto che a lui questi o quelli i primi si rappresentino.
18. Con un tale spirito d’intelligenza il Cristiano pieno di carità diventa, nelle circostanze, maggiore di se stesso, abbraccia cose grandissime, faticosissime, pericolosissime, tutto insomma, purché Iddio gli faccia sentire internamente di averne la capacità, purché i suoi superiori non glielo vietino, ed egli sia a queste cose fare richiesto espressamente o tacitamente dal suo prossimo, nel quale vede sempre il suo divino Signore.
19. Il Cristiano amatore della perfezione, assume queste opere di carità senza avere una volontaria predilezione più tosto per l’una, che per l’altra.
20. Egli conserva perciò le tre regole seguenti:
I - abbraccia le prime opere di carità, di cui venga richiesto dal suo prossimo; né per aspettarne di future incerte, giammai le ricusa, qualunque sieno, piccole o grandi, dilettevoli o moleste, atte ad essere operate da qualunque uomo, ovvero proprie di lui solo;
II - se gli vengono dimandate più opere di carità contemporaneamente, le quali egli non possa tutte ad un tempo abbracciare, procede a farne la scelta secondo l’ ordine della carità, avvertendo però sempre di non assumere che di quelle che sono alle sue forze proporzionate;
III - finalmente di nessuna opera di carità si stanca o prende fastidio; tutte, se può, le conduce a fine; e se queste contengono una occupazione continua, egli persevera, né passa ad assumerne delle altre oltre a ciò che ha già intrapreso, permanendo nelle opere assunte come in propria vocazione.
21. La volontà di Dio, oltre manifestarsi per le esterne circostanze, che è il mezzo il più ordinario, si può manifestare ancora per delle straordinarie interne ispirazioni; quando però le esterne circostanze non dicano assolutamente il contrario.
22. Può adunque il Cristiano contraddire alla coscienza del proprio nulla, assumere delle opere diverse da quelle che sono suggerite dallo stato nel qual si trova, per interno impulso dello Spirito Santo, mediante il quale si manifesti a lui con chiarezza il volere divino.
23. Ma simili ispirazioni meritano di essere ben provate, e discussi i segreti del proprio cuore, perché non sieno mescolate in esse le voci dell’amor proprio, e non sia forse ingannato l’uom dal demonio, che talora si trasforma in angelo di luce: finalmente giova assai che sieno confermate dai superiori spirituali.
24. La regola poi infallibile e generale per provare la divina volontà, manifestata tanto pei segni delle circostanze esterne come per quelli delle interne ispirazioni, dee esser la pace e il tranquillo gusto che il Cristiano prova delle cose nel profondo di sua coscienza. Dee concentrarsi in se stesso, ed ascoltare attentamente se egli sente qualche inquietudine. Se ci bada attentamente, troverà in ciò il segno della sua condizione. L’amor proprio, ed un fine umano qualunque sia, mette nell’uomo sempre qualche poco di turbamento. Conosciuto questo poco di turbamento nella sua coscienza, se vuole egli potrà tosto discoprirne la cagione, e conoscere in sé ciò che non procede dal puro spirito di Dio, spirito di calma perfetta, ma dallo spirito suo, da una fina superbia, da una sensitività non al tutto umiliata, insomma da un inganno dell’inimico.
25. E se i Cristiani, secondo gl’insegnamenti del loro divino Maestro, praticassero tutte queste cose, formerebbero insieme una società pacifica e beata, non solo nella futura, ma ben anco nella presente vita.