Massime di perfezione cristiana/Lezione V
Questo testo è completo. |
SULLA QUARTA MASSIMA, CHE È:
◄ | Lezione IV | Lezione VI | ► |
1. Non vi ha forse un’altra massima, che più questa conferisca ad ottenere la pace del cuore, e l’equabilità propria della vita del Cristiano.
2. Non ve n’ha forse nessun’altra, che venendo praticata con quella semplicità e generosità di cuore che ella addimanda, renda il seguace di Gesù Cristo più caro al celeste Padre. Perciocché ella racchiude un’intera confidenza in Lui, ed una confidenza in Lui solo; un intero distacco da tutte le cose della terra dilettevoli, potenti, e illustri in apparenza; racchiude un tenero amore tutto riserbato pel solo Dio; racchiude una fede la più viva, la quale fa tenere per indubitato, che tutte le case piccole e grandi del mondo pendono ugualmente nella mano del Padre celeste, e nulla fanno se non come Egli dispone al conseguimento degli altissimi suoi fini; fede in una infinita bontà, misericordia, liberalità, e generosità di esso Padre celeste, che dispone tutto per il bene di coloro che confidano in Lui, sicché i suoi doni, le sue finezze, le sue sollecitudini, le sue grazie stieno in ragione della confidenza che in Lui hanno i suoi bene amati figliuoli.
3. Non v’ha nessun’altra massima che più di questa abbia raccomandata colle parole e coll’esempio il divino Maestro. Ecco il discorso fatto a’ suoi discepoli per confortarli nelle persecuzioni, a cui sarebbero soggiaciuti da parte degli uomini: «Dico poi a voi amici miei, non vogliate lasciarviatterrire da quelli che uccidono il corpo, ma che dopo di ciò non hanno altro che fare. Vi mostrerò bene io ciò che voi altri dobbiate temere; temete quello, che, dopo avere ucciso, ha potere altresì di mandare al fuoco. Così dico io a voi, questo temete. Non si vendono cinque passeri per due minuti, ed uno solo di essi non istà in dimenticanza davanti a Dio? Ma anche i capelli stessi del vostro capo sono tutti quanti numerati. Non vogliate adunque temere; voi valete più che molti passeri. - Perciò dico io a voi, non vogliate essere solleciti della vostra vita, che cosa mangerete, né del vostro corpo, che cosa vestirete; la vita vale più dell’esca, e il corpo vale più del vestimento. Considerate i corvi che non seminano e che non mietono, e che non hanno dispense né granaio; e Dio li alimenta. Quanto più voi che valete più di essi? E chi mai di voi, per quanto pensi, può aggiungere alla sua statura un cubito solo? Se dunque voi non potete fare né pure la più piccola cosa, perché siete solleciti delle altre? Mirate i gigli siccome crescono: non lavorano e non filano; ed io dico a voi, che né pur Salomone in tutta la gloria sua era vestito sì come uno di questi. Se dunque l’erba, che oggi è nel campo e dimani si mette nel fuoco, Iddio la veste in tal modo; quanto più voi di poca fede? Né pure vogliate voi cercare, che mangerete e che berrete; e non vogliate alzarvi in altezza; perocché tutte queste cose vanno cercandole le genti del mondo. Ma il Padre vostro sa, che di quesavete bisogno. Con tutto ciò cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia; e tutte queste cose sarannovi aggiunte. Non vogliate temere, piccolo gregge, perocché al Padre vostro compiace di darvi un regno. Vendete quelle cose che possedete, e datele in elemosina. Fatevi dei sacchi che non invecchiano, ed un tesoro che non si scema nei cieli, che il ladro non avvicina, e la tignola non corrode. Conciossiacché dove sarà il vostro tesoro, ivi sarà ancora il cuor vostro» (Lc 12, 4-7, 22-34).
4. Quanto non è piena questa istruzione del divin Maestro intorno al modo onde il suo fedele discepolo dee abbandonarsi nelle braccia pietose della divina Provvidenza.
5. Di qui il discepolo impara primamente, che il fondamento della totale ed illimitata sua confidenza è lo stesso Gesù: poiché dice fino sul principio, che quelli a cui rivolge queste parole sono gli amici suoi. E per amici non si intendono già i soli perfetti, ma i Cristiani tutti, e fra questi anche gli stessi peccatori: suoi amici chiama quelli che Egli ha trattato da amici, quelli a cui ha manifestato il Vangelo: per il che ognuno dee molto confortarsi pensando, che non ha ricusato questo nome di amico né anco a Giuda quando veniva a Lui per tradirlo. Purché adunque altri creda in Gesù, egli ha in questo oggetto di sua credenza un fondamento di fiducia illimitata nel Padre celeste, che non gli dee venir meno né pure per le stesse colpe.
6. Impara in secondo luogo, che quanto è ragionevole abbandonarsi intieramente nelle mani della divina bontà, almeno altrettanto è stolto confidare in se stesso; perché l’uomo è debolissimo, e non può alterare né pure in una minima parte il corso che Iddio ha stabilito a tutte le cose dell’universo: la sua prosperità, la sua esistenza pende tutta nelle mani di Dio, e non può sottrarle da queste mani qualunque cosa egli faccia, e a qualunque luogo ricorra, ov’anche egli potesse penetrar nei cieli o profondarsi negli abissi.
7. Impara per terzo, che avendo tali ragioni di nutrire una confidenza illimitata nel Padre celeste, egli non dee punto temere di abbandonare anche tutte le umane cose, di vendere il suo e darlo ai poveri, di professare insomma la povertà effettiva, quando pur ciò faccia per attendere unicamente alle cose divine, per dedicarsi tutto a Dio, per cercare il regno di Lui e la sua giustizia, per isgombrare dal suo cuore tutti gli affetti terreni, in una parola, per seguir Crist, e stringersi alla beata nudità della sua croce, morendo su di quella alla terra, e vivendo solo al cielo: mentre dove sta il suo tesoro, ivi si trova pure il suo cuore.
8. Impara in quarto luogo, che sebbene gli sia vietato di essere sollecito delle cose umane, e gli sia consigliato di spogliarsene, non gli è però vietato di dimandare il necessario al suo Padre celeste, purché lo dimandi dopo aver da Lui chiesto il suo regno e la giustizia di Lui, ed in ordine a questo; sicché il pane quotidiano che dimandiamo si possa chiamare in ogni buon senso soprasostanziale, cioè mezzo anch’egli di spirituale benedizione.
9. «Dimandate, e vi sarà dato», dice in un altro luogo il divino Maestro; «cercate, e ritroverete; picchiate, e vi sarà aperto. Poiché ciascuno che domanda, riceve; e chi cerca, ritrova; e a chi picchia, gli sarà aperto. O qual uomo è fra voi, che se il figliuolo suo gli dimanderà del pane, forse gli porgerà una pietra? o se gli domanderà un pesce, forse gli porgerà un serpente? Se dunque voi, mentre siete cattivi, sapete dar delle cose buone ai figliuoli vostri, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà delle cose buone a chi gliele dimanda?» (Mt 7, 7-11).
10. Il che ammaestra il Cristiano a dimandare al Padre celeste con grande semplicità e confidenza le cose tutte, ad aprire a Lui tutti i voti del suo cuore; purché ciò egli faccia coll’unico desiderio che avvenga sempre ciò che a Lui più piace; perciocché in tal modo egli trarrà sempre gran frutto dalla sua preghiera; conciossiacché Iddio l’esaudirà sì, ma addrizzerà nel tempo stesso la sua ignoranza e grossezza, se dimanderà cose inutili o cose dannose, esaudendolo con dargli altrettanti beni veri, e in tal modo dandogli anche più di quello che non dimanda; conciossiaché Egli è un padre, il quale sa dare le cose buone a’ suoi figliuoli, e non mai le cose disdicevoli.
11. Impara in quinto luogo, che non gli è già vietato di fare tutte quelle azioni colle quali naturalmente si soddisfano i bisogni della vita; è la sollecitudine, è l’ansietà che a lui vien proibita, la quale lo rende inquieto pel desiderio di ciò che gli manca, e in tal modo toglie a lui la pace del cuore, e la tranquillità propria di quelli che in Dio si riposano. Può nel presente vedere la volontà divina, e godere i beni che ha, in semplicità, con rendimento di grazie; ma è contrario all’abbandono nella divina Provvidenza la studiosa cura dell’avvenire, poiché riguardo a questo, il divino volere non è ancora manifesto; ed egli non dee amare altro che il divino volere; il che può fare godendo moderatamente i beni presenti, perché sono dati da Dio, ma non inquietandosi de’ futuri, poiché il Signore non ha di quelli ancora disposto; e amando la sua volontà, godrà tanto della loro privazione, se questo ella dispone, come del loro acquisto.
12. Per il che ancora Gesù: «Cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno aggiunte. Non vogliate essere solleciti pel giorno di dimani: poiché il giorno di dimani sarà sollecito a se stesso: basta al giorno la sua malizia» (Mt 6, 33-34): cioè le machie, che la coscienza prende pensando agli interessi del giorno presente, non si aumentino anche co’ pensieri dell’indomani.
13. Il segno certo insomma che è dato al Cristiano, a cui egli possa conoscere se manca a quella piena confidenza che gli è prescritta nella provvidente cura del suo Padre celeste, si è quello di esaminare se stesso, se nel cuore provi qualche inquitudine circa i beni ed i mali del mondo, se sia sempre pienamente tranquillo, pienamente riposato, ed in ogni avvenimento a tutto disposto; o pure se sia soggetto ad angustie, se si prenda delle cure umane sull’esito delle quali egli senta della pena inquietante, e se come uomo di poca fede speri e tema soverchiamente, che è quanto dire continuamente titubi.
14. In sesto luogo, giacché la perfezione della vita cristiana è il fermo proposito di non voler altro in tutte le azioni della vita se non quello che è più caro a Dio e di sua maggior volontà; giacché questa vita perfetta non è altro se non una professione di rendere a Dio in tutti gli atti il maggior servizio possibile; consegue, che anche le azioni oneste poste dall’uomo per la conservazione della vita, anche il godimento che fa dei doni divini con rendimento di grazie, non dee essere già da lui fatto pel titolo del suo bene presente, o del suo presente piacere; ma unicamente nella persuasione che questo sia, nella circostanza in cui si trova, la cosa a Dio più cara, e quindi la più perfetta.
15. Insomma il perfetto Cristiano non opera mutazione alcuna pel titolo finale di una soddisfazione presente, sebbene in sé onesta, ma solo pel titolo finale del suo dovere, e per quello di essere a Dio più caro.
16. Da questa massima ne viene la stabilità del perfetto Cristiano. Il Cristiano non ama le mutazioni: in qualunque condizione si trovi, per quanto umile, per quanto spregevole ella sia e priva di tutto ciò che amano gli uomini, egli vi si riman contento, lieto, e non ammette pensiero di mutazione, se non gli è noto che ciò sia il voler divino. È proprio della gente del mondo il non esser mai contenta dello stato ove si trova: gli uomini del mondo si fanno una continua guerra per occupare i posti migliori; la perfezione del Cristiano richiede all’opposto, che di qualunque posto egli sia contento, ch’egli non si dia altra cura se non quella di esercitare i doveri che sono annessi allo stato; tutto al mondo per lui è il medesimo, purché sia caro al suo Dio, che ritrova in ogni condizione.
17. Questa costanza, e immutabilità del Cristiano nella condizione ov’egli si trova, forma degli uomini che conoscono a fondo il loro stato, che lo amano, e che ne sanno eseguire tutte le incombenze; ed ella è tanto conveniente alla transitorietà delle cose umane! per la quale ragione la raccomandava grandemente S. Paolo ai Corinti con quelle parole: « Ciascuno in ciò che è chiamato, o fratelli, si rimanga costante appo Dio. Circa le vergini io non ho precetto del Signore, ma dò il consiglio, come quegli che ho conseguito misericordia dal Signore di essere fedele. Stimo adunque, ciò esser buono per l’istante necessità; poiché è buono per l’uomo star così come egli si trova. Sei legato alla moglie? non voler cercar la soluzione: sei sciolto dalla moglie? non voler cercar la moglie. Pure se hai ricevuto moglie, non hai peccato: e se chi era vergine si maritò, non ha peccato: avranno tuttavia la conseguente tribulazion della carne. Io poi vi compatisco. Laonde questo dico, o fratelli: il tempo è breve: egli rimane, che quelli che hanno moglie, sieno come quelli che non ne hanno: e quelli che piangono, come quelli che non piangono: e quelli che godono, come quelli che non godono: e quelli che comperano, come quelli che non posseggono: e quelli che usano di questo mondo, come quelli che non ne usano: imperocché trapassa la figura di questo mondo. Insomma quello ch’io voglio si è, che voi siate senza sollecitudine » (1 Cor. 7, 24-32).
18. In settimo ed ultimo luogo, il Cristiano il quale tiene queste regole di sua condotta, sarà disposto con eguale facilità e contento a mutare, quando a lui si manifesti la divina volontà, o quella de’ suoi superiori che tengono le veci di Dio; e il suo animo sarà sempre costituito e conservato in quell’aureo stato di indifferenza che raccomandava tanto S. Ignazio, e che mise per fondamento de’ suoi Esercizi, cioè di tutta la vita spirituale.
19. Questa indifferenza viene dal proposito non solo di servire a Dio, ciò che è il fine a cui sono tutti creati; ma ben ancora di servirlo in quel modo, nel quale Egli vuol essere da ciascun di noi servito, che costituisce il primo mezzo pel quale si può ottenere quel gran fine.
20. Il Cristiano in fatti, desiderando di servire a Dio non già secondo il modo scelto da se stesso, ma secondo il modo da Lui prescrittogli e da Lui voluto, perverrà ad essere indifferente (per quanto spetta alla sua libera volontà e non già alla sua naturale inclinazione) a quelle quattro condizioni così ben distinte dal Santo sopraccitato, che sono le seguenti: I - alla sanità, ovvero alla malattia; II - alle ricchezze e comodi, ovvero alle miserie della vita; III - all’onore, o al disprezzo del mondo; IV - ad una vita lunga, o ad una vita breve, o che si convenga abbreviare sotto le fatiche e i dolori.
21. E l’esame che farà di se stesso con frequenza il discepolo di Cristo per conoscere se si trovi veramente indifferente alla povertà e alla ricchezza, all’onore e al disprezzo, alla sanità e alla malattia, alla lunga o breve vita, gli scoprirà il cammino da lui fatto nella strada della evangelica perfezione.
22. Questa indifferenza, alla quale dee tendere incessantemente il fedele Cristiano, si può ridurre altresì ai tre capi seguenti:
I - a qualunque ufficio gli venga affidato;
II - a qualunque luogo gli sia data l’abitazione;
III - a qualunque stato di sua corporale salute egli si trovi d’avere.