Marzo, 1821
Questo testo è completo, ma ancora da rileggere. |
Volti i guardi al varcato Ticino,
Tutti assorti al nuovo destino,
4Certi in cor dell’antica vertù,
Han giurato: ‘ Non fia che quest’onda
Scorra più tra due rive straniere;
Non fia loco ove sorgan barriere
8Tra l’Italia e l’Italia, mai più! ’
L’han giurato: altri forti a quel giuro
Rispondean da fraterne contrade,
Affilando nell’ombra le spade
12Che or levate scintillano al sol.
Già le destre hanno strette le destre;
Già le sacre parole son porte:
O compagni sul letto di morte,
16O fratelli sul libero suol.
Chi potrà della gemina Dora,
Della Bormida al Tanaro sposa,
Del Ticino e dell’Orba selvosa
20Scerner l’onde confuse nel Po:
Chi stornagli del rapido Mella
E dell’Oglio le miste correnti,
Chi ritogliergli le mille torrenti
24Che la foce dell’Adda versò,
Quello ancora una gente risorta
Potrà scindere in volghi spregiati,
E a ritroso degli anni e dei fati
28Risospingerla ai prischi dolor:
Una gente ch’è libera tutta,
O fia serva tra l’Alpe ed il mare;
Una d’arme, di lingua, d’altare,
32Di memorie, di sangue e di cor.
Con quel volto sfidato e dimesso,
Con quel guardo atterrato ed incerto,
Con che stassi un mendico sofferto
36Per mercede nel suolo stranier,
Star doveva in sua terra il Lombardo;
L’altrui voglia era legge per lui;
Il suo fato, un segreto d’altrui;
40La sua parte, servire e tacer.
O stranieri, nel proprio retaggio
Torna Italia, e il suo suolo riprende;
O stranieri, strappate le tende
44Da una terra che madre non v’è.
Non vedete che tutta si scote,
Dal Cenisio alla balza di Scilla?
Non sentite che infida vacilla
48Sotto il peso de’ barbari piè?
O stranieri, sui vostri stendardi
Sta l’obbrobrio d’un giuro tradito;
Un giudizio da voi proferito
52V’accompagna all’iniqua tenzon;
Voi che a stormo gridaste in quei giorni:
‘ Dio rigetta la forza straniera;
Ogni gente sia libera, e pèra
56Della spada l’iniqua ragion.’
Se la terra ove oppressi gemeste
Preme i corpi de’ vostri oppressori,
Se la faccia d’estranei signori
60Tanto amara vi parve in quei dì;
Chi v’ha detto che sterile, eterno
Saria il lutto dell’Itale genti?
Chi v’ha detto che ai nostri lamenti
64Saria sordo quel Dio che v’udì?
Sì, quel Dio che nell’onda vermiglia
Chiuse il rio che inseguiva Israele,
Quel che in pugno alla maschia Giaele
68Pose il maglio ed il colpo guidò:
Quel che è Padre di tutte le genti,
Che non disse al Germano giammai:
‘ Va’, raccogli ove arato non hai;
72Spiega l’ugne; l’Italia ti do.’
Cara Italia! dovunque il dolente
Grido uscì del tuo lungo servaggio.
Dove ancor dell’umano lignaggio
76Ogni speme deserta non è.
Dove già libertade è fiorita,
Dove ancor nel segreto matura,
Dove ha lacrime un’alta sventura,
80Non c’è cor che non batta per te.
Quante volte sull’Alpe spiasti
L’apparir d’un amico stendardo!
Quante volte intendesti lo sguardo
84Ne’ deserti del duplice mar!
Ecco alfin dal tuo seno sboccati,
Stretti intorno a’ tuoi santi colori,
Forti, armati de’ proprj dolori,
88I tuoi figli son sorti a pugnar.
Oggi, o forti, sui volti baleni
II furor delle menti segrete:
Per l’Italia si pugna, vincete!
92Il suo fato sui brandi vi sta.
O risorta per voi la vedremo
Al convito de’ popoli assisa,
O più serva, più vil, più derisa
96Sotto l’orrida verga starà.
O giornate del nostro riscatto!
O dolente per sempre colui
Che da lunge, dal labbro d’altrui,
100Come un uomo straniero, le udrà!
Che, a’ suoi figli narrandole un giorno,
Dovrà dir sospirando: ‘ Io non c’era ’;
Che la santa vittrice bandiera
104Salutata quel di non avrà.